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La necessità di un’educazione ai generi

4.1 Per una pedagogia dell’adolescenza

4.1.2 La necessità di un’educazione ai generi

Leonelli (2011) parla di “educazione di genere” e ne dà la seguente definizione:

“Con Educazione di genere si intende l’insieme dei comportamenti, delle azioni, delle attenzioni messo in atto quotidianamente, in modo più o meno intenzionale, da chi ha responsabilità educativa (genitori, insegnanti, ecc.) in merito al vissuto di genere, ai ruoli di genere e alle relazioni di genere dei giovani e giovanissimi”243.

Questa definizione chiarifica cosa si intende comunemente quando si parla di “educazione di genere”, sottolineando che questa può essere messa in atto da diversi attori, in modo più o meno intenzionale, tramite varie modalità (comportamenti, azioni, attenzioni) e può essere incentrata su tematiche differenti (vissuto di genere, ruoli di genere, relazioni di genere).

Riguardo agli attori che possono rivestire un ruolo educativo, Leonelli (2011) evidenzia come, oltre alle figure ufficialmente riconosciute, quali i genitori, gli

242 Gamberi C., Maio M. A., Selmi G. (a cura di) (2010). Educare al genere. Riflessioni e strumenti

per articolare la complessità. Roma: Carocci

243 Leonelli, S. (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall'uguaglianza alla complessificazione.

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insegnanti e gli educatori, a svolgere un ruolo determinante nell’educazione di bambine/i e ragazze/i siano anche i gruppi sociali, culturali, religiosi e politici di riferimento. Per non parlare del ruolo dei media e dei social network, che rappresentano alcune delle fonti principali da cui i soggetti nella fase di crescita assorbono informazioni e modelli di comportamento244.

Questi “educatori non ufficiali”, osserva Leonelli (2011)245, si rivelano

particolarmente pericolosi, in quanto le rappresentazioni sociali e i modelli di riferimento che veicolano sono spesso contraddistinti da parzialità, mancanza di complessità, appiattimento su stereotipie e credenze.

La povertà di questi messaggi è aggravata dal fatto che essi sono veicolati in modo spesso subdolo, proprio a causa del ruolo non ufficialmente educativo delle fonti da cui provengono. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda i media e i social network, è da osservare come la fruizione di queste fonti avvenga con una modalità totalmente unidirezionale, secondo la quale il soggetto riceve le informazioni (spesso, come si è detto, in modo inconsapevole) e non ha la possibilità di rielaborarle per mezzo dell’interazione con un altro soggetto.

Si può rilevare come, soprattutto per le/i bambine/i e le/i ragazze/i in crescita, totalmente privi di competenze critiche o comunque in una fase iniziale di sviluppo delle stesse, questa modalità di trasmissione di modelli culturali risulti molto rischiosa. E’ proprio a causa della mancanza di un processo di rielaborazione critica rispetto alle informazioni ricevute che i soggetti crescono introiettando e

244 Leonelli, S. (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall'uguaglianza alla complessificazione.

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sedimentando modelli e rappresentazioni sociali rigidi e sterili, all’interno dei quali si ritrovano poi ingabbiati, spesso senza avere gli strumenti per liberarsene.

Rispetto all’identità di genere, in particolare, la necessità di un percorso educativo è molto importante, in quanto, come sottolineano Gamberi, Maio e Selmi (2010)246, la

componente di genere è trasversale alla dimensione dell’identità e interessa svariati ambiti dell’esistenza, a partire dalla percezione del sé e dal rapporto con se stessi, fino alle relazioni interpersonali e alla percezione di sé all’interno della comunità.

La comunità alla quale si fa riferimento è l’attuale società postmoderna, la quale, come è emerso dall’analisi effettuata nel primo capitolo di questo elaborato, è caratterizzata da un alto grado di complessità e di fluidità dei nuovi soggetti, delle dinamiche e dei processi. In un simile contesto si rivela fondamentale l’acquisizione e la padronanza di strumenti e di modelli interpretativi della realtà, per poter decodificare la complessità e riuscire ad orientarsi e trovare una collocazione al suo interno.

Come osservano Gamberi, Maio e Selmi (2010)247, i modelli mainstream forniti dalla

società sono molto normativi e tendenzialmente non rappresentativi della realtà, nella misura in cui propongono delle strutture identitarie e relazionali rigide e statiche, fondate sul modello binario di genere.

Basti pensare alle rappresentazioni femminili e maschili veicolate da trasmissioni tv come “Uomini e donne” o “La pupa e il secchione”248 ed alle relative

rappresentazioni delle dinamiche relazionali intra-genere. Questi modelli di

246 Gamberi C., Maio M. A., Selmi G. (a cura di) (2010). Educare al genere. Riflessioni e strumenti

per articolare la complessità. Roma: Carocci

247 Ibidem

248 Portate come esempio da Leonelli in: Leonelli, S. (2011). La Pedagogia di genere in Italia:

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riferimento sono poveri, appiattiti su stereotipie e quindi inadeguati alla complessità sociale all’interno della quale vengono applicati.

Anche all’interno della famiglia, rilevano Gamberi, Maio e Selmi (2010)249, oltre che

in generale nella società, spesso non vengono forniti gli strumenti adeguati ad articolare la complessità; per non parlare del gruppo dei pari, che tende ad introiettare e riprodurre i modelli mainstream assorbiti da media e dai social network.

I modelli e gli strumenti interpretativi adeguati, tuttavia, esistono ed anzi sono elaborati da anni sia in ambito accademico, sia da educatori e formatori che lavorano sul campo. Soprattutto per quanto riguarda la pedagogia di genere, dagli anni Settanta ad oggi c’è stata una notevole evoluzione negli approcci e nelle metodologie250.

Rimane, però, la difficoltà da parte dei soggetti di accogliere e di applicare tali modelli, sicuramente meno immediati (perché più complessi) di quelli proposti dalla cultura mainstream.

Per questo motivo, come emerge dalle riflessioni di Leonelli (2011), Gamberi, Maio e Selmi (2010), in assenza di interventi educativi condotti da professionisti o comunque da figure educative formate, l’educazione di genere rischia di sconfinare nella socializzazione di genere, ovvero il processo di negoziazione di ruoli e appartenenze, nell’ottica di essere riconosciuti e accettati all’interno di un determinato ambito sociale. In questo senso, afferma Leonelli (2011), la socializzazione di genere si configura come «una mera oppressione omologatrice alla tradizione»251.

249 Gamberi C., Maio M. A., Selmi G. (a cura di) (2010). Educare al genere. Riflessioni e strumenti

per articolare la complessità. Roma: Carocci

250 Leonelli, S. (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall'uguaglianza alla complessificazione.

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