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Il concetto di disabilità nei classici del pensiero sociologico

5.4. Approccio fenomenologico

Uno degli approcci più recenti allo studio della società, utilizzato proficuamente anche nell’ambito della sociologia sanitaria, è quello fenomenologico. Esso pone al centro del proprio interesse l’individuo e l’interazione sociale, al contrario delle precedenti prospettive che sono tutte di tipo eminentemente macro-sociologico. Dal punto di vista teorico questa prospettiva deriva dal contributo filosofico di Hedmund Husserl secondo il quale compito della scienza è occuparsi dello studio dei fenomeni (dal greco

phainomenon, participio sostantivato di phainesthai, manifestare, apparire),

sé perché una conoscenza veramente oggettiva non è mai possibile. Questa impostazione rivoluziona il modo di guardare alla scienza ed ha ripercussioni sul clima di generale ottimismo positivistico che aveva avvolto le scienze naturali, ed anche quella medica, nella prima metà del XX secolo, oltre ad essere utilmente utilizzata anche nello studio della società. Nello specifico l’applicazione della fenomenologia di Husserl al mondo della sociologia avviene con Alfred Schutz e successivamente con i suoi allievi P.L. Berger e T. Luckmann.

Uno dei concetti più interessanti della fenomenologia è quello di “mondo della vita” (Lebenswelt), che nella visione di Schutz è essenzialmente il “mondo della vita quotidiana”, il luogo dove si svolgono tutte le interazioni umane e che egli traduce come “il mondo intersoggettivo che esisteva da molto prima della nostra nascita, percepito e interpretato dagli altri, i nostri predecessori, come un mondo organizzato. Ora esso è dato alla nostra esperienza ed alla nostra interpretazione. Ogni interpretazione di tale mondo è basata su un insieme di previe esperienze di esso, sulle nostre stesse esperienze e su quelle che abbiamo ereditato dai nostri genitori e insegnanti, le quali, nella forma di ‘conoscenza a disposizione’ funzionano come schema di riferimento”(Schutz, 1979). Al mondo della vita appartiene una conoscenza originaria, basata sull’intuizione e sulla soluzione di problemi pratici, sedimentata nel tempo; essa appartiene ad un mondo pre-scientifico da cui però sorge quello scientifico inteso come “realizzazione dello spirito umano” che sempre presuppone il primo. Ciò implica una contrapposizione tra “cultura profana” e “cultura scientifica”, ma senza che la prima abbia meno dignità e valore della seconda. Anzi la cultura scientifica emergerebbe da quella profana a cui appartengono ambiti non ancora esplorati dalla scienza, così come questa presenta ambiti non appartenenti alla cultura profana perché emergenti dal processo di auto-alimentazione della scienza stessa, della sua capacità di porsi autonomamente domande e di fornire risposte.

Afferma Husserl in proposito: “se la scienza pone certi problemi e li risolve, si tratta già all’inizio e poi via via lungo il processo del lavoro scientifico, di problemi che si pongono sul terreno di questo mondo, che investono la compagine del mondo già dato, in cui rientra la prassi scientifica come qualsiasi altra prassi vitale. In questa prassi svolge un ruolo costante la conoscenza, la conoscenza pre-scientifica, con tutti i suoi fini, che essa, nel senso in cui li concepisce, raggiunge in generale in misura sufficiente a rendere possibile una vita pratica” (Husserl, 1961).

Dal punto di vista della scienza medica l’impossibilità di cogliere l’oggetto in sé implica che anche la malattia, intesa come problema che si pone all’attenzione del medico, debba scontare la natura dei contesti e delle interazioni nei quali essa si produce nonché i vissuti personali; non a caso l’approccio fenomenologico alla malattia ha condotto alla narrative based

medicine, una pratica che mette al centro del proprio interesse la narrazione

della malattia fatta dal paziente, il quale così finisce col produrre “storie di malattia” del tutto simili alle “storie di vita”, il che consente non solo di entrare in contatto con i significati da questi attribuiti al suo male, ma anche di conoscere i contesti d’interazione nei quali la malattia ha avuto origine. Ciò, pur conducendo ad un evidente relativismo, anziché paralizzare l’azione, dovrebbe consentire al medico di cogliere con maggiore evidenza la multidimensionalità del reale in cui la malattia affonda le proprie radici. Infatti, nella relazione medico – paziente, anziché un’azione comunemente finalizzata all’obiettivo di guarigione, si configurerebbe una non perfetta coincidenza di visioni intorno alla stessa definizione di malattia tra quella del medico, radicata nella cultura scientifica e sedimentata nei lunghi anni di addestramento professionale, e quella del malato legata invece alle esigenze della propria vita quotidiana. tale non perfetta coincidenza di visioni richiede quindi una negoziazione, a partire dai significati attribuiti alla malattia, tra i soggetti instauranti la relazione.

La malattia, infatti, nell’approccio fenomenologico, è una costruzione sociale che emerge dalle interazioni del quotidiano. L’impossibilità di

raggiungere una conoscenza valida in sé non implica, tuttavia, l’impossibilità di ottenere qualunque conoscenza, ma permette di raggiungere comunque un’oggettività – per – la – soggettività o o inter – soggettiva, ovvero di conoscere il senso attribuito agli oggetti e socialmente condiviso (Cipolla, 2004). La forte differenziazione della società contemporanea, portando ad una iper – specializzazione funzionale, moltiplica i “mondi sociali” nei quali i significati attribuiti agli oggetti possono essere anche molto differenti. Per Schutz questi costituiscono “province finite di significato”, vale a dire strutture di significato, attribuite dagli esseri umani agli oggetti, che mutano a seconda dei punti di vista e dei particolari interessi nutriti dal soggetto in un determinato momento (Izzo, 1994). Non sarebbe quindi possibile comprendere le definizioni di salute e malattia senza riferirsi a questi mondi sociali, ed anche la malattia si configurerebbe quale “provincia finita di significato!, nel senso che è un’esperienza profondamente legata al soggetto che la sta vivendo ed ai significati che egli vi attribuisce.

Uno dei modelli di sistema sanitario ispirato ai principi della fenomenologia è quello prodotto da Arthur Kleinmann nel 1978 (Kleinmann, 1978). Egli considera quelli sanitari dei sistemi essenzialmente culturali costruiti intorno a specifiche definizioni di salute e malattia e che forniscono valori e norme di comportamento a queste ispirate. Egli teorizza l’esistenza di tre settori fondamentali entro i quali la malattia viene esperita ed agita: il settore popolare, quello professionale e quello tradizionale.

Il settore popolare è composto essenzialmente dall’individuo e dalla sua famiglia, che rappresentano i primi contesti nei quali viene esperita la malattia ed effettuato un primo tentativo di cura; su un orizzonte di relazione più esteso si pongono poi le reti sociali e la comunità di appartenenza. Il settore professionale è composto invece dalle tradizioni mediche professionalizzate, così come sono sedimentate nel corso del tempo, i cui maggiori esempi sono la medicina scientifica occidentale, la medicina cinese, quella ayurvedica, la medicina yunani, quella chiropratica,

etc…Infine si presenta il settore tradizionale composto dai guaritori specialisti non professionali. Ogni settore presenta una serie di credenze, scelte e decisioni, ruoli, relazioni, contesti d’interazione ed istituzioni che contribuiscono a definire una specifica realtà socialmente legittimata. Fra i tre, in coerenza con l’impostazione fenomenologia, il settore popolare ha una certa importanza in quanto luogo nel quale non solo viene originariamente vissuta la malattia, ma anche nel quale sedimentano credenze e pratiche che costituiscono il fondamento pre-scientifico della medicina professionale. Ciascun settore poi può essere più o meno esteso e presentare ambiti di sovrapposizione più o meno ampi a seconda dei contesti di relazione, il che può dar luogo ad altrettanti fenomeni di sincretismo medico.

Il modello proposto da Kleinmann presenta una discreta capacità ermeneutica tanto da essere stato proficuamente utilizzato in molti studi comparati sui sistemi sanitari. Esso presenta il vantaggio di non considerare la medicina scientifica occidentale, né in senso più ampio tutte le medicine professionali, pratiche aventi il monopolio della cura, ma prende atto della grande importanza che, sia in società in cui il ricorso alla medicina scientifica non è molto diffuso sia all’ombra di quest’ultima, possono avere la famiglia e le reti di relazione sociale e comunitaria, tanto nel materiale esperimento della cura, quanto nella comunicazione di un sapere a questa funzionale. Quello di Kleinmann rappresenta naturalmente un ideal –tipo: ogni società può rappresentare settori più o meno estesi ed ambiti di sovrapposizione più o meno ampi a seconda di quanto tradizioni culturali differenti abbiano avuto modo di mescolarsi. Ciò implica che in contesti differenti è possibile non solo non trovare le medesime definizioni di salute e malattia, ma neanche le medesime opzioni di scelta a disposizione degli individui per quanto concerne le tradizioni di cura ed i soggetti a cui rivolgersi.

Da quanto detto è chiaro che non solo il modello fenomenologico di sistema sanitario consente di confrontare sistemi appartenenti a tradizioni culturali

differenti, ma proprio l’approccio fenomenologico può essere considerato quello più opportuno ad ispirare le relazione medico – paziente quando le due parti facciano riferimento ad universi culturali differenti per quel che concerne le definizioni di salute e malattia.