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L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.: varie sfumature di (il)legalità

1MARGINESU2012, 311-317. I concetti d’illegalità e di corruzione tout court applicati a

contesti stragiudiziali potrebbero stridere con la natura informale della prassi. Tuttavia, la presenza di un nomos che sembra disciplinare entrambe le forme arbitrali rende lecita, seppur con la necessaria cautela, l’applicazione di queste nozioni alla pratica arbitrale. In merito al νόμος περὶ τῶν διαιτητῶν vd., e.g., And. De Myst. [I] 87; Demosth. In Timocr. [XXIV] 56; Demosth. C. Callipp. [LII] 30.

2Sull’arbitrato inteso come «alternativa sostanziale alla giustizia dei giurati» vd. COSSA

2008, 748 n. 34. Sul preferenziale ricorso alla composizione attraverso l’intervento di parenti e amici vd., e.g., Demosth. Adv. Androt. [XXII] 25-27; In Aphob. I [XXVII] 15-16; C. Boeot.II [XL] 14; C. Leoch. [XLIV] 19; In Everg. et Mnesib. [XLVII] 45; In Olympiod. [XLVIII] 2, 7-

11. Sul tema vd. anche SCAFURO1997, 31-32.

3 Sulla presenza della prassi arbitrale privata già in epoca omerica ed esiodea vd.

GAGARIN1986, 19-50; ROEBUCK2001, 51-88. Per quanto riguarda l’istituzione del collegio arbitrale pubblico, invece, la datazione costituisce un tema spinoso. Le varie ipotesi di datazione si concentrano nella manciata d’anni successiva all’esperienza dei Trenta tiranni, tra il 403 e il 399 a.C.

Claudia Zanaga

Nell’Atene di epoca classica l’esercizio della funzione arbitrale privata è demandato agli hairetoi diaitetai, soggetti liberamente scelti dalle parti in causa. Gli Ateniesi infatti gradiscono e ricercano volontariamente il giudizio di φιλοῖ e οἰκεῖοι4. Costoro sono presenti (παραγεγενημένοι) ma, soprattutto, sono ben

informati sui fatti (σαφῶς εἰδότες)5. Amici e parenti, dunque, hanno

un’approfondita conoscenza dei contorni dell’intera vicenda, della sua degenerazione in una aperta contesa, dei motivi della lite e dei tentativi di risoluzione. Per tutte queste caratteristiche essi sono quindi ritenuti fededegni e capaci di esprimere un giudizio adeguato rispetto a quanto potrebbe fare un estraneo. Il lodo espresso dall’arbitro privato, inoltre, è giuridicamente vincolante. La scelta di persone fidate e a conoscenza della vicenda è quindi un irrinunciabile requisito per contenere il rischio di un’indesiderata condanna6.

L’arbitrato privato, seppur noto agli Ateniesi da lungo tempo, sembra dar significativa prova della propria funzionalità in concomitanza con la crisi politico- istituzionale che interessa la polis durante la fase finale della Guerra del Peloponneso. L’esempio fornito dalla pratica privata è determinante sul finire del V secolo a.C., quando la polis fa propria tale prassi istituendo il collegio dei

diaitetai. A partire dagli ultimi anni del V secolo a.C., infatti, in un’importante

fase di ridefinizione e rinnovamento, la giurisdizione ateniese affianca alla plurisecolare attività arbitrale privata il ricorso obbligatorio alla procedura pubblica dell’arbitrato7. Si tratta di un iter stragiudiziale che la polis definisce per

risolvere con metodi alternativi alcune cause minori8.

4La liceità di affidare a un parente o a un amico la composizione della lite risulta essere

una pratica strutturalmente radicata nella società e nello spirito ateniese. Vd., e.g., Lys. In

Diogit. [XXXII] 2; Is. De Dicaeog. [V] 31-33; Demosth. In Aphob. I [XXVII] 1; C. Aphob.[XXIX] 58; C. Onetor. I [XXX] 2. Per alcune esplicite considerazioni in merito ai

vantaggi di tale strumento vd. Demosth. C. Spud. [XLI] 14, 29.

5Vd. Demosth. C. Spud. [XLI] 14. Cfr. anche Demosth. In Aphob. I [XXVII] 1; C.

Callicl. [LV] 9, 35; Plat. Leg. 766e. Non di rado, nelle fasi inziali, l’arbitrato privato è

esercitato entro l’oikos, quest’ultimo inteso come un «organismo nel quale sono compresi

cose, persone e riti» (PAOLI1961, 36). È esemplificativo l’esordio dell’orazione Demosth. In

Aphob. I [XXVII] 1, la causa rivolta da Demostene contro Afobo, uno dei suoi disonesti tutori.

Il debutto del logos, per quanto carico di topoi retorici, mantiene inalterato il proprio valore poiché cita l’arbitrato privato, in questo caso gestito da parenti, come il primo necessario tentativo di composizione della lite, quello cui rimettersi per evitare di portare in tribunale delicate questioni private. Vd. inoltre Lys. In Diogit. [XXXII] 1-2, 10-18. Anche nell’orazione lisiana la cattiva gestione della tutela è portata in tribunale. Prima del processo, però, la parte lesa conduce vani ma doverosi tentativi per risolvere la faccenda tra le mura domestiche.

6Vd., e.g., Demosth. In Aphob. I [XXVII] 1. TALAMANCA1975, 93-159, si esprime, con

largo seguito nella bibliografia successiva, sul carattere giuridicamente vincolante del lodo

espresso dall’arbitrato privato. Contra SCAFURO1997, 125 sgg. che ascrive alla sentenza

arbitrale privata un vincolo etico-morale ma non legale.

7A partire dall’epoca di Pisistrato – con l’istituzione dei dikastai kata demous, poi

L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.

Sono diaitetai pubblici i cittadini che, nel sessantesimo anno d’età, si trovano nella quarantaduesima helikia, l’ultima di servizio militare9. Differentemente dagli

omologhi privati, gli arbitri pubblici sono definiti κληρωτοί per sottolineare che, all’interno del collegio arbitrale, l’assegnazione delle cause avviene mediante sorteggio.

Nel tentativo di evidenziare la pratica reale dell’arbitrato per individuarne le zone d’ombra, è interessante porre l’attenzione dapprima sulla sua definizione speculativa e morale per scendere soltanto in seguito nel dettaglio dei casi specifici attraverso il ricorso all’analisi di alcuni luoghi dell’oratoria giudiziaria in cui è possibile individuare un’immagine attendibile di essa.

Il dato da cui avviare la riflessione è la relazione tra l’arbitrato e il concetto di ἐπιείκεια10. Quest’ultimo è di norma tradotto mediante il ricorso al sostantivo

equità; tuttavia, il suo campo semantico comprende anche le non secondarie accezioni di ragionevolezza e di convenienza11. Il dibattito sul significato di questo

concetto nella cultura classica pone questioni irrisolvibili. In questa sede mi limito soltanto a cogliere il dato di fondo, vale a dire l’esistenza di un nesso tra l’ἐπιείκεια e quella che sembra essere una delle sue manifestazioni nella quotidianità cittadina, l’arbitrato appunto12. La selettività dell’interesse non esime

però dal delineare i tratti fondamentali dell’epieikeia di cui si fa latore l’arbitro. È assodato che si tratti di un concetto strettamente connesso al tema della giustizia: ἐπιείκεια e δίκη rappresentano, infatti, «due orizzonti interferenti, ma irriducibili l’uno all’altro»13. La valutazione deve però tenere in considerazione l’oscillazione

tra due antipodi concettuali: l’epieikeia, infatti, è alternativamente considerata sia l’essenza del diritto che la sua antitesi14.

divenuti la magistratura dei Tettarakonta – ha inizio un lento processo di istituzionalizzazione della funzione arbitrale anche in ambito pubblico. Negli ultimi anni del V secolo, l’introduzione di un collegio arbitrale all’interno del sistema giudiziario della πόλις non avviene a detrimento della procedura arbitrale privata: quest’ultima, infatti, continuerà a operare durante il corso del IV secolo a.C. Per un’indagine sui dikastai kata demous vd. PETRUZZELLA1997, 197-197; cfr. anche JONES2004, 7-8, 57, 84.

8Vd. Aristot. Ath. Pol. 53, 2. Il timema deve essere superiore alle dieci dracme. Il lodo

arbitrale pubblico consente l’appello e la conseguente presentazione della causa dinnanzi alla giuria popolare. Sull’A.D.R. (alternative dispute resolution), acronimo in uso nella

giurisdizione contemporanea, vd., tra tutti, ROBERTS- PALMER2005, 46.

9Aristot. Ath. Pol. 53, 4; vd. anche RHODES1981, 591-594 con commento ad l.

10Il legame è attestato in alcuni luoghi dell’opera aristotelica analizzati di seguito.

11Per una riflessione in merito alle problematiche inerenti il significato e la traduzione

del termine epieikeia vd. BISCARDI1994, 389-394.

12Sul concetto di epieikeia vd., tra tutti, D’AGOSTINO1973, 65-100; BISCARDI1994, 389-

394; LUÑO1997, 197-198 n. 1, 201, 207; HARRIS2004, 1-13; ARENAS-DOLZ2005/6, 258-260;

HORN2006, 142-166; BEARZOT2013, 85 e n. 1.

13D’AGOSTINO1973, 8.

14In merito alle profonde antitesi esegetiche relative al concetto di epieikeia vd. BISCARDI

Claudia Zanaga

La più completa e nota trattazione in merito al tema è presente nell’opera filosofica aristotelica, ove il legame tra l’epieikeia e l’arbitrato trova espressione in vari luoghi del corpus15. Nella Rhetorica il filosofo afferma che sarebbe

necessario «voler andare a un arbitrato piuttosto che a un giudizio di un tribunale: infatti, l’arbitro guarda l’equo, mentre il giudice (guarda) la legge; e in vista di questo è stato trovato l’arbitro, ossia perché rafforzi l’equo»16.

Nella Politica, invece, all’interno del dibattito in merito all’ordinamento proposto da Ippodamo di Mileto, Aristotele ritiene che il giudice diventi arbitro nel momento in cui prova a «giudicare facendo dei distinguo» (τὸ κρίνειν ἀξιοῦν διαιροῦντα)17. Tale attestazione sembra essere sintomatica del modus agendi che

distingue il diaitetes dal dikastes. Il giudicare ἀξιοῦν διαιροῦντα può dunque essere l’espressione dell’epieikeia che lo stesso Aristotele associa alla diatesia? In questa direzione interpretativa sembrerebbe andare il passo dell’Ethica

Nicomachea ove lo Stagirita afferma che l’ἐπιεικές non coincide con il giusto

secondo la legge, bensì equivale a un ἐπανόρθωμα νομίμου δικαίου. La ragione di tale affermazione risiede nella natura stessa della legge che, essendo una norma dal valore universale, è chiamata a fornire direttive generali capaci di contenere un’ampia casistica. Tuttavia c’è sempre un quid che sfugge all’intenzione onnicomprensiva. «Ogni qual volta la regola di diritto da applicare non avesse formato oggetto di un’apposita disposizione legislativa», allora, proprio in tali circostanze, si deve supporre l’intervento dell’epieikeia18.

Tra i più recenti interventi è degna di nota la considerazione di E.M. Harris. Lo studioso ha posto l’attenzione sulla natura dell’epieikeia, da intendere non come istanza che fa ricorso a considerazioni extra-legali, ma bensì come un principio di giustizia generale presente all’interno delle stesse leggi scritte19.

L’epieikeia non sembrerebbe voler colmare le lacune della legge ma riguarderebbe piuttosto l’applicazione della stessa in particolari situazioni. Quando si ricorre all’epieikeia, dunque, non si vuole ignorare il dettame del legislatore ma ci si

1994, 389. ibid., 393 osserva comunque che «i due poli essenziali sono sempre quelli di convenienza ed equità».

15 All’interno del corpus aristotelico sono state preferenzialmente considerate le

ricorrenze che mostrano un’esplicita relazione con l’arbitrato.

16Aristot. Rh. 1374b. Traduzione di ZANATTA2004. Cfr., e.g., anche Aristot. Top. 141a

16.

17Aristot. Pol. 1268b. Traduzione di RADICE-GARGIULO2014.

18Aristot. EN 1137b11-1138a 3. Per la citazione vd. BISCARDI 1982, 362. L’atten -

zione della comunità scientifica si è concentrata sul significato da attribuire al termine

ἐπανόρθωμα. Per una sintesi delle differenti traduzioni in merito al conceto vd. LUÑO1997,

202-203.

19Vd. HARRIS2013, 276.

L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.

interroga su come costui avrebbe agito dinnanzi alle inevitabili eccezioni che insorgono nella valutazione di ogni singolo caso20. Proprio su questo ultimo

aspetto interviene l’arbitro. Il diaitetes non applica in modo cieco e ottuso la legge, ma, votato al ragionamento sul caso specifico, la adatta alla circostanza in discussione e, se necessario, si allontana da essa21. L’epieikeia, dunque, garantisce

il buon funzionamento della società senza però minare l’autorità della legge22.

In relazione all’arbitrato il concetto di epieikeia sembrerebbe dunque essere realisticamente traducibile con la nozione di ragionevolezza, se non, addirittura, di convenienza. Tale ipotesi ben si armonizza con l’immagine complessiva che dell’arbitro emerge nella trattazione aristotelica. Si tratta di una figura chiamata a intervenire facendosi guidare dal proprio buonsenso e dalla propria saggezza pratica, non prodotta da un sapere specifico23. Applicando tale principio alla

multiforme realtà è immediato chiedersi se e come esso venga applicato. Il

diaitetes è veramente guidato da buon senso oltre che da integrità morale nella

ricomposizione del contenzioso? Per trovare alcune informazioni utili in tal senso è indispensabile far riferimento all’oratoria attica.

I casi oggetto di studio L’arbitrato privato

1. Il losco arbitrato della Contra Apatourium

Un’eccellente attestazione della presenza di vicende poco limpide nel corso di un arbitrato privato è presente nell’orazione Contra Apatourium24. Nel contesto

di un prestito marittimo s’innesta un arbitrato privato in merito alle percosse tra Parmenone e Apaturio, due mercanti di Bisanzio25. Parmenone, dopo aver

sventato un tentativo di raggiro ordito dal compatriota, viene malmenato dallo stesso Apaturio. I litiganti, convinti dai consigli degli amici, si rivolgono a un arbitrato privato per dirimere la controversia26. Stabilita dunque la disponibilità

20HARRIS2013, 278 e n. 10. L’affermazione di Harris trova conferma in Aristot. Rh.

1374b 10-15. In merito alla relazione tra il concetto di equità e la riflessione teorica morale

aristotelica vd. ARENAS-DOLZ2005/6, 252-262.

21Vd. Aristot. Rh. 1374b 2-6.

22ARENASDOLZ2005/6, 270.

23Aristot. EN 1137a-b. Vd. anche le considerazioni in ARENAS-DOLZ2005/6, 258-9.

24 Demosth. C. Apatour. [XXXIII]. Sulla generica datazione del logos al regno di

Alessandro Magno vd. GERNET1955, 132-33.

25Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 13 sgg.

26Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 14.

Claudia Zanaga

di ricorrere a questo strumento stragiudiziale, si passa alla scelta degli arbitri. Vengono nominati tre individui, uno da ciascuna delle due parti e un terzo in comune. L’arbitro di Parmenone è un anonimo individuo, precedentemente in affari con Apaturio; l’arbitro di Apaturio invece è Aristocle di Oa. Il

diaitetes scelto di comune accordo è Focrito, anch’egli di Bisanzio come i

contendenti27.

Sono note le condizioni stabilite negli accordi preliminari: l’arbitrato sarà valido non soltanto in caso di unanimità; due voti concordi basteranno per rendere effettiva la decisione. Come si può facilmente immaginare, l’atto di compromesso che avrebbe dovuto disciplinare l’arbitrato è depositato presso Focrito, l’ago della bilancia nella terna arbitrale; costui però chiede alle parti di individuare un altro depositario. La scelta ricade su Aristocle, a casa del quale l’atto è posto in custodia28.

L’orazione demostenica ricostruisce attentamente la vicenda arbitrale29. Di

fronte all’evidenza dei fatti Focrito e l’anonimo arbitro concordano nel giudicare colpevole Apaturio che, avendo avuto sentore dell’imminente condanna, tenta di intervenire sul documento contenente le condizioni di validità e le clausole attuative. Non trovando nell’avversario la disponibilità all’annullamento, Apaturio decide di operare la falsificazione degli accordi con la connivenza di Aristocle. Dapprima cerca di disconoscere il ruolo di arbitri che precedentemente egli stesso ha riconosciuto sia all’anonimo individuo che a Focrito, rivendicando dunque la titolarità del solo Aristocle a esprimere il lodo30. Difronte alla veemenza delle

rivendicazioni di Apaturio, Parmenone chiede ad Aristocle di presentare le

synthekai per verificare le decisioni riportate in esse. Il giorno stabilito, riuniti

presso l’Hephaisteion, Aristocle si presenta senza le synthekai, dichiarando che un suo schiavo le aveva smarrite. Il dubbio che si tratti di un’operazione ad hoc, opportunamente ordita da Aristocle per perseguire i propri fini, è consistente31.

L’arbitrato – mancando gli accordi scritti che oltre a disciplinarlo ne stabilivano anche le condizioni di validità – non può avere luogo. Apaturio dunque crea, in modo fraudolento, i presupposti per ricominciare tutto daccapo, rivendicando

27 Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 14. È sintomatico delle logiche sotterranee che

infiltrano la vicenda il fatto che l’arbitro di Parmenone sia stato precedentemente in affari con Apaturio; ora, invece, costui è scelto come arbitro di Parmenone. In merito a Aristocle vd.

PAA 170405.

28Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 15-16.

29Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 16 sgg.

30Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 16-17.

31Il racconto contenuto in Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 18 sembra dare corpo al

legittimo sospetto della partecipazione dell’arbitro alla sparizione dei documenti.

L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.

pertanto la stipula di nuove synthekai nelle quali pretende di incaricare del giudizio il solo Aristocle. Parmenone, però, vuole che siano arbitri tutti e tre i soggetti designati nell’accordo precedente. A favore delle macchinazioni di Apaturio gioca un evento che colpisce duramente il suo avversario. Parmenone, infatti, perde la moglie e i figli in un terremoto che colpisce Ophryneion, il suo paese natale. Nonostante il grave lutto che lo costringe a ritornare in patria e a dispetto della sua dichiarata volontà di non accettare le nuove condizioni, Apaturio approfitta dell’assenza per affidare, apparentemente indisturbato, il giudizio della contesa al solo Aristocle. Quest’ultimo pronuncia una sentenza di condanna a carico di Parmenone32.

Nel complesso, la vicenda sembra restituire la presenza di connivenze che interagiscono in uno stesso contesto. È evidente, dunque, che la sparizione del compromesso originario, il quale avrebbe consentito la risoluzione del contenzioso sulla base di criteri condivisi, sia stata opportunamente pilotata da accordi sottobanco tra Apaturio e l’arbitro Aristocle. Pare molto sospetto anche il rifiuto di Focrito – l’arbitro garante della buona e corretta riuscita dell’accordo – di adempiere a una sua prerogativa: la custodia materiale dell’accordo disciplinante le condizioni in base alle quali considerare valido ed esecutivo l’arbitrato. Alla luce dell’evoluzione della vicenda si può dunque ipotizzare l’esistenza di azioni non encomiabili condotte da Apaturio sicuramente verso Aristocle, plausibilmente verso Focrito e probabilmente anche verso l’anonimo arbitro scelto da Parmenone.

Il caso ben evidenzia dunque l’apertura a pratiche poco limpide che possono addirittura sfociare nella più aperta corruzione, al fine di condizionare l’esito della vicenda stragiudiziale. Il ricorso a tali pratiche è comprensibile se si considera la pericolosità di un lodo arbitrale privato, esecutivo e inappellabile come una sentenza emessa dalla giuria popolare.

2. Come sdebitarsi con un arbitro privato? Basta un ‘pranzo’

L’orazione In Neaeram, datata tra il 343 e il 340-339 a.C., è incentrata sull’usurpazione dei diritti civili; tale grave imputazione è intentata da Teomnesto ai danni di Neera, una cortigiana corinzia poi legatasi a Stefano di Eroiade33.

All’interno dell’articolata vicenda, è presente il puntuale e documentato richiamo

32Demosth. C. Apatour. [XXXIII] 20.

33 [Demosth.] In Neaer. [LIX] 45-48. In merito alla datazione dell’orazione, vd.

MACDOWELL2009, 121; KAPPARIS1999, 28. Vd. [Demosth.] In Neaer. [LIX] 14, 16 sgg. in cui si ripercorre la vicenda di Neera. Il vero motore dell’azione sono, in realtà, le inimicizie politiche che vedono Stefano contrapporsi ad Apollodoro e Teomnesto. Gran parte del discorso d’accusa è infatti tenuto da Apollodoro, in qualità di συνήγορος. Attore e synegoros sono

Claudia Zanaga

a un arbitrato privato tra Frinione, un ex amante di Neera, e Stefano34.

Nell’incontro promosso dagli amici, Frinione rivendica innanzitutto la fraudolenta sottrazione della cortigiana da parte di Stefano ma anche l’appropriazione di alcuni beni, oggetti appartenenti a Frinione che Neera aveva portato ad Atene35.

Per Frinione siede come arbitro Satiro di Alopece; la scelta di Stefano ricade, invece, su Sauria di Lamptra. Di comune accordo le parti scelgono un terzo arbitro: Diogitone di Acarne36. Dopo aver ascoltato le parti, ivi compresa la stessa

Neera, i tre arbitri emettono la diallage: Neera sarà libera, tutti i beni sottratti – ad eccezione degli abiti, dei gioielli e delle schiave per uso personale – saranno restituiti a Frinione. La diallage stabilisce infine che Neera vivrà alternativamente sia con Frinione che con Stefano37.

All’interno del lodo è presente la significativa espressione μὴ μνησικακεῖν (§ 46). Essa compare anche nell’Athenaion Politeia dell’autore aristotelico in relazione all’amnistia politica imposta agli Ateniesi in seguito alla stasis che aveva interessato la città negli ultimi anni del V secolo a.C. Riportando la nota espressione al caso in questione, il principio del non recriminare rias - sume perfettamente la necessaria disposizione d’animo che le parti devono assumere a seguito dell’azione ricompositiva. È infatti necessario rimuovere il ricordo delle inimicizie e dei motivi di contesa. Il pronunciamento arbitrale privato dunque non si occupa soltanto di comporre il puntuale oggetto della contesa, ma s’inserisce nel più ampio progetto di ristabilire l’ordine all’interno dell’oikos, di cui gli arbitri fanno parte, attraverso la normalizzazione delle relazioni parentali e amicali.

Dopo aver ricomposto il dissidio, dice Demostene, gli arbitri si recano a pranzo a casa di entrambi i contendenti quando è il turno di convivere con Neera38.

Il ricorso a questi svariati incontri, πολλάκις συνδειπνῆσαι, ben si adatta all’informalità di cui è intrisa la pratica arbitrale privata. La vicenda ricompositiva, se giunge a una felice risoluzione, può essere suggellata anche con un momento conviviale. Nel caso specifico però Demostene osserva in modo malevolo che questo modo di sdebitarsi con gli arbitri sia da imputare principalmente al fatto

intenzionati a danneggiare Stefano facendo abile ricorso alla sua convivenza more uxorio con

Neera. A tal proposito vd. MACDOWELL2009, 121-122.

34[Demosth.] In Neaer. [LIX] 45-48. Particolarmente spinosa la definizione dello status

giuridico di Neera. Per un quadro sintetico in merito alla situazione specifica e alle relative

problematiche vd. ZELNICK-ABRAMOVITZ2005, 294-295.

35[Demosth.] In Neaer. [LIX] 45.

36[Demosth.] In Neaer. [LIX] 45. Sulla figura di Satiro vd. PAA 813385; per Sauria vd.

PAA 813935; per Diogitone vd. PAA 325645.

37[Demosth.] In Neaer. [LIX] 46- 48.

38[Demosth.] In Neaer. [LIX] 48.

L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.

che l’oggetto del contendere è stata Neera, una ex cortigiana. Non a caso la donna partecipa ai conviti a casa del compagno di turno, come giurato da alcuni testimoni anch’essi presenti ai banchetti39.

Pur non trattandosi di un atto di corruzione, poiché avviene a conclusione di una decisione già formulata e accettata da ambo le parti, il caso getta luce sull’eccentrico atteggiamento, valutato anche dal punto di vista etico e morale, degli arbitri. Inoltre il passo è interessante perché restituisce anche una delle modalità attraverso le quali ristabilire i rapporti con gli individui che sono stati scelti come arbitri. Dopo aver svolto la funzione arbitrale, i parenti e gli amici tornano a rivestire il proprio ruolo all’interno dell’oikos. È necessario, dunque, ripristinare gli equilibri originari tra le parti senza correre il rischio di minare le relazioni all’interno dell’oikos.

L’arbitrato pubblico 1. La Midiana

Un locus classicus in merito all’arbitrato pubblico è l’orazione In Midiam40.