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il mestiere di stratego nell’Atene del IV secolo a.C.

1Non offro qui una disamina esaustiva dei dati. Mi limito a rimandare, tra gli altri, a

WILSON 1970; BRUN 1983; MILLETT 1993; FLAMENT2007, 83-239; PRITCHARD 2012; PRITCHARD2015.

Marco Bettalli

dell’Atene classica. Taluni illeciti – configurabili o meno come veri e propri reati – comunque, si fanno strada nelle nostre fonti e meritano di essere sottoposti a un’analisi più approfondita2.

Corruzione elettorale

Affronteremo in primo luogo la corruzione elettorale, un “classico” degli illeciti in ogni tempo e paese, ma poco testimoniata ad Atene. La procedura di elezione degli strateghi e delle altre cariche militari, che si svolgeva per alzata di mano in una sessione primaverile dell’assemblea3, si prestava, di per sé, alla

corruzione del corpo elettorale, vale a dire dei cittadini che presenziavano alla riunione. L’accenno più o meno criptico a quanti brigano, si associano, si danno da fare per ottenere cariche, a partire dalla celebre metafora della lana nella

Lisistrata di Aristofane, per continuare con la descrizione dei gruppi di potere

nell’Atene della metà del IV secolo da parte di Demostene, si riferiscono a una realtà dove il consenso era in larga misura organizzato, anche se da nessuna parte si denunciano veri e propri episodi di compravendita dei voti: οἱ βοησόμενοι, gli “urlatori”, i cittadini sempre pronti a fare la claque, a far sentire il peso della propria fazione (e ovviamente a votare lo stratego di riferimento), non avranno offerto il loro supporto gratuitamente. La corruzione è data per scontata, non viene neppure percepita come tale, e tale in effetti forse non è, da un punto di vista strettamente giuridico4.

Chiamata alle armi

La selezione dei cittadini chiamati di volta in volta alle armi era affidata ai magistrati militari eletti di anno in anno, in primo luogo agli stessi strateghi, in collaborazione con i tassiarchi e gli altri funzionari di rango minore. I casi di spedizioni in massa erano infatti una possibilità che non si realizzava quasi mai: molto frequenti invece erano i casi nei quali le spedizioni richiedevano la mobilitazione di un numero relativamente basso di uomini. In tali circostanze, i

2In questa sede ci occuperemo dei fenomeni di corruzione e illegalità all’interno della

sfera militare. Per un’analisi generale nel contesto della società greca cfr. HARVEY1985; nella

società spartana: NOETLICHS1987; in particolare per Atene, STRAUSS1985; TAYLOR2001;

SAXONHOUSE2012.

3La fonte principale per l’elezione delle magistrature militari è Aristot. Ath. Pol. 61, con

il commento di RHODES1981, 676-688. La procedura di elezione, non priva di qualche

complessità, è ben descritta da HANSEN2003, 343-346.

4 I riferimenti sono a Aristoph. Lys. 577-578 e a Dem. XIII 20 (ῥήτωρ ἡγεμὼν καὶ

στρατηγὸς ὑπὸ τούτῳ καὶ οἱ βοησόμενοι μεθ᾽ἑκατέρων· οἱ δ᾽ἄλλοι προσνενέμησθε οἱ μὲν ὡς τούτους, οἱ δ᾽ὡς ἐκείνους). Sulla corruzione elettorale e la mancanza di evidenza per il

fenomeno, cfr. TAYLOR2001, 157-158, con la n. 13.

Ricchezza, corruzione, incompetenza

criteri di arruolamento non seguivano norme ben codificate e coloro cui spettavano le decisioni avevano sicuramente dei margini di manovra. Questa discrezionalità venne senz’altro ridotta, anche se non eliminata, da una riforma degli anni Cinquanta del IV secolo, che impose un reclutamento per classi di età5.

Una regola ovvia voleva che i cittadini venissero reclutati a turno, alternandosi in questo gravoso compito: ne fa riferimento l’orazione Per il soldato di Lisia, nella quale un tal Polieno, che aveva dato in escandescenze per essere stato di nuovo richiamato dopo meno di due mesi dal ritorno ad Atene da una precedente spedizione, afferma che i funzionari militari “avevano violato i giuramenti che imponevano loro di arruolare coloro che non avevano ancora prestato servizio”6.

Non pare che il cliente di Lisia citi una disposizione di legge: egli allude a un imperativo morale, rafforzato da un giuramento (probabilmente quello che veniva pronunciato all’entrata in carica), senz’altro di grande valore nell’Atene del tempo, perché coloro che lo pronunciavano si impegnavano direttamente con gli dèi, ma comunque non equiparabile a una legge, contravvenendo alla quale si era passibili di denuncia di fronte ai tribunali. Sempre nella stessa orazione, l’accusato (§4) sembra presupporre la possibilità di una qualche dialettica tra gli strateghi e i richiamati. Egli infatti si reca dallo stratego, gli fa presenti le sue ragioni e chiede il motivo del suo ulteriore richiamo: peraltro, non ottiene alcuna risposta soddisfacente. Ovviamente, la nostra fonte è un’orazione, per di più poco chiara in molti punti non secondari e forse mutila: ma se la uniamo allo sfogo del coro della Pace di Aristofane, dove si allude ai tassiarchi che “quando tornano a casa, si comportano in modo intollerabile; alcuni di noi li registrano nelle liste di leva, altri li cancellano, indiscriminatamente, due o tre volte”7, otteniamo un quadro

sufficientemente chiaro.

Anche se le testimonianze a nostra disposizione non sono abbondanti, appare evidente che la compilazione dell’elenco dei richiamati era terreno fertile per favoritismi dovuti a legami di amicizia, parentela, “clientela”, a raccomandazioni, quando non all’aperta corruzione, grazie alla quale i magistrati militari ottenevano illeciti guadagni: i controlli erano molto difficili, stante anche la sostanziale discrezionalità che permetteva ai comandanti militari di scegliere ogni volta tra un ampio spettro di candidati.

5CHRIST2001 è fondamentale sull’argomento; cfr. anche HAMEL1998, 24-28.

6Lys. IX 15: ὀμόσαντες μὲν οὖν τοὺς ἀστρατεύτους καταλέξειν παρέβησαν τοὺς ὄρκους.

7Aristoph. Pax 1179-1181: ἡνίκ᾽ἂν δ᾽οἴκοι γένωνται, δρῶσιν οὐκ ἀνασχετὰ, τοὺς μὲν

ἐγγράφοντες ἡμῶν, τοὺς δ᾽ἄνω τε καὶ κάτω ἐξαλείφοντες δὶς ἢ τρίς. Un chiaro riferimento a manovre poco pulite per essere tolto dalla lista dei richiamati col rango oplitico anche in Aristoph. Eq. 1369-71.

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Mercenari

Come è ben noto, l’impiego di mercenari nell’esercito ateniese aumentò in notevole misura nel corso del IV secolo, anche se forse non comportò la straordinaria spesa di 1500 talenti, così come afferma con la consueta disinvoltura Demostene intorno alla metà del secolo8. Ingaggiare un contingente mercenario

aveva un costo notevole, che ricadeva sulle casse statali; non indifferente doveva anche essere il lavoro burocratico a monte: basti pensare alla necessità di tenere gli elenchi degli arruolati, da aggiornare tenendo conto, si può dire quotidianamente, dei decessi, delle diserzioni e di quant’altro potesse accadere nel corso di una spedizione. Di tutto ciò, abbiamo purtroppo solo labilissime tracce, e nessuna di provenienza ateniese9.

Nel corpus delle orazioni di Eschine abbiamo però due brevi accenni relativi, questi sì, alla realtà ateniese che meritano un approfondimento. Il primo riguarda Timarco, il discusso personaggio al centro delle accuse della prima orazione: nel corso del 348 a.C., egli “venne inviato come ispettore dei mercenari di stanza a Eretria e, unico tra gli ispettori, ha ammesso di aver ricevuto denaro e non si è giustificato ma, riconoscendo subito la sua colpa, ha supplicato che l’ammenda non fosse troppo alta”10. Dal passo si deducono poche cose, ma sufficientemente

certe: quella dell’ispettore (exetastès) era una carica elettiva e collegiale (forse 10 cittadini, uno per tribù) e, in caso di malversazioni accertate, la legge ateniese prevedeva una semplice multa, per quanto elevata. Eschine accenna a un talento, anche se Timarco (ibid.) se la cavò con la metà: non c’è da stupirsi che in taluni casi la sanzione portasse all’esilio, non essendo l’accusato in grado di pagarla.

Il secondo caso che ha a che fare con l’impiego di mercenari vede come protagonista Demostene il quale, nella celebre Contro Ctesifonte (III) del 330 a.C., viene accusato da Eschine pressoché di ogni nefandezza. Tra le tante, Demostene, nei concitati mesi prima di Cheronea, avrebbe “preso il soldo dei posti vuoti nell’esercito mercenario”11. L’accusa descrive un meccanismo preciso:

i mercenari deceduti o fuggiti via via non venivano cancellati nelle liste, rendendo

8Dem. XIII 27. Sui mercenari ad Atene nel IV secolo a.C., mi permetto di rimandare a

BETTALLI2013, 71-146.

9Una, molto interessante ma completamente fuori tempo e luogo è Arr. Anab. III 5.3 su

un contingente mercenario di Alessandro proveniente dall’Egitto (cfr. BETTALLI2013, 391 n.

25).

10Aeschn. I 113: πεμφθεὶς γὰρ ὑφ᾽ὑμῶν ἐξεταστὴς τῶν ἐν Ἐρετρίᾳ ξένων, μόνος τῶν

ἐξεταστῶν ὡμολόγει λαβεῖν ἀργύριον, καὶ οὐ περὶ τοῦ πράγματος ἀπελογεῖτο, ἀλλ᾽εὐθὺς περὶ τοῦ τιμήματος ἱκέτευεν ὁμολογῶν ἀδικεῖν.

11Aeschn. III 146: μισθοφορῶν δ᾽ἐν τῷ ξενικῷ κεναῖς χώραις… Non ci interessa se

Demostene abbia davvero compiuto tutto ciò; agli Ateniesi, anni dopo, dovevano comunque essere descritti reati ben conosciuti e diffusi per risultare almeno in qualche misura credibili:

Ricchezza, corruzione, incompetenza

così possibile impadronirsi del loro stipendio; un giochetto molto conveniente, se si pensa che con il soldo di appena una trentina di mercenari era possibile accumulare in sei mesi poco meno di un talento, una somma che di per sé era sufficiente a rendere un uomo ricco.

La cassa statale

Nello stesso passo che abbiamo appena rammentato, Eschine accusa Demostene, altresì, di aver sottratto denaro dalla cassa militare che in ogni spedizione (in questo caso, quella che termina a Cheronea) doveva essere gestita dagli strateghi per pagare le truppe e provvedere a qualsiasi esigenza militare12.

Ancora una volta, non è importante se Demostene – il quale, sia detto tra parentesi, non ricopriva, come non ricoprì mai, la carica di stratego e quindi, almeno in teoria, non avrebbe dovuto avere accesso alla cassa – si sia reso colpevole di questa malversazione. Il punto è che, leggendo i riferimenti all’amministrazione finanziaria degli eserciti ateniesi, si ha la netta impressione che, nonostante i controlli che indubbiamente esistevano (ricordiamo che gli strateghi venivano monitorati non solo alla fine del loro mandato, ma ad ogni pritania potevano subire il richiamo in patria per essere sottoposti a indagine), la cassa appare il più delle volte come qualcosa di privo di uno statuto definito: spesso, infatti, non appaiono chiari i confini tra denaro pubblico e denaro privato. Gli Ateniesi sono pronti nel rammentare, ad ogni occasione, i casi in cui, per esempio servendo in qualità di trierarchi, non esitano a rimpolpare le casse statali, sempre insufficienti, spesso in maniera drammatica. Gli strateghi rivestivano un ruolo particolarmente importante e il procurare e gestire denaro divenne un aspetto fondamentale del loro mestiere nel corso del IV secolo: noi ne abbiamo notizia soprattutto per quanto concerne i più famosi, i cosiddetti “condottieri”13.

Tutto ciò risalta in modo significativo in un personaggio come Timoteo, di cui Isocrate ci ha lasciato una vera e propria apologia, ricordandolo protagonista di tante imprese compiute senza il contributo delle casse statali14. C’è qualcosa

che non torna, però. Dal ritratto di Isocrate e, soprattutto, dall’immagine negativa

questa banale considerazione aumenta, a ben vedere, la plausibilità dell’accusa, anche se – ripetiamo – non specificamente nei confronti di Demostene.

12ibid.: καὶ τὰ στρατιωτικὰ χρήματα κλέπτων. Eschine aggiunge anche, subito dopo, che

Demostene avrebbe provveduto ad “subaffittare” agli abitanti di Anfissa i 10.000 mercenari che costituivano il contingente ateniese, un’accusa difficile da provare, dalla quale l’oratore avrà anche potuto ricavare guadagni personali, ma che rientra comunque in decisioni di “alta” politica che in questa sede non ci interessano.

13In generale sui “condottieri” PRITCHETT1974a; BIANCO1997; 2000; 2002; 2007;

BETTALLI2013, 89-103.

14 Il ritratto di Timoteo da parte di Isocrate: Isocr. Antid. [XV] 101-139; a 118

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che emerge dall’orazione XLIX del Corpus demostenico, Timoteo appare inseguire sogni di gloria e politiche ambiziosissime investendo denaro che – per un motivo o per l’altro – non possiede, nonostante la non modesta eredità lasciatagli dal padre. Ma tutto nell’interesse di Atene, comunque. Gli Ateniesi non erano molto d’accordo: se anche Timoteo riuscì a sfuggire alla giustizia nei primi tre processi che gli furono intentati, per essere colpito, ormai anziano, solamente nel quarto, è anche vero che, nel 373, nel primo di questi procedimenti giudiziari, a essere condannato a morte fu proprio il suo tesoriere e “tuttofare”, Antimaco, a dimostrazione che non tutto era così limpido nella gestione finanziaria delle sue attività15.

Altre occasioni

I comandanti militari potevano incontrare, nel corso dell’espletamento delle proprie funzioni, altri modi per “monetizzare” il proprio servizio senza configurare necessaria mente casi di vera e propria corruzione. Prendiamo per esempio il racconto, dove si narra come Timoteo contrasse un debito con Pasione per avere a disposizione 1000 dracme per “ungere” i beotarchi al comando della alleata flotta tebana, in modo che questi ultimi non si ritirassero, almeno per qualche tempo, dalla zona di operazioni16. Qui gli Ateniesi rivestono il ruolo di

corruttori, non di corrotti: ma l’episodio (nella quale è in gioco una somma tutto

l’affermazione dei suoi successi senza il contributo della città: πλείστους γὰρ πολέμους ἅνευ

τῆς πόλεως ἀνελόμενος ἅπαντας τούτους κατώρθωσε. Sul figlio di Conone, cfr. BIANCO2007

(61-89 per il ritratto dell’Antidosi); in breve, BETTALLI2013, 94-98.

15I processi subiti da Timoteo vanno collocati probabilmente nel 373 (HANSEN1975,

nrr.80-81; HAMEL 1998, nr.42), 367 (azione privata di Apollodoro contro Timoteo per

recuperare crediti del padre: per la datazione al 367 cfr. HARRIS1988, 44-52; TREVETT1991

difende invece la data tradizionalmente accolta del 362; contra BIANCO2007, 98-101, che

propone invece il 359), 360 (HANSEN1975, nr.93; HAMEL1998, nr.53) e 356 a.C. (HANSEN

1975 nr.101, HAMEL1998, nrr.56-58), ma non mancano le discussioni in merito; l’azione

privata di Apollodoro contro Timoteo, al secondo posto del nostro elenco, non ci riguarda direttamente, perché non ha a che fare con le strategie di Timoteo; peraltro è anche il procedimento sul quale siamo meglio informati, grazie alla appassionante testimonianza di [Dem.] XLIX: nel tentativo di recuperare i crediti maturati dal padre Pasione nei confronti di Timoteo, Apollodoro (probabile autore dell’orazione) svela molti particolari sorprendenti: uno dei punti più inspiegabili è la modestia di tali crediti, e quindi dei debiti contratti da Timoteo, la cui liquidità appare incredibilmente bassa rispetto alle sue ambizioni e anche alle somme da lui maneggiate: si ricordi, a tacere dell’eredità di 17 talenti ricevuta dal padre, dei 1200 talenti che avrebbe inviato ad Atene dopo la conquista di Sesto (Cornelio Nepote XIII 1, 2), sempre che la notizia sia attendibile. La condanna a morte di Antimaco fu decretata in relazione al primo processo del 373.

16 [Dem.] XLIX 14: … δανείζεται χιλίας δραχμὰς … ἳνα διαδοίη τοῖς Βοιωτίοις

Ricchezza, corruzione, incompetenza

sommato piuttosto bassa) mostra senza dubbio una prassi consolidata e non a caso viene raccontato con la massima tranquillità.

2. L’indulgenza del demos

Gli Ateniesi sembrano essere comprensivi nei confronti di quanti ricavavano vantaggi personali dall’esercizio di funzioni politiche e militari nell’ambito dell’attività dello stato, e quindi anche degli strateghi. Una importante testimonianza di Iperide è esplicita in proposito: “Come ho già detto in assemblea, o giudici, molti sono i benefici di cui voi accettate che strateghi e rhetores17

godano, non accordati loro dalle leggi, ma dalla vostra benevolenza e generosità. A una sola cosa prestate attenzione: che ciò che viene ricevuto lo sia nel vostro interesse e non a vostro danno”18.

Con atteggiamento pragmatico, Iperide assume come principio dirimente l’interesse del popolo. Non esiste alcun dettame morale da difendere, nessun principio da rispettare, nessun giudizio da emettere. Esistono solamente azioni buone o cattive per il popolo: e quella deve essere l’unica bussola da utilizzare, l’unico metro di giudizio da adottare. Qualsiasi arricchimento procurato senza danno per il demos, quindi, viene tollerato senza neppure un’ombra di riprovazione; con una certa larghezza, Iperide pone tra i guadagni leciti persino i finanziamenti agli oratori da parte delle potenze straniere come i Persiani o i Macedoni19.

A fronte di questa condotta flessibile, l’intransigenza di un Demostene che invita a equiparare chiunque prenda una mazzetta a un traditore della patria, con la sua messianica fede nel mikròn pinàkion (la tavoletta sulla quale venivano

τριεράρχοις, καὶ παραμένωσιν ἓως ἂν αὐτῷ ἡ κρίσις γένηται … Non ci occuperemo in questa sede dei cespiti, non sempre limpidi, ricavati dalla spartizione del bottino di guerra, per il quale, ovviamente, i comandanti avevano voce in capitolo. Sui bottini di guerra, cfr. il

monumentale lavoro di PRITCHETT1991.

17 L’espressione rhetores kai strategoi (qui a termini invertiti) suole indicare, nel

complesso, i “politici”, di fatto la classe dirigente ateniese. Cfr. almeno HANSEN1983, con

un elenco dei numerosi passi nei quali ricorre l’espressione a 37-38; 1987; HAMEL1995.

18Hyp. I 25 (fr. 6): ὅπερ γὰρ καὶ ἐν τῷ δήμῳ εἶπον, πολλὰ ὑμεῖς ὦ ἄνδρες δικασταὶ δίδοτε

ἑκόντες τοῖς στρατηγοῖς καὶ τοῖς ῥήτορσιν ὠφελεῖσθαι, οὐ τῶν νόμων αὐτοῖς δεδωκότων τοῦτο ποιεῖν, ἀλλὰ τῆς ὑμετέρας πραότητος καὶ φιλανθρωπίας, ἓν μόνον παραφυλάττοντες, ὅπως δι᾽ ὑμᾶς καὶ μὴ καθ᾽ ὑμῶν ἔσται τὸ λαμβανόμενον. Cfr. Isocr. VIII 50, lo stesso tema svolto in tono critico e ironico.

19Un circostanziatissimo e istruttivo elenco dei modi attraverso i quali Demostene –

sempre lui! – avrebbe ricavato favolose somme dalla sua attività di rhetor in Dinarc. I 41-45.

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redatte le accuse), appare molto “ideologica” e strumentale: possiamo essere certi che non fosse questo l’atteggiamento adottato dallo stesso demos20.

Quanto detto sull’indulgenza del demos spiega come tutti i rhetores e

strategoi fossero, in buona sostanza, persone ricche. Molti lo erano di nascita: la

ricchezza era importante per ottenere notorietà e consenso; gli Ateniesi, inoltre, avevano spesso la fallace impressione che i ricchi avessero meno bisogno di arricchirsi e che quindi non si sarebbero fatti corrompere21. In realtà ciò non

avveniva e il binomio politica/guerra era un formidabile volano per diventare sempre più ricchi. Capitava che qualcuno si arricchisse facendosi strada dal basso (per esempio Ificrate e Demade): in quei casi, l’arricchimento si palesava in modo ancor più clamoroso, ma la sostanza delle cose non cambiava. In ogni caso, l’equivalenza attività pubblica/ric chezza era un dato di fatto troppo diffuso perché potesse essersi affermato senza il consenso del popolo. Ciò conferma la disincantata affermazione di Iperide.

3. L’ossessione del controllo

Il quadro cambia se dalla corruzione “spicciola” passiamo a un piano più elevato, quale quello che comporta un giudizio sull’efficacia dell’azione degli strateghi sul campo. Qui ci scontriamo con un problema che potremmo definire strutturale. La guerra – e non certo solo nel mondo greco antico – è per definizione un territorio nel quale non regna la verità e la chiarezza. Ciò che vi accade è spesso di difficilissima interpretazione: e ciò è vero per le “grandi” decisioni assunte dagli strateghi, in grado di decidere delle sorti di una battaglia o di una spedizione, come per il comportamento dei singoli soldati, che la legge ateniese prevedeva potessero essere accusati di svariati reati, non sempre facili a distinguersi l’uno dall’altro, ma che avevano in comune la difficoltà di essere portati alla luce e quindi perseguiti22.

20Dem. XIX 268: ἐπειδὴ τοίνυν τὸ δωροδοκεῖν πρότερον τοῦ τὰ τοιαῦτα ποιεῖν ἐστιν

καὶ δι᾽ἐκεῖνο καὶ τάδε πράττουσί τινες, ὃν ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι δωροδοκοῦντ᾽ ἴδητε, τοῦτον καὶ προδότην εἶναι νομίζετε (“Poiché il prendere mazzette è il primo passo di tale condotta e il motivo stesso per cui alcuni si comportano in questo modo, o Ateniesi, se vi accorgete che uno si lascia corrompere, ebbene consideratelo anche un traditore”. Gli stessi concetti in Dem. XIX 268); Dem. VIII 28-29: … μικρὸν ὦ ἄνδρες Ἀθηναῖοι μικρὸν πινάκιον ταῦτα πάντα κωλῦσαι δυναιτ᾽ἄν […] ἐπὶ δ᾽ἡμᾶς αὐτοὺς ψήφισμα, εἰσαγγελία, Πάραλος, ταῦτ᾽ἐστιν. (“Una tavoletta, Ateniesi, una piccola tavoletta è sufficiente per impedire tutto questo […]; contro noi stessi, un decreto, una denuncia, la nave Paralos, queste sono le armi”).

21Sui ricchi ad Atene, sempre imprescindibile DAVIES1981.

22Per una introduzione alle γραφαὶ di ἀστρατεία, λιποταξία, δειλία, ἀποβεβληκέναι τὴν

ἀσπὶδα e altre ancora, cfr. HAMEL1998, 63-64; BETTALLI2002.

Ricchezza, corruzione, incompetenza

Costituisce un leit-motiv il palese contrasto tra questo assunto e l’esigenza – sempre tenuta presente nei meccanismi della democrazia ateniese – di avere dei rendiconti chiari e inoppugnabili dell’operato dei suoi funzionari: questa difficoltà di comunicazione è centrale per comprendere l’atteggiamento degli Ateniesi nei confronti delle guerre che andavano conducendo.

Il demos ambisce a dirigere ogni operazione bellica: in linea di principio, nessuno può contestargliene il diritto. Ma esiste, perché tale compito venga svolto in modo efficace, un enorme problema di informazione. Sull’argomento, dalle fonti ci giungono echi di atteggiamenti contrastanti. Il primo, probabilmente molto più vicino alla realtà, è veicolato da Tucidide attraverso le parole di Nicia, pronunciate in un momento drammatico dell’infausta spedizione siciliana23. Nicia

esprime il disincanto, che doveva essere proprio di tutta la classe dirigente ateniese, a proposito dell’affidabilità dei cittadini ateniesi i quali, da soldati sul campo, si trasformavano, una volta tornati ad Atene, in testimoni/accusatori degli strateghi e, in generale, di quanti rivestivano posizioni di comando nell’esercito. Questa dinamica non era mutata nel corso del IV secolo, anzi si era, semmai, inasprita. Ma Demostene, affrontando il tema, delicato, su come l’assemblea potesse essere davvero sovrana in materia di conflitti armati, se non riusciva neppure a conoscere le notizie principali dai teatri di guerra, trasforma da par suo il quadro di riferimento, affermando che la mancanza di informazioni è dovuta all’impiego dominante, se non esclusivo, di mercenari. Sarebbe dunque sufficiente la presenza di alcuni cittadini (su quattro soldati, tre mercenari e un cittadino) per affermare il principio cardine del pensiero storiografico greco, quello del valore dell’autopsia: i cittadini sono presenti, vedono, sanno perché hanno visto, sono quindi ottimi giudici dell’operato degli strateghi e possono trasmettere questa conoscenza ai cittadini rimasti in città24.

23Thuc. VII 48, 3-4: “(Nicia) […] disse che non avrebbe condotto via le truppe. Sapeva

bene, infatti, che gli Ateniesi non avrebbero accettato che essi si ritirassero senza che la città avesse deciso in questo senso; avrebbero votato su di loro persone che non conoscevano le cose poiché non le avevano viste direttamente – come essi stessi le avevano viste – ma per