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Corruzione e malversazione nell’impero ittita: tra exempla, normativa e casi concret

1La cronologia interna all’impero ittita non è sempre chiara e difficile risulta stabilire la

reale successione dei sovrani che spesso hanno gli stessi nomi e confondono la sequenza. Tradizionalmente si fa riferimento a un’epoca antico-ittita che segna la prima affermazione e l’espansione territoriale del regno con Hattušili Mursili I, fino a Telipinu (XVII-XVI sec.); a una fase medio ittita, piuttosto confusa e oggi storiograficamente da rivedere con una fase di contrazione iniziale e poi una di ripresa e consolidamento che oggi si definisce “Proto- Imperiale” (con la successione probabile dei sovrani Tudhaliya I/II-Arnuwanda I-Tudhaliya II-III, tra fine del XV e metà del XIV sec.). Infine la fase imperiale vera e propria, dal XIV sec. alla fine del XIII (da Šuppiluliuma I a Tudkhaliya IV). Per uno sguardo sulle

problematiche di questa datazione, cfr KLINGER1995 e, in particolare per l’età proto-imperiale

DEMARTINO2010.

2Famoso a questo proposito è un passo dell’editto di Telipinu, par. 6, dove, in riferimento

al precedente regno di Hattušili I, si dice: “Quando (Ḫattušili) tornava dalle spedizioni, ciascun

suo figlio andava in ciascuna delle regioni (conquistate), ed anche per sua mano le grandi

città erano nutrite di latte materno”. Cfr. HOFFMANN1984, 17. La designazione di DUMU

LUGAL, “figlio del re” continua ad essere presente nella gestione politica e amministrativa di tutto il periodo imperiale.

Carolina Ferrandi

designati dal sumerogramma GAL (“grande”, per es. GAL MEŠEDI “capo della guardia reale”). L’attività di tali funzionari, a partire dall’età proto-imperiale, sarà regolamentata da testi di istruzione e sancita da giuramenti al sovrano; spesso il legame con il re era favorito anche da donazioni e concessioni di terre. È proprio nelle pieghe di questa sistema che, come vedremo, la corruzione si realizza e sempre all’interno di questo sistema si mettono in campo strategie per prevenirla o estirparla, una volta accertata.

Va detto, in sede preliminare, che sembra mancare nel contesto ittita una chiara distinzione tra il reato di corruzione in senso stretto, quando cioè un funzionario accetta da terzi doni di varia natura in cambio di prestazioni o privilegi a favore del donatore e il reato di appropriazione indebita, o peculato, in cui il funzionario, sfruttando la sua posizione, si appropria personalmente di denaro o beni, distinzione che troviamo invece già ben formulata, per esempio, nel diritto latino. Di conseguenza, questo lavoro terrà conto di entrambe le situazioni giuridiche.

Le fonti saranno presentate secondo un criterio cronologico e per generi: tipologie testuali diverse attestano infatti il fenomeno della corruzione in epoca diverse e permettono un excursus il più possibile completo. I documenti saranno presentati in traduzione; il testo ittita verrà riportato solo laddove utile a rintracciare una terminologia specifica legata al tema in esame.

1. Epoca antico-ittita

In questa fase embrionale dello stato, in cui le strutture sono ancora in formazione, il tema della corruzione si attesta in composizioni quali aneddoti, exempla e parabole. Non c’è ancora una volontà normativa sistematica, ma prevalgono narrazioni più immediate e icastiche, volte spesso a sottolineare casi di malversazione punita, sempre con uno scopo deterrente.

Il punto di partenza ideale di questa analisi è la cosiddetta “Cronaca di palazzo” (CTH 8-9)3. Questa composizione, impropriamente definita “cronaca”,

è in realtà una raccolta di aneddoti in cui agiscono personaggi della corte e funzionari del re. Essi perdono la fiducia del loro sovrano per i più svariati motivi, tra cui anche la corruzione e l’appropriazione indebita e per questo sono puniti dal “padre del re”. Non importa se i fatti narrati siano veri o fittizi, lo scopo appare chiaramente ammonitorio e parenetico. La fonte del diritto, rappresentata dalla “parola del padre”, sembra essere la tradizione, in mancanza di un sistema di leggi non ancora codificato. Di nostro interesse sono i par. 2 e 3-4.

3Vd. DARDANO1997.

Corruzione e malversazione nell’impero ittita

§2 (KBo 3.34 I 5-10; KUB 36.104 I 3’-8’; KBo 13.44(+) KBo 12.10 I 3’-8; KUB

48.77 Ro?3’-6’)4“Pappa era urianni-. A [Taru]kka/distribuì, appropriandosi di una parte

per sé, il “pane delle truppe”, la birra marnuan- e il pane šarr[uwa-]. /Però l’urianni-

Pappa (fu scoperto) e lo r[ipulirono]5: [in una coppa di bir]ra marnuan- versarono del

/sale e [dovette ber]lo, poi però ruppero[ la coppa] sulla sua testa. /In seguito a Ḫa[ttuša] sottrasse [la bevanda walḫi- alle truppe], / allora presero il vaso šaqqa e [lo ruppero sulla sua testa]”.

In questo caso il funzionario Pappa che era un urianni-, cioè un ufficiale di alto rango, preposto anche all’approvvigionamento alimentare e alla distribuzione delle razioni, si macchia per ben due volte della colpa di appropriazione indebita. La sua punizione è curiosa: è costretto a bere birra corretta con il sale da una coppa che viene poi rotta sul suo capo.

§3-4 (KBo 3.34 I 11-23; KUB 36.104 I 9’-19’(++); KBo 13.44(+) KBo 12.10 I 11-

22(++); KUB 48.77)6“(Nunnu, il rappresentante regio di Ḫurma, si trovava nella regione

di Ḫarzawa, e non consegnava l’argento e [l’o]ro: ciò che raccoglieva, invece (lo) portava a [ca]sa sua; / il rappresentante di Ḫuntara lo denunciò. Allora il padre del re inviò (i suoi uomini), lo rimossero, ma al suo posto mandò Šarmaššu, quello tuttavia indugiava. /Allora il padre del re inviò “l’uomo della lancia d’oro”. / Condussero Šarmaššu e Nunnu al monte Taḫaya e li aggiogarono come buoi, inoltre presero un parente di Nunnu e venne massacrato sotto gli occhi di Nunnu e Šarmaššu.” / L’indomani il padre del re gridò: “Chi ha condotto via costoro”? / Perché le loro vesti e le loro cinture (?) non sono insan[gui]nate)”?. / Le guardie (risposero): “I loro mantelli sono chiusi!”; p[oi] aprirono gli abiti (di Nunnu e di Šarmaššu,) / e solo allora il re vide il sangue. Allora Šarmaššu (disse): “Maestà, / non sono ancora andato, non ho ancora visto”. Così (disse) il re: “Va’! Ma possa tu avere questo impresso nel cuore!”

Anche in questo caso, il funzionario Nunnu si appropria indebitamente dell’oro e dell’argento che erano destinati al sovrano. Si sospetta una sua connivenza con Šarmaššu che, incaricato di sostituirlo, indugia nel prendere l’incarico. Entrambi sono dunque puniti sul monte Taḫaya, dove vengono aggiogati come buoi; a ulteriore scopo deterrente, viene ucciso davanti a loro un parente di Nunnu, il cui sangue macchia le vesti dei due colpevoli. Alla fine, di fronte al tentativo di giustificazione di Nunnu, “il padre del re”, con una chiusa paternalistica, lo esorta a conservare nel cuore l’esempio ricevuto.

4Per la traduzione e il commento, cfr. DARDANO1997, 30-31 e 76-79.

5DARDANO1997, 30 traduce letteralmente lo [sciacquarono] verso l’alto. Si sceglie qui

una resa meno letterale, ma forse più chiara. L’idea è quella che Pappa venga qui mondato dalla sua colpa, tramite una bevanda disgustosa che lo pulisca completamente.

6Per la traduzione e il commento, cfr. DARDANO1997, 32-35 e 79-88.

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Un altro testo di riferimento per questo filone sapienziale è il cosiddetto “Canto della liberazione”, composizione mitologica che racconta la distruzione di Ebla ad opera di Teššub, dopo che la città si era rifiutata di liberare gli schiavi, come invece richiesto dal dio. Il testo, originariamente risalente al periodo della caduta di Ebla, ci è noto per una versione bilingue ḫurrico-ittita composta tra la fine del XV sec. e l’inizio del XIV sec. Sulla seconda tavola della composizione, tematicamente separate dal tema mitologico vero e proprio, sono riportate sette narrazioni (KBo 32.12 e KBo 32.14) inquadrabili nel genere favolistico e sapienziale. I protagonisti sono animali o oggetti parlanti che si macchiano di colpe quali l’eccessiva avidità e l’ingratitudine verso i loro benefattori e che sono perciò puniti. Ogni testo si conclude con una breve morale o spiegazione del testo. Visto il carattere di queste parabole, sempre ascrivibili al genere dell’exemplum, e dato che si rimanda sicuramente a un testo di più antica stesura, si sceglie di riportare questa fonte nella sezione antico-ittita, anche se la versione bilingue che le riporta è di epoca successiva. Va sottolineato, inoltre, che la parte in ḫurrico non rimanda alla realtà ittita, ma a quella siriana dove presumibilmente fu composto il testo originario. Deve essere stato il forte interesse dei committenti ittiti per il contenuto etico e sapienziale del testo a favorire il suo passaggio in ambito anatolico (tutte le tavolette provengono dalla capitale ittita Ḫattuša/Boǧazköy) e la sua traduzione dal ḫurrico. Tra tutti gli apologhi, due sono quelli più pertinenti al nostro tema:

Apologo 2 (KBo 32.14 II 26-30): Un cervo pascolava i pascoli che (erano) da questa parte del fiume, ma gettò gli occhi anche su quei pascoli che (erano) da quell’altra parte (del fiume). Sui pascoli dell’(altra) sponda non giunse, ma neppure trovò (più) questi.

Ma non è un cervo, è una creatura umana. Quell’uomo che il suo signore rese comandante dei confini in quel distretto; ma lui costantemente guarda altrove. Gli dei scelsero una saggia linea d’azione con lui. Infatti non si è curato del primo distretto, ma non ha ottenuto neppure il secondo.

Apologo 4 (KBo 32.14 III 9-12)7: Lasciate quel racconto, ve ne esporrò un altro.

Ascoltate (le mie) istruzioni; vi racconterò un esempio istruttivo. Un cane, davanti a un forno, corse via portandosi una focaccia kugulla: fuori dal forno la tirò e la intinse nell’olio. Nell’olio la intinse e, sedendosi, cominciò a mangiarla.

Questo non è un cane, ma una creatura umana: colui che il suo signore mette a capo di un’unità amministrativa. Raccolse un tributo accresciuto alle spalle della città. Divenne molto insoddisfatto; non bada più agli affari della città. (I cittadini) riuscirono a dare informazione di lui davanti al suo signore. Cominciò a “versare” davanti al signore i beni del tributo che stava continuamente ingerendo.

7Il quarto apologo è di fatto equivalente al quinto, che ha però come protagonista un

gilušiš, animale non meglio noto (KBo 32.14 III 28-29). Per la traduzione degli apologhi vedi

FRANCIA2012, 86 e 93.

Corruzione e malversazione nell’impero ittita

Nel primo caso, il cervo che cerca nuovi pascoli diventa l’emblema del funzionario avido che non si accontenta del territorio che gli è stato assegnato da amministrare, ma cerca di averne un secondo, perdendo inevitabilmente entrambi; nel secondo caso, il cane che ruba la focaccia è paragonabile a un funzionario che si arricchisce a danno della sua città e trascura i suoi compiti, ma viene poi denunciato e deve restituire tutti i beni sottratti. Il genere è quello dell’exemplum e il tono è didascalico e parenetico. Anche in questo caso si tratta di un testo con funzione preventiva, che mette in guardia i membri della corte sulle conseguenze che l’eccesso di avidità e la malversazione possono comportare.

L’ultima fonte significativa per l’epoca antico-ittita è il frammento CTH 2728,

che riporta un biasimo del sovrano verso alcuni dignitari e che mostra un carattere ibrido. Da un lato contiene un exemplum che sembra rifarsi alla tradizione precedente, ovvero la vicenda del LÚKUŠ

7 (auriga) Taš, che si appropria in

maniera iniqua di alcune provviste ed è pertanto denunciato dal re in assemblea. Si fa inoltre riferimento al valore della parola del padre del re come principio normativo, esattamente come nella Cronaca di Palazzo. Segue poi una parte molto interessante per la nostra analisi che sembra precorrere i testi di istruzione che si affermeranno in epoca proto-imperiale e che saranno presi in esame nella sezione successiva:

§ 7 (KBo 22.21 31’-33’) Siete abituati a fare (il volere) dell’uomo ricco, /tu vai nella sua casa, mangi, bevi, lui ti ricompensa (pí-ia-na-az-zi-at-ta), /ma tu ti approfitti del povero; /tu non investighi il suo caso; e così / avete realizzato la parola di mio padre? (…)

I dignitari sono accusati di lasciarsi corrompere dagli uomini più ricchi e di mostrare parzialità nella valutazione dei processi dei più poveri. In questo caso il testo non ha valore preventivo, ma piuttosto di denuncia di una situazione che ormai è degenerata e va ripristinata così com’era in origine. Da considerare il verbo pianazziata, forma medio-passiva del verbo denominativo peyanaezi “ricompensare” che Kloekhorst (2008, 663) mette in relazione al sostantivo *peyan, “dono”, ricompensa, connesso al tema verbale pai-/pi-, “dare” (riguardo a questo termine vd. anche CHD, P, 249-251). Il senso è dunque quello di “fare doni” con lo scopo di accattivarsi i favori dei funzionari preposti alla giustizia, per comprarne l’operato e il sostegno.9

8MILLER2013, 73-77; GILAN2015, 107-110.

9Non siamo poi lontani da quelli che saranno gli ἄνδρες δωροφάγοι dei vv. 220-221

delle “Opere e i giorni” di Esiodo, che emettono sentenze con ambigui verdetti.

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2. Epoca proto-imperiale

L’epoca compresa tra i regni di Tudḫaliya I/II e Tudḫaliya III (fine XV sec- metà XIV sec.) costituisce una fase di espansione territoriale e di consolidamento dello stato che prelude all’epoca finale e più compiuta dell’impero. In questa fase di organizzazione, diventa importante regolare anche la struttura burocratica e l’attività ormai considerevole svolta da un numero sempre maggiore di funzionari. Si sviluppano quindi dei testi noti in ittita come isḫiul “legame, impegno” e lingai “giuramento”. Si tratta di documenti che il sovrano indirizzava a determinate categorie di funzionari per fornire indicazioni sulla condotta da mantenere nell’adempimento delle loro mansioni (i cosiddetti testi d’istruzione) e richiedere giuramenti per vincolarli al potere centrale10. Alcuni di questi testi sono preziosi

per il nostro studio perché nella parte più prescrittiva, contengono anche alcune norme e divieti relativi alla corruzione e all’appropriazione indebita e, talvolta, indicano le possibili pene per i trasgressori. Da un punto di vista normativo e giuridico sono proprio questi i testi di riferimento circa i reati di nostro interesse. Le più note leggi ittite, invece, circa duecento norme pervenute da tavolette che per datazione oscillano tra l’epoca antico-ittita e il XIII sec. non presentano alcuna menzione a casi di corruzione, forse per la natura più privata del diritto che canonizzano11.

CTH 258.112 è un decreto di Tudḫaliya I/II per una riforma penale e

amministrativa, volta a restaurare l’ordine e la legge dopo un periodo di lontananza del re per la guerra. Si osservino i parr. 11 e 12.

§11 (KUB 13.9+KUB 40.62, III 12’-18’; KBo 27.16, III 3’-9’) “E chi passa sotto silenzio queste azioni del re, sia quello stesso, sia un suo amico, /e tu nascondi (costui) e questo ti dà una ricompensa (ma-aš-ka-an) per questo motivo, (costui),/ sia anche un socio di un amministratore,/ non è rilasciato.(Qualora), in seguito all’accaduto, queste vicende non giungano completamente a compimento, e alla fine/ il fatto viene scoperto, si terranno sotto controllo costoro.

§12 (KUB 13.9+KUB 40.62 III 19’-20’; KBo 27.16 III 10’-12’) Ma se, in seguito,

qualcuno riprende il processo già concluso,/ si farà chiarezza su questa vicenda13.

10Jared Miller ha raccolto nel 2013 tutti i testi che possono rientrare in questa categoria;

egli nota che, anche se gli ittiti tendono a distinguere tra isḫiul e lingai, non esistono documenti che in assoluto possano ascriversi soltanto alla categoria dei testi di istruzione o piuttosto a quella dei giuramenti. Si tratta in genere di materiali che presentano una parte prescrittiva con gli obblighi richiesti ai funzionari e, insieme, una parte che contiene l’imposizione di un giuramento, determinando così di fatto un unico genere testuale.

11Per le leggi ittite, cfr. IMPARATI1964 e HOFFNER1997.

12MILLER2013, 134-9.

13Per la traduzione DARDANO2009, 5.

Corruzione e malversazione nell’impero ittita

In questo caso, non del tutto comprensibile, si ipotizza un reato di corruzione volto ad assicurarsi il silenzio di un eventuale funzionario in un illecito. La prescrizione è quella di non fare decadere l’accusa, ma di impegnarsi a approfondire con maggior chiarezza la vicenda. Compare qui, per la prima volta, un termine chiave della nostra ricerca: maškan-, che troviamo attestato solo a partire da testi medio-ittiti e che in questo e altri contesti affini ha il senso di “ricompensa”, o meglio ancora “tangente”. Di solito si trova in espressioni quali

maškan pai- “dare una ricompensa”, come in questo caso o z(a) maškan dā

“prendere una ricompensa”. Dardano (2009) ha effettuato un’analisi del termine e dei diversi contesti e significati14in cui è attestato, proponendone un’etimologia

interessante. Il termine deriverebbe da *mésg-ṇ, derivato dalla radice indoeuropea *mesg- “sommergere” e indicherebbe quindi “qualcosa di sommerso, di nascosto”15. Come affermato in Dardano (2009), 11: “La componente più

significativa del vocabolo maškan-, è rappresentata da un sotterfugio non esplicitato, ma sottointeso (…) si tratta di un’elargizione finalizzata a ottenere in cambio un favore”. L’etimo sembra confermato dal fatto che, in tutti i testi di istruzione in cui lo vedremo, maškan- si trova associato a un’esortazione alla chiarezza, all’esplicitazione della parola, al “portare alla luce” e a una condanna di ciò che viene fatto passare sotto silenzio e viene lasciato nello spazio oscuro del sotterfugio.

CTH 25916è un testo che viene datato all’epoca di Tudḫaliya I17. Si tratta di

una serie di istruzioni e dell’imposizione di un giuramento per signori e governatori delle zone di frontiera, essenzialmente in materia militare. Il paragrafo di nostro interesse, il 14, è invece parte di una trattazione più breve dedicata alla gestione della sfera giuridica.

14maškan- non si trova infatti solo in testi d’istruzione e non ha solo un significato

inerente alla sfera dell’illecito e della corruzione. Come rilevato da DARDANO2009, 6-8, esso

ha talvolta il significato generico di “dono, offerta” e si trova comunemente attestato in testi religiosi, soprattutto oracoli e preghiere, in cui, associato ai termini šarnikzel- e zankilatar- “ammenda, risarcimento” vale come “ricompensa propiziatoria”, da garantire agli dei per ottenere il loro favore o il loro perdono in seguito a casi di negligenza o trascuratezza del culto (vd., a scopo esemplificativo, i casi di KBo 14.14 Vo 7-8; KUB 22.57 Ro 4-7;KUB 18.62 6’-8’). È dunque a partire da un significato generico o religioso che maškan- ha iniziato a assumere un connotato giuridico e a prendere il senso di “ricompensa” illecita e dunque di tangente, secondo un processo di risemantizzazione che riguarda molti termini del lessico giuridico anche in greco e in latino.

15Per quanto riguarda l’etimologia indoeuropea del termine, vd. anche PUHVEL2004,

HED, vol. 6, 98-100, dove però non si menziona l’ipotesi di Dardano 2009.

16MILLER2013, 145-154.

17Per lungo tempo si è pensato di datare il testo all’epoca di Tudkhaliya III o addirittura

IV. Il ductus di uno dei testimoni sembra invece deporre proprio per una cronologia più alta.

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§ 14 (KUB 13.20 I 32-37) “I casi di legge provinciale che giudichi, devi giudicarli bene! Nessuno deve farlo per la fornitura di pane e birra per la sua casa, per suo fratello, sua moglie, un suo parente, il suo clan, per il suocero o un amico. Non devi rendere un caso superiore inferiore e un caso inferiore superiore (nu ša-ra-a-az-zi DI-šar le-e kat-

te-er-ra-aḫ-te-e-ni kat-te-er-ra-ma ḫa-an-ne-eš-šar le-e ša-ra-a-az-zi-ia-aḫ-te-ni); un

caso che non riesci ad affrontare da solo, devi portarlo davanti al re, tuo signore, e il re stesso lo investigherà”.

Si parla anche in questo di corruzione, anche se la “tangente” non è il generico

maškan, ma vi è un più specifico riferimento a una derrata alimentare di cui

potrebbero beneficiare non solo il trasgressore, ma anche i suoi parenti e amici e persino il suo clan. Il rischio è compromettere l’imparzialità del giudizio in caso di processo e la giusta prospettiva in cui ciascuna situazione va valutata: un caso di poco conto rischia di essere aggravato e un caso importante potrebbe invece essere minimizzato, inficiando il corretto andamento della giustizia.

Un formulario molto simile ritorna in un testo di poco successivo, databile all’epoca di Arnuwanda I: CTH 261.118. Si tratta di un lungo documento di

vincolo per i governatori delle marche di frontiera. I 61 paragrafi riguardano diverse tematiche, dai turni di guarda alla sistemazione dei luoghi difensivi, fino alla manutenzione della città, dei templi delle strutture cittadine. Nuovamente è di nostro interesse la parte in relazione alla gestione della giustizia e, in particolare, il par. 39.

§39 (KUB 13.2+KUB 31.84+KUB 40.60+E 1489 III 25-28; KUB 31.86+KUB 40.58+KUB 48.104+KUB 40.78+KBo 50.272+KBo 57.10+Bo 5391+Bo 69/105(+)KUB 13.25 IV 11-16’) “Non deve farlo (i.e. amministrare la giustizia) per un signore, per un fratello, una sorella, o un suo amico; che nessuno prenda una ricompensa (ma-aš-ga-an-

na-za le-e ku-iš-ki da-a-i); non renda un caso superiore inferiore e inferiore superiore

(˹DI-NA7˺ ša-ra-az-zi kat-te-ra-aḫ-ḫi le-e kat-te-er-ra ša-ra-az-ia-˻ḫi); Devi fare ciò che

è giusto!”

Anche qui ritroviamo il consueto richiamo alla correttezza e all’imparzialità, a non favorire consanguinei o amici nell’espletamento dei propri compiti, a non accettare tangenti (torna il generico maškan-). Si intima inoltre di valutare i casi

18MILLER2013, 212-237. Simile a questi due testi è anche CTH 251, testo di istruzione

e giuramento per principi, nobili e ufficiali militari (MILLER 2013, 168-181) §5 (KBo

16.24(+)KBo 16.25 I 15’-20’) “[E] ognuno si affret[ti]. Mobilita[te l’esercito. Nessuno] compia un atto di forza, nessuno rilasci [un nemico] e prenda una ricompensa (ma-aš-ka-an). [Questo] sia posto [sotto giuramento].” Il rischio di corruzione si annida anche nella sfera militare e si rende necessario precisare che nessun ostaggio o prigioniero può essere rilasciato dietro tangente.

Corruzione e malversazione nell’impero ittita

nella stessa prospettiva senza rendere “un caso superiore inferiore e un inferiore