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Dono, controdono e corruzione. Ricerche storiche e dialogo interdisciplinare

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Academic year: 2021

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Il dono e i legami interpersonali a esso connessi sono spesso indicati in termini positivi come gli elementi fondanti la società e in particolare la polis quale arche-tipo di comunità di cittadini che si autogovernano. Tuttavia si osserva che, quando la società percorre vie di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e alla distribuzione dei diritti e dei beni comuni, proprio il dono, materiale o imma-teriale, è percepito come occasione di ingiustizia (in termini distributivi ed eco-nomici) e di illecito (in termini morali e legali): il dono è così sentito come stru-mento di pratiche corruttive nel giudizio di una cultura giuridica e istituzionale che cerca di controllare o modificare aspetti sostanziali della cultura del dono, ri-tenendo pericolosa la possibilità che, attraverso il dono stesso, si alimentino gruppi sociali, aventi interessi concorrenti rispetto a quelli dell'intera comunità o delle istituzioni pubbliche.

È obiettivo specifico delle ricerche raccolte in questo volume lo studio della for-mazione di rapporti amicali o, nei fatti, di vere e proprie prestazioni contrattuali imposte dalle obbligazioni derivanti dallo scambio di un dono, di un favore. Si potranno così osservare i fenomeni di “statalizzazione” della cultura del dono (anche in forma di remunerazione) al fine di controllare le dinamiche relazionali, nonché gli interventi legislativi e regolamentari delle istituzioni di autogoverno, finalizzati a contrastare la corruzione all’interno delle istituzioni stesse.

A partire dal mondo antico i numerosi autori che hanno contribuito al volume conducono il lettore fino alla contemporaneità attraverso un percorso che non vuole essere esaustivo, ma significativo grazie alla rilevanza del casi di studio af-frontati.

€ 70,00

Contributi di:

Claudia Antonetti, Stefano de Martino, Carolina Ferrandi, Dominique Lenfant, Nicolas Richer, Pietro Cobetto Ghiggia, Claudia Zanaga, Daniela Marchiandi, Marco Bettalli, Gianluca Cuniberti, Arnaldo Marcone, Paolo Garbarino, Andrea Pelliz-zari, Bernadette Cabouret, Edoardo Bona, Emilia-no Urciuoli, Maria Chiara Giorda, Andrea Nicolot-ti, Valentina Toneatto, Dario Canzian, Marino Zabbia, Lorenzo Tanzini, Antonio Olivieri, Danie-la Piemontino, Deborah Besseghini, Pierangelo Gentile, Paride Rugafiori, Paolo Silvestri, Luca Bagetto, Paolo Heritier, Rocco Sciarrone.

DONO, CONTRODONO

E CORRUZIONE

Ricerche storiche e

dialogo interdisciplinare

a cura di

Gianluca Cuniberti

Edizioni dell’Orso

Fonti e studi di Storia Antica Collana diretta da

SILVIO CATALDI

In copertina:

Il dono di polvere, Gandhara, II sec. a.C.

DONO, CONTRODONO

E CORRUZIONE

ISBN 978-88-6274-699-1 C M Y CM MY CY CMY K cover cuniberti.pdf 1 30/10/17 13:03

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Fonti e studi di Storia Antica

Collana fondata da SILVIOCATALDI

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Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Studi storici, Ricerca locale – linea b

Comitato Scientifico: Silvio Cataldi (Torino), Victor Alonso Troncoso (La Coruña),

Claudia Antonetti (Venezia), Elisabetta Bianco (Torino), Pietro Cobetto Ghiggia (Campobasso), Gianluca Cuniberti (Torino), Dominique Lenfant (Strasbourg), Robert Weldon Wallace (Evanston)

I volumi pubblicati nella Collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica.

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DONO, CONTRODONO

E CORRUZIONE

Ricerche storiche e

dialogo interdisciplinare

a cura di Gianluca Cuniberti Edizioni dell’Orso Alessandria

(5)

© 2017

Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. 15121 Alessandria, via Rattazzi 47 Tel. 0131.252349 - Fax 0131.257567 E-mail: info@ediorso.it

http: //www.ediorso.it

Realizzazione editoriale e informatica: ARUNMALTESE(bibliotecnica.bear@gmail.com)

Grafica della copertina: PAOLOFERRERO(paolo.ferrero@nethouse.it)

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

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INDICE GENERALE

GIANLUCACUNIBERTI

Premessa p. IX

CLAUDIAANTONETTI

Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare 1 STEFANO DEMARTINO

“Corrompere” gli dèi nell’Anatolia ittita 15 CAROLINAFERRANDI

Corruzione e malversazione nell’impero ittita: tra exempla, normativa e casi concreti 27 DOMINIQUELENFANT

Liens personnels, pots-de-vin ou protocole ? Les dons du roi de Perse aux ambassadeurs grecs 41 NICOLASRICHER

Pourquoi Sparte a vaincu Athènes en 404. Les pratiques sociales et militaires traduisant une influence sur l’action d’autrui mentionnées

par Xénophon dans le début des Helléniques 71 PIETROCOBETTOGHIGGIA

La corruzione come ‘reato pretestuoso’ nell’Atene di età classica 101 CLAUDIAZANAGA

L’arbitrato nell’Atene del IV secolo a.C.: varie sfumature di (il)legalità 113 DANIELAMARCHIANDI

Contiguità pericolose nell’amministrazione locale dell’Attica classica: affari di famiglia, conoscenze altolocate e doni strategici (a margine

del contratto di affitto di una cava di pietra ad Eleusi – SEG LIX 143) 131 MARCOBETTALLI

Ricchezza, corruzione, incompetenza: il mestiere di stratego nell’Atene del IV secolo a.C. 179 GIANLUCACUNIBERTI

Il dono, la persuasione, la democrazia: percezione e negazione

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VI

ARNALDOMARCONE

Forme evergetiche nella società del Principato: la riflessione senecana 219 PAOLOGARBARINO

Ad legem Iuliam repetundarum. Profili giuridici della repressione

della corruzione in età tardoantica 233 ANDREAPELLIZZARI

La fenomenologia del «dono» nell’opera di Libanio: un approccio

multiforme 271 BERNADETTECABOURET

Les cadeaux aux empereurs et aux dignitaires dans l’Empire romain

oriental tardif 289 EDOARDOBONA

Quando strenas do, mihi accipio et ego (Aug. serm 198, 2).

Appunti dono e contraccambio nella predicazione di Agostino 309 EMILIANOURCIUOLI

Un banale circuito infernale. Il ‘mercato oblativo’ all’origine del campo religioso cristiano 327 MARIACHIARAGIORDA

Tra la terra e il cielo: offerte, doni e reciprocità

nell’Egitto monastico tardo antico 375 ANDREANICOLOTTI

Doni e controdoni nel culto delle reliquie 401 VALENTINATONEATTO

Interessi privati e beni della comunità nel discorso ecclesiastico

tra Tardo Antico e Alto Medioevo 419 DARIOCANZIAN

Governare con il consenso: clientele, amicizie, fedeltà e corruzione

a Padova tra comune e signoria 433 MARINOZABBIA

Corruzione uso politico del dono e crisi del Comune

in Albertino Mussato e altri cronisti trecenteschi 455 Indice

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VII

LORENZOTANZINI

Le pratiche elettorali e consiliari dei comuni italiani (XIII-XIV):

tra regolamentazione e forzature 471 ANTONIOOLIVIERI

Il linguaggio della riforma: retorica della corruzione e ritorno

alle origini nella documentazione ospedaliera tardomedievale 493 DANIELAPIEMONTINO

«Beneficio pubblico» e «utili particolari» nella Valsesia del Seicento 515 DEBORAHBESSEGHINI

Dono e corruzione come vettori di mondializzazione.

Il caso di Anita O’Gorman alla vigilia del processo di indipendenza

dell’America spagnola (1808-1809) 535 PIERANGELOGENTILE

Doni e controdoni tra onore e scandalo: dalla tabacchiera

di Carlo Alberto al caso Herz 563 PARIDERUGAFIORI

Italia 1920-1960: dono e corruzione tra etica, politica e impresa.

Riflessioni dal caso Gaslini 581 PAOLOSILVESTRI

Welfare State e tassazione. Il punto critico della libertà: tra dono

e corruzione 587 LUCABAGETTO

Carisma globale contro istituzioni globali? Per un ripensamento

dell’eredità politica degli anni ’70 609 PAOLOHERITIER

Ambivalenze dei circoli del dono e della vendetta: la giustizia

come reciprocità 633 ROCCOSCIARRONE

Dono, scambio e capitale sociale. Alle basi della forza e persistenza

delle reti mafiose 657

(9)
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Il dono e i legami interpersonali suscitati dallo scambio di doni sono spesso indicati in termini positivi come gli elementi non solo fondanti una società ‘primaria’, ma anche costitutivi della coesione sociale e quindi anche della polis quale archetipo di comunità di cittadini che si autogovernano. Tuttavia si osserva che, proprio quando la società percorre vie estese di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e alla distribuzione dei diritti e dei beni comuni, proprio il dono, materiale o immateriale (sino al più ampio beneficium), inizia a essere percepito anche come occasione di ingiustizia (in termini distributivi ed economici) e di illecito (in termini morali e legali): il dono è così indicato, tra il resto, come strumento di pratiche corruttive nel giudizio di una cultura giuridica e istituzionale che cerca di controllare o modificare aspetti sostanziali della cultura del dono; in questo contesto diviene pericolosa la possibilità che, attraverso questo strumento che supera la dimensione oggettuale per assumere valori e poteri relazionali, si creino vantaggi indebiti per qualcuno a danno degli altri e soprattutto si alimentino gruppi sociali aventi interessi concorrenti rispetto a quelli dell’intera comunità o delle istituzioni pubbliche.

È obiettivo specifico delle ricerche raccolte in questo volume lo studio della formazione di rapporti amicali o, nei fatti, di vere e proprie prestazioni contrattuali imposte dalle obbligazioni derivanti dallo scambio di un dono, di un favore. Si potranno altresì osservare i fenomeni di “statalizzazione” della cultura del dono (anche in forma di remunerazione) al fine di controllare le dinamiche relazionali, nonché gli interventi legislativi e regolamentari delle istituzioni di autogoverno, finalizzati a contrastare la corruzione all’interno delle istituzioni stesse. Allo stesso tempo alcuni contributi sfruttano questa prospettiva sul dono per dimostrare acquisizioni diverse, ad esempio, di natura storiografica. Su tutto però è tratto comune diffuso fra i contributi del volume l’obiettivo di indagare episodi, personaggi, riflessioni che evidenziano il momento nel quale il dono può essere sospettato di diventare strumento corruttivo in contesti di inconsapevolezza, autentica o simulata: nelle discussioni fra gli autori di questo volume questo momento l’abbiamo chiamato la zona grigia nella quale non è condivisa, nell’opinione pubblica, la valutazione della funzione assunta dal dono. Forse proprio su questo la storia può portare acquisizioni di complessità che oppor

-GIANLUCACUNIBERTI

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Premessa

tunamente completano la sintesi dei modelli teorici e pongono tali modelli in dialogo e quindi comunicazione con l’esperienza quotidiana di tutti.

Su queste basi, a partire da indagini condotte sul mondo antico, i numerosi autori che hanno contribuito al volume conducono il lettore fino alla contemporaneità attraverso un percorso che non vuole essere esaustivo, ma significativo grazie alla rilevanza del casi di studio affrontati. Ne è nato un itinerario che prende avvio dalle pagine introduttive di Claudia Antonetti, verso la quale il progetto di ricerca finanziato dall’Università di Torino è debitore: l’idea progettuale nasce infatti da una più ampia esperienza progettuale maturata sotto la guida della collega al fine di predisporre un progetto di ricerca sul dono (Indagini sul dono nell’antichità: funzioni relazionali e promozionali nel dialogo

fra culture dello spazio mediterraneo) in grado di esplorare ogni aspetto del tema

in una prospettiva di dialogo fra metodo storico e dialogo interdisciplinare. Ed è proprio in coerenza con questa prospettiva che è nato, e ha svolto la proprio attività negli ultimi anni a Torino, un gruppo di ricerca indirizzato a esplorare la relazione fra dono e fenomeni corruttivi. A esito di questa attività di ricerca il volume raccoglie i contributi che nascono dai seminari e dal convegno che sono stati organizzati negli anni 2015-2016. Complessivamente essi intendono realizzare due idee: in primo luogo si intende dare concretezza a un progetto di ricerca e di comunicazione storica che abbracci un ampio arco cronologico e, così facendo, sia in grado di proporre alcune significative continuità e discontinuità nello scambio dei doni a partire dagli Ittiti (nella loro lontananza cronologica, ma anche prossimità storica agli archetipi sociali e culturali che generano la civiltà greca antica) sino al mondo contemporaneo, alle riflessioni più avanzate sui valori e sulle funzioni del dono (anzitutto quelli irrinunciabili, da recuperare o da risanare) e alla manifesta distorsione del dono, o meglio allo sfruttamento delle funzioni del dono, ai fini dell’associazione a delinquere all’interno di logiche e pratiche mafiose; in secondo luogo si è voluto attivare un autentico dialogo interdisciplinare, evidentemente indispensabile per il tema prospettato, al fine di ricomporre una prospettiva frequentemente scissa delle ricerche sul passato in funzione della comprensione del presente. Da storico sento infatti questa necessità come una priorità dell’attuale fase di sviluppo degli studi in ambito umanistico. Nei decenni passati è avvenuto un percorso di distinzione disciplinare che ha permesso straordinari avanzamenti grazie alla puntuale definizione dei profili, dei metodi e degli obiettivi di ogni ambito di ricerca con il conseguente sviluppo di nuove discipline e l’avanzamento specialistico delle discipline con più lunga tradizione. Proprio per l’eccellenza di questo percorso, che però, distinguendo, ha ridotto il dialogo e, nella specializzazione, ha separato il ruolo scientifico dal ruolo pubblico della storia, ritengo che oggi sia quanto mai necessario porre le ricerche storiche al centro di un dialogo interdisciplinare, o forse meglio multidisciplinare, nel quale gli storici non rivendichino un ruolo esteso, presuntuo -samente onnisciente, ma recuperino alla storia il ruolo di manifestare la

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Premessa

complessità, rigorosamente ricostruita, delle vicende umane e la capacità di comunicare, attraverso il racconto storico, le sintesi e le definizioni concettuali altrimenti inaccessibili a un pubblico più ampio. Per questo sono particolarmente lieto che il progetto abbia visto il contributo di colleghi di discipline antropologiche, economiche, filosofiche e giuridiche: solo alcuni hanno potuto consegnare il contributo per questo volume, ma a tutti va la mia gratitudine per le riflessioni portate alla discussione all’interno delle attività di ricerca.

Consegnando il volume alle stampe, un ringraziamento va al Dipartimento di Studi storici dell’Università di Torino per aver sostenuto questa fase del progetto e finanziato la presente pubblicazione, alla Fondazione Luigi Einaudi Onlus di Torino, che ha ospitato il convegno, svoltosi il 4-5 dicembre 2015, del quale questo volume ha conservato il titolo, ma ha esteso e approfondito i contenuti. Infine la mia profonda gratitudine va a tutti gli Autori che hanno arricchito il volume con ricerche originali in grado non solo di apportare nuovi dati e nuove analisi nei casi di studio affrontati, ma anche di riportare le complessità qui richiamate, che caratterizzano in profondità ogni aspetto pragmatico o concettuale del dono soprattutto quando sottoposto allo stress di usi avvelenati.

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Seneca nel De beneficiis spiega come le tre Grazie rappresentino per -fettamente il triplice ritmo della generosità (l’offrire, l’accettare ed il restituire): “Dei quali benefici (ti) dirò quali siano la forza e le proprietà se prima mi avrai permesso di trattare rapidamente quegli argomenti che non sono pertinenti all’oggetto del discorso, ovvero per quale motivo le Grazie siano tre, per quale motivo siano sorelle, per quale motivo intreccino le loro mani, per quale motivo sorridano e siano giovani, per quale motivo siano vergini e per quale motivo abbiano delle vesti sciolte e trasparenti. [3] Alcuni (da parte loro) vogliono che sembri che ce ne sia una che dà, l’altra che riceve, la terza che restituisce; altri vogliono che esistano tre generi di benefattori: quelli che danno per primi i benefici, coloro che li restituiscono, coloro che li ricevono e che nello stesso tempo li contraccambiano. [4] Ma giudica tu quale tra queste due ipotesi sia la più veritiera; a cosa giova questa conoscenza? Perché esse, tenendosi per mano, danzano in cerchio? Proprio per questo, perché la sequenza dei benefici passando di mano in mano comunque torna indietro a colui che per primo ha donato e perde la sua integrità se per caso viene interrotta, mentre è bellissima se resiste e conserva il suo continuo avvicendamento. In questa danza tuttavia la maggiore delle Grazie gode di particolare rilievo, proprio come colui che dà per primo. [5] I volti sono felici, come sono soliti essere quelli di coloro che danno o ricevono benefici. Sono giovani, perché la memoria dei benefici non deve invecchiare; vergini, perché sono incorrotte, pure e sacre per tutti; in esse non è decoroso che ci sia alcunché di trattenuto né di vincolato; pertanto posseggono tuniche sciolte e per giunta trasparenti perché i benefici vogliono essere osservati da tutti1”.

CLAUDIAANTONETTI

Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

1Sen. Ben. I, 3, 2-5: [2] Quorum quae vis quaeve proprietas sit, dicam, si prius illa,

quae ad rem non pertinent, transilire mihi permiseris, quare tres Gratiae et quare sorores sint, et quare manibus implexis, et quare ridentes et iuvenes et virgines solutaque ac perlucida veste. [3] Alii quidem videri volunt unam esse, quae det beneficium, alteram, quae accipiat, tertiam, quae reddat; alii tria beneficiorum esse genera, promerentium, reddentium, simul accipientium reddentiumque. [4] Sed utrumlibet ex istis iudica verum; quid ista nos scientia iuvat? Quid ille consertis manibus in se redeuntium chorus? Ob hoc, quia ordo beneficii per manus transeuntis nihilo minus ad dantem revertitur et totius speciem perdit, si usquam

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Claudia Antonetti

Il trattato di Seneca in sette libri – l’unica opera monografica sul dono – rappresenta un punto imprescindibile di riflessione, una svolta nella concezione del donare, dei suoi fini e delle sue funzionalità, prefigurando per la prima volta nel mondo antico la necessità di un nuovo modello relazionale, svincolato dalla rilevanza materiale delle res e incentrato sulla dimensione interiore (animus), sull’intenzionalità (voluntas) del beneficium, sulla sua gratuità. Questa dirompente novità, che costituisce il fondamento ontologico ed etico del nuovo beneficium di Seneca, rispondeva da una parte all’esigenza filosofica della corretta formazione del saggio (nell’etica stoica), dall’altra alla necessità di rifondare, a fini di coesione sociale, le degenerate prassi in uso nella società romana all’epoca del filosofo, laddove i beneficii erano diventati un instrumentum regnii di controllo sui beneficati, siano essi stati la plebe o la classe aristocratica senatoriale in situazione di dipendenza dal princeps2. Alla comprensione di questo codice

culturale complesso sono state dedicate recentemente, soprattutto in Italia, sofisticate indagini esegetiche capaci di coniugare strategie di lettura tradizionali e metodologie meno praticate in ambito filologico come ad esempio la pragmatica della comunicazione3, a riprova del fatto che una tematica del genere non può

essere affrontata solo settorialmente ma impone un approccio interdisciplinare. Nell’occasione odierna importa sottolineare come l’allegoria di Seneca, quella delle Tre Grazie, sottolinei l’identità del gesto, l’unitarietà e la circolarità del processo – donare, ricevere, restituire – pur nel movimento tripartito, un’intuizione che ci riporta obbligatoriamente a confrontarci con il pensiero di Marcel Mauss e con la sua definizione, quella terna di obblighi – donare, accettare, ricambiare – che lo studioso francese (nel 1923-24) definì quali elementi caratterizzanti dell’esperienza totalizzante4 del dono per la creazione di una

socialità che oggi potremmo chiamare, con Caillé, ‘primaria’5. È un confronto

ineludibile nonostante le critiche, gli approfondimenti, i distinguo, le

interruptus est, pulcherrimus, si cohaeret et vices servat. In eo est aliqua tamen maioris dignatio, sicut promerentium. [5] Vultus hilari sunt, quales solent esse, qui dant vel accipiunt beneficia; iuvenes, quia non debet beneficiorum memoria senescere; virgines, quia incorrupta sunt et sincera et omnibus sancta; in quibus nihil esse adligati decet nec adstricti; solutis itaque tunicis utuntur; perlucidis autem, quia beneficia conspici volunt. Cfr. VIDAL1991. Per redigere questo intervento mi sono state utilissime le stimolanti riflessioni di Paolo Fabbri sulla semantica del dono, presentate nel corso del convegno ‘Reciprocità e comunità’ (Napoli, 29/5/2013) – cfr. infra, nota 29 – e di cui non sono riuscita a trovare traccia stampata ma che sono reperibili in web: https://www.youtube.com/watch?v=KNLW4fqwl7w.

2Cfr. LUZZI2014a. Sul beneficium da Cicerone a Seneca, cfr. ACCARDI2015.

3Cfr. PICONE- BELTRAMI- RICOTTILLI2009 e soprattutto RACCANELLI2009, 2010,

2011. Per una bibliografia sul beneficium nel mondo romano, cfr. LUZZI2014b.

4La forte sottolineatura del valore del dono come ‘fatto sociale totale’ risale a

Lévi-Strauss: cfr., con ottima discussione, la messa a punto di D’ONOFRIO2007, 12.

5CAILLÉ 1997, 202. Sull’interessante ipotesi che Mauss, pur non citando mai il De 2

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Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

contestualizzazioni cui la teoria di Mauss è stata sottoposta da oltre 90 anni a questa parte, perché bisogna riconoscere, con Marco Aime, che “la forza di un modello sta anche in quel tanto di genericità che lo rende appunto un ‘modello’, non una regola”6.

Gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso sono stati quelli dei maggiori tentativi di applicazione empirica della teoria di Mauss a testi e contesti, mentre dai tardi anni ’90 si è aperta una rinnovata stagione di studi e riflessioni generali che mi pare stia tornando con nuovi occhi alla fonte primaria e che si sta connotando, in tempi a noi vicinissimi, come un fenomeno rilevante7, quasi l’aspirazione ad

un’‘epistemologia condivisa’.

Gli apporti critici successivi a Mauss (da Lévi-Strauss a Benveniste a Gernet a Derrida, da Godelier a Weiner) hanno inserito la discussione sulle pratiche donative nell’assieme delle «modalità relazionali8» che sono compresenti nelle

società umane: discutendo quindi dei rapporti fra dono, scambio e dono-scambio, dono e sacrificio, dono e mercato, dono e potere; precisando l’incidenza di categorie quali interesse e “dis-interesse”, alienabilità e inalienabilità dei beni, debito ed equilibrio, defunzionalizzazione del dono. I rappresentanti delle posizioni antiutilitariste (Caillé, Godbout, Latouche, Salsano) e delle pratiche solidaristiche hanno sottolineato la possibilità che proprio il dono sia l’elemento attraverso il quale gli uomini fondano la società9: il legame creato dal dono

sarebbe quindi più importante del bene stesso10. Oggi che le scienze economiche

e sociali hanno riscoperto il potenziale dinamico delle teorie di Mauss per le società contemporanee attraverso la Gift Economy e la Sociology of Consumption11, considerando superato l’approccio ‘antiquario’ ed ‘elementarista’

di Mauss e della scuola francese, torna di attualità anche il contributo metodologico e normativo degli Antichisti sul significato della reciprocità nella

beneficiis di Seneca ne abbia tratto importanti spunti, cfr. in particolare VIDAL 1991 e

Raccanelli in RACCANELLI- BELTRAMI2014, 196-197.

6AIME2002, XVI.

7Cfr. ad es. PASERO2007; ARIA- DEI2008 e il contributo bibliografico commentato

realizzato da E. Pellizzari della Biblioteca Centrale Interfacoltà di Economia e Giurisprudenza in occasione della conferenza Il ritorno del dono, tenuta da S. Latouche e C. Risé all’Università di Brescia il 6.12.2001 con la presidenza di G. Provasi, scaricabile online http://www.unibs.it/ sites/default/files/ricerca/allegati/Il_dono.pdf.

8È la posizione di ZEMONDAVIS2000.

9Su questo articolato percorso si vedano JAMES- ALLEN1998 e le intelligenti sintesi di

AIME2002 e D’ONOFRIO2007. Sulla coesistenza del dono con altre forme di scambio, cfr.

TESTART2007.

10CAILLE’ 1998. Si veda, applicata all’Antichità, l’ottima prova di DUPLOUY2006.

11CHEAL1988; KOLM- MERCIERYTHIER2006; cfr. WARDE2015.

(17)

Claudia Antonetti

cultura antica, segnatamente in quella greca e romana: dal piano delle istituzioni a quello ideologico e degli scambi ritualizzati12 al religioso13 all’economico –

soprattutto nella prospettiva dell’‘embedded economy’14–, agli studi di genere15

all’evoluzione del diritto16, all’individuazione della nozione di valore – euristico

economico sociale17.

A partire da Gernet e da Finley, le tematiche più frequentate nella prospettiva della ‘morale del dono antico’ sono state la società omerica e la poesia arcaica greca18, l’opera di Erodoto e la tragedia attica19e da ultimo autori come Cicerone

e Seneca20, mentre solo recentemente la cultura giudaica e quella cristiana sono

state reinserite nel dibattito culturale generale sul dono, il debito e la reciprocità21.

Anche negli studi sul regime delle offerte votive è sensibile l’esigenza di passare dal catalogo e dalla tassonomia all’indagine funzionale e relazionale22 e di

focalizzare, oltre alla più consueta relazione verticale dio-uomo, quella orizzontale, nella sua dimensione comunitaria e inter-comunitaria23. In tal senso

l’esperienza storica greca ha offerto specifici esempi di votivi che rappresentano bene questo fascio di interrelazioni, e che non solo si prestano ad un’analisi relazionale ma che la esigono, come i thesauroi, finora considerati prevalentemente dal punto di vista economico o storico-artistico: i tesori offerti dalle poleis nei santuari panellenici24 sono un perfetto esempio, in termini

duméziliani, di dono riflessivo, ‘identificante’ (che dice dell’identità, in questo caso collettiva) e insieme dono transitivo, che instaura relazioni. Analoghe considerazioni si possono svolgere per i memorials di guerra25, la cui duplice

natura relazionale è ben espressa dalle voci greche semata e anathemata26.

12KONSTAN1997; MITCHELL1997; GILL- POSTLETHWAITE- SEAFORD1998; PANESSA

1999; WAGNERHASEL2000.

13 LINDERS - NORDQUIST 1987; BARTOLONI - COLONNA - GROTTANELLI 1989;

GROTTANELLI1999.

14CARNEY1973; GREGORY1982; MORRIS1986; PARISE2000; CARLÀ- GORI2014.

15LYONS2012.

16MAFFI1978 e 1979; SCHEID-TISSINIER2005.

17VONREDEN2003; PARISE2000; GRAEBER2001; PAPADOPOULOS- URTON2012.

18SCHEID-TISSINIER1994; SCHEID-TISSINIER2000; SEAFORD2003; WAGNER-HASEL

2013.

19BRAUND1997.

20PICONE- BELTRAMI- RICOTTILLI2009; RACCANELLI2012. Cfr. supra, nn. 2 - 3. 21HASAN-ROKERN2013, con il commento di CARLÀ, BMCR 2013.11.44; ESPOSITO

2013.

22BARTOLONI- COLONNA- GROTTANELLI1991; GRECO- FERRARA2008; PATERA2012. 23DUPLOUY2006; PRÊTRE2009.

24Cfr. MARI2004 e FERRARA2014.

25Cfr. gli studi tradizionali di KENDRICKPRITCHETT1979.

26 Sul valore di sema/semata, CAMEROTTO 2007 e su una possibile identificazione

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Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

L’indagine sui contesti funerari è ambivalente: se all’aspetto comunitario si dedica da sempre molta attenzione, l’approccio sistematico e teorico27 al dono nei

confronti dei defunti è agli albori, anche per le variabili rappresentate dalle diverse credenze sul destino otremondano dei defunti e quindi sulla possibilità – o meno – di instaurare una relazione con essi28.

La produttività generata da ultimo anche in Italia dalla riflessione sul modello maussiano, senz’altro rispondente a un bisogno sociale ma anche culturale, è dimostrata dall’organizzazione di convegni, pubblicazioni, gruppi di ricerca che ad esso si ispirano, tutti con un fortissimo taglio interdisciplinare: si vedano ad esempio il convegno ‘Reciprocità e comunità’, tenutosi a Napoli il 29.5.2013, la connessa collana editoriale ‘A piene mani. Dono, dis-interesse e beni comuni’, diretta da A. Lucarelli e U. Olivieri, e il forum cui il gruppo di ricerca fa capo29.

Anche questo volume discende dal progetto di ricerca ‘Gift and Bribery Research’, coordinato a partire dal 2014 presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino da G. Cuniberti, prendendo le mosse a sua volta da un progetto di ricerca interuniversitario di ‘Indagini sul dono nell’Antichità: funzioni relazionali e promozionali nel dialogo fra culture dello spazio mediterraneo’ che ho coordinato nel 2013 e poi nel 2015.

Tutti questi progetti s’inseriscono in una corrente d’interessi che vuole andare oltre l’Antichità, per ambito e diacronia30, e poiché molte di queste proposte, come

quella odierna, nascono proprio dalla volontà dei classicisti, vale la pena di chiedersi quale sia dunque lo stimolo rappresentato dal mondo antico, o meglio, cosa può offrire ancora l’indagine sul mondo antico all’attuale società globale, al ‘terzo paradigma’31, se inquadrata nell’ottica del dono. La motivazione

‘genealogica’ di studiare l’Antichità è certamente importante perché le genealogie rappresentano molto più delle origini e sono parte di noi, ma non è tutto. Credo che gli antichisti vogliano confrontarsi programmaticamente con gli sviluppi metodologici prodotti dalle discipline filosofiche, sociali ed economiche in primis

archeologico-epigrafica ANTONETTI- DEVIDO - TROCCOLI2013. Si veda l’interessante

definizione di POMIAN2001 (cap. 5) della storia culturale come storia dei ‘semiofori’.

27Cfr. gli ottimi lavori, dal punto di vista dell’inquadramento teorico, di MARCHIANDI

2011 e NIZZO2015.

28DENZEYLEWIS2013 e STERN2013.

29http://www.benicomuni.unina.it/; http://www.diogeneedizioni.it/home-catalogo/collane

-per-la-ricerca-universitaria/a-piene-mani-dono-disinteresse-e-beni-comuni-1/#cc-m-product-5368047959.

30Cfr. SATLOW2013.

31Il ‘terzo paradigma’ rappresenta per CAILLE’ 1998, 37, 79-80, quel tipo di valore legato

alla capacità che beni e servizi, se donati, hanno di creare e riprodurre relazioni sociali: un valore ‘di legame’.

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Claudia Antonetti

perché questo confronto, considerato da Finley in poi ineludibile, rischia oggi di venir spesso eluso e più spesso utilizzato solo strumentalmente; d’altro canto, le altre discipline possono correre il rischio di proiettare in un passato indistinto e ‘astorico’ le origini dei fenomeni che studiano, se non i fenomeni stessi: l’Antichità quindi può rappresentare per esse un utile confronto solo se correttamente conosciuta e narrata. Il paradigma del mondo antico nelle sue differenziate realtà può rappresentare una formidabile palestra metodologica contro ogni tentativo di ricorso nostalgico e acritico alle ‘origini’ contribuendo, a sua volta, alla formulazione di un corretto comparativismo. Oserei dire che gli antichisti lanciano in questo modo una sfida globale impegnando nel risultato della stessa la propria credibilità e la rivendicazione della propria ragione d’essere. Entrando nel merito, farò ora solo qualche esempio, volutamente generale ma ai miei occhi rilevante, per portare alla discussione alcuni dei quesiti che mi sono posta: avere le risposte è ovviamente questione più complessa.

1. L’eredità della democrazia come ‘bene comune’

Una prospettiva di ricerca in linea con le esigenze odierne della società inclusiva32 non potrà ignorare l’enorme lascito concettuale che deriva

dall’esperienza della democrazia greca, vista sia nella prassi sia nel dibattito politico e sociologico che l’hanno caratterizzata da sempre, dalla sua nascita. Il problema dei costi connaturati alla democrazia, chiaramente messo in evidenza già nel V secolo a. C. (dal pensiero anti-democratico, dalla commedia, ecc.) ferve nel quarto secolo, con vari protagonisti, in primis Senofonte e Aristotele; quando Plutarco riprende il tema, a cinque secoli di distanza, ha una lunga storia alle spalle e una società totalmente diversa davanti agli occhi. Alcuni contributi di questo volume entreranno nel merito del problema dispensandomi dallo scendere qui nel dettaglio, ma ciò che mi preme sottolineare è che la democrazia ateniese, con i suoi costi e i suoi fenomeni corruttivi, costituisce un ‘sistema’ del quale è difficile, se non impossibile, selezionare e mettere in evidenza un solo elemento: ne fanno parte sicofanti e avvocati, retori e giudici, politici e legislatori, particolari procedure di accusa e di difesa, tribunali ad hoc, un universo che va compreso nel suo insieme e che non avrebbe senso ‘dislocare’ altrove, nel tempo e nello spazio, alla ricerca di impossibili soluzioni. Ogni sistema politico genera il suo ‘universo corruttivo’, non esiste una ‘corruzione’ a-storica. È questo il tema forte

32 Vd. ad es. BETTINI 2009 e il Convegno tenutosi presso il Dipartimento di

Giurisprudenza dell’Università LUMSA di Palermo del novembre 2011 su: ‘Il dono e lo Stato: legame interpersonale e sociale. Un dialogo interdisciplinare’.

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Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

del gruppo di ricerca torinese ‘innescato’ da Gianluca Cuniberti, un lavoro in fieri di cui si potranno durante il convegno già cogliere i primi risultati.

Ma c’è una nozione, un valore che chiaramente da questo universo di pensiero e di prassi ci deriva, ed è l’idea stessa di ‘bene comune’ (variamente definito in greco, in diacronia, xyneia, es ton meson, demosion, demosia, ta koina33),

un’eredità che oggi è chiaramente rivendicata da quel settore di studi del diritto pubblico e delle scienze sociali che va ridefinendo i contenuti dell’odierna ‘democrazia dei beni comuni’34. Ad essa non è certo estraneo nemmeno il concetto

di bonum publicum di quel Seneca da cui eravamo partiti.

2. Lo spreco e il dono distruttivo

Episodi di cronaca recenti e meno recenti relativi a festini e banchetti contrassegnati dall’eccesso del consumo e dallo spreco (spesso di beni pubblici) mi hanno condotta – come molti prima di me – a riflettere sui potlatch, quei rituali (indiani) di distruzione che tanto avevano impressionato Mauss, dove i partecipanti facevano a gara per offrire di più al fine di acquisire il prestigio più alto umiliando chi poteva offrire di meno: una modalità di dono ‘distruttiva’ (la

pars maudite di Bataille35) che si accompagnava a grande eccitazione, talvolta

alla pratica dell’insulto, su uno sfondo malcelato di violenza, sicuramente di prevaricazione psicologica. Nonostante le indubbie differenze fra tali ritualità – ormai appartenenti al passato – e le situazioni conviviali e festive che ancora oggi invece conosciamo, connotate da sovrabbondanza, spreco ed esagerazione, non limiterei le seconde all’ambito del solo ‘consumo’, come pure è stato autorevolmente fatto, e solo le prime a quello della ‘distruzione’ dove “il potere è il ‘potere di perdere’ che sancisce l’onore36”. Se passiamo infatti ad esaminare

il tipo di rapporti che si generano fra i soggetti forti (chi dona, chi invita) e i soggetti deboli (gli invitati, i beneficati) partecipanti a feste ed eventi caratterizzati dallo spreco ostentatorio, si vedrà che essi ingenerano dipendenza nei secondi e che tale potrebbe anche essere lo scopo principale delle manifestazioni stesse. Proprio il forte coinvolgimento emotivo e l’intensità dello scambio, che evocano il rito, contribuiscono secondo me a proiettare queste abitudini sociali estreme in una dimensione sacrale, per quanto dissolutoria, e quindi autorevole e prescrittiva. “Dopo il celebre saggio sul dono di M. Mauss, bisogna senz’altro includere il dono in una storia e in una psicologia del dispendio”, asseriva Jean

33Sempre utile, in proposito, l’indagine lessicale di BOTTIN1979.

34Cfr. LUCARELLI2013.

35BATAILLE1972, 112.

36AIME2002, XX con riferimento a GUIDIERI1990, 42-45.

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Claudia Antonetti

Starobinski37, autore di alcune fra le pagine più belle su potere, disprezzo,

dominio, distruzione, legati al dono quale frutto dell’ineguaglianza e alla sua visibilità e godibilità nelle opere d’arte. Prototipi antichi dell’elargizione fastosa, la sparsio e la largitio romane, si prolungano nel Medioevo attraverso il cerimoniale delle feste cavalleresche e monarchiche. Largesse designava la virtù cardinale del cavaliere: nel Roman de la Rose era il nome di una figura allegorica che l’amante incontrava sul cammino della conquista amorosa. Durante le incoronazioni, i matrimoni, i battesimi, gli ingressi solenni, questa era la parola, gridata dagli araldi, che annunciava al popolo la distribuzione di denaro38. Il

significato profondo di una pratica donativa estrema dei nostri giorni, la servitù, può dunque risiedere in usanze lontane e qui ne va cercata l’origine. Chissà quante persone (o quanto poche) si rendono conto di cadere in una condizione di dipendenza accettando doni e legami asimmetrici.

3. ‘Ermeneutica totale’ e gratuità

Il terzo e ultimo spunto di riflessione che vorrei proporre alla discussione è quello dell’‘ermeneutica totale’ come necessaria mediazione fra passato e presente, un percorso da realizzare attraverso una ‘coscienza testuale e contestuale’. In proposito credo che lo studio dell’Antichità costituisca tuttora un patrimonio di indubbio valore che vale la pena di sfruttare a fini più ampi di quelli settoriali: i fruitori abituali di tale patrimonio hanno introiettato la lezione di Benveniste di seguire i processi lessicali e non le realtà statiche e hanno ereditato la sua passione per i lessici intellettuali della cultura. A partire da Finley e Vidal-Naquet sanno di dover praticare l’‘antropologia del testo’: la maggior parte delle pratiche sociali del passato cioè si possono conoscere solo attraverso i testi – quindi il lessico e la filologia sono di estrema rilevanza ai fini conoscitivi – e, viceversa, è necessaria un’analisi socio-antropologica dei contesti antichi, anche testuali, visto che oggi è ormai diffusa la percezione di ‘testo’ come unità comunicativa, con uno spettro d’azione dunque considerevolmente esteso39.

Forti di questa consapevolezza, non si può che rimanere vagamente perplessi perciò di fronte alle definizioni di ‘dono’ che ricorrono nella maggior parte dei dizionari delle lingue contemporanee – pur comprendendone e condividendone

37 STAROBINSKI 1995, 4. Impossibile non citare a questo proposito le importanti

riflessioni lessicali e metodologiche di F. Ferrarotti al tempo della sua traduzione per Einaudi

dell’opera di Thorstein Veblen, The Theory of the Leisure Class, New York 1989: FERRAROTTI

2011, 124.

38Ibid., e passim.

39Ad es. con la linguistica testuale di de BEAUGRANDE- DRESSLER1994.

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Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

la logica –, definizioni nelle quali è annotato come unico significato quello di un ‘dare senza contraccambio’, totalmente gratuito, spazzando via così secoli di storia di relazioni umane e forse anche qualcosa del presente.

La svolta determinante in questa storia, l’idea di gratuità che finisce con l’affermarsi, non si deve a Seneca, nonostante il suo enorme lascito intellettuale, ma avviene con il Cristianesimo: si tratta tuttavia di un percorso non sempre lineare né privo di ombre40. Mi viene da osservare che in definitiva quest’ultimo

tratto di storia, quello della gratuità, è il meno universalmente conosciuto, intendo nell’ambito di una discussione non limitata alla teologia e alla storia delle religioni: è un’acquisizione che viene normalmente data per scontata senza approfondirne, a livello comune, l’origine e la funzionalità così come si potrebbe fare una storia del Cristianesimo ‘per debiti e remissioni’. La ‘teologizzazione’ fondamentale del debito è per i Cristiani quella in relazione alla vita ma si introducono alcuni dispositivi come quello del Giubileo (in questo caso ovviamente dal 1300 poi, con Papa Bonifacio VIII) che prevede la remissione dei debiti spirituali in un anno speciale, ogni cinquantesimo: un istituto giuridico che prende ispirazione dal capitolo 25 del Levitico, dove è esplicitato il significato primigenio del termine ‘giubileo’ e la sua descrizione, secondo la quale la terra dovrà periodicamente riposare e i debiti venir cancellati41. Mi colpisce, fra le tante,

40Cfr. supra, bibl. alla n. 21.

41Cfr. il testo di Levitico 25 nell’edizione CEI 2008: 1Il Signore parlò a Mosè sul monte

Sinai e disse: 2«Parla agli Israeliti dicendo loro: «Quando entrerete nella terra che io vi do, la

terra farà il riposo del sabato in onore del Signore: 3per sei anni seminerai il tuo campo e

poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; 4ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo

assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore. Non seminerai il tuo campo, non poterai

la tua vigna. 5Non mieterai quello che nascerà spontaneamente dopo la tua mietitura e non

vendemmierai l’uva della vigna che non avrai potata; sarà un anno di completo riposo per la

terra. 6Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo,

alla tua schiava, al tuo bracciante e all’ospite che si troverà presso di te; 7anche al tuo bestiame

e agli animali che sono nella tua terra servirà di nutrimento quanto essa produrrà. 8Conterai

sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un

periodo di quarantanove anni. 9Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono

del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. 10Dichiarerete

santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti.

Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. 11Il

cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i

campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. 12Poiché è un

giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi.

13In quest’anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà. …16Quanti più anni

resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il

prezzo, perché egli ti vende la somma dei raccolti. 17Nessuno di voi opprima il suo prossimo;

temi il tuo Dio, poiché io sono il Signore, vostro Dio… 23Le terre non si potranno vendere

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Claudia Antonetti

l’ingegnosa interpretazione datane da R. Esposito, secondo il quale la potenza simbolica della Legge del Giubileo trasforma, mediante un linguaggio teologico-politico, il debito da colpa economico-politica a strumento di socializzazione, riconducendone il significato all’originario munus, ovvero ‘debito’ ma anche ‘dono’, una pratica cioè che favorisce il senso di comunità in funzione dell’avverarsi di un ordine politico giusto42.

È innegabile comunque che vi sia una diffusa aspirazione, oggigiorno, all’affermazione della gratuità del donare e alla promozione di tutti gli aspetti, anche nuovi – come quello di donare il tempo –, di tale modalità relazionale, al di là di alcune messe in guardia sulle organizzazioni filantropiche che potrebbero generare rapporti asimmetrici nei confronti dei beneficati. Ne è l’esempio forse più lampante, in Italia, l’introduzione ufficiale del ‘Giorno del dono’, da celebrare nella data del 4 ottobre di ogni anno: il disegno di legge, presentato dai senatori Ciampi, Zanda, Schifani, De Petris, Zeller, Taverna, Ferrara e Romano, è stato definitivamente approvato il 30 ottobre 2014 ed è entrato in vigore per la prima volta il 4.10.2015. Si compone di tre articoli di cui merita riportare integralmente il primo: “La Repubblica italiana riconosce il 4 ottobre di ogni anno «Giorno del dono», al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa”43.

per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti. 24Perciò, in

tutta la terra che avrete in possesso, concederete il diritto di riscatto per i terreni. … 36Non

prendere (dal fratello) interessi né utili, ma temi il tuo Dio e fa’ vivere il tuo fratello presso di

te. 37Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura. …

42ESPOSITO2013.

43Gli altri due articoli recitano: 2.1. In occasione del «Giorno del dono» di cui all’articolo

1, possono essere organizzati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, cerimonie, iniziative, incontri, momenti comuni di riflessione, presentazioni, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, affinché l’idea e la pratica del dono siano oggetto di attenzione in tutte le forme che possono assumere e affinché la loro importanza riceva il conforto di approfondimenti culturali e di testimonianze riguardanti le esperienze di impegno libero e gratuito che di fatto si realizzano nella società italiana. 2.2. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui alla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 3. Il «Giorno del dono» di cui all’articolo 1 non determina gli effetti civili di cui alla legge 27 maggio 1949, n. 260.

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Gli Antichisti e le indagini sul dono: una prospettiva da riattualizzare

In chiusura, suggerisco sommessamente che per interpretare al meglio lo spirito della Legge bisognerebbe diffondere il concetto che la ‘gratuità’ non è il nulla, il vuoto, bensì il contrario, la pienezza del sé, per dirla con Seneca – da cui abbiamo esordito – l’affermazione dell’uomo che imita il dio.

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La protezione e la benevolenza delle divinità erano di fondamentale importanza per gli Ittiti, come anche per molti altri popoli del Vicino Oriente antico. I sovrani cercavano di assicurarsi in ogni modo il favore divino, da cui dipendeva la prosperità del paese e la continuità della dinastia; a questo scopo, venivano date offerte giornaliere alle divinità e si celebravano, secondo un preciso calendario cultuale, feste religiose che prevedevano la raccolta di beni versati da villaggi e comunità di tutto il paese, così da acquisire le risorse necessarie all’adempimento degli obblighi di culto.

I sovrani e i membri della corte cercavano di ottenere il sostegno divino anche mediante donazioni occasionali di oggetti di pregio o beni immobili, promessi agli dèi con la finalità precipua di vedere esaudita una specifica richiesta. I documenti cuneiformi ittiti che conservano testimonianze di voti fatti alle divinità appartengono a tipologie testuali diverse; ci sono prevenuti veri e propri atti di donazione verso istituzioni templari, come il documento che stabilisce l’ingente donazione fatta dalla regina Pudu-Heba alla dea Lelwani per assicurare a suo marito, il re Hattusili III, salute e una lunga vita1. Anche le preghiere conservano

a volte menzione di donazioni che il sovrano o la regina hanno destinato a determinate divinità2. Uno strumento di comunicazione tra gli dèi e gli uomini

era il sogno; le divinità facevano conoscere i loro desideri tramite i sogni e questi desideri potevano essere esauditi in cambio dell’impegno divino a risolvere un problema che angustiava il donatore3. Anche alcuni testi oracolari fanno

riferimento a donativi promessi alle divinità, soprattutto quando l’indagine divinatoria è rivolta a conoscere i motivi dell’ira divina che poteva essere stata causata da un dono promesso e mai consegnato4.

Il termine ittita che definisce il voto fatto a una divinità è malteššar; esso deriva dal verbo mald - che significa “recitare, pregare” e “fare un voto”.

STEFANO DEMARTINO

“Corrompere” gli dèi nell’Anatolia ittita

1Vd. OTTEN- SOUČEK1965.

2Vd. SINGER2002.

3Vd. DEROOS2007; MOUTON2007.

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Stefano de Martino

A volte, gli scribi ittiti usavano, invece di questo termine, la parola accadica

karābu5.

Le fonti pervenuteci su questo aspetto della vita religiosa ittita si datano, con poche eccezioni, al XIII secolo a.C.6Le richieste che venivano rivolte alle divinità

erano spesso relative a problemi di salute; molti dei voti pervenutici sono stati formulati dalla regina Pudu-Heba e riguardano la salute di suo marito, il re Hattusili III che, essendo ormai in età avanzata, accusava spesso malanni di vario tipo7. Non mancano, però, voti fatti con finalità diverse, come ad esempio per

assicurarsi il successo in una campagna militare o per scongiurare un evento disastroso che le consultazioni oracolari avevano preannunciato.

I beni promessi alle divinità erano in genere oggetti di pregio, come ad esempio gioielli per i simulacri divini, oppure arredi per i templi. Il valore intrinseco del dono, determinato dal fatto che esso era spesso fatto d’oro e d’argento, era inteso come corrispondente all’impegno che le divinità avrebbero messo nell’esaudire le richieste del donatore. Per questo motivo, viene a volte indicato il peso esatto o la dimensione dell’oggetto donato8. Un elenco

particolarmente dettagliato veniva stilato, quando beni immobili, quali terreni agricoli e fattorie con tutto il personale lavorativo e il bestiame ad esse relativo, venivano assegnati a istituzioni di culto; questo è il caso della già menzionata donazione fatta da Pudu-Heba alla divinità Lelwani9.

A volte il dono aveva anche una valenza simbolica che si riferiva in maniera precisa alla richiesta avanzata, come accade per gli ex-voto di epoca a noi più vicina. Ad esempio, il testo KUB 15 1 II 25-27, 28-3610, che conserva i voti fatti

da una regina, verosimilmente Pudu-Heba11, contiene la promessa di realizzare

un orecchio di oro di 10 sicli e un orecchio di argento di una mina per la divinità Šarruma, cosicché essa potesse ascoltare la richiesta di mantenere il re in salute (II 25-27); il passo successivo conserva il voto di donare alle divinità Šarrumanni e Allanzunni un orecchio d’oro e uno d’argento di peso non specificato, se queste riferiranno la richiesta della regina a Šarruma (II 28-36).

Questo testo mostra come il dono era maggiore, quando destinato alle divinità più importanti: l’orecchio d’oro promesso a Šarruma era di ben 10 sicli e, poiché il siclo ittita corrispondeva a circa gr.12, si trattava di un oggetto di gr.120, mentre

5Vd. CHD L-N, 132-135; 136-137.

6Vd. DEROOS2007, 30-38.

7Rimando a DEROOS2007, 37-38, per la raccolta dei documenti relativi a Hattusili III.

8Vd. DEROOS2007, 42-48.

9Vd. OTTEN- SOUČEK1965.

10Vd. DEROOS2007, 88-105; MOUTON2007, 260-266.

11Così DEROOS2007, 37.

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“Corrompere” gli dèi nell’Anatolia ittita

l’orecchio d’argento del peso di una mina, era di circa gr.480/50012. Diversamente,

non viene quantificato il dono per Šarrumanni e Allanzunni, divinità di rango inferiore, il cui compito era solo quello di ricordare al dio Šarruma la richiesta della regina. Quest’ultima era, così, libera di destinare loro un oggetto di maggiore o minore valore, a seconda delle disponibilità del momento.

Un altro dono con una valenza chiaramente simbolica è lo scudo promesso dalla regina al dio Šarruma a patto che nessun male colpisca il sovrano, come documenta un passo del già citato testo KUB 15 1 II 13-24.

Sempre questa stessa tavoletta menziona il voto fatto dal re di donare alla dea Katahha un modellino della città realizzato in argento, di peso non specificato, se la città di Ankuwa scamperà ad all’imminente pericolo di essere distrutta da un incendio. La dea Katahha era una delle divinità protettrici della città e, quindi, avrebbe potuto assicurarle la salvezza. In più, il re promette un bue e otto pecore. Un voto analogo, consistente in un modellino di città d’argento, un bue e otto pecore viene fatto dalla regina al il Dio della Tempesta del Cielo e dal re al Dio della Tempesta di Zippalanda (KUB 15 1 III 17-31).

Si rileva, a volte, una certa diffidenza da parte dell’estensore del voto nei confronti del fatto che le divinità effettivamente esaudiscano il suo desiderio. Questo appare, ad esempio, nel testo oracolare KUB 5 6 I 31-33. Il re autore di questo documento, che può essere identificato in Mursili II, era stato informato del responso di una consultazione oracolare condotta per conoscere il dono da assegnare alle divinità in cambio della guarigione da una malattia. Era stato stabilito di donare un bue e quarantasei pecore; il testo, però, specifica che questi animali verranno consegnati solo quando il re sarà guarito13.

Alcuni testi documentano che in certi casi il voto non veniva adempiuto; questo poteva accadere per motivi oggettivi che rendevano impossibile mantenere la promessa fatta. Ovviamente, non siamo in grado di stabilire se si tratti di impedimenti reali, oppure solo dichiarati. Un passo del già citato testo KUB 15 1 II 11-1714menziona un voto fatto dalla regina; questa aveva promesso di donare

alla divinità Šarrummanni della città di Urikina una “anima” d’oro di peso non specificato e una “anima” d’argento di 10 sicli. È possibile che si intenda qui una riproduzione tridimensionale di un segno luvio-geroglifico15; poteva, forse,

trattarsi del segno a forma di croce ansata che vien letto come “VITA” (nr. *369). La regina afferma di essere stata impossibilitata ad adempiere al suo voto, ma chiede al dio Šarruma di pazientare, salvaguardando, comunque, la salute del re.

12Per le unità di peso ittite vd. VAN DENHOUT1987-1990, 525-527.

13BECKMAN- BRYCE- CLINE2011, 186-187.

14Vd. DEROOS2007, 99-100.

15Vd. DEROOS2007, 99 n. 130.

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