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Archeologia Motivi fondamentali da Le parole e le cose e Archeologia del sapere

2 Le ricerche archeologiche In cammino verso la genealogia

2.5. Archeologia Motivi fondamentali da Le parole e le cose e Archeologia del sapere

Nella Nascita della clinica, come si è visto, Foucault mostra, attraverso la presentazione della progressiva costituzione del moderno sguardo medico, e come in filigrana rispetto ad essa, l’aprirsi all’uomo occidentale di un’esperienza fondamentale, quella della sua finitudine, attraverso la quale esso si viene a collocare, come Foucault dice nell’occasione di un’intervista:

“comme un objet de science possible – les sciences de l’homme – et en même temps comme l’être grâce auquel toute connaissance est possible. L’homme appartenait donc au champ de connaissances comme objet possible et, d’autre part, il était placé de façon radicale au point d’origine de toute espèce de connaissance”517.

Al di là del percorso condotto all’interno della disciplina medica e del suo dominio circoscritto, e in certo senso ad un livello più fondamentale di questo, Nascita della clinica porta alla luce non solo la congiuntura epistemologica che ha reso possibili le scienze umane (e in particolare il sapere medico moderno), ma rivela con ciò stesso, come rileva

Fontana518, le condizioni della stessa archeologia: in essa Foucault esibisce non soltanto

quell’a priori a fondamento di ogni scienza dell’uomo (la corporeità individuale come luogo proprio ed esclusivo della malattia e della sua cura per la medicina, e più in generale l’uomo in quanto oggetto di sapere per quanto concerne tutte le altre discipline antropologiche), ma reperisce attraverso un’indagine archeologica le condizioni stesse della sua ricerca, ovvero interrogando la struttura dello sguardo clinico coglie il punto a partire dal quale l’archeologia si innesta come indagine storica, trova la sua ragione e chiarisce a se stessa il suo compito, che verrà affrontato da Foucault nell’opera successiva, Les mots et les choses (il cui sottotitolo non a caso è Un’archeologia delle scienze umane519).

517 M. Foucault, «Qui êtes-vous, professeur Foucault?» («Che cos’è Lei Professor Foucault?»), (entretien

avec P. Caruso; trad. C. Lazzeri), La Fiera letteraria, année XLII, n° 39, 28 septembre 1967 , in Dits et

écrits I. 1954-1975, cit., p. 636.

518 A. Fontana, Introduzione, in M. Foucault, Nascita della clinica, cit., pp. VII-XXXVII.

519 Come sappiamo tuttavia da Dreyfus e Rabinow, il sottotitolo che Foucault aveva pensato di utilizzare era

Un’archeologia dello strutturalismo; il titolo prescelto era invece L’ordre des choses, ma dovette essere

cambiato perché già presente in un volume precedentemente pubblicato. Cfr. Prefazione, in H. L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 9, e Chronologie, all’interno di Dits et écrits I. 1954-

Insieme a L’archeologia del sapere, Le parole e le cose520 costituisce uno due testi

in cui Foucault affronta in maniera più diretta e chiara la questione dell’archeologia, impiegandola sistematicamente nel secondo e presentandola nella sua articolazione metodologica nel primo. Si illustreranno di seguito, attraverso alcuni affondi nei testi delle opere, alcuni dei principi cardine del metodo archeologico, (in parte già riscontrabili nelle opere precedenti), al fine di ottenerne un quadro sufficientemente esaustivo da poterlo raffrontare con il progetto genealogico, che prende apertamente avvio in Foucault al principio degli anni Settanta.

Dovendo introdurre un concetto dotato di particolare pregnanza e rilevanza nel pensiero di un filosofo, difficilmente si è in grado di evitare il ricorso ad un artificio particolare e tanto più efficace in quanto sa dissimulare la sua provenienza retorica attraverso l’allusione ad un’erudizione sottostante e severa, di cui sarebbe a un tempo l’esempio e la prova: l’etimologia. Si risale così la nobile radice del termine, profondità originaria e purezza senza tempo, che, al riparo dalla storia, ne custodirebbe nondimeno l’intero corso fino all’uso attuale del concetto, compimento d’un divenire che già s’annunciava nell’unità liscia del suo seme.

Sarebbe stato altrettanto possibile, presentando L’archeologia del sapere, sintesi del percorso archeologico foucaultiano, collocarlo all’inizio del presente percorso, come a fornire al lettore il rassicurante conforto di un controllo teorico che Foucault avrebbe esercitato fin da subito sulla sua intera produzione, le cui tappe non sarebbero state se non momenti di una deduzione semplice dall’albero del sapere.

Probabilmente non saremmo riusciti a non cedere alla seduzione etimologica, né a quella retrospettiva, se lo stesso Foucault non ne avesse escluso l’eventualità della prima, puntualizzando la derivazione quasi arbitraria della sua «archeologia»:

“J’ai d’abord employé ce mot de façon un peu aveugle, pour désigner une forme d’analyse qui ne serait pas tout à fait une histoire (au sens où l’on raconte par exemple l’histoire des inventions ou des idées), et qui ne serait pas non plus une épistémologie, c’est-à-dire l’analyse interne de la structure de la science. Ce quelque chose d’autre, je l’ai donc appelé «archéologie»; et puis, rétrospectivement, il m’a paru que le hasard ne m’avait trop mal guidé: après

520 Annunciato in una nota all’interno della Notice historique posta ad introduzione dell’Antropologia dal

punto di vista pragmatico di Kant, tradotta da Foucault come tesi di dottorato a fianco di Folie et Déraison, Le parole e le cose, che Foucault chiamò a lungo “livre sur les signes”, occupò il suo autore dall’autunno del

1963, dopo che ebbe rinunciato alla prosecuzione in un nuovo testo di Storia della follia. Si veda in merito la già citata sezione Chronologie all’interno di Dits et écrits I. 1954-1975, cit., pp. 13-90.

tout, ce mot d’«archéologie», au prix d’un à-peu-près qu’on me pardonnera, j’espère, peut vouloir dire: description de l’archive”521.

Altrettanto, per escludere la seconda chimera filosofica, giova ricordare, come fa sobriamente lo stesso Foucault, che “la cronologia non è pieghevole”, e ogni albero non nasce, esito fortunato e quasi accidentale, che da semi sparsi, alla cui tenacia soltanto deve la sua esistenza. Ecco allora che quei tentativi, composti un po’ alla cieca e in un certo

disordine522, che rispondono ai nomi di Storia della follia, Nascita della clinica e Le parole

e le cose, non sono approssimazioni più o meno imperfette ad un modello che le avrebbe guidate dall’inizio, serbandosi di venire alla luce soltanto alla fine, come compimento del suo stesso disegno, ma costituiscono ciascuna una condizione indispensabile per la realizzazione dell’Archeologia del sapere, frutto maturo e caduco del travaglio delle sue radici. Scrive Foucault:

“qui io non cerco di dire che cosa ho voluto fare una volta in questa o in quella analisi concreta, il progetto che avevo in testa, gli ostacoli che ho incontrato, le rinunce a cui sono stato costretto, i risultati più o meno soddisfacenti che ho

521 M. Foucault, Michel Foucault explique son dernier livre, (entretien avec J.-J. Brochier), Magazin

littéraire, n° 28, avril-mai 1969, in Dits et écrits I. 1954-1975, cit., p. 800. L’intervento foucaultiano

continuava: “Ce mot «archéologie» me gêne un peu, parce qu’il recouvre deux thèmes qui ne sont mas exactement les miens. D’abord, le thème du commencement (archè en grec signifie commencement). Or je n’essaie pas d’étudier le commencement au sens de l’origine première, du fondement à partir de quoi tout le reste serait possible. Je ne suis pas en quête de ce premier moment solennel à partir duquel, par exemple, toute la mathématique occidentale a été possible. Je ne remonte pas à Euclide ou à Pythagore. Ce sont toujours des commencements relatifs que je recherche, plus des instaurations ou des transformations que des fondements, des fondations. Et puis me gêne également l’idée de fouilles. Ce que je cherche, ce ne sont pas des relations qui seraient secrètes, cachées, plus silencieuses ou plus profonde de la conscience des hommes. J’essaie au contraire de définir des relations qui sont à la surface même des discours; je tente de rendre visible ce qui n’est invisible que d’être trop à la surface des choses”. Ibidem. In merito all’«archivio», si veda oltre, infra.

Vi è un ulteriore luogo in cui Foucault chiarisce esplicitamente la provenienza del termine «archeologia»: “Archéologie – je l’ai employé par jeu de mots pour désigner quelque chose qui serait la description de l’archive et non du tout la découverte d’un commencement ou la remise au jour des ossements du passé”. M. Foucault, La naissance d’un monde, (entretien avec J.-M. Palmier), Le Monde, supplément: Le

Monde des livres, n° 7558, 3 mai 1969, in Dits et écrits I. 1954-1975, cit., p. 814.

Anche all’interno del testo dell’Archeologia del sapere, Foucault fa una specificazione a riguardo: “Questo termine [archeologia, ndr] non spinge alla ricerca di nessun inizio; non imparenta l’analisi con nessuno scavo o sondaggio geologico”. In M. Foucault, L’archéologie du savoir, Éditions Gallimard, Paris 1969, trad. it. di G. Bogliolo, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 2005, p. 176.

522 “A questo punto si determina un’impresa di cui la Storia della Follia, la Nascita della clinica, Le Parole e

le Cose, hanno fissato, molto imperfettamente, il progetto. […] Questi compiti sono stati abbozzati con un

certo disordine, e senza che la loro articolazione generale fosse chiaramente definita. Era tempo di dare loro una coerenza, o almeno di provarci. Questo libro è il risultato di questo tentativo. […] Mi rattrista di non essere stato capace di evitare questi pericoli: mi consolo dicendo che erano insiti nell’impresa stessa, poiché, per acquistare le sue dimensioni, essa doveva affrancarsi da quei diversi metodi e da quelle diverse forme di storia; e poi, senza i problemi che mi sono stati posti, senza le difficoltà sollevate, senza le obiezioni, indubbiamente non avrei visto delinearsi nettamente l’impresa a cui, volente o nolente, mi trovavo ormai legato”. M. Foucault, Introduzione, in M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., pp. 21-24.

potuto ottenere; non descrivo una traiettoria effettiva per indicare ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che sarà a partire da oggi: cerco di chiarire in se stessa – per soppesarla e stabilirne le esigenze – una possibilità di descrizione che ho utilizzato senza conoscerne bene i limiti e le risorse [...]”523.

Piuttosto che condurre il lettore nei recessi d’una fuorviante radice etimologica, è forse più utile ad inquadrare in maniera accessibile la sostanza dell’archeologia riferirsi a quanto Foucault stesso ne dice nell’occasione di un’intervista rivoltagli poco prima della pubblicazione del testo Le parole e le cose:

“par archéologie, je voudrais désigner non pas exactement une discipline, mais un domaine de recherche, qui serait le suivant. Dans une société, les connaissances, les idées philosophiques, les opinions de tous les jours, mais aussi les institutions, les pratiques commerciales et policières, les mœurs, tout renvoie à un certain savoir implicite propre à cette société. Ce savoir est profondément différent des connaissances que l’on peut trouver dans les livres scientifiques, les théories philosophiques, les justifications religieuses, mais c’est lui qui rend possible à un moment donné l’apparition d’une théorie, d’une opinion, d’une pratique. […] et c’est ce savoir-là que j’ai voulu interroger, comme condition de possibilité des connaissances, des institutions et des pratiques”524.

A quale livello si colloca questo «sapere» che Foucault vuole indagare? Quali sono l’orizzonte e l’oggetto proprio dell’archeologia, nel momento in cui si voglia definirli in maniera più precisa? Rifiutando la condizione di pacifica evidenza che la storia delle idee riconosce ai suoi oggetti, Foucault si rivolge al sapere occidentale attraverso un approccio che lo indaga in quanto discorso, ossia al livello delle sue concrete produzioni enunciative. Foucault stesso chiarisce bene la portata del compito cui L’Archeologia del sapere ha dato forma conchiusa:

523 Ivi, p. 153. In un’intervista rilasciata negli stessi anni, dirà: “Disons que, dans l’Histoire de la folie et dans

la Naissance de la clinique, j’étais encore aveugle à ce que je faisais. Dans Les Mots et les Choses, un œil était ouvert et l’autre fermé; d’où le caractère un peu boiteux de ce livre: en un certain sens trop théorique, et en un autre sens insuffisamment théorique. Enfin,.dans L’Archéologie, j’ai essayé de préciser le lieu exact d’où je parlais”. M. Foucault, Entrevista com Michel Foucault, (entretien avec J. G. Merquior et S. P. Rouanet; trad. P. W. Prado Jr.), in Merquior (J. G.) et Rouanet (S. P.), O Homem e o Discurso (A Arquelogia

de Michel Foucault), Rio de Janeiro, Tempo Brasileiro, 1971, in Dits et écrits I. 1954-1975, cit., p. 1026.

524 M. Foucault, Michel Foucault, «Les mots et les choses», (entretien avec R. Bellour), Les Lettres

françaises, n° 1125, 31 mars-6 avril 1966, in in Dits et écrits I. 1954-1975, cit., pp. 526-527. La risposta

foucaultiana evidenziava nel seguito un ulteriore carattere dell’archeologia: “Ce style de recherche a pour moi l’intérêt suivant: il permet d’éviter tout problème d’antériorité de la théorie par rapport à la pratique, et inversement. Je traite en fait sur le même plan, et selon leurs isomorphismes, les pratiques, les institutions et les théories, et je cherche le savoir commun qui les a rendu possibles, la couche du savoir constituant et historique”. Ibidem.

“Messe da parte queste forme immediate di continuità, viene a trovarsi libero tutto un campo d’indagine. Un campo sterminato, ma definibile: è costituito infatti dall’insieme di tutti gli enunciati effettivi (sia parlati che scritti), nella loro dispersione di avvenimenti e nell’istanza propria a ciascuno di loro. Prima di occuparsi, con piena certezza, di una scienza, o di romanzi, o di discorsi politici, o dell’opera di un autore oppure di un libro, il materiale che si deve trattare nella sua originaria neutralità è costituito da tutta una folla di avvenimenti nello spazio del discorso in generale. Si delinea in tal modo il progetto di una descrizione pura degli avvenimenti discorsivi come orizzonte per la ricerca delle unità che vi si formano”525.

Gli enunciati emergono così come l’elemento primo dell’analisi archeologica, in quanto parte minima di un discorso che è a un tempo la sommatoria della loro moltitudine e il campo della loro distribuzione regolata; compito dell’archeologia è di descriverne le regolarità, le condizioni effettive di emergenza e le leggi di dispersione. L’enunciato non possiede infatti una leggerezza immateriale che gli consentirebbe in ogni momento di indugiare tra l’inesistenza e la caduta nel linguaggio, nel limbo d’un puro arbitrio di compossibilità; la sua esistenza risponde invece a determinate regole, che ne stabiliscono il corredo di necessità: compito dell’archeologia è allora quello di “mostrare per quali ragioni” un enunciato “non poteva essere diverso da quello che era, in che senso sia esclusivo di ogni altro, come assuma, in mezzo agli altri e in rapporto ad essi, una

posizione che non potrebbe occupare nessun altro”526.

Distinta dalla frase, dalla proposizione e dallo speech act527, l’enunciato, o meglio,

la funzione enunciativa si contraddistingue, oltre che per il rapporto che la lega al soggetto,

il correlato, e il campo associato che le è proprio528, anche per quella che Foucault chiama

525 M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 37 [corsivo nel testo]. 526 Ivi, p. 38.

527 “[...] l’enunciato non è un’unità dello stesso genere della frase, della proposizione o dell’atto di

linguaggio; non dipende dagli stessi criteri; ma non è neppure un’unità come potrebbe esserlo un oggetto materiale che ha i suoi limiti e la sua indipendenza. Esso, nella sua singolare maniera di esistere (né completamente linguistica, né completamente materiale), è indispensabile perché si possa dire se c’è o non c’è frase, proposizione, atto di linguaggio; […] Più che un elemento tra gli altri, più che di un’entità rintracciabile ad un certo livello di analisi, si tratta di una funzione che si esercita verticalmente nei confronti di queste diverse unità, e che permette di dire, a proposito di una serie di segni, se esse vi sono o non vi sono presenti”. Ivi, p. 115.

528 “Esaminando l’enunciato, si è scoperta una funzione che riguarda degli insiemi di segni, che non si

identifica né con l’«accettabilità» grammaticale né con la correttezza logica, e che richiede, per esercitarsi: una referenzialità (che non è esattamente un fatto, uno stato di cose, e nemmeno un oggetto, ma un principio di differenziazione); un soggetto (non la coscienza parlante, non l’autore della formulazione, ma una posizione che può essere occupata a certe condizioni da individui differenti); un campo associato (che non è il contesto reale della formulazione, la situazione in cui è stata articolata, ma un campo di coesistenza per altri enunciati); una materialità (che non è soltanto la sostanza o il supporto dell’articolazione, ma uno statuto, delle regole di trascrizione, delle possibilità d’uso e di riutilizzazione)”.Ivi, p. 154. Si veda, in merito ai caratteri fondamentali della funzione enunciativa, anche l’approfondita trattazione foucaultiana alle pp.

una “gravezza modificabile”529, che affonda nello spessore del discorso: l’emergenza di un

enunciato è legata infatti ad un numeroso intreccio di condizioni, costituite da una soglia storica ed epistemologica ed entro di essa dalla particolarità di un determinato “contesto di istituzioni materiali”530 e quadri di sapere che conferiscono alla possibilità enunciativa delle

limitazioni e delle distribuzioni non arbitrarie, e alla sua esistenza una specifica forma di necessità. In altre parole, si potrebbe dire, parafrasando Foucault, che «non ogni cosa può

essere detta in ogni tempo»531: l’insorgenza di un enunciato, il venire al linguaggio da parte

di un oggetto, sono eventi che l’archeologia studia nel loro carattere irruttivo ma anche determinato, riconoscendo, come ricordava Veyne, l’anteriorità della pratica discorsiva nei confronti dei suoi poli di correlazione oggettivi:

“l’oggetto”, scrive Foucault, “non aspetta nel limbo l’ordine che lo libererà e gli permetterà di incarnarsi in una visibile e loquace oggettività; non preesiste a se stesso, quasi fosse trattenuto da qualche ostacolo alle soglie della luce. Esiste nelle positive condizioni di un complesso ventaglio di rapporti”532

che la pratica discorsiva raccoglie e intreccia con il suo fare specifico. Per questo l’archeologia, trattando i discorsi “come delle pratiche che formano sistematicamente gli

oggetti di cui parlano”533 e soffermandosi sulla loro consistenza, mira a “sostituire al tesoro

enigmatico delle «cose» prima del discorso, la formazione regolare degli oggetti che si designano soltanto in esso”534.

In un articolo dal titolo The Mandarin of the Hour: Michel Foucault, George Steiner critica apertamente Le parole e le cose, reperendo tra l’altro (erroneamente) in Freud la provenienza del termine foucaultiano «archeologia»; nella sua risposta, dall’eloquente titolo Monstrosities in criticism535, Foucault replica alle accuse e alle

obiezioni di Steiner precisando l’origine kantiana della parola, utilizzata dal filosofo

117-141. Per un approfondimento critico, si rimanda al saggio di C. Sini, Eracle al bivio, cit., pp. 185-201.

529 M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 140.

530 C. Sini, Il sapere archeologico, in Effetto Foucault, a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano 1986, p.

121.

531 “Non si può in qualunque epoca parlare di qualunque cosa; non è facile dire qualcosa di nuovo; non basta

aprire gli occhi, fare attenzione, o prendere coscienza, perché immediatamente nuovi oggetti si illuminino e gettino il loro primo chiarore ai nostri piedi”. In M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 61.

532 M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 61. 533 Ivi, p. 67.

534 Ivi, p. 65.

535 M. Foucault, Monstrosities in criticism, Diacritics, t. I, n° 1, automne 1971, in Dits et écrits I. 1954-1975,

cit., pp. 1082-1091. L’articolo di G. Steiner comparve sul New York Times Book Review nel febbraio del 1971.

tedesco “pour désigner l’histoire de ce qui rend nécessaire une certaine forme de pénsée”536.

Foucault riassume in questa proposizione la sostanza del suo debito intellettuale con Kant, riconducendo l’archeologia ad indagine volta a “decifrare nello spessore della storia le condizioni della storia stessa”537. Nel testo kantiano, a riprova della sua

omogeneità con la sua elaborazione da parte di Foucault, si legge in effetti che “ogni conoscenza storica è empirica, e quindi conoscenza delle cose come esse sono; non già conoscenza del fatto che esse devono essere necessariamente così”, e che “la conoscenza razionale le rappresenta secondo la loro necessità”538. La necessità che Foucault

concettualizza nella sua archeologia è quella che deriva alla storia e ai suoi prodotti dalle

loro condizioni di possibilità, che egli chiama, con un “effetto un po’ stridente”539, a priori

storico.

Questo concetto costituirà in Foucault uno dei cardini dell’archeologia e assieme

uno dei momenti più difficili e ambigui di questo progetto. Sebbene, come illustra Han540,

536 Ivi, p. 1089. La ricorrenza del termine «archeologia» in Kant è indicata da Foucault in un testo di risposta

a una questione avanzata nel 1788 dall’Accademia di Berlino, dal titolo: “Quali sono i reali progressi della metafisica in Germania dai tempi di Leibniz e Wolf?”. Nel testo dell’intervento di risposta, che si riporta per