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Tra genealogia e volontà di potenza: l’interpretazione

In un precedente paragrafo si è affrontata la complessa relazione che lega genealogia e volontà di potenza nel pensiero di Nietzsche; dovendola riprendere in breve, si potrebbe affermare che la genealogia viene progressivamente rischiarando attraverso «il lume del suo metodo» un terreno, quello della storia, su cui scopre agire la stessa volontà di potenza che essa sa muovere la sua ricerca. Se si è osservata la loro fondamentale attiguità topografica, attraverso la descrizione dei rapporti spaziali che condividono, poco si è ancora detto del ‘giunto cardanico’ che consente la dinamica coordinata delle due: l’interpretazione. Punto di raccordo tra genealogia e volontà di potenza, l’interpretazione costituisce di per sé un altro cardine del pensiero nicciano; il seguente passo della Genealogia della morale aiuta ad intuire la centralità del ruolo che essa gioca in Nietzsche:

“qualche cosa d’esistente, venuta in qualche modo a realizzarsi, è sempre nuovamente interpretata da una potenza superiore in vista di nuovi propositi, nuovamente sequestrata, rimanipolata e adattata a nuove utilità: [...] ogni accadimento nel mondo organico è un sormontare, un signoreggiare e [...] a sua volta ogni sormontare e signoreggiare è un reinterpretare, un riassettare, in cui necessariamente il «senso» e lo «scopo» esistiti sino a quel momento devono offuscarsi o del tutto estinguersi. […] Ma tutti gli scopi, tutte le utilità sono unicamente indizi del fatto che una volontà di potenza ha imposto la sua signoria su qualcosa di meno potente e gli ha impresso, sulla base del proprio arbitrio, il senso di una funzione; e l’intera storia di una «cosa», un organo, di un uso può essere in tal modo che accenna a sempre nuove interpretazioni e riassestamenti […]”128.

Laddove il senso comune vede un commento, un’opinione o una prospettiva di lettura esteriore e successiva al ‘testo’, l’interpretazione è per Nietzsche una condizione intrinseca all’oggetto, un principio endogeno di morfogenesi, che fa dell’oggetto non un presupposto ma un portato della sua azione. L’interpretazione è innanzitutto un processo organico, viscerale, anatomico di sovversione e brutale riadattamento: è un’azione materiale di rovesciamento e appropriazione, l’atto e insieme il provvisorio risultato della dinamica delle forze in gioco. L’interpretazione, se si vuol usare con la necessaria

circospezione129 una definizione, non è che l’atto indefesso della volontà di potenza. Come

ha colto molto bene Foucault,

128 Ivi, p. 66.

“se interpretare è impadronirsi, attraverso violenza o surrezione, di un sistema di regole che non ha un significato essenziale in sé, ed imporgli una direzione, piegarlo ad una volontà nuova […], allora il divenire dell’umanità è una serie di interpretazioni. E la genealogia deve esserne la storia”130.

Se l’interpretazione designa ciascun momento dell’indefinita espansione e affermazione della potenza, la genealogia ne è la storia effettiva, consapevole della propria parzialità e della sua stessa natura interpretante. La genealogia si sa atto del dramma che annuncia, e ne porta in sé, mettendola a profitto, l’intrinseca ‘tragedia’ – come scrive

Foucault, “non rifiuta il sistema della propria ingiustizia”131. L’interpretazione è dunque il

geroglifico di una storia che la genealogia sola sa decifrare, ed è il gesto stesso di questa decifrazione; nelle parole di Béatrice Han, “l’interprétation [est] à la fois l’objet analysé et

la méthode généalogique elle-même”132. Affermando il ruolo chiave dell’interpretazione,

Nietzsche non la oppone alla verità, come se ne costituisse una degenerazione o un riflesso «umano, troppo umano». Laddove alla celebre formula: “non esistono fatti, solo interpretazioni”, aggiunge “anche questa è un’ interpretazione”, non si deve pensare che Nietzsche voglia attenuare la portata della sua affermazione, perché ne misura invece, attraverso la specificazione, tutta l’estensione. Nietzsche enuncia l’universale verità dell’interpretazione: ovunque è interpretazione, e non c’è nulla da aggiungere. Come scrive

Foucault133: “se l’interpretazione non può mai concludersi, vuol dire semplicemente che

non c’è nulla da interpretare […] non c’è nulla di assolutamente primo da interpretare,

perché, in fondo, tutto è già interpretazione”134: nessun quid neutro su cui esercitare la

riflessione ermeneutica, ma solo uno spazio sconnesso di geometrie della forza la cui essenza è di esprimere la propria potenza, ossia interpretare. Il cammino dell’interpretazione disegna così una spirale ininterrotta, che in un gesto perennemente autofagico, cancella con il suo stesso movimento il suo presupposto, e ritrova così sempre se stessa. Eterno ritorno.

130 M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 53. 131 Ivi, p. 57.

132 B. Han, L’ontologie manquée de Michel Foucault, Editions Jérôme Millon, Grenoble 1998, p. 165. 133 Nietzsche, Freud, Marx, in M. Foucault, Archivio Foucault 1, cit., pp. 137-146.

1.2.4. Il soggetto

Quello della genealogia si configura in Nietzsche come un metodo nel cui prisma molte architetture della filosofia tradizionale vengono scomposte e riconfigurate in maniera

tanto diversa da risultare talvolta irriconoscibili, se non vengono addirittura eliminate135.

L’indagine storica delle condizioni di apparizione e la complessa trafila della provenienza giunge infatti a coinvolgere e mettere in discussione anche la fondamentale categoria del «soggetto». Nietzsche assume come progetto costante della sua ricerca la destituzione del soggetto filosofico dalla sua sovranità fondativa, fino al suo smembramento e alla sua distruzione: quella del «soggetto» è per Nietzsche superstizione in quanto la metafisica pretende di fondarlo su una sostanza la cui natura è in realtà mera convenzione socio- grammaticale. Quella che Nietzsche opera nel corso della sua produzione è una serie di progressivi colpi inferti al soggetto, ciascuno tale da distruggere una parte della sua figura, fino a non lasciare che un cumulo di macerie. Innanzitutto il soggetto viene privato da Nietzsche della sua libertà, e con essa di ogni diritto di cittadinanza nel regno della morale:

“Alla fine si scopre che neanche questo essere può portare la responsabilità, in quanto esso è in tutto e per tutto conseguenza necessaria e concresce dagli elementi e dagli influssi di cose passate e presenti: cioè che l’uomo non è da tenere responsabile per niente, né per il suo essere, né per i suoi motivi, né per le sue azioni, né per i suoi effetti. Con ciò si è giunti a riconoscere che la storia dei sentimenti morali è la storia di un errore, dell’errore della responsabilità: il quale risposa sull’errore della libertà del volere”136.

Il passo successivo della critica nicciana distrugge tutte le pretese conoscitive dell’uomo, la cui razionalità è ridotta alla risultante dell’indefinito scontro tra gli istinti137:

“L’«esser cosciente» non può essere contrapposto, in qualche maniera decisiva, all’istintivo – il pensiero cosciente di un filosofo è per lo più segretamente diretto dai suoi istinti e costretto in determinati binari. Anche dietro ogni logica […] stanno apprezzamenti di valore, o per esprimermi più chiaramente, esigenze fisiologiche di una determinata specie di vita”138.

135 “Oggi qualcosa che tu hai amato come una verità o una verosimiglianza ti appare come un errore: lo

respingi da te e credi a torto che la tua ragione abbia qui riportato una vittoria. Ma forse allora, quando ancora eri un altro – tu sei sempre un altro –, ti era altrettanto necessario quell’errore quanto tutte le tue «verità» di oggi […] Noi neghiamo e dobbiamo negare, perché qualcosa in noi vuole vivere e affermarsi, qualcosa che forse ancora non conosciamo, ancora non vediamo! – Questo sia detto a vantaggio della critica”. In F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., § 307, pp. 222-223.

136 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, cit., § 39, pp. 49-50. 137 Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., § 333, p. 236. 138 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., § 3, p. 9.

Attraverso la lente storica della genealogia, la stessa facoltà della conoscenza, orgoglio del genere umano, si rivela frutto di una fabbricazione, e per nulla appartenente

alla natura umana: “Non abbiamo nessun organo per il conoscere, per la «verità»”139. Il

soggetto inoltre, che fonda la sua capacità conoscitiva sulla propria presunta sovranità, viene ricondotto alla sua vera statura: non idealisticamente presupposto e condizione del conoscere e della stessa realtà, ma esito, epifenomeno di forze agenti sotto la sua pelle, sintesi di istinti e affetti ereditati da un passato che non cessa di agire in lui:

“Ho scoperto per me che l’antica umanità e animalità, perfino tutto il tempo dei primordi e l’intero passato di ogni essere sensibile, continua dentro di me a meditare, a poetare, ad amare, o odiare, a trarre le sue conclusioni”140. E ancora

altrove: “Se ci si è esercitati un po’ l’occhio a riconoscere e a cogliere sul fatto, in ogni libro erudito, in ogni trattazione scientifica, l’idiosincrasia intellettuale del dotto – ogni dotto ne ha una –, quasi sempre si potrà vedere dietro di essa la «preistoria» del dotto, la sua famiglia, e particolarmente i diversi generi di professioni e i mestieri di essa”141.

Smentita la sua natura etica, umiliato nella sua facoltà più stimata, destituito della sua sovranità da una preistoria tenace, da parte di Nietzsche il soggetto riceve la sua definitiva rimozione in un passo della Genealogia, che ne elimina l’intera categoria logico- grammaticale:

“[…] la seduzione della lingua […] intende e fraintende ogni agire come condizionato da un agente, da un «soggetto». […] Ma un tale sostrato non esiste: non esiste alcun «essere» al di sotto del fare, dell’agire, del divenire; «colui che fa» non è che fittiziamente aggiunto al fare […] la nostra intera scienza, a onta di tutta la sua freddezza, della sua estraneità ai moti affettivi, sta ancora sotto la seduzione della lingua e non si è sbarazzata di questi falsi infanti supposti, i «soggetti»”142.

139 F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., § 354, p. 273. 140 Ivi, § 54, p. 99.

141 Ivi, § 348, p. 262.

142 F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 34. Sulla mitologia filosofica che sarebbe celata nel

linguaggio, si veda: “Nella lingua si cela una mitologia filosofica che in ogni momento sbuca di nuovo fuori, per prudenti che si possa essere. La credenza nella libertà del volere […] ha nella lingua il suo costante evangelista e avvocato”. F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, cit., § 11, pp. 140-141; Si legga anche: “È lo stesso di quel che accade nei movimenti delle grandi costellazioni: nel caso di queste l’errore ha il costante patrocinio del nostro occhio, nel nostro caso invece ha quello del nostro linguaggio. Il linguaggio, quanto alla sua origine, appartiene all’epoca della più rudimentale forma di psicologia: noi entriamo in un grossolano feticismo se acquistiamo consapevolezza dei presupposti fondamentali della metafisica del linguaggio, ossia, per esprimerci chiaramente, della ragione. Tale feticismo vede dappertutto uomini che agiscono e azioni: crede alla volontà soprattutto come causa; crede all’«io», all’io come essere, all’io come sostanza, e proietta la fede nell’io come sostanza in tutte le cose – soltanto in tal modo crea il concetto di «cosa» […]. La

Come sottolinea Mahon, “the crucial error committed by the metaphysician, from Nietzsche’s point of view, is to separate the actor from the activity”; e laddove “the metaphysician posits a spiritual causality that resides in the will or intention of the agent […] Nietzsche’s decentering of the intending subject as the single source of actions and

events calls forth a genealogical approach to manifest the multiplicity of the origin”143.

Quella del soggetto non è in fondo una realtà eccessivamente ambiziosa o supponente, che Nietzsche si impegnerebbe a ritrarre nelle sue effettive dimensioni. Nemmeno è una chimera, o la creazione della fantasia di qualche filosofo: la sua esistenza, per come la intende la metafisica, è coniata da una lingua in cui si nasconde una mitologia

filosofica verso la quale Nietzsche suggerisce di guardare con sospettosa ironia144. Michel

Foucault accetta l’invito di Nietzsche, e insegue nella sua realtà sfuggente il soggetto in tutto il corso del suo pensiero. Alla metà degli anni Settanta, quando è nel pieno delle sue ricerche genealogiche, afferma:

“Bisogna sbarazzarsi del soggetto costituente, sbarazzarsi del soggetto stesso, giungere cioè ad un’analisi storica che possa render conto delle costituzione del soggetto nella trama storica. Ed è questo che chiamerei la genealogia, una forma cioè di storia che renda conto della costituzione dei saperi, dei discorsi, dei campi di oggetti, ecc., senza aver bisogno di riferirsi ad un soggetto che sia trascendente rispetto al campo di avvenimenti che ricopre, nella sua identità vuota, lungo la storia”145.

Anni dopo, il suo giudizio sarà più pacato, e riconoscerà che quel soggetto che avrebbe voluto eliminare definitivamente era stato l’unica vera cifra del suo pensiero. Comincerà nell’ultimo Foucault una riflessione diversa, che allo sforzo de-soggettivante della genealogia, sostituirà il tentativo di una soggettivazione prima e oltre ogni inevitabile assoggettamento.

«ragione» nel linguaggio: oh, quale vecchia donnicciola truffatrice! Temo che non ci sbarazzeremo di Dio perché crediamo ancora alla grammatica…”. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, cit., La «ragione» nella

filosofia, § 5, p. 43.

143 M. Mahon, Foucault’s Nietzschean Genealogy. Truth, Powe and the Subject, SUNY Press, Albany 1992,

p. 124.

144 “Non è forse permesso essere un po’ ironici verso il soggetto, come verso oggetto e predicato? Non

potrebbe forse il filosofo innalzarsi al di sopra della fiducia nella grammatica? Con tutto il rispetto delle governanti, non sarebbe questo il momento che la filosofia rinunciasse alla fiducia nelle governanti?”. In F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., § 34, p. 43.