II. L’etruscologia nell’Italia fascista
2. Discipline dell’etruscologia sotto il fascismo
2.1 Archeologia e storia dell’arte
Uno dei grandi temi del dibattito etruscologico è quello sul valore e sulle caratteristiche dell'arte etrusca, particolarmente in rapporto a quella greca. In Italia, seguendo la tendenza già emersa in seguito alla scoperta dell'Apollo di Veio, si forma un consenso nazionalista teso a sostenere l'originalità, l'autonomia dai modelli greci e il carattere “italico” dell'arte etrusca.
A conferma della continuità ideologica tra primo dopoguerra e fascismo, nel congresso internazionale del 1928 ritroviamo Giulio Quirino Giglioli come teorico dell'autonomia dell'“arte nazionale etrusco-italica” rispetto ai modelli greci499. All'università per stranieri di
Perugia, nel 1929, l’archeologo dichiara di credere alla ripresa di motivi etruschi nell'arte medievale e rinascimentale, “più per genio alla stessa stirpe che per imitazione di monumenti antichi”500 Negli anni successivi, parallelamente al suo impegno come organizzatore del mito
fascista della romanità, Giglioli prosegue nella sua divulgazione di tali idee sugli Etruschi. Nel suo importante libro sull'arte etrusca del 1935, che riproduce fotografie di pittura e scultura,
499 Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), Atti del primo congresso internazionale
etrusco, cit., p. 90.
500 Giulio Quirino Giglioli in “Annuario della R. Università Italiana per Stranieri di Perugia”, 1929, 21 settembre 1929, p. 23.
scrive che “per noi Italiani l'arte e la civiltà etrusca rappresentano la prima alta manifestazione culturale nostra”, definendole etnicamente come “fusione tra l'elemento etrusco e l'elemento italico dell'Italia centrale”501. Ancora in questa sede, dedica il suo lavoro “ai nostri artisti”:
L'arte contemporanea di questa nostra adorabile Italia, che noi Fascisti vogliamo fare degna del Duce, riportandola verso tutte le mete più alte, può infatti, pur cercando nuove vie, molto apprendere e molto ispirarsi dallo studio dell'arte nostra, a cominciare appunto dal suo primo fiorire nei secoli della prima giovinezza della Nazione, quando sbocciava fragrante ad attestare che già duemilacinquecento anni or sono, e prima ancora, l'Italia aveva una sua mirabile civiltà502.
L'intento riuscirà, come dimostra l’ammissione di Arturo Martini di aver consultato questo libro503. Idee simili sono espresse da Alessandro Della Seta, che non partecipa direttamente ai
dibattiti dell'etruscologia essendo impegnato in Grecia. Coerentemente con le idee espresse a partire dal 1921, nel 1930 scrive che l'arte degli Etruschi, pur partendo da modelli greci, li trasforma secondo il “carattere della civiltà etrusca”504 in senso più umano e meno ideale.
Ancora nel 1937 scriverà che il “problema dell'arte etrusca” vada visto nel contesto della sua “formazione” in Italia, a prescindere dalla questione delle origini etniche505.
Al convegno del 1926 anche Pericle Ducati, pur sottolineando l'affinità con le arti delle civiltà del Mediterraneo orientale, teorizza l'autonomia estetica dell'arte degli Etruschi. Al contrario, il popolo fenicio sarebbe secondo lui “pedissequo imitatore e contaminatore”, “esprimente bastarde forme d'arte”506. L'archeologo bolognese descrive l'arte etrusca tramite categorie come
verismo, accentuazione di corporeità e movimenti scomposti, originalità rispetto ai modelli greci - esprime gli stessi concetti anche nel 1928507. La decadenza etrusca avrebbe
successivamente portato alla rappresentazione scultorea di tipi fisicamente decadenti come l'obesus etruscus, (III secolo a.C.), mentre la romanizzazione avrebbe determinato un rifiorire dell'arte, espressa in rappresentazioni di figure più virili come l'Arringatore (II-I secolo a.C.).
501 Id., L'arte etrusca, Treves, Milano, 1935, p. XI. 502 Ivi, p. XIII.
503 Gino Scarpa, Colloqui con Arturo Martini, cit., pp. 150-151.
504 Alessandro Della Seta, Il nudo nell'arte. I. L'arte antica, Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma, 1930, pp. 612-614.
505 Id., Arte tirrenica di Lemno, in “Archaiologiki Ephemeris” 1937, 2, p. 654.
506 Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), I° Convegno Nazionale Etrusco, vol. II, cit., p. 75.
507 Cfr. Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), Atti del primo congresso
internazionale etrusco, cit., pp. 77-78; Pericle Ducati, Laminette eburnee del museo civico di Bologna, in
Come vedremo, Ducati approfondirà successivamente in senso razzista questa sua analisi fisica degli Etruschi. Già nel 1926, però, usa un’argomentazione razziale per sostenere la sopravvivenza dell'arte etrusca in quella toscana rinascimentale: la spiegazione viene infatti trovata nella rinascita della stirpe che ha contribuito, con Roma, a formare l'Italia508. Il discorso
razziale sulla continuità della stirpe etrusca attraverso i millenni legittima, nel pensiero di Ducati, la teorizzazione dell'etruscologia come vero e proprio “dovere nazionale”509. Già nel
1924, del resto, l'archeologo, scrivendo su “Dedalo” di ritrovamenti archeologici in Emilia, presenta i contadini che scoprono manufatti antichi nelle loro terre come simboli della “inesauribile forza di vitalità dell'italica stirpe”, che grazie alla loro “rude e benedetta fatica” offrono agli studiosi “il perfezionamento dello spirito”510. Nel 1927, pubblicando il suo
importante volume di storia dell'arte etrusca per la casa editrice dell'Ente per le Attività Toscane, Ducati rivendica il ruolo degli italiani nell'etruscologia per indagare le testimonianze della “nobiltà della nostra stirpe”, i “gloriosi documenti d'italianità” che tutti gli Italiani dovrebbero conoscere per guardare con fede al futuro dell'Italia511. In un articolo del 1928, ancora su
“Dedalo”, l’archeologo parla di “maschio, franco accento di un'arte che deriva da greche scaturigini, ma che mantiene nei concetti e nelle forme i caratteri indelebili della stirpe”512.
Ducati avrebbe continuato negli anni successivi a sostenere tali idee sull'arte etrusca513. Ancora
negli anni della Seconda guerra mondiale, presentando al pubblico francese due pubblicazioni divulgative sull'arte etrusca, affermerà la sua originalità rispetto ai modelli greci, suggerendone allo stesso tempo la continuità attraverso millenaria nell'arte toscana medievale e rinascimentale514.
Al convegno nazionale del 1926 viene presentato un intervento importante per l'etruscologia, non solo da un punto di vista storico-artistico: quello di Giuseppe Cultrera, successore di Giglioli alla direzione di Villa Giulia e direttore del museo di Tarquinia-Corneto515. Il contributo
508 Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), I° Convegno Nazionale Etrusco, vol. II, cit., p. 83-85.
509 Ivi, p. 86.
510 Pericle Ducati, Gli scavi di Valle Trebbia presso Comacchio: un rhyton e quattro balsamari attici, in “Dedalo” V, 7, dicembre 1924, p. 414.
511 Id., Storia dell'arte etrusca, Rinascimento del libro, Firenze, 1927, vol. I, p. 10. 512 Id., Una tomba di Felsina, in “Dedalo” IX, 6, novembre 1928, p. 353.
513 Cfr. Id., L'arte in Roma dalle origini al sec. VIII, Cappelli, Bologna, 1938, p. 20.
514 Cfr. Id., La sculpture étrusque, Alpina, Paris, 1942; Id., La peinture étrusque, Alpina, Paris, 1943. 515 Su Giuseppe Cultrera cfr. Maria Nicoletta Pagliardi, Giuseppe Cultrera, in Ministero per i beni e le
attività culturali, Dizionario biografico dei Soprintendenti Archeologi, cit., pp. 218-226; Alessandra Sileoni (a cura di), Ricerca, tutela e valorizzazione. Il contributo di Giuseppe Cultrera in Italia e a Corneto Tarquinia.
Atti della Giornata di Studio (Tarquinia, Palazzo dei Priori 18 febbraio 2017), in “Società Tarquiniense d’Arte
di Cultrera viene pubblicato l'anno successivo nel primo volume della nuova rivista, “Studi Etruschi”516. Nello stesso periodo, la cultura artistica italiana è impegnata nel dibattito sull'arte
fascista e sui rapporti tra artisti e nuovo regime: è questo il clima nel quale si sviluppano anche i dibattiti sull'arte antica. Secondo Cultrera, anche ammettendo la provenienza extra-italica degli Etruschi, la loro civiltà va posta nel contesto dei popoli italici che la influenzano e vi partecipano già prima della romanizzazione. Ne consegue che la civiltà etrusca vada considerata di fatto italica. Questa impostazione della questione etrusca, già presente in Giglioli e Della Seta e destinata a una lunga fortuna, viene poi applicata alla storia dell'arte. Cultrera sottolinea le capacità creative e non solo imitative degli Italici, e considera l'arte etrusca un'arte italica. Tenta di spiegarsi con un esempio: nella storia dell'arte italiana si possono individuare peculiarità regionali, ma nessuno potrebbe astrarre l'arte di una regione dal contesto nazionale. Allo stesso modo, l'arte etrusca sarebbe solo la declinazione regionale di una più vasta arte italica, di cui, per esempio, farebbe parte anche l'arte della Magna Grecia. L'arte italica è descritta come autonoma dai modelli greci, così come quella romana, nella quale vi sarebbe una “continuità di vita materiale e spirituale del popolo italico”, e quindi del “popolo di Roma”, basta sulla “comunanza di razza, di costumi, di credenze, di tradizioni”517. La continuità
dell'arte è dunque esplicitamente legata alla continuità razziale, “dal primitivo tracciato delle terramare all'arco di Costantino, ed oltre”518. Ancora nel 1928, partecipando al I Congresso di
studi romani, Cultrera afferma il carattere unitario dell'arte italica, etrusca e romana, e rivendica il ruolo del museo di Villa Giulia come museo italico, e non solo “etrusco” o “pre-romano”, perché esso espone l'arte di un'unica civiltà e di un'unica razza che ha prodotto opere in momenti storici diversi519. L'interpretazione di Cultrera esplicita così tra gli studiosi una tendenza già
presente a partire dalla scoperta dell'Apollo di Veio: la proiezione del concetto di nazione nell'antichità, e la sua interpretazione secondo categorie razziali.
Nel contesto fascista, questa tendenza ideologica viene esplicitamente rivendicata per legittimare scientificamente il nazionalismo del regime. Già nel 1925, al congresso di scienze dell'antichità di Weimar, l'archeologo tedesco Gerhart Rodenwaldt aveva definito l'arte etrusca come italica520, e al congresso del 1928 questa concezione è condivisa anche dal suo collega
516 Giuseppe Cultrera, Arte italica e limiti della questione etrusca, in “Studi Etruschi” I, 1927, pp. 71-94. 517 Ivi, pp. 87-88.
518 Ivi, p. 93.
519 Id., La romanità pre-imperiale e il museo di Villa Giulia, in Istituto di Studi Romani, Atti del I Congresso
Nazionale di Studi Romani, Roma, 1929, pp. 43, ss.
tedesco Friedrich Matz, che considera l'arte etrusca fondamentalmente italica, in continuità con l'arte precedente villanoviana e con quella successiva di Roma, distinta dall'arte greca521. Ma
nell'Italia fascista questo nuovo consenso sull’“italicità” degli Etruschi assume inevitabilmente un senso nazionalista. L'intervento di Cultrera del 1926 è indicato come modello, tra gli altri, da Pericle Ducati522, e Bartolomeo Nogara rivendica di aver presentato per primo l'arte etrusca
come arte italica e autonoma dai modelli greci, individuandone continuità nell'arte medievale toscana523 - in realtà, come abbiamo visto, nel 1921 ammetteva ancora un debito culturale
etrusco verso la Grecia. Il direttore dei musei vaticani torna ad insegnare Etruscologia per stranieri a Perugia dal 1926, nel contesto della nuova Università Italiana per Stranieri524. Di
fronte a studenti e turisti stranieri, negli anni trenta Nogara sostiene la diversità dell'arte etrusca dall'arte greca: nell'Apollo di Veio sarebbero rafffigurate le “tendenze etrusche che passano poi nell'arte romana e con l'arte romano-italiana si perpetuano in tutto il mondo”. Nogara contrappone quest'arte a quella bizantina, “arte che è deviata (non ci fermeremo a spiegarne il perché) dalle vie naturali per sconfinare nel mondo delle astrazioni e si spiega come il novecentismo di alcuni artisti moderni”525.
Tra i protagonisti dell’interpretazione dell'arte etrusca come arte italica, nel senso indicato da Cultrera, assume un ruolo fondamentale Ranuccio Bianchi Bandinelli. Già nel giugno 1925, contemporaneamente alla mediazione per il finanziamento delle ricerche etruscologiche, pubblica un articolo su “Dedalo” in questo senso. In questa sede, il giovane studioso registra lo sviluppo di nuovo interesse per l'Etruria, “crogiuolo di fusione della prima civiltà italica”, che i “nostri spiriti ansiosi di nuova bellezza” non possono più sentire per l'arte classica. Questo nuovo interesse, invece di risolversi in “romanticherie di gusto nordico”, sta dando vita a nuovi studi. Nell’ottica di Bianchi Bandinelli, “il regionalismo artistico italiano comincia invero dal tempo etrusco; si perde, fondendosi, nel dominio universale dell'impero romano, per risorgere e svilupparsi magnificamente alla fine del medioevo”. L'arte etrusca è interpretata in senso etnico e italico, ma anche in senso filosofico: in generale, l'arte è per lui “espressione involontariamente simbolica di una umanità nella sua essenza etica e spirituale”526. La
521 Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), Atti del primo congresso internazionale
etrusco, cit, p. 99.
522 Pericle Ducati, Il Convegno Nazionale Etrusco, in “Historia” I, 1927, p. 97.
523 Bartolomeo Nogara, Gli Etruschi e la loro civiltà, Hoepli, Milano, 1933, pp. XIX, ss e 365-367.
524 Cfr. Id., Gli studi etruschi negli ultimi cento anni. Introduzione, in “Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri” 30 luglio 1939, p. 97.
525 Id., Verità, pregiudizi e problemi intorno agli Etruschi, ivi, 8 agosto 1936, p. 86.
formazione di Bianchi Bandinelli risente in questi anni dell'influenza della scuola di Vienna, di Lionello Venturi527 e poi, almeno dal 1928, di Benedetto Croce, con cui entra in contatto
epistolare dopo averne letto la Storia d'Italia dal 1871 al 1915. Croce, in particolare, diventerà per lui durante il decennio successivo un modello etico e filosofico in senso antipositivista, idealista, storicista528. A livello professionale, queste influenze allontanano Bianchi Bandinelli
dalla topografia e dall'archeologia militante – nel 1927-28 lavora nell'unico scavo della sua vita, a Sovana – per indirizzarlo verso la storia dell'arte antica. Nel 1925 questo percorso è agli inizi, e il confronto con l'arte greca si risolve ancora a vantaggio di quest'ultima. L'archeologo trova nell'arte etrusca un difetto di “idealizzazione” e di “ricerca delle forme”529, e i suoi artisti “più
modellatori che scultori”, creatori di una “solennità massiccia e severa”530. Rispetto alla
conoscenza anatomica degli artisti greci classici, gli Etruschi avrebbero commesso veri e propri “errori” nella loro scultura figurativa531. La decadenza della loro arte prima della conquista
romana è descritta come la fine di un “ciclo culturale”, “impotenza a far rispondere la materia, a dominare la resistenza che essa oppone alla forma”532. In generale, gli Etruschi - secondo
Bianchi Bandinelli - non ebbero mai una “visione etica” sviluppata come quella greca, né giunsero mai alla “contemplazione della pura teoria”533. Ma l'articolo si conclude comunque
con il riconoscimento della “enorme” influenza dell'arte etrusca su quella romana, e della sua importanza come “prima produzione artistica del suolo italiano”.
E non a torto, forse, alcuni vogliono riconoscere in essa l'humus dal quale si svilupparono talune delle caratteristiche dell'arte toscana del medio evo e del rinascimento, quasi che un medesimo suolo avesse prodotto le medesime forme. Certo che alcuni monumenti dell'arte etrusca mostrano delle analogie sorprendenti, nel modo di concepire, con i nostri grandi quattrocentisti tanto da far pensare, più che a una voluta imitazione dell'antico, ad opere sorte in equivalenti stagioni di civiltà534.
Sulla rivista di Ojetti, Bianchi Bandinelli riprende dunque il tema della continuità dell'arte etrusca, che come abbiamo visto è ricorrente anche nella critica d'arte del periodo. Nello stesso
p. 5.
527 Giovanni Agosti, Qualche simpatia giovanile di Ranuccio Bianchi Bandinelli, in “Quaderni di Storia” 23, 1986, pp. 49-69.
528 Marcello Barbanera, Ranuccio Bianchi Bandinelli, cit., pp. 60, ss.
529 Ranuccio Bianchi Bandinelli, I caratteri della scultura etrusca a Chiusi, cit., p. 11. 530 Ivi, p. 18.
531 Ivi, p. 20. 532 Ivi, p. 30. 533 Ivi, p. 31. 534 Ibidem.
anno, il giovane studioso scrive di trovare elementi di arte etrusca nella scultura di Jacopo della Quercia535. Rispetto a chi parla chiaramente di continuità etnica, l'archeologo sembra rifarsi più
ai concetti di “ciclo culturale” o “stagioni di civiltà”, che potrebbe aver tratto dalla lettura di Oswald Spengler. A partire da questo intervento, Bianchi Bandinelli inizia ad inserirsi nel dibattito nazionalista sull'arte etrusca, su posizioni non differenti da quelle degli studiosi fascisti.
Mentre rivolge i propri studi in questa direzione, Bianchi Bandinelli conosce a Roma lo studioso austriaco Guido von Kaschnitz-Weinberg (1890-1958)536, un altro protagonista del dibattito
sull'arte etrusca tra le due guerre. Nato a Vienna, qui studia archeologia e dal 1913 diventa assistente di Emil Reisch, direttore dell'Österreichisches Archäologisches Institut, specializzandosi in storia dell'arte greca. Nella sua formazione si avvicina alla seconda generazione della scuola di Vienna, e in particolare a Max Dvořák e Josef Strzygowski, interessandosi anche di letteratura e arte contemporanea. Da un punto di vista politico, prima della guerra era è vicino alla socialdemocrazia austriaca, sostenendo il ruolo unitario del socialismo all'interno di una monarchia garante dei pari diritti delle principali nazionalità dell’impero. Volontario di guerra nel 1914, combatte sul fronte russo e su quello italiano, per trasferirsi nel dopoguerra a Monaco, dove lavora come direttore di una collana editoriale di storia dell'arte, partecipando alla scena artistica e culturale della città. Nel 1923 Kaschnitz- Weinberg viene nominato Hilfsarbeiter della sede romana del Deutsches Archäologisches
Institut dal suo nuovo primo segretario, Walter Amelung. La sezione romana era stata chiusa
nel 1915 al momento dell'entrata in guerra dell'Italia, nel clima che aveva portato all'allontanamento dall'università di Löwy e Beloch, ed era stata espropriata dallo Stato italiano nel 1919, come dimostrazione di forza durante le trattative sulle riparazioni di guerra. Solo nel 1920 la biblioteca e i beni dell'Istituto, ma non l’edificio della vecchia sede, sono restituiti alla Germania, e la sezione riapre stabilmente le sue attività solo nel 1924. A Roma, Kaschnitz lavora alla riapertura della sezione e collabora con Bartolomeo Nogara ad un nuovo allestimento museale vaticano del materiale etrusco e italico, rimanendo nella capitale italiana
535 Marcello Barbanera, op. cit., p. 52.
536 Su Guido von Kaschnitz-Weinberg, cfr. Wulf Raeck, Guido von Kaschnitz-Weinberg (1890-1958), in G. Brands, M. Maischberger (a cura di), Lebensbilder Band 2, cit., pp. 269-294; Lothar Wickert, Beiträge zur
Geschichte des Deutschen Archäologischen Instituts 1870 bis 1929, Philipp von Zabern, Mainz, 1979, p. 181;
Dominik Maschek, Die etruskische Spätzeit zwischen “Hellenismus”, “Hellenisierung” und
“Romanisierung”: eine forschungsgeschichtliche Skizze, in Marie-Laurence Haack (a cura di), L'étruscologie dans l'Europe d'après-guerre. Actes des journées d'études internationales des 14 au 16 septembre 2015 (Amiens et Saint-Valéry-sur-Somme), Ausonius, Bordeaux, 2017, pp. 33-46.
fino al 1930. Sull'esperienza con Nogara scrive un articolo in cui analizza una serie di teste in terracotta del Museo Gregoriano Etrusco, nel quale si richiama da subito alla scuola di Riegl e Wickhoff. Il suo intento, che porta avanti negli anni successivi, è quello di individuare ciò che è etrusco e non greco nell'arte etrusca537. Sulla rivista della sezione romana del Deutsches Archäologisches Institut, nel 1926, scrive un articolo sui ritratti etruschi e romani arcaici, nel
quale ricerca una definizione essenzialista (parla di “Wesensbestimmung”538) dell'arte etrusca.
Influenzato dallo storico idealista dell'arte Ludwig Coellen, vede la produzione artistica in chiave hegeliana, come emanazione dello spirito539. Distingue nella storia dell'arte antica e
moderna due approcci alla rappresentazione figurativa: organicismo e meccanicismo-cubismo. Se la prima tendenza è rappresentata dall'arte greca classica, la seconda è rappresentata dalla “Negerkunst” e dall'arte di Picasso, Braque e Léger540. Nell'arte etrusca, Kaschnitz-Weinberg
vede una fusione dei due principi tramite l'influenza greca, ma sostiene che l'arte etrusca arcaica – quindi, nel suo pensiero, quella veramente etrusca e priva di influenze straniere – sia cubista. L'interpretazione storico-artistica prosegue poi tramite un approccio fisiognomico ai ritratti541
e una periodizzazione basata sulla storia razziale, secondo la quale l'arte muterebbe in seguito all'intervento di “nuove razze e nuovi problemi”542. L'impostazione neo-idealista di Kaschnitz-
Weinberg, mediata dalla scuola di Vienna, si risolve in un'interpretazione etnica dell'arte, per cui lo spirito che determina la produzione artistica è legato alla razza. Negli anni successivi, lo storico dell'arte austriaco approfondirà questa impostazione, diventando uno dei principali esponenti della cosiddetta Strukturforschung. Questa tendenza dell'archeologia classica germanofona interbellica, a partire dall'influenza della scuola di Vienna e da un'impostazione antipositivista, cercherà nella produzione artistica antica un significato essenziale e strutturale spesso legato al dato etnico543.
Bianchi Bandinelli, recensendo su “Studi Etruschi” questo articolo, si dimostra molto interessato all'impostazione di Kaschnitz-Weinberg, che ricollega a quello che chiama il
537 Guido von Kaschnitz-Weinberg, Ritratti fittili etruschi e romani dal secolo III al I av. Cr., in “Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti” 1924-1925, pp. 325-350.
538 Guido von Kaschnitz-Weinberg, Studien zur etruskischen und frührömischen Porträtkunst, in “Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts – Römische Abteilung” XLI, 1926, p. 135.
539 Hans H. Wimmer, Die Strukturforschung in der Klassischen Archäologie, Lang, Bern, 1997, p. 158. 540 Guido von Kaschnitz-Weinberg, Studien zur etruskischen und frührömischen Porträtkunst, cit., pp.
150-151. Cfr. Hans H. Wimmer, Die Strukturforschung in der Klassischen Archäologie, cit., p. 153. 541 Hans H, Wimmer, op. cit., p. 156.
542 Guido von Kaschnitz-Weinberg, op. cit., p. 211.
543 Hans H. Wimmer, op. cit., pp. 14, ss. Cfr. Stefan Altekamp, Classical Archaeology in Nazi Germany, in H. Roche, K. Demetriou (a cura di), Brill’s Companion to the Classics, Fascist Italy and Nazi Germany, Brill, Leiden-Boston, 2018, pp. 307-309.
“fondamentale” articolo di Cultrera in quanto vede in entrambi un'assimilazione dell'arte