• Non ci sono risultati.

Storia delle religioni e folklore

Nel documento La questione etrusca nell'Italia fascista (pagine 183-196)

II. L’etruscologia nell’Italia fascista

2. Discipline dell’etruscologia sotto il fascismo

2.3 Storia delle religioni e folklore

Un altro tema dell'etruscologia, meno discusso ma comunque collegato a quello delle origini

1009 Victor A. Shnirelman, From internationalism to nationalism: forgotten pages of Soviet archaeology in

the 1930s and 1940s, in P. L. Kohl, C. Fawcett, Nationalism, politics and the practice of archaeology,

Cambridge University Press, Cambridge, 1995, pp. 120-138.

1010 Nikolaj Sevast'janovič Deržavin, Die Slaven im Altertum. Eine Kulturhistorische Abhandlung, H. Böhlaus Nachfolger, Weimar, 1948 (trad. tedesco-orientale, ed. or. 1946).

1011 Yuri Slezkine, N. Ia. Marr and the National Origins of Soviet Ethnogenetics, cit. pp. 855, ss.

1012 Una prima edizione non direttamente legata all'URSS o al PCI dell'intervento staliniano è I. V. Stalin, Il

marxismo e la linguistica, Feltrinelli, Milano, 1968. Questa edizione ha una prefazione di Giacomo Devoto

(pp. 5-14).

1013 A. I. Kharsekin, Etruscan studies in the USSR (Bibliographical Notes, in “Studi Etruschi” XXVIII, 1960, pp. 488-490.

etrusche, è quello della storia delle religioni. Tra i protagonisti di questo approccio alla questione etrusca, nei primi anni dell'etruscologia, c'è Raffaele Pettazzoni (1883-1959)1014,

titolare della cattedra di Storia delle religioni all'università di Roma dal 1924. Già vicino al socialismo e sostenitore di un'impostazione acattolica della disciplina, Pettazzoni si propone con il proprio insegnamento universitario di “formare la coscienza storico-religiosa degli italiani”1015. Nel 1933 si iscrive al partito fascista, entrando nello stesso anno nell'Accademia

d'Italia1016.

Al Convegno nazionale etrusco del 1926, Pettazzoni si occupa delle usanze religiose etrusche come l'aruspicina, legata alle pratiche divinatorie babilonesi che sarebbero giunte in Etruria. La “nazione etrusca” sarebbe dunque formata da un elemento etnico orientale e da uno italico, formandosi come nazione in Italia1017. Pettazzoni ritiene che, contro il “miraggio” e il “mistero”

delle origini etrusche - identificati nell'approccio antropologico -. serva una visione “storico- culturale” che studi gli Etruschi come civiltà formatasi nell'Italia preromana, e poi in grado di influenzare la religione romana1018. Nel 1928, al Congresso internazionale etrusco, lo studioso

presiede la sezione storico-religiosa della manifestazione, e in questa circostanza si allinea chiaramente al consenso nazionalista sugli Etruschi, definendo “illazione” il tentativo di ricollegare la religione etrusca arcaica ad altre religioni antiche per sostenere tesi migrazioniste sulle origini1019. Nella stessa occasione un altro storico delle religioni italiano, Giuseppe Furlani

(1885-1962)1020, si pone l'obiettivo di confutare in particolare la tesi dell'origine orientale.

Furlani nega che cultura ed etnia siano necessariamente legate, e quindi sostiene che la tesi orientalista non possa essere dimostrata con le affinità religiose tra Etruschi e popoli orientali. Pettazzoni si dichiara d'accordo1021. Furlani porta avanti anche negli anni successivi la propria

1014 Su Raffaele Pettazzoni cfr. Horst Junginger (a cura di), The Study of Religion under the Impact of

Fascism, Brill, Leiden-Boston, 2008; Silvia Mancini, Fra pensiero simbolico, religione civile e metapsichica: la storia delle religioni nel primo Novecento italiano, in Gian Mario Cazzaniga (a cura di), Storia d'Italia. Annali 25. Esoterismo, Einaudi, Torino, 2015, pp. 629-658.

1015 Cit. in Silvia Mancini, Fra pensiero simbolico, religione civile e metapsichica, cit., p. 633.

1016 ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Superiore, Professori universitari epurati, b. 27.

1017 Raffaele Pettazzoni, Elementi extra-italici nella divinazione etrusca, in “Studi Etruschi” I, 1927, pp. 195- 199.

1018 R. P. [Raffaele Pettazzoni], Il Convegno Nazionale Etrusco, in “Studi e materiali di storia delle religioni” III, 1926, pp. 138-139.

1019 Cfr. Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), Atti del primo congresso

internazionale etrusco, cit., p. 119. L'intervento di Pettazzoni è in “Studi e materiali di storia delle religioni”

IV, 1928, pp. 206-234.

1020 Su Giuseppe Furlani cfr. Paolo Taviani, Furlani, Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1998, vol. 50.

tesi1022, e ripete la sua impostazione anche in un campo diverso come quello linguistico. Nel

1929, ammette che il cambiamento delle lingue nella storia dipenda anche da fattori etnici, ma secondo lui “non esiste nessun rapporto necessario tra la lingua di un popolo e la razza o il tipo antropologico a cui appartiene”, come invece ritengono glottologi e antropologi (come Giuseppe Sergi)1023. Furlani condivide l’uso del concetto di “razza”, ma non crede che possa

sovrapporsi ad aspetti culturali: per esempio nega l'esistenza di una razza semitica, in disaccordo con lo studioso Giorgio Levi Della Vida che invece aveva usato l'espressione nei propri lavori1024. Ancora nel 1936, in ogni caso, Furlani sosterrà su “Studi Etruschi” che lo strato

“primitivo e semplice” della religione etrusca sia autoctono e italico1025.

Lo sviluppo della storia delle religioni trova l'attenzione di un osservatore eccezionale come Luigi Salvatorelli (1886-1974)1026, storico delle religioni e importante giornalista, antifascista

liberale ormai non più militante, che recensisce gli scritti di Pettazzoni e Furlani sulla religione etrusca. Salvatorelli nota con favore il “nuovo rigoglio di studi etruschi” in Italia, mostrandosi al corrente delle principali e recenti posizioni a proposito della questione delle origini etrusche. In particolare, egli sottolinea l'interesse degli interventi di Pettazzoni e Furlani come confutazioni della tesi orientalista, e potenzialmente utili alla tesi settentrionale. In generale, Salvatorelli si dice d'accordo con l'idea che la storia d'Italia inizi prima di Roma, citando Micali e le sue lodi di Etruschi e popoli preromani. A questo proposito, afferma: “Forse non si andrebbe lungi dal vero affermando che questo rigoglio di studi italiani intorno agli Etruschi sia effetto (o, almeno, anche effetto) di rinnovato interesse per certi problemi fondamentali della storia italiana”1027. Da questo intervento di Salvatorelli in campo etruscologico, emerge il carattere

politicamente trasversale della proiezione della nazione nell'antichità, anche al di là dell'adesione attiva al nuovo regime fascista.

Al congresso del 1928, Pettazzoni si rifà a un saggio del foklorista americano Charles Godfrey Leland (Etruscan and Roman remains in popular tradition, 1892)1028, a proposito di alcune

internazionale etrusco, cit., pp. 122-146.

1022 Giuseppe Furlani, Il «Bidental» etrusco e un'iscrizione di Tiglatpileser I, in “Studi e materiali di storia delle religioni” VI, 1930, pp. 9-49.

1023 Id., Lingua e razza nell'Asia Anteriore antica, in “Archivio glottologico italiano” XXII-XXIII, 1929, p. 12.

1024 Ivi, p. 13 e 21n.

1025 Id., Mantica hittita e mantica etrusca, in “Studi Etruschi” X, 1936, p. 162.

1026 Su Luigi Salvatorelli cfr. Angelo D'Orsi, Salvatorelli, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 2017, vol. 89.

1027 Luigi Salvatorelli in “Pegaso” I, 11, novembre 1929, p. 621.

1028 Su Leland cfr. Massimiliano Di Fazio, Un «esploratore di sub-culture»: Charles Godfrey Leland, in “Archaeologiae” I, 2, 2003, pp. 37-56; Id., La trasgressione del survival: Charles G. Leland e l'antica religione

sopravvivenze etrusche nel foklore regionale toscano e romagnolo contemporaneo1029. Alla fine

del congresso, lo storico auspica che si facciano nuove ricerche per indagare tali sopravvivenze etrusche nella religione popolare1030. La stessa idea è sviluppata l'anno dopo, nel maggio 1929,

a Firenze in occasione del I Congresso nazionale delle tradizioni popolari. Il congresso era stato promosso da un “Convegno degli studiosi delle tradizioni popolari d'Italia”, svoltosi a Firenze il 10 giugno 1928, organizzato dall'Ente per le Attività Toscane e dalla federazione provinciale del PNF1031. Nel 1929 Pettazzoni ricopre il ruolo di presidente del congresso nazionale, che egli

presenta nel quadro di un “odierno risveglio della coscienza nazionale”, indicativa della necessità di “fondere l'amore di ciascuno per la sua piccola patria nel comune amore di tutti per la grande patria italiana”, e di “riunire in un fascio” tutti gli studiosi del folklore italiano1032.

L'ipotesi di sopravvivenze etrusche in Toscana e Romagna dà vita ad una piccola polemica tra Pettazzoni e l'etnografo Raffaele Corso (1885-1965)1033, primo titolare della cattedra di

Etnografia a Roma dal 1914 al 1921, poi professore di Etnografia africana all'Istituto Orientale di Napoli. Nei suoi scritti carcerari, Gramsci critica l'idea di Corso che il folklore possa rappresentare una “preistoria contemporanea” del popolo attuale, e che possa quindi spiegare le identità popolari del XX secolo1034. L'etnografo aveva partecipato al congresso nazionale

etrusco del 1926, anch’egli occupandosi di folklore popolare toscano e romagnolo ma senza parlare esplicitamente di continuità etniche o culturali etrusche1035. Nel 1929, l'etnografo critica

duramente Pettazzoni per la sua adesione alle tesi di Charles Leland, denunciando come la loro infondatezza sia emersa da critiche avanzate già alla fine dell'Ottocento. Il folklorista americano sarebbe stato ingannato dagli italiani da lui intervistati (contadini e una sedicente strega), che in cambio di denaro avrebbero inventato rituali magici e nomi pseudo-antichi di divinità pagane per accontentare la curiosità dello studioso straniero1036. Pettazzoni replica a Corso

etrusca, in M. Vencato, S. Zala, A. Willi (a cura di), Ordine, trasgressione, atti del convegno (Istituto Svizzero, Roma 2005), Viella, Roma, 2008, pp. 125-145.

1029 Cfr. Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), Atti del primo congresso

internazionale etrusco, cit., p. 119.

1030 Ivi, p. 164.

1031 Amy A. Bernardy, Le regioni d'Italia. La Toscana, in “Educazione Fascista” VI, 7, luglio 1928, p. 403. 1032 Cfr. Atti del I congresso nazionale delle tradizioni popolari (Firenze, maggio 1929), Rinascimento del

libro, Firenze, 1930, pp. 6-15.

1033 Su Raffaele Corso cfr. Marina Santucci, Corso, Raffaele, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1983, vol. 29; Claudio Pogliano, L'ossessione della razza, cit., p. 405. Definito “allievo di Giuseppe Sergi” in AA.VV., Un secolo di antropologia, cit., p. 133n.

1034 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., vol. II, p. 1105.

1035 Raffaele Corso, Vecchie costumanze toscane comparativamente illustrate, in “Studi Etruschi” I, 1927, pp. 201-210.

rivendicando di non essere il solo a usare il lavoro di Leland e a credere nella continuità etrusca attraverso il Medioevo, citando gli studiosi tedeschi Kretschmer e Weege – ma anche Ducati aveva espresso interesse per Leland1037 - e limitandosi ad auspicare una verifica

dell'attendibilità della tesi del folklorista americano1038. La polemica non trova una risoluzione,

ma è indicativa della volontà di Pettazzoni, studioso di punta della storia delle religioni in Italia durante il fascismo e oltre, di credere nella continuità culturale degli Etruschi nella religione e nella cultura regionale italiana, non diversamente da quanto sostengono gli storici e i critici d'arte nello stesso periodo, o importanti scienziati come Nicola Pende.

Negli stessi anni, attraverso il congresso del 1929 e istituzioni come l'Ente per le Attività Toscane, è in atto in Italia una ripresa del folklore in chiave regionalista e allo stesso tempo strettamente legata al nuovo regime, come ha ricostruito Stefano Cavazza1039. All'interno della

cultura fascista, sono presenti correnti che reinterpretano il dibattito regionalista - già portato avanti, tra gli altri, dal gruppo de “La Voce” in funzione antigiolittiana - e che cercano una valorizzazione delle identità regionali nel contesto del nuovo regime. Tale ripresa del regionalismo, attraverso il rilancio o l'invenzione di antichi riti popolari anche a carattere religioso, non è vissuto in contrapposizione al nazionalismo (abbiamo visto come, ai convegni di etruscologia, gli organizzatori siano attenti a sottolinearlo), ma come risposta tradizionalista alla modernizzazione dei costumi e dell'economia. I teorici del regionalismo fascista operano un’idealizzazione del passato preindustriale dell'Italia in funzione ruralista, propagandata anche attraverso gli spazi dell'Opera Nazionale Balilla, per ripristinare un sistema di valori tradizionale, basato sull'interclassismo, la fede cattolica e le identità locali. Questo approccio ideologico al regionalismo trova applicazione anche in campo turistico, una sfera dell'economia italiana che durante il ventennio cresce sotto il controllo del regime. A Firenze, l'Ente per le Attività Toscane - dal 1930 “Federazione Toscana per il Turismo – Ente d'Iniziativa” - riunisce a partire dal 1923 associazioni, pro loco, comuni per la promozione del turismo e della cultura regionale toscana, sotto la direzione dei fascisti toscani1040. L'immagine del folklore toscano

proposta ai turisti è quella di un popolo regionale incontaminato dalla modernità, ancora

marzo 1929, pp. 1-11; Id., Ancora dei presunti miti etruschi nel folklore della Romagna-Toscana, ivi, V, 3-4, luglio-dicembre 1930, pp. 222-226.

1037 Massimiliano Di Fazio, Un «esploratore di sub-culture», cit., p. 43.

1038 Raffaele Pettazzoni, Le divinità etrusche e il folklore, in “Studi e materiali di storia delle religioni” V, 1929, pp. 310-312. Pubblicato anche in “Lares” I, 1, giugno 1930, pp. 52-54.

1039 Stefano Cavazza, Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Il Mulino, Bologna, 1997.

attaccato a valori tradizionali. L'Ente per le Attività Toscane promuove pubblicazioni periodiche e monografiche su temi regionali, e organizza escursioni turistiche - chiamate religiosamente “pellegrinaggi toscani”1041 - diffondendo un'idea di regione xenofoba, anti-cosmopolita, anti-

industriale, tradizionalista, populista.

All’interno dell'Ente per le Attività Toscane viene istituzionalizzato il Comitato Permanente per l'Etruria, e gli Etruschi rientrano anche nell'immaginario regionalista dei folkloristi o “demologi” fascisti. L'Ente per le Attività Toscane pubblica una rivista, “Illustrazione Toscana” (dal maggio 1932 “Illustrazione toscana e dell'Etruria”) che unisce la divulgazione etruscologica a quella turistica e folklorica. Uno dei protagonisti di questo impegno divulgativo è Aldo Neppi Modona (1895-1985), archeologo fiorentino di origine ebraica, nazionalista e volontario di guerra come ufficiale nella Prima guerra mondiale1042. Al momento della

costituzione del Comitato Permanente per l'Etruria, Neppi Modona ricopre un ruolo di stretta collaborazione con Antonio Minto, in quanto segretario generale del Comitato1043. Negli anni

successivi, scrive diverse voci a tema etrusco dell'Enciclopedia Italiana1044 e insegna

Etruscologia all'Università italiana per stranieri di Perugia1045. Allo stesso tempo, nel 1929, è

tra i fondatori del Convegno di studi ebraici, ente della comunità ebraica di Firenze per la promozione di lingua, cultura e religione ebraiche1046. Nell'ottobre 1925, l'organo dell'Ente per

le Attività Toscane pubblicizza la nascita del Comitato Permanente per l'Etruria con una nota della direzione:

si va creando un movimento per volgarizzare la conoscenza dell'Etruria e dell'Etruria rivelare al pubblico il valore vivo e onnipresente. Una Commissione permanente seguirà e caldeggerà l'opera dei dotti per risvegliare simpatia e interesse per il problema che concerne così da vicino la nostra storia, la vita dei nostri padri, le energie da cui più tardi scaturirono moltiplicate le glorie toscane. La etruscologia interessa soprattutto la nostra terra. Sappiamolo. È grottesco che gli stranieri ci suggeriscano in opere magistrali che le glorie presenti sono dovute all'eredità del passato.

1041 Cit. ivi, p. 182.

1042 Lionella Neppi Modona Viterbo, Cronaca a due voci. Storie, vicende, persecuzioni di una famiglia

ebraica (1938-1945), aska, Firenze, 2017, pp. 18 e 32.

1043 Cfr. “Studi Etruschi” I, 1927, pp. 429-437.

1044 ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Superiore, Concorsi a cattedre nelle università (1924-1954), b. 71, Concorso per la cattedra di Archeologia e Storia dell'arte antica a Pisa, 1933.

1045 Lionella Neppi Modona Viterbo, Cronaca a due voci, cit., p. 24.

1046 Alessandra Minerbi, La persecuzione razziale nell'ateneo fiorentino, in Enzo Collotti (a cura di), Razza

Neppi Modona scrive, sotto questa presentazione, che lo studio della civiltà etrusca equivale a studiare la civiltà di “noi Toscani, che degli Etruschi siamo i diretti discendenti e dei quali portiamo indelebilmente in noi impressi i tratti caratteristici”, perché, nonostante le “mescolanze” con Umbri e Romani, “le qualità insite nella stirpe hanno sempre prevalso e si sono imposte, anche quando strettissime relazioni commerciali coi Greci potevano facilmente far soccombere lo sviluppo artistico tirrenico a contatto col rigoglioso fiorire ed espandersi dell'arte ellenica”1047. La divulgazione dell'etruscologia la presenta come uno studio legittimato

dalle continuità etniche etrusche nei Toscani del XX secolo, senza per questo contrapporre l'identità regionale a quella nazionale italiana. Nel caso di Neppi Modona, lo studioso rivendica un'identificazione etnica con gli Etruschi come base della propria identità toscana, che non è vissuta in contraddizione con quella ebraica né con quella nazionalista italiana. L'adesione al regime emerge da un altro articolo divulgativo di Neppi Modona sulla stessa rivista, nel quale lo studioso sostiene che il fascio di Vetulonia sia l'attestazione di “come la presente grandezza rinnovellata d'Italia abbia le sue profonde radici in una predestinata evoluzione storica cui nessuna forza contraria poteva opporsi”1048. Neppi Modona pubblica sull'organo dell'Ente per

le Attività Toscane resoconti sugli sviluppi dell'etruscologia per un pubblico di non specialisti1049, venendo imitato in questo anche da Doro Levi1050 e da Pericle Ducati1051. Di

quest'ultimo si annuncia la pubblicazione della Storia dell'arte etrusca, per la casa editrice dell'Ente per le Attività Toscane, e la direzione dell'Ente esprime il proprio orgoglio per l’operato del Comitato Permanente per l'Etruria, auspicando che “il centro di studi italici si riaffermi e si espanda per un meritato destino di nostra gente, ma anche e soprattutto per la gloria dell'Italia fascista”1052.

Il congresso del 1929, presieduto da Pettazzoni, promuove la nascita di un Comitato Nazionale per le Tradizioni Popolari, dipendente dal “Centro Alti Studi” dell'Istituto Fascista di Cultura di Firenze, legato ad Alessandro Pavolini. Sulla rivista di questo Comitato, “Lares”, vengono pubblicati negli anni trenta articoli di divulgazione etruscologica legata al folklore regionale

1047 Aldo Neppi Modona, Per la conoscenza della Etruria, in “Illustrazione Toscana” III, 10, ottobre 1925, p. 19.

1048 Id., L'Italia centrale durante il predominio etrusco, ivi, IV, 2, febbraio 1926, p. 23.

1049 Id., Fervore di attività etrusca, ivi, V. 2, febbraio 1927, pp. 20-22; Id., Sulle orme dell'antica civiltà.

Pellegrinaggio nell'Etruria Centrale, ivi, V, 6, giugno 1927, pp. 18-20.

1050 Doro Levi, Congresso etrusco, ivi, VI, 5, maggio 1928, pp. 12-16. Non firmato, ma l'autore risulta dall'indice del numero.

1051 Pericle Ducati, Al R.Museo Archeologico di Firenze, ivi, VI, 4, aprile 1928, pp. 12-16. 1052 “Storia dell'arte etrusca”, ivi, V, 3, marzo 1927, p. 4.

toscano. In un articolo di Serafino Ricci, l'interesse per gli Etruschi è definito “fondamentale” per l'Italia fascista che vuole valorizzare la propria storia, e Antonio Minto è chiamato “geniale e infaticabile etruscologo”. L'autore descrive poi “la nostra antica civiltà, che rappresenta il risultato culturale del crogiuolo di molte stirpi antichissime, emigrate, trapiantate, sviluppatesi via via sul nostro suolo italico, finché furono unite e assorbite da Roma”. In particolare, la questione etrusca è vista come “fondamentale per le origini nostre, per la nostra lingua, per la nostra topografia antica, per l'arte italiana che sul solco di quella italica ed etrusca ebbe vita e sviluppi insperati che trionfarono nell'arte di Roma e della Rinascita”. L'etruscologia viene poi presentata come “suggestione nuova, fresca, quale si sente riaccostando al nostro pensiero uno dei popoli più antichi d'Italia”1053. Su “Lares” vengono pubblicati studi di diverso carattere,

come la comunicazione di Giuseppe Michele Nardi presentata al X congresso internazionale di storia della medicina (Madrid, settembre 1935). In questa sede, lo studioso sostiene l'importanza degli Etruschi per l'arte medica, che sarebbe rimasta attraverso i secoli nel “carattere” del “popolo toscano” e nei rimedi e nelle ricette popolari1054. Etruscologia e diverse discipline si

incontrano quindi attraverso la divulgazione e lo studio del folklore.

Tra i protagonisti dell'approccio fascista al folklore regionale, nel quale rientra lo sguardo sugli Etruschi, c'è Amy Allemande Bernardy (1880-1959)1055. Nata a Firenze, figlia del console

americano della città, Bernardy studia storia e paleografia, per lavorare poi come lettrice di italiano negli Stati Uniti (a Northampton, Massachusetts, dal 1903 al 1910). Legata alla Società Dante Alighieri, si mette in luce come divulgatrice della lingua e della cultura italiana all'estero in senso nazionalista e irredentista, interessandosi anche alle comunità di immigrati italiani, dei quali prende le difese con argomentazioni razziali. L’adesione al fascismo è vissuta da Bernardy attraverso l'impegno nella promozione del folklore popolare, in contrapposizione alla società moderna. Su “Educazione Fascista”, mensile dell'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, la folklorista tiene, a partire dal 1927, una rassegna sulle regioni italiane. Bernardy presenta il suo progetto come un aspetto della “psicologia nazionale”:

quello che riguarda le nostre regioni e lo spirito di regionalità o di regionalismo, che è di sottile valore storico

1053 Serafino Ricci, Il problema etrusco in nuovi studi e scavi – Firenze centro internazionale di studi etruschi, in “Lares” II, 3, ottobre 1931, pp. 79-82. Cfr. Id., Etruscologia e folklore, ivi, pp. 84-86.

1054 Giuseppe Michele Nardi, La medicina popolare in Toscana, in “Lares” VI, 4, dicembre 1935, pp. 272- 282. Cfr. Id., ivi, VII, 1, marzo 1936, pp. 33-38.

1055 Su Amy A. Bernardy cfr. Maddalena Tirabassi, Ripensare la patria grande. Gli scritti di Amy Allemande

e morale per noi; ma che per molto tempo si è avuto cura di dissimulare e vorrei dire di reprimere e di soffocare, per il timore che – confessiamolo pure, non è cosa che ci preoccupi più – potesse deformarsi in campanilismo o degenerare in separatismo1056.

Con la fine della democrazia parlamentare, spiega la folklorista, tale timore è svanito, insieme ad una concezione sbagliata delle identità regionali e alla paura di infrangere la recente unità nazionale: il fascismo può dunque – conclude Bernardy - avere una propria politica regionalista senza aspettarsi un allentamento della coesione nazionale. Viene così proposta una storia etnica delle regioni, studiando le “profonde stratificazioni” che inciderebbero sulla “psicologia

Nel documento La questione etrusca nell'Italia fascista (pagine 183-196)