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La questione delle origini: antropologia, paletnologia, glottologia

Nel documento La questione etrusca nell'Italia fascista (pagine 115-183)

II. L’etruscologia nell’Italia fascista

2. Discipline dell’etruscologia sotto il fascismo

2.2 La questione delle origini: antropologia, paletnologia, glottologia

Il tema centrale del dibattito etruscologico tra le due guerre, tanto da essere spesso indicato direttamente come la “questione” o “problema etrusco”615, è il problema delle origini etniche

degli Etruschi e quindi della loro identità razziale nel contesto dell'Italia antica. Già nell'antichità l'incertezza sulla loro provenienza aveva portato gli storici greci ad elaborare diverse teorie nelle loro opere. Tra queste, le più discusse ancora in epoca moderna sono quella di Erodoto sulla migrazione dall'attuale Anatolia (Lidia), quella di Ellanico sull'origine “pelasgica” dalla Tessaglia (tesi “migrazioniste” o “eteroctoniste”, entrambe formulate nel V secolo a.C.) e quella di Dionigi di Alicarnasso sull'autoctonia italica degli Etruschi (risalente al I secolo a.C.). È stato rilevato come queste teorie vadano contestualizzate nell'ambito ellenico antico nel quale sono state formulate, in diverse fasi storiche del rapporto tra Greci ed Etruschi e della percezione greca dell'identità etrusca, con le rispettive implicazioni ideologiche. Le prime teorie migrazioniste si concentrano sul Mediterraneo orientale e descrivono migrazioni di massa guidate da eroi colonizzatori. Erodoto chiama in causa i Lidi, popolazione considerata barbara e orientale che avrebbe trasmesso questo bagaglio di stereotipi orientalisti agli Etruschi, ed Ellanico i Pelasgi, antico substrato etnico pre-ellenico della Grecia. Nata in epoca romana, in controtendenza rispetto a Erodoto ed Ellanico, la tesi autoctonista di Dionigi di Alicarnasso considera invece gli Etruschi autoctoni dell'Italia, differenziandoli da Roma, che intende nobilitare considerandola di origine greca. In questo caso l'autoctonia degli Etruschi non è un titolo di nobiltà, come invece avviene nel nazionalismo italiano contemporaneo, ma dal punto di vista greco antico è un segno di barbarie e di estraneità alla civiltà ellenica616. Già nelle teorie

613 Cfr. Jacques Heurgon, Jean Tardieu, Le ciel a eu le temps de changer. Correspondance 1922-1944, Institut Mémoires de l'édition contemporaine, Saint-Germain-la-Blanche-Herbe, 2004. Successivamente Heurgon avrebbe diretto insieme ad Albert Camus la rivista letteraria di Algeri “Rivages: revue de culture méditerranéenne” (1939), partecipandovi anche come traduttore dall'italiano (la rivista pubblica passi di Emilio Cecchi ed Eugenio Montale).

614 Jacques Heurgon, Le satyre et la ménade étrusques, Fontemoing, Paris, 1929, p. 21 (estratto da “Mélanges d'Archéologie et d'Histoire” 1929).

615 Comitato Permanente per l'Etruria (Ente per le Attività Toscane), I° Convegno Nazionale Etrusco, vol. II, cit., p. 151.

616 Roberto Sammartano, Le tradizioni letterarie sulle origini degli Etruschi: status quaestionis e qualche

considerazione a margine, in Vincenzo Bellelli (a cura di), Le origini degli Etruschi: storia archeologia antropologia, «L'Erma» di Bretschneider, Roma, 2012, pp. 49-84; Giovanna Bagnasco Gianni, Origine degli

antiche, gli storici greci guardano agli Etruschi come popolo non greco e barbaro, interpretando la loro alterità in senso orientale, occidentale oppure primitivo. Nel Rinascimento emergono poi teorie sull'origine ebraica degli Etruschi, mentre la signoria dei Medici rivendica l'identità etrusca per legittimare il proprio potere in funzione antiromana. La cosiddetta “etruscheria” antiquaria del Settecento comporta successivamente un grande sviluppo di ricerche locali ed erudite sugli Etruschi617, e in questo contesto viene formulata una nuova importante tesi sulle

loro origini, quella della provenienza settentrionale. Basata su un'indicazione di Tito Livio a proposito di una presenza etrusca nelle Alpi retiche, questa teoria era stata formulata da Nicolas Fréret e poi resa nota soprattutto da Barthold Georg Niebuhr nel 1811-1812, diffondendosi soprattutto tra gli studiosi tedeschi618. Questa teoria era stata accolta tra le principali versioni

della storia delle origini etniche degli Etruschi, insieme a quelle degli antichi che continuavano ad essere discusse.

Nell'Ottocento le fonti letterarie antiche non sono più le uniche basi scientifiche delle diverse teorie. Con lo sviluppo delle discipline moderne come archeologia, paletnologia, antropologia fisica, glottologia e scienze naturali, gli studiosi iniziano ad incrociare le testimonianze storiografiche antiche con i dati delle scienze moderne. Allo stesso tempo, l'approccio scientifico delle diverse discipline, istituzionalizzate nel contesto dei nuovi Stati nazionali, ridefinisce l'oggetto della ricerca - gli Etruschi - in senso nazionale e razziale, secondo le categorie interpretative della scienza dell’epoca. Nel periodo interbellico, le diverse teorie sulle origini degli Etruschi si scontrano fra loro, ma in Italia sono accomunate dal consenso nazionalista degli studiosi sul carattere italico della civiltà etrusca, parallelamente a quanto viene teorizzato in campo storico-artistico. Gli studiosi stranieri che intervengono nel dibattito, invece, uniscono alle proprie teorie l'influenza di contesti politici e ideologici diversi, con una diffusa propensione per la tesi dell'origine orientale. La soluzione definitiva al problema non viene trovata, né vi sono progressi decisivi nell'interpretazione della lingua etrusca. Di fatto, si sviluppa una contrapposizione tra un consenso nazionalista in Italia e un consenso sulla tesi orientalista fra gli studiosi stranieri. Questa diversità nazionale nello studio della questione etrusca si riflette al di là della sfera dei lavori specialistici, per condizionare i contenuti dei

Etruschi, in Gilda Bartoloni (a cura di), Introduzione all'Etruscologia, Hoepli, Milano, 2012, pp. 47-81.

617 Stefano Bruni, Origini etrusche, origini italiche e l'erudizione antiquaria settecentesca, in Vincenzo Bellelli (a cura di), Le origini degli Etruschi, cit., pp. 295-344; Maurizio Harari, Storia degli studi, in Gilda Bartoloni (a cura di), Introduzione all'Etruscologia, cit., pp. 19-46.

618 Marie-Laurence Haack, Le problème des origines étrusques dans l'entre-deux-guerres, in Vincenzo Bellelli (a cura di), Le origini degli Etruschi, cit., pp. 397-410.

manuali scolastici e quindi le conoscenze degli scolari, con effetti duraturi nel tempo sull'immaginario storico della popolazione scolarizzata619.

Antropologia e paletnologia

La questione etrusca viene affrontata dagli antropologi già nel XIX secolo, applicando metodi craniometrici all'analisi razziale dei resti umani etruschi. A partire almeno dal lavoro di Antonio Garbiglietti del 1841, in Italia si pubblicano studi sui crani etruschi, e la prima importante monografia antropologica sul tema è l’Antropologia dell'Etruria di Giustiniano Nicolucci, del 1869. A partire dal 1857-1858, Nicolucci si mette in luce come vero e proprio importatore della teoria migratoria ariana - in senso esplicitamente craniologico, e non solo linguistico - nell'antropologia italiana. In quanto tale, l’antropologo si fa portavoce scientifico del mito ariano e dell’identità ariana dei popoli italici antichi620. Nell’ Antropologia dell’Etruria, però,

Nicolucci propende per l'origine orientale degli Etruschi, descritti come una popolazione razzialmente coesa, estranea rispetto a quelle italiche e probabilmente semitica621.

Il contesto scientifico in cui si inserisce la prima monografia di antropologia etrusca è quello di un rapido sviluppo dell’antropologia fisica in Italia: nello stesso 1869, viene assegnata allo studioso e deputato Paolo Mantegazza (1831-1910) la prima cattedra universitaria di Antropologia, all'università di Firenze, e l’anno successivo Mantegazza fonda la Società Italiana di Antropologia (dal 1871 Società Italiana di Antropologia ed Etnologia)622. Negli anni

successivi, gli studi craniologici degli Etruschi si legano a quelli paletnologici: al congresso di preistoria del 1871 a Bologna vengono analizzati degli scheletri antichi per valutarne l'appartenenza o meno al popolo etrusco, nel quadro di un profondo legame tra studi antropologici e nazionalismo italiano negli anni che seguono all'unificazione politica dell'Italia623. In questo contesto positivista di sviluppo delle scienze sociali e naturali, gli

619 Cfr. Raffaella Da Vela, L'immagine degli Etruschi nell'educazione scolastica in Italia e in Germania

(1928-1945), in Marie-Laurence Haack (a cura di), Les Étrusques au temps du fascisme et du nazisme, cit.,

pp.17-66.

620 Edoardo M. Barsotti, At the 'roots' of Italian identity: 'race' and 'nation' in the Italian Risorgimento,

1796-1870, Tesi di dottorato, Fordham University, 2019, pp. 295, ss.

621 Giandonato Tartarelli, Gli Etruschi e la loro origine alla luce degli studi di antropologia fisica, in Vincenzo Bellelli (a cura di), Le origini degli Etruschi, cit., p. 155.

622 Fedra A. Pizzato, Corpi e Nazione Italiana. Gli esordi dell'antropologia e il problema degli antenati

barbarici (1871-1919), Tesi di laurea magistrale in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Padova, a.a.

2011/2012, p. 40.

623 Marie-Laurence Haack, De la veine au crâne. L'étruscologie entre éclatement et ouverture: le cas des

sciences naturelles, in Id. (a cura di), La construction de l'étruscologie au début du Xxème siècle, cit., p.175; Id., Alla ricerca dei crani etruschi: gli antropologi italiani e gli Etruschi (1841-1911), in G.M. Della Fina (a

antropologi rivendicano la prerogativa di fornire una definizione scientifica dell'identità nazionale e razziale italiana, utilizzando diversi approcci metodologici alla classificazione razziale. Allo stesso tempo, l’uso del lessico razziale antropologico, e l’interesse nazionalista per l’Italia antica, accompagnano per tutto il XIX secolo la riflessione degli intellettuali risorgimentali italiani624.

Gli Etruschi rientrano in questo insieme di discorsi scientifici come elemento razzialmente incerto, in un panorama internazionale segnato dall’assenza di un consenso degli studiosi sulla loro classificazione razziale. Jules Martha, nel suo importante libro del 1889 sull'arte etrusca, pur propendendo per l'origine settentrionale degli Etruschi625, ammette la totale incertezza degli

studiosi sulla questione626. In particolare, mette in discussione l'efficacia dei metodi

antropologici per la soluzione del problema:

En somme, quoi qu'on imagine, on aboutit toujours à un aveu d'impuissance. La raison en est peut-être qu'il n'y a pas de race étrusque. On peut se demander si le terme Étrusques correspond à une entité ethnographique bien définie et si par hasard ce ne serait pas simplement une expression politique, désignant un peuple mixte, formé du mélange de plusieurs races, au même titre par exemple que les termes de Français, Autrichiens, Anglais, Américains627.

Tra gli antropologi italiani che, a cavallo tra XIX e XX secolo, si occupano di Etruschi acquisisce un'importanza particolare Giuseppe Sergi (1841-1936)628. Nato a Messina, Sergi

segue come volontario i Mille combattendo a Milazzo, giungendo poi ad occuparsi di antropologia fisica a partire da studi filosofici. A contatto con Mantegazza, diventa vicepresidente della sua Società Italiana di Antropologia ed Etnologia e professore di Antropologia all'università di Roma dal 1884 al 1916. Con Mantegazza condivide l'evoluzionismo darwiniano e una concezione positivista dell'antropologia fisica come scienza

nazione. Paletnologia, antropologia e nazionalismo in Italia (1871-1915), Tesi di dottorato Università Ca'

Foscari – Universitat de Barcelona, 2016, pp. 49-51. Nel 1874 la città di Bologna ospita un “Carnevale degli Etruschi”: cfr. ivi, p. 350.

624 Cfr. Edoardo M. Barsotti, At the 'roots' of Italian identity, cit. 625 Jules Martha, L'art étrusque, cit., p. 28.

626 Ivi, pp. 9-16. 627 Ivi, pp. 15-16.

628 Cfr. Claudio Pogliano, L'incerta identità dell'antropologia, in “Rivista di Antropologia” 71.1, 1993; AA.VV., L'antropologia italiana. Un secolo di storia, Laterza, Roma-Bari, 1985; Aaron Gillette, Racial

theories in fascist Italy, Routledge, London, 2002, p. 19; Fedra A. Pizzato, Fossili della nazione, cit., pp. 79,

ss.; cfr. anche i due volumi monografici sulla storia dell'antropologia italiana di “Rivista di Antropologia” n.71.1 e 71.2, 1993; Aliza S. Wong, Race and the nation in liberal Italy, 1861-1911. Meridionalism, Empire

della classificazione e descrizione delle razze umane, che non si limiti alla morfologia ma che ricerchi anche gli aspetti psichici e sociali considerati tipici di ogni gruppo etnico. Per quanto riguarda il problema dell'evoluzione delle razze, l'orizzonte teorico comune è quello della teoria “lamarckiana”629, che individua nell'ambiente il fattore determinante nell'evoluzione delle

caratteristiche di una razza, a differenza della teoria “mendeliana” che si affida esclusivamente alla genetica dell'ereditarietà per definire i tratti razziali, senza riconoscere alcuna possibilità di influenza ambientale. Di fronte alla varietà somatica della popolazione italiana, infatti, gli antropologi fisici si trovano in difficoltà nel parlare di “razza” comune agli italiani senza utilizzare argomenti estranei al mero corredo genetico, facendo riferimento a influenze storiche e ambientali: l'alternativa è correre il rischio di negare scientificamente l'unità etnica del popolo italiano e dunque la nazione italiana630, mostrando i limiti e le contraddizioni del processo di

costruzione biopolitica dell'identità nazionale. L’unità razziale italiana è argomentata attraverso discorsi scientifici sulla storia antica: gli antropologi individuano nella conquista romana dell'Italia antica il momento storico dell'unificazione razziale e culturale della penisola. Nel quadro di un orizzonte teorico comune tra Mantegazza e Sergi, le divergenze sul metodo di misurazione dei crani determinano nel 1893 il distacco del secondo dalla Società Italiana di Antropologia ed Etnologia e la fondazione di una Società Romana di Antropologia, da lui diretta. La nuova Società promuove una convergenza scientifica tra antropologi, medici e psichiatri con gli obiettivi dichiarati di “risolvere i problemi dell'origine e dell'antichità dell'uomo”, “investigare le relazioni fra le civiltà antiche fra loro e le moderne” e studiare “i problemi dell'educazione fisica e mentale dei popoli”631. Lo studio dell'antichità viene dunque

messo in relazione al presente e proposto come base scientifica per la promozione di politiche di eugenetica “positiva”, finalizzate al controllo e al miglioramento della salute fisica e mentale della popolazione, concepita in senso razziale. Il rifiuto delle sterilizzazioni forzate e dell'intervento dello Stato nella regolazione della riproduzione biologica della razza – la cosiddetta eugenetica “negativa”632 - fa sì che in Italia le pratiche eugenetiche “positive” siano

accettate anche dalla Chiesa, e saranno successivamente promosse dal regime fascista. Sergi è

629 Dall'opera di Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829). Aaron Gillette, Racial theories in fascist Italy, cit., p. 22.

630 Roberto Maiocchi, Scienza e fascismo, Carocci, Roma, 2004, pp. 176-179.

631 Sandra Puccini, L'Antropologia a Roma tra Giuseppe e Sergio Sergi, in “Rivista di Antropologia”, vol.71.2, 1993, p. 233.

all’avanguardia nell’organizzazione degli studi italiani di eugenica633, intendendo questo

impegno scientifico come forma di progressismo: da un punto di vista politico, dopo l'esperienza garibaldina, è dapprima vicino ai socialisti, poi filo-sindacalista e, ultrasettantenne, interventista di sinistra, con un percorso apparentemente simile a quello di Mussolini634.

Giuseppe Sergi si occupa di Etruschi nei propri lavori per un periodo che va almeno dagli anni novanta del XIX secolo alla metà degli anni trenta del XX secolo. La sede scientifica nella quale se ne occupa è quella della sua teorizzazione della “razza mediterranea”, già classificata nel 1878 dagli antropologi francesi Jean Louis Armand de Quatrefages ed Ernest-Théodore Hamy635, il tema centrale della produzione scientifica e divulgativa di Sergi. A partire dagli anni

novanta dell'Ottocento, l'antropologo siciliano inizia a considerare i popoli dell'Italia antica come Etruschi, Liguri, Italici e Latini come membri di un'unica razza mediterranea originaria del Corno d'Africa, di cui farebbero parte anche le popolazioni di lingua semitica come gli Ebrei. Questa razza viene considerata da Sergi artefice della civiltà classica greca e romana, e posta alla base etnica della popolazione italiana contemporanea. Nell’ottica interpretativa dell’antropologo, tale teoria dovrebbe fornire un'interpretazione razziale dell'identità nazionale italiana, contrapposta alla teoria paletnologica di Luigi Pigorini (1842-1925)636 che attribuisce

lo sviluppo della civiltà italica antica all'importazione della cultura materiale da parte di popolazioni “indoeuropee” o “ariane” provenienti dal nord637. In gioco c'è la valutazione della

nascita della civiltà in Italia da un punto di vista razziale, e quindi l'identità razziale degli italiani del XX secolo. La razza mediterranea – afferma Sergi - tenderebbe alla realizzazione di politiche caotiche e all'inefficienza nel mondo moderno: la stessa Italia, in un periodo storico di corsa allo sviluppo industriale e di “questione meridionale”, sarebbe divisa tra un Nord industrializzato in quanto arianizzato in epoca storica ed un Sud agricolo e sottosviluppato in quanto razzialmente mediterraneo638. Da entrambe le teorie paletnologiche, con approcci

differenti, la modernità capitalistica e industriale è dipinta quindi come nordica, mentre la civiltà

633 Francesco Cassata, Building the New Man. Eugenics, racial science and genetics in twentieth-century

Italy, Central European University Press, Budapest – New York, 2011, p. 17.

634 Antonino De Francesco, The antiquity of the Italian nation. The cultural origins of a political myth in

modern Italy. 1796-1943, Oxford University Press, Oxford, 2013, p. 182; Fedra A. Pizzato, Per una storia antropologica della nazione. Giuseppe Sergi e il mito della razza mediterranea nella costruzione culturale dello stato unitario italiano e nella competizione politica europea (1880-1919), in “Storia del pensiero

politico”, 1, 2015, p. 14.

635 Aaron Gillette, Racial theories in fascist Italy, cit., p. 24. 636 Su Luigi Pigorini cfr. Fedra Pizzato, Fossili della nazione, cit. 637 Roberto Maiocchi, Scienza e fascismo, cit., p. 186.

638 Aaron Gillette, Racial theories in fascist Italy, cit., p. 26. Teoria condivisa da Alfredo Niceforo (Ivi, p. 23).

antica agricola con il suo caos politico e la sua cultura classica sarebbe invece il prodotto dei mediterranei. In questo quadro interpretativo, a cavallo tra XIX e XX secolo, rientra anche il dibattito sulla decadenza economica e politica delle nazioni “latine” a vantaggio di quelle settentrionali, che vede l’intervento degli antropologi impegnati nel contrapporre a livello razziale l'Europa meridionale a quella settentrionale639.

Nel 1895 Sergi nega l'esistenza di una razza germanica indoeuropea, antropologicamente omogenea, e la sua espansione in Grecia e in Italia anche con argomentazioni craniologiche, contrapponendo mediterranei dolicocefali ad ariani brachicefali640. Già in questa occasione, gli

Etruschi sono considerati “Pelasgi tardivi”, arrivati via mare in Italia “con una civiltà avanzata di carattere orientale”, ma membri della stessa razza mediterranea degli abitanti della penisola641. Nel 1898, l'antropologo si occupa più approfonditamente di Etruschi criticando la

teoria di Pigorini, secondo la quale la civiltà villanoviana e italica avrebbe origini indoeuropee e settentrionali attraverso l'espansione delle cosiddette “terramare” (villaggi dell'età del bronzo presenti nella pianura padana). In questo contesto, Sergi polemizza con Pigorini e l'archeologo tedesco Wolfgang Helbig (1839-1915) che sostengono l'origine settentrionale degli Etruschi642.

La posizione di Sergi è che gli Etruschi, membri della razza mediterranea, siano di origine orientale643. I costumi di una popolazione e la cultura materiale sono considerati dati di

appartenenza razziale: se le terramare sono il prodotto di “Arii” invasori settentrionali che cremano i loro morti, e anche gli Umbri, che hanno le stesse usanze funebri, sono di origine ariana, gli Etruschi come gli Italici che seppelliscono i loro defunti sono invece mediterranei644.

La colonizzazione degli Etruschi, di origine orientale, si sarebbe sovrapposta alla popolazione aria degli Umbri, creando un nuovo strato etnico mediterraneo, affine a quello italico645. Così

facendo, gli Etruschi avrebbero posto fine alla civiltà aria in Italia centrale: Sergi riconosce dunque loro un ruolo importante nella definizione razziale italiana, in funzione mediterraneista e anti-arianista. A proposito di Roma, Sergi afferma che alle sue origini essa sia stata abitata sia

639 Cfr. Sarah Al-Matary, Des rayons et des ombres. Latinité, littérature et réaction en France (1880-1940), in “Cahiers de la Méditerranée” 95, 2017, pp. 15-29; Christophe Poupault, La latinité au service du

rapprochement franco-italien (fin du XIXe siècle – 1940): un grand récit culturel entre grandeurs et rivalités nationales, ivi, pp. 31-45.

640 Giuseppe Sergi, Origine e diffusione della stirpe mediterranea, Società editrice Dante Alighieri, Roma, 1895, pp. 10, ss.

641 Ivi, pp. 69-70.

642 Id., Arii e Italici. Attorno all'Italia preistorica, Bocca, Torino, 1898, pp. 9-10. 643 Ivi, pp. 106-107.

644 Ivi, p. 142, ss. 645 Ivi, pp. 149-153.

da Arii che da Italici mediterranei, ma che successivamente avrebbe guidato la riscossa italica contro gli ariani. Con Roma vien fatta iniziare la vera civiltà italica, che avrebbe proseguito la funzione anti-ariana degli Etruschi646. Dal punto di vista di Sergi, gli Arii non hanno portato la

civiltà in Italia, ma sono anzi barbari ed arretrati647. La storia razziale della nazione italiana, che

trova una sua stabilità etnica in epoca romana, fa sì che secondo l'antropologo l'Italia contemporanea sia prevalentemente mediterranea al centro-sud e prevalentemente aria al nord648, con importanti conseguenze morali (individualismo e anarchia nel meridione, coesione

e ordine al nord) ed economiche (arretratezza del meridione, produttività industriale del nord)649.

Nel 1900, intervenendo nel dibattito sulla decadenza delle nazioni “latine”, Sergi ripropone il discorso sull'Italia antica e ritorna sugli Etruschi: con loro “di nuovo riprendono il dominio della penisola gli elementi antropologici mediterranei”, grazie a loro si preserva l'unità razziale della penisola, poi mantenuta da Roma nonostante le invasioni barbariche e medievali. Gli Etruschi avrebbero anche esercitato un ruolo culturale, portando tra gli Arii barbari la civiltà, l'arte e la scienza650. Con il loro dominio si sarebbe creata un'area geografica di congiunzione tra Italia

mediterranea e Italia ariana, composta dalle attuali Toscana, Umbria, Marche e Romagna, nella quale, secondo Sergi, alcune caratteristiche etrusche sono state trasmesse alle popolazioni posteriori. I toscani, per esempio, ne avrebbero ricevuto “mitezza di sentimenti”, “civile educazione”, “eredità di qualità e di disposizioni artistiche”, in una misura importante per “il futuro rinnovamento italiano”. Al contrario, secondo l'antropologo siciliano gli Italiani del sud sono privi di energia e di volontà di cambiamento651. Dopo gli Etruschi, Roma avrebbe

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