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1 3 Gli archi e i monumenti onorari del foro di Pompe

Gli accessi alla piazza, ad esclusione di quello Nord-Est, erano rimasti sostanzialmente liberi ed aperti fino al I sec. a.C.; nel corso della prima età imperiale essi furono tuttavia interessati da una significativa monumentalizzazione attuatasi attraverso l’inserimento di alcuni archi onorari (Fig. 127). Il modello di riferimento non poté che esser quello, ben più illustre, del Foro Romano ed infatti alla base dell’erezione degli archi onorari pompeiani va letto un richiamo chiaro ed esplicito all’ideologia imperiale. Ciononostante, nella piazza pompeiana sono in atto alcune varianti che riguardano in primo luogo una certa libertà nel ricorso a tale tipologia architettonica, evidente in particolare nel cosiddetto ‘Arco di Tiberio’ (Fig. 127, n. 4), ed in secondo luogo il fatto che ad alcuni membri dell’élite locale non fu preclusa la possibilità di utilizzare a fini più strettamente personali un tale strumento di

autorappresentazione423. Le considerazioni che si faranno nelle prossime pagine devono molto alla recentissima analisi condotta da K. Müller sugli archi onorari di Pompei424. La ricerca dello studioso tedesco è di grande rilievo soprattutto per ciò che riguarda la nuova proposta di inquadramento cronologico dei monumenti nonché per la ricostruzione del loro sviluppo monumentale. Tuttavia, essa risulta meno efficace e approfondita per ciò che concerne lo studio delle motivazioni che portarono all’erezione degli archi e tralascia, probabilmente in maniera voluta, l’annosa e complicata discussione relativa all’identificazione dei personaggi onorati, aspetto sul quale si è invece soffermato recentemente V. Gasparini425.

Mettendo da parte per il momento il caso del piccolo monumento ad un fornice presente sul lato meridionale della piazza (Fig. 127, n. 1), converrà soffermarsi su quanto si riscontra nel settore settentrionale del foro pompeiano. Qui, agli angoli sud-occidentale e sud- orientale del Capitolium sorgeva, come è noto, una coppia di archi generalmente designati come ‘Arco di Druso Minore’ (Fig. 127, n. 2) e ‘Arco di Germanico’ (Fig. 127, n. 3)426. Solo del primo, posto ad Ovest del podio, si conserva l’anima in laterizio (m 6,5 x 2 ca.) (Fig. 122)

originariamente rivestita con lastre marmoree e collegata al podio del tempio capitolino per mezzo di un muretto in laterizio. Il secondo arco, che doveva comunque presentarsi di fattura pressoché identica, venne demolito probabilmente già prima del 62 d.C. per lasciare libera la vista sul cosiddetto ‘Arco di Tiberio’ e soprattutto, come vedremo, per permettere un ulteriore ampliamento del foro verso Nord, realizzato in connessione con l’innalzamento del colonnato corinzio del macellum.

Una ipotesi ricostruttiva dell’‘Arco di Druso’ non può che basarsi sull’esame di quell’eccezionale documento scultoreo rappresentato dal già più volte citato larario proveniente dalla casa di Cecilio Giocondo (Fig. 106). Su di esso, come si ricorderà, sono raffigurati alcuni monumenti del foro pompeiano, ed in particolare del suo lato Nord, nello stato in cui dovevano versare dopo il sisma del 62 d.C. Tra essi, alla sinistra del Capitolium, è rappresentato un arco, senza dubbio il numero 2 della denominazione Müller, con fornice

423 Questo secondo aspetto sembra essere di particolare rilievo nel caso del cosiddetto ‘Arco di Caligola’, posto all’incrocio tra Via di Mercurio e Via della Fortuna.

424 Cfr. MÜLLER 2011. 425 Cfr. GASPARINI 2009.

426 Cfr. DE MARIA 1988, nn. 36-37, p. 253; GASPARINI 2009,pp. 52-61; MÜLLER 2011,pp. 42-54. Nella denominazione di Müller, che sarà da qui in avanti adottata per maggiore praticità, l’arco posto ad Ovest del Capitolium è identificato dal numero 2 mentre quello ormai non più visibile ad Est del tempio è indicato dal numero 3.

inquadrato da una coppia di lesene o semicolonne che decorano i piloni. Al di sopra del fornice è ben evidenziato un ampio frontone sul quale si imposta l'attico.

In linea di massima, l’immagine dell’arco numero 2 che ci viene trasmessa dal rilievo di Cecilio Giocondo è piuttosto attendibile e, tuttavia, come ha ben dimostrato Müller, essa non può dirsi del tutto fedele (Fig. 129)427. Gli interrogativi e i dubbi principali riguardano soprattutto il frontone e lo sviluppo dell’attico. È qui superfluo addentrarsi in una discussione piuttosto tecnica che coinvolge le dimensioni stesse dell’arco; ciò che mi preme ricordare, seguendo Müller, è la necessità di leggere il rilievo del larario non tanto come una precisa restituzione grafica di un settore del foro pompeiano, ma come una rappresentazione ‘compendiaria’ in cui gli elementi fondamentali e imprescindibili ai fini dell’identificazione dei singoli monumenti sono resi a volte anche in maniera imprecisa428. Allo stesso modo, dunque, si dovrà intendere l’assenza di statue o gruppi scultorei al di sopra dell’attico. È più che possibile, infatti, che tale mancanza sia da leggere in connessione con lo spazio a disposizione dello scultore più che come una reale mancanza di apparato decorativo al culmine dell’arco.

Pochi sono invece i dati in grado di chiarire la cronologia di erezione dell’arco numero 2 e men che meno di quello ad Est del tempio capitolino. La mancanza di elementi architettonici riferibili alla decorazione dell’arco è in questo senso assai limitante. D’altro canto, alcune considerazioni di Müller sui rapporti stratigrafici tra il monumento e il lastricato del foro o il podio del Capitolium429, oltre che il rilievo del larario di Cecilio Giocondo, dimostrano con certezza che la sua erezione avvenne prima del sisma del 62 d.C. È comunque l’esame dei rapporti spaziali e della localizzazione topografica dell’arco numero 2 e dell’arco numero 3, oltre che la notazione del progetto evidentemente sotteso alla loro realizzazione, a permettere una maggiore definizione cronologica. Già Spano, e poi più di recente De Maria, hanno sostenuto in modo convincente una cronologia dei due archi di poco successiva al 18 d.C.: alla base di tale proposta sta l’innegabile affinità, si potrebbe dire imitazione, tra i due archi pompeiani e quelli che vennero eretti a Roma, ai lati del tempio di Marte Ultore, in

427 Cfr. MÜLLER 2011,pp. 47-52.

428 Cfr. MÜLLER 2011, p. 49. Sul tema della ‘compendiarità’ si tornerà più diffusamente in seguito, poiché essa riguarda anche il nostro fregio: cfr. infra Cap. VI. 1.

onore di Druso Minore e di Germanico430. La proposta cronologica di Spano è dunque sostanzialmente condivisibile, sebbene in mancanza di elementi concreti - epigrafici ad esempio - non si possa tacere una certa difficoltà insita nel tentativo di connettere ad una specifica personalità imperiale i singoli monumenti ad arco del foro di Pompei431. Ne è dimostrazione la varietà di proposte di attribuzione avanzate a tale proposito. Tra esse, vorrei accennare rapidamente a quella avanzata di recente da V. Gasparini432. Secondo lo studioso italiano, più che ad una dedica a Druso Minore e Germanico, bisognerà pensare a due archi rispettivamente in onore di Tiberio (arco numero 2) e Germanico (arco numero 3), realizzati intorno agli anni 20-22 d.C. sul modello del Foro Romano e del Foro di Augusto433. Nello stesso contesto Gasparini si sofferma anche sui motivi alla base della distruzione dell’arco numero 3. Contrariamente a coloro che imputavano la fine del monumento al sisma del 62 d.C.434, Gasparini riconduce l’abbattimento dell’arco a motivi meramente politici. Traendo spunto da una riflessione di S. De Caro435, egli afferma che la distruzione sarebbe stata dettata da una sorta di damnatio memoriae nei confronti del dedicatario dell'arco. Il monumento, infatti, originariamente eretto in onore di Germanico, sarebbe stato successivamente ridedicato a Caligola, figlio di Germanico. La damnatio memoriae per volontà di Claudio avrebbe di conseguenza condotto all’abbattimento dell’arco già nel 41 d.C., con il fine evidente di eliminare ogni traccia del predecessore sulla piazza pubblica cittadina436. La tesi di Gasparini è senza dubbio molto affascinante ma, come le altre fin qui ricordate, non può beneficiare del supporto di una adeguata documentazione epigrafica o archeologica in grado di avvalorare l’individuazione di una serie di trasformazioni così significative. Al contrario, è

430 Cfr. SPANO 1950-1951,p. 174. Lo stesso Spano è intervenuto anche sul rapporto tra monumenti e larario di Cecilio Giocondo: cfr. SPANO 1959.A partire dalla tesi di quest’ultimo si è affermata la

denominazione canonica dei due archi ai lati del Capitolium pompeiano che, lo si è già ricordato, solo di recente Müller ha proposto di sostituire con un criterio numerico più asettico e corretto.

431 In particolare a Druso Minore l’arco numero 2 ad Ovest del Capitolium e a Germanico l’arco numero 3 a Est del tempio.

432 Cfr. GASPARINI 2009.Aquesto lavoro si rinvia per una più aggiornata bibliografia sul tema della dedica degli archi pompeiani.

433 Cfr. GASPARINI 2009,p. 59.

434 L’ipotesi era stata avanzata da H. Nissen il quale, come ricorda Gasparini, non aveva tuttavia conoscenza del rilievo del larario di Cecilio Giocondo: cfr. NISSEN 1877,p. 718. La tesi di Nissen è

stata riproposta anche da P. Guzzo: cfr. GUZZO 2007,p. 164.

435 Cfr. DE CARO 1992, p. 19.

436 Cfr. GASPARINI 2009,p. 60. In realtà, De Caro ipotizzava che l'arco di Germanico fosse stato ridedicato a Nerone e distrutto a causa della damnatio memoriae comminata a quest’ultimo. Tale ricostruzione, tuttavia, si scontra con la scomparsa dell'arco già prima del sisma, come mostra il larario di Cecilio Giocondo.

degno di nota quanto rilevato da Müller a proposito dell’articolazione di questo settore della piazza pompeiana. Al di là di possibili motivi politici, la distruzione dell’arco numero 3 risponde infatti alla chiara volontà di ampliare il foro in direzione Nord, includendo un’area dalle dimensioni regolari (25x100 piedi romani) compresa tra il punto in cui l’arco numero 3 sorgeva e il muro che delimitava a Nord il foro, laddove verrà eretto il cosiddetto Arco di Tiberio (arco numero 4)437. Mi sembra che Müller abbia colto nel segno evidenziando come la distruzione dell'arco numero 3 segnali un deciso cambiamento planimetrico nell’impianto del foro, probabilmente completatosi con la realizzazione dell'arco numero 4. In mancanza di nuove indagini stratigrafiche è purtroppo difficile stabilire se tale trasformazione coincise con la costruzione del colonnato del macellum o se quest'ultimo esistesse già contemporaneamente all'arco numero 3.

La discussione sulla demolizione dell’arco numero 3 ci introduce al monumento onorario senza dubbio più imponente e anche problematico del foro di Pompei, ossia quello che la tradizione pompeianistica indica con il nome di Arco di Tiberio o Arco di Nerone e che nella nuova denominazione di Müller è l’arco numero 4 (Fig. 130)438. L’arco, come è noto, costituisce il principale ingresso al foro dal lato nord-orientale, ed è più che probabile che esso si sia sostituito ad un varco più antico che doveva aprirsi all’interno del muro da cui il foro era delimitato nella sua parte Nord. Come ha dimostrato Müller, infatti, e come può verificarsi sul pilone orientale dell’arco, quest’ultimo inglobò parti del muro di fondo, originariamente dotato di due differenti accessi alla piazza dal lato di Via dei Soprastanti: il primo in corrispondenza del fornice dell’arco numero 4; il secondo in seguito sostituito dall’accesso settentrionale al portico del macellum439(Fig. 131).

Tralasciando per il momento quest’ultimo ingresso, sul quale si tornerà però nelle prossime pagine440, vorrei qui concentrare l’attenzione sull’arco numero 4 e sulle sue peculiarità planimetrico-architettoniche, nonché sulle problematiche ad esso connesse.

Partiamo innanzitutto dall’esame delle caratteristiche fisiche e dalla recentissima proposta ricostruttiva avanzata da Müller. Come nel caso dell’arco numero 2, anche dell’arco numero 4 si conserva quasi esclusivamente l’anima in laterizio. A differenza del primo, però, quest’ultima è impostata su uno zoccolo in travertino realizzato in gran parte con materiale di

437 Cfr. MÜLLER 2011,p. 81.

438 Cfr. DE MARIA 1988,n. 38, pp. 254-255, GASPARINI 2009,pp. 61-66 e da ultimo MÜLLER 2011,pp. 55-82.

439 Cfr. MÜLLER 2011,p. 63. 440 Cfr. infra in questo paragrafo.

reimpiego441. L’arco misurava originariamente m 11 x 3 ca., e presenta un fornice della larghezza di m 4 ca. Il varco centrale è caratterizzato da due gradoni che colmano il dislivello tra il lastricato stradale a Nord e quello del foro a Sud442. Nell’articolazione planimetrica dell’arco Müller ha colto il risultato della necessità di adattarsi ad una situazione urbanistica variegata, sfociata in una serie di compromessi planimetrici tuttora osservabili. In particolare, colpisce la pianta non perfettamente speculare dei due piloni, i quali presentano, peraltro, un orientamento leggermente differente. Gli architetti furono evidentemente interessati a conservare un allineamento tra fornice, podio del tempio e colonnato del macellum più che a dare vita ad un monumento dalle esatte proporzioni.

Una seconda differenza con quanto verificato nel caso dell’arco numero 2 è costituita dalla presenza di alcuni elementi dell’originaria decorazione architettonica che risultano di una certa utilità nella proposta ricostruttiva dell’aspetto dell’arco. Tra esse si segnalano alcuni frammenti di semicolonne, sorrette da basi attiche pressoché identiche a quelle del portico corinzio del macellum 443. Le semicolonne, due su entrambe le facce Nord e Sud dei due piloni (Fig. 132), dovevano incorniciare il fornice centrale ma soprattutto le edicole al cui interno erano ricavate le nicchie tuttora visibili sulle pareti dell’arco (Figg. 133-134). Sul lato Nord si aprono due cavità larghe m 1,20 ca. e alte m 2 ca. (Fig. 135); di forma rettangolare, assai profonde, in una fase avanzata della vita dell’arco furono destinate ad accogliere due fontane monumentali, con l’acqua che zampillava, forse da sculture inserite nelle nicchie, prima di essere raccolta nelle due vasche alla base dei piloni. I resti di uno dei bacini di raccolta idrica sono ancora visibili presso il pilone orientale.

Sebbene inserite in due edicole in tutto simili a quelle del lato settentrionale, diversa doveva essere la funzione, e forse anche la forma, delle due nicchie presenti nella faccia meridionale. Anch’esse rettangolari, con un’altezza di m 2,10 ca. e una larghezza di m 0,90 ca., sono tuttavia meno profonde di quelle sul lato Nord. Dubbia è la ricostruzione della terminazione superiore delle due rientranze: Müller, infatti, le immagina di forma rettangolare

441 Tra essi si segnala in particolare il reimpiego di una base per una statua equestre riutilizzata nell’angolo Sud-Ovest del pilone orientale: cfr. MÜLLER 2011,p. 58, n. 145 e fig. 59.

442 Anche tra le lastre dei gradoni sono osservabili alcuni materiali di reimpiego e, ancora una volta, una base pertinente ad un monumento equestre: cfr. MÜLLER 2011,p. 58, fig. 58. La presenza di due

gradoni, va da sé, ha un’evidente ricaduta anche sulla destinazione pedonale dell’arco: cfr. infra Cap. III. 1. 4.

(Fig. 133), mentre De Maria ipotizzava l’esistenza di un’abside semilunata444. L’osservazione del paramento in laterizi mostra effettivamente la presenza di un andamento semilunato proprio in corrispondenza della parte superiore delle due nicchie, evidente soprattutto nel caso di quella orientale (Fig. 136). D’altro canto, non si può escludere che l’aspetto attuale dell’intera faccia meridionale, e dunque anche delle due nicchie, sia stato compromesso dalle vicende che interessarono il foro al momento dell’eruzione e dopo di essa e che dunque l’aspetto semilunato che le nicchie mostrano ancora oggi sia dovuto alla caduta di alcuni dei laterizi che le delimitavano superiormente. A prescindere dalla loro forma, è indubbio che le nicchie dovessero contenere due statue onorarie di membri della famiglia imperiale. Ed una statua equestre o un gruppo scultoreo raffigurante l’imperatore doveva concludere l’arco anche al di sopra dell’attico.

Tra i problemi più spinosi nello studio dell’arco numero 4, un posto di primo piano è senza dubbio costituito dall’esegesi del frammento di lastra iscritta rinvenuta nel 1818 ai piedi del monumento (Fig. 137)445. Il frammento ha un’altezza di m 0,69 e una larghezza di m 1,44, ma è ipotizzabile che in origine avesse una lunghezza di m 1,65 ca.446. Il lato destro, nella sua parte inferiore, presenta un andamento obliquo che, secondo Müller, potrebbe far pensare all’inserimento della lastra in prossimità di un arco dal raggio di m 2,60 ca. Tale notazione, come si vedrà a breve, potrebbe avere una pesante ricaduta sull’originaria collocazione dell’iscrizione e di conseguenza anche sulla sua pertinenza all’arco numero 4. I caratteri con cui è composta risultano assai curati ed eleganti dal punto di vista paleografico e sono confrontabili con iscrizioni della prima età tiberiana. Ad una datazione del tutto analoga conduce del resto l’esame del testo e la più che probabile associazione del documento, ma soprattutto delle cariche in esso indicate, con Nero Iulius Caesar, figlio di Germanico (6 d.C.- 31 d.C.).

L’iscrizione, generalmente ritenuta pertinente ad una delle statue inserite nelle nicchie, è alla base della stessa denominazione del monumento come Arco di Tiberio. Si è a lungo ritenuto, infatti, che oltre alla statua di Nerone l’arco ospitasse una statua del fratello di Nerone, Druso: entrambi, infatti, furono adottati quali successori diretti da Tiberio, vero e

444 Il dato è di una certa importanza ai fini del nostro lavoro in considerazione della possibilità di confrontare l’arco numero 4 con quello raffigurato nel frammento numero 11 del fregio: cfr. infra Cap. IV.

445 Si tratta di CIL X, 798: [---] flamini Augustali sodali / Augustali q[uaestori---. La notizia del rinvenimento è in FIORELLI 1860,parte III,p. 5, alla data 15 maggio 1818.

proprio destinatario dell’arco, dopo la morte del proprio figlio Druso Minore. Sulla base di tali considerazioni, si è proposto di datare l’erezione dell’arco agli anni successivi al 23 d.C., data della morte di Druso Minore e dell’adozione da parte di Tiberio dei due figli di Germanico. Secondo la ricostruzione di De Maria, l’intero monumento avrebbe dunque trasmesso un chiaro messaggio ideologico ma anche dinastico, dettato dalla volontà da parte dei Pompeiani, probabili dedicanti dell’arco, di mostrare la propria fedeltà alla famiglia imperiale447.

La tesi a lungo sostenuta di una dedica dell’arco a Tiberio è stata di recente confutata da V. Gasparini. Quest’ultimo, sulla base di considerazioni architettoniche ma anche e soprattutto storiche, colloca l’erezione dell’arco nei primi anni di regno di Claudio e stabilisce una connessione diretta con la distruzione dell’arco numero 3, quello che, secondo lo stesso studioso, sarebbe stato originariamente dedicato a Germanico ed in seguito ridestinato a Caligola. Proprio la forte contrapposizione tra Claudio e Caligola, concretizzata anche nella valorizzazione della figura di Germanico, avrebbe condotto alla distruzione dell’arco numero 3 ed alla sua sostituzione con un nuovo arco dedicato a Germanico448.

Entrambe le tesi cui si è fin qui accennato davano per assodata l’erezione dell’arco prima del sisma del 62 d.C. Il recentissimo riesame condotto da Müller sugli archi di Pompei rischia tuttavia di stravolgere completamente la ricostruzione canonica delle principali fasi monumentali che coinvolsero il settore settentrionale della piazza pubblica di Pompei. Lo studioso tedesco, infatti, propende per una datazione dell’arco successiva al sisma del 62 d.C. In tale direzione andrebbero in primo luogo alcune interessanti notazioni in merito ai rapporti di stratigrafia orizzontale osservabili nei paramenti murari dell’arco ed in particolare sul lato orientale del pilone Est. Qui, come si è già avuto modo di ricordare, è ben evidente l’inglobamento di un troncone del muro di fondo che delimitava a Nord il foro e più in particolare il portico del macellum (Fig. 138)449. Si tratta di un elemento evidenziato già da Dobbins il quale sosteneva che: <<[…] the northwest corner project is posterior to the outer

face of the western perimeter wall of the Macellum. Once the facade and portal project […] is seen as posterior to yet earlier features, and undesrtood as post-62 repair work, the northwest corner project assumes a chronologically late position in the rebuilding of the Macellum. The essential issue, however, is its post-62 date. The second point relates to design: the connection

447 Cfr. DE MARIA,p. 254.

448 Cfr. GASPARINI 2009,p. 66. L’ipotesi era già stata formulata da Sogliano: cfr. SOGLIANO 1925,pp. 262-263.

between the Macellum and the forum arch, by means the new arch, is yet another example of the unifying force of the post 62 design>>450. Dal momento che il muro del portico è molto probabilmente databile agli anni del regno di Claudio451, l’arco dovrà dunque essere successivo a tale periodo. Ma c’è di più. Müller ha opportunamente sottolineato l’importanza di una notizia troppo a lungo passata sotto silenzio e relativa al rinvenimento di un’iscrizione dipinta (non più visibile) presente sullo strato di preparazione in malta al di sotto del rivestimento in marmo del lato Sud452. La prima lettura dell’iscrizione, fornita da R. Schöne453, riportava il nome VETTIUM poi corretto in VETTII da K. Zagenmeister nel IV