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I L FREGIO ED IL FORO : AFFINITÀ ED ANOMALIE

Avendo cercato di ricostruire la situazione archeologica e monumentale del foro pompeiano, si può a questo punto tentare di stabilire un confronto tra la realtà della piazza cittadina e la rappresentazione pittorica del fregio.

Prima di esaminare più nel dettaglio la questione, vorrei tuttavia ribadire ancora una volta alcune considerazioni preliminari. Come si è già avuto modo di sottolineare, infatti, la comparazione tra fregio e foro cittadino risente inevitabilmente di alcuni ostacoli dalla duplice natura, legati rispettivamente alle conoscenze sulla piazza pubblica di Pompei e, soprattutto, allo stato di conservazione dell’affresco.

Per quanto riguarda la prima, abbiamo visto come una sua perfetta conoscenza sia ancora lungi da venire. I dubbi relativi allo stato in cui il foro versava nel periodo compreso tra il sisma del 62 d.C. e la definitiva distruzione del 79 d.C. si sommano all’imperizia degli scavatori che per primi indagarono l’area pubblica della città, con la conseguente perdita di un’enorme messe di dati ed informazioni. Un riflesso di quest’ultima osservazione è la mancanza, peraltro non giustificabile, di edizioni sistematiche di molti degli edifici presenti sulla piazza, su tutti proprio i colonnati.

Nel caso del fregio, invece, ci troviamo davanti a frammenti ormai isolati gli uni dagli altri a causa degli invasivi distacchi compiuti in età borbonica. L’assenza di registrazioni puntuali dell’ordine in cui i frammenti vennero distaccati rende ardua la ricostruzione della sequenza secondo la quale essi si disponevano lungo le pareti dell’atrium 24 dei Praedia di

Iulia Felix529.

A ciò si aggiunga che alla base della selezione dei quadri da trasferire nel Real Museo di Portici vi fu la volontà di recuperare prevalentemente le porzioni di affresco in cui si conservavano scene di vita quotidiana, ossia quelle in cui figure umane ed animali erano assolute protagoniste, con il frequente abbandono all’incuria del tempo di quelle parti del registro figurato dominate da architetture e monumenti. Il disinteresse per tali dettagli è del resto percepibile nelle stesse modalità seguite dagli scavatori borbonici nello stacco dei frammenti: in generale si può affermare che essi non abbiano rispettato le originali dimensioni dell’affresco, così come dimostra l’altezza anche assai differente tra i diversi frammenti ma soprattutto il fatto che molti degli edifici raffigurati (su tutti i portici), risultano interrotti o

recisi nel margine superiore dai tagli per il distacco. E ciò, va da sé, non semplifica certamente il possibile confronto tra quanto raffigurato nel fregio dipinto e quanto realmente osservabile nel foro di Pompei.

Un ruolo considerevole nella valutazione di affinità e differenze tra fregio e foro di Pompei è giocato inoltre dalla possibilità, più che concreta, di una compresenza, sullo stesso cantiere, di pittori maggiormente dotati, impegnati in prevalenza nelle realizzazione delle scene ritenute più importanti o dei dettagli più significativi, e di pittori meno abili, cui vanno probabilmente attribuiti i motivi che potremmo definire ‘ornamentali’, non ultimi molti dei dettagli architettonici530.

Ma più di tutto, ad incidere sul confronto tra foro di Pompei e fregio è l’adesione dei pittori che realizzarono quest’ultimo alle convenzioni grafiche proprie di quella che viene generalmente definita come ‘arte popolare’531. Una pittura fortemente compendiaria, in cui ad un relativo disinteresse per il particolare ed il dettaglio corrispondono il deciso interesse per l’effetto d’insieme e il ricorso ad elementi significativi ed allusivi che, associati alle attività rappresentate, rivestono il compito di identificare situazioni e luoghi ben noti agli occhi dell’osservatore antico.

Solo essendo consapevoli di non trovarsi davanti ad una riproduzione fotografica del foro pompeiano si potrà tentare di individuare gli elementi attraverso i quali i pittori vollero rendere immediatamente riconoscibile la piazza dipinta sulle pareti dell’atrium 24.

Quest’ultima si presenta come uno spazio circondato per gran parte da porticati con capitelli che, laddove ancora visibili, appaiono sempre di ordine corinzio. Le colonne non sono scanalate, e si ergono su basi con una semplice modanatura, che potremmo definire di tipo tuscanico. Queste ultime, a loro volta, sorgono direttamente sul piano pavimentale e non vi è traccia di gradini o di stilobate. In alcuni casi tra gli intercolumni sono raffigurati elementi di divisione, quali transenne, tende, cancellate, che delimitano determinati settori dei porticati. Alcuni di questi ultimi si sviluppavano su due ordini532; altri, invece, presentavano

530 Sulle caratteristiche tecniche e stilistiche del fregio cfr. infra Cap. VI. 1.

531 Su questo tema e sulle modalità anche peculiari con cui il nostro fregio si inserisce in questo genere pittorico si ritornerà più diffusamente nel V capitolo.

un singolo ordine colonnato533. Al di sopra delle colonne era raffigurato un tetto a doppio spiovente, in laterizi534.

I portici non sono le uniche architetture ad essere rappresentate. In uno dei frammenti, al di sopra del tetto del colonnato, è visibile un frontone, certamente pertinente ad una costruzione che sorge alle spalle dell’edificio in primo piano535. Analogamente, in un secondo frammento, alle spalle delle colonne, è raffigurato un alto muro in cui si aprono due ampie finestre: è probabile che si sia qui voluto mostrare il muro di fondo del portico 536.

Un posto di assoluto rilievo va riconosciuto infine all’arco presente nel frammento numero 11 (Fig. 45). Il monumento, che presenta un ampio fornice centrale affiancato da due nicchie semilunate di dimensioni inferiori (solo una di esse è visibile), è posto in diretta connessione con il portico corinzio ed interrompe la monotonia nella successione dei colonnati, segnandone dunque una delle estremità.

La rappresentazione è completata da un grande numero di statue onorarie, visibili in più di un frammento del fregio. Pur non mancando esempi di statuae pedestres, nella maggior parte dei casi si tratta di monumenti equestri; posti su alti podii, essi si dispongono in asse con le colonne dei portici retrostanti. Le statue - in bronzo come mostra il colore in cui sono rese - raffigurano personaggi che reggono tra le mani una lancia o, più frequentemente, cavalieri nell’atto dell’adlocutio. Una collocazione nel settore centrale dello spazio può forse essere ipotizzata per la quadriga e il cavaliere rappresentati nel frammento numero 8 (Fig. 35). Benché privi di podio, anch’essi sono da intendere come monumenti onorari.

L’impressione generale che è possibile trarre dai frammenti pervenutici è dunque quella di uno spazio chiuso da colonnati su almeno tre lati, tra i quali si inseriscono monumenti onorari di piccole e grandi dimensioni (le statue onorarie, l’arco). Non possono esservi dubbi sul fatto che ci troviamo davanti alla raffigurazione di un foro. Tutti gli indizi sembrano andare coerentemente in questa direzione.

Stabilito ciò, mi pare più che probabile che i pittori che realizzarono il fregio, nel rappresentare un foro abbiano tratto spunto da una realtà concreta e a loro ben nota, ovverosia la piazza pubblica di Pompei. Nelle prossime pagine si tenterà di evidenziare le divergenze e le affinità che intercorrono tra il foro dipinto e quello di Pompei. Mi preme sottolineare fin da

533 Un portico ad un solo ordine compare nel frammento numero 17 (Fig. 65), ancora in situ sulla parete meridionale dell’atrium,

534 Il tetto è visibile solo nel frammento numero 17. 535 Frammento numero 17.

subito come le prime siano costituite in grandissima parte da differenze nella resa di dettagli ed elementi secondari, che risultano marginali ai fini del riconoscimento del macrocontesto; per contro, pur se numericamente meno consistenti, gli elementi che mostrano maggiore affinità con quanto presente nel foro di Pompei sono anche quelli più rilevanti e significativi, indicando in maniera indubbia settori specifici, monumenti e peculiarità strutturali e planimetriche della piazza pompeiana.

Un primo elemento che attira la nostra attenzione è la mancanza di riferimenti alla presenza di gradini tra il piano pavimentale su cui si svolgono le scene del fregio e quello su cui sorgono le colonne. Come si è avuto modo di ricordare, infatti, lungo i lati Sud, Ovest ed Est del foro di Pompei dovevano correre due gradoni con il fine di colmare il dislivello esistente tra porticato e lastricato della piazza.

Una riflessione è necessaria anche per ciò che riguarda la caratterizzazione dei portici ed in particolare il loro ordine architettonico. Nel foro pompeiano, sia il lato meridionale che quello occidentale, oltre che parte di quello orientale, erano definiti da edifici a doppio ordine, dorico inferiormente e ionico superiormente. Unica ma significativa eccezione era costituita dal portico corinzio, anch’esso a doppio ordine, che monumentalizzava l’accesso orientale al

macellum e che doveva estendersi verosimilmente anche innanzi al cosiddetto Santuario dei Lares Publici537.

In tutti e sei i frammenti del fregio in cui è possibile verificare l’ordine dei capitelli essi, pur se resi in maniera estremamente semplificata e approssimativa, appaiono di tipo corinzio538. Né sembra esserci spazio per intendere come dorici i capitelli del frammento numero 17539. L’insistenza su tale ordine è dunque degna di nota e può colpire se confrontata con la situazione pompeiana. Tuttavia, sono necessarie due considerazioni. In primo luogo, è opportuno riflettere sul fatto che le colonne corinzie del fregio ammontano al numero di 32 contro le 17 presenti nel portico del macellum (che potrebbero giungere al numero di 25 se ad esse si sommano quelle del portico antistante il Sacello dei Lares Publici, sulle quali permangono pesanti interrogativi). La discrepanza numerica tra fregio e realtà architettonica, dunque, è in realtà meno forte di quanto si possa pensare e dimostra come la non perfetta conoscenza della piazza pompeiana costituisca un serio ostacolo anche per lo studio del nostro affresco. In secondo luogo, se si eccettuano i sei in questione, in tutti i restanti

537 Cfr. supra Cap. III. 1. 2.

538 Si tratta dei frammenti indicati dai numeri 11, 12, 14, 15, 16 e 17. 539 Contrariamente, dunque, alla tesi di Nappo: cfr. supra Cap. II. 1. 17.

frammenti in cui sono presenti delle colonne, i tagli operati nel ‘700 hanno completamente compromesso la possibilità di verificare l’ordine dei capitelli. Non si può dunque escludere a

priori che alcune delle colonne culminassero in capitelli di ordine dorico.

In altri casi le differenze tra ciò che è rappresentato nel fregio e ciò che in realtà è osservabile nei portici del foro, hanno un peso di gran lunga inferiore perché chiaramente connesse con la capacità tecnica dei pittori che realizzarono il fregio nonché con le finalità iconografiche che essi si erano prefissi. Lo spunto per tale riflessione è ancora una volta fornito dai portici corinzi e, più in particolare, da alcune loro caratteristiche architettoniche. Prendiamo, ad esempiom il caso delle scanalature. La loro assenza nel fregio è stata considerata come un elemento di netto disaccordo con quanto avviene nel foro di Pompei ed in particolare nel colonnato del chalcidicum del macellum, e minerebbe dunque la possibile identificazione tra foro di Pompei e fregio540. Anche in questo caso, tuttavia, alcune considerazioni riducono in maniera significativa la portata di un tale elemento. Si impone, innanzitutto, una considerazione di tipo tecnico: va da sé, infatti, che la resa chiara e ben distinta di scanalature sui fusti delle colonne dipinte nel fregio (spesso larghi pochi centimetri) sarebbe risultata estremamente difficile. Bisogna inoltre considerare che l’anomalia costituita dall’assenza di scanalature, così come avviene nel caso di altri elementi particolari che analizzeremo nelle prossime pagine, potrebbe essere ritenuta un’incongruenza significativa solo alla luce di una pretesa quanto non ricercata assoluta fedeltà delle pitture alla realtà; essa assume invece un ruolo assai più relativo se contestualizzata e riportata nell’alveo di una valutazione complessiva non solo del rapporto fregio-foro di Pompei ma anche delle caratteristiche stilistiche delle pitture, che potremmo definire ‘impressionistiche’ per la velocità disegnativa del tratto e per l’uso dei colori.

In modo del tutto analogo dovremo considerare il modo in cui sono caratterizzate le basi modanate su cui si ergono le colonne. In tutti e quattro i casi in cui esse sono osservabili, risulta estremamente arduo definirne con esattezza la morfologia541. In tal caso il confronto con i disegni delle Pitture d’Ercolano può risultare utile e, sebbene si sia già ricordato come la tendenza all’interpretazione e all’integrazione sia sempre molto forte nelle riproduzioni settecentesche, si può concludere che nel caso delle basi i disegni risultano piuttosto fedeli.

540 Cfr. PARSLOW 1998b, p. 124 e GUZZO 2005, p. 108. Soprattutto Guzzo ha ritenuto che la mancanza di scanalature sulle colonne del fregio costituisca una prova significativa contro l’ipotesi di una riproduzione grafica del foro di Pompei nel nostro affresco.

541 I frammenti in questione sono indicati dai numeri 1, 12, 13 e 16 per un totale di 5 o forse 6 basi visibili. In più di un frammento la possibilità di verificare la natura della base è pregiudicata dalla presenza di figure umane o delle statue equestri poste davanti alle colonne degli edifici porticati.

Sia nelle tavole delle Pitture d’Ercolano che nei frammenti del fregio le basi sono costituite da un basso plinto rettangolare sul quale si imposta una modanatura dal profilo schiacciato superiormente e convesso inferiormente: una conformazione in base alla quale è a mio avviso possibile assimilare le basi dipinte a quelle generalmente definite di tipo tuscanico. Questo tipo di modanatura è assente nell’area antistante il macellum pompeiano dove, lo si ricorderà, le colonne corinzie poggiano su basi modanate di tipo attico con doppio toro542; e non compare nemmeno lungo i portici meridionale ed occidentale, in cui le colonne in travertino poggiano direttamente al di sopra di elementi in pietra lavica543. Ma, come era avvenuto con le scanalature, anche nel caso delle basi ci troviamo davanti ad un dettaglio assolutamente marginale; ed anche in questo caso la preferenza per una modanatura relativamente semplice da eseguire anche per i pittori meno dotati andrà letta nell’ottica di una semplificazione attenta all’effetto d’insieme più che alla riproduzione fedele del particolare. Il che dimostra, ancora una volta, il disinteresse per una riproduzione esatta della piazza e dei suoi edifici.

Un fenomeno analogo riguarda la resa della trabeazione, così come appare in sei dei frammenti del fregio544. In cinque di essi l’epistilio è liscio545, e così risulta essere anche nella realtà dei portici meridionale, occidentale e in quello del chalcidicum di Eumachia, dove, al di sopra di un sottile blocco di architrave a tre listelli, si imposta un fregio liscio. In questi edifici, tuttavia, le colonne culminano in capitelli di ordine dorico e non, come si verifica nel fregio, in capitelli corinzi.

Nell’unico caso in cui è invece possibile riscontrare una più accurata caratterizzazione della trabeazione (frammento numero 16), quest’ultima presenta un fregio dorico con metope e triglifi sui quali sono posti dei clipei, probabilmente metallici546. Ora, se si volesse confrontare tale dettaglio con elementi di trabeazione simili dalla piazza pompeiana, dovremmo richiamare il caso dell’epistilio della porticus duplex, anch’esso dorico con triglifi e metope. Già P. Guzzo, però, ha notato come su quest’ultimo non vi sia traccia di alloggiamento per eventuali scudi, dal momento che le metope risultano essere cieche547. Tale

542Cfr. supra Cap. III. 1. 2. 543 Cfr. supra Cap. III. 1. 2.

544 Si tratta dei frammenti numero 11, 12, 14, 15, 16, 17. 545 Sono i frammenti numero 11, 12, 14, 15, 17.

546 La natura metallica degli scudi è indiziata, a mio modo di vedere, dal colore in cui i clipei sono resi: cfr. supra Cap. II. 1. 16.

547 Cfr. GUZZO, 2005, p. 108: <<Inoltre, si ha discordanza per quanto riguarda la composizione dell’architrave: vi è raffigurato una sorta di fregio dorico, con elementi circolari nelle metope; nella realtà, le metope dell’architrave del lato meridionale della piazza sono cieche>>.

discrepanza, tuttavia, non va utilizzata, come fa Guzzo, per sostenere l’impossibilità di una identità tra foro reale e foro dipinto; ciò che occorre fare, invece, è riflettere sull’anomalia, mai evidenziata finora, costituita dall’inserimento dei clipei sui triglifi, e non sulle metope, in contrasto non solo con la realtà pompeiana ma, più in generale, con le consuetudini architettoniche romane. È ancora una volta evidente che la riproduzione fedele delle architetture del foro non rientrava tra gli obiettivi dei pittori; al contrario, tramite i clipei, essi mirarono ad evocare e richiamare alla mente dell’osservatore antico un settore del foro in cui tale dettaglio doveva essere presente, senza curarsi di rappresentarlo nella sua esatta posizione. In caso contrario, dovremmo pensare ad un clamoroso errore da parte dei pittori che, pur avendo presente l’esatta collocazione dei clipei sull’epistilio, ne invertirono la collocazione. Quanto, poi, alla possibilità di rintracciare esempi di scudi sulle trabeazioni dei portici del foro, non si dovrà sottovalutare la possibilità più che concreta che essi fossero realizzati in metallo, così come sembra suggerire la pittura, e che dunque la loro ricerca risulti inevitabilmente vana. D’altra parte, non vi sono dubbi che simili oggetti dovessero decorare alcuni dei portici della piazza, se si considera la dedica in di alcuni clupeos in onore di

Decimus Lucretius Valens da parte dei Ministri degli Augustales pagani, dei nates, degli scabiliarii e dei fore(n)ses548.

Una valutazione analoga mi sembra vada fatta per l’apparente differenza nell’ampiezza degli intercolumni dei colonnati dipinti. C. Parslow ha sottolineato come in alcuni frammenti le colonne siano maggiormente distanziate549, e ha riconosciuto in tale particolare un’allusione ai colonnati della Palestra Grande più che a quelli del foro550. Personalmente, ritengo che una tale differenza sia del tutto marginale e che essa, più che dettata dalla volontà di raffigurare due edifici dalle differenti proporzioni, vada imputata alla rapidità disegnativa che contraddistingue il nostro affresco o, in alternativa, alla attività di più

548 AE 2004, 405. Per l’iscrizione si veda: DE SPAGNOLIS CONTICELLI 1003-1994, in part. pp. 161-166. Più di recente sul documento è tornato G. Camodeca: cfr. CAMODECA 2004. Tra gli elementi

architettonici del foro pompeiano, ed in particolare di quelli del chalcidicum del macellum, è noto un frammento marmoreo pertinente ad un clipeo che E. La Rocca ha proposto di associare all’arco numero 4. Il frammento è conservato nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Napoli: cfr. LA ROCCA 1993, pp. 41-42; GASPARINI 2009, p. 65; MÜLLER 2011, p. 59, n. 148. Il rilievo del

frammento fu realizzato nel 1823 nel Real Museo di Portici dall’architetto francese J. -B. Cicéron Lesueur ed è attualmente conservato all’Ecole Normale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi (Fig. 162).

549 Si tratta dei frammenti numero 1, 2, 5, 9, 10, 17.

550 In base a tale deduzione, Parslow ha inoltre proposto di collocare tali frammenti sulla parete Sud dell’atrium, presupponendo che gli autori del fregio volessero suggerire l’identificazione proprio con la Palestra Grande, posta a Sud dei Praedia: cfr. PARSLOW 1998b, pp. 119-120 e infra Cap. VI. 1 e

mani impegnate contemporaneamente nella realizzazione del fregio. Inoltre, ipotizzare che nel fregio si sia scientemente e volutamente sottolineata la distinzione tra gli intercolumni di differenti edifici porticati condurrebbe ad individuare nel fregio una pittura di straordinaria modernità, più vicina ai canoni del rilievo architettonico che non a quelli della pittura antica. In quest’ottica, la tesi di Parslow mi pare altamente improbabile e credo sia di conseguenza da respingere.

Poco si conosce dello sviluppo dei portici dipinti al di sopra del primo ordine colonnato. Tale lacuna, come detto, è dovuta soprattutto al disinteresse pressoché assoluto che gli scavatori del ‘700 mostrarono per le architetture e i monumenti presenti nel fregio, con il conseguente sacrificio di molte parti dell’affresco in cui le strutture dovevano prevalere sulle scene di vita quotidiana. Da un lato, infatti, i frammenti ritenuti poco interessanti vennero abbandonati, a volte anche sulle pareti della stanza, come mostra il caso del frammento numero 17, ancora in situ; dall’altro, nel distacco degli affreschi le parti superiori del fregio vennero ritagliate e solo raramente, o forse mai, se ne rispettarono le originarie dimensioni.

Nel frammento numero 17, subito al di sopra delle colonne di ordine corinzio e dell’architrave, è visibile un tetto a doppio spiovente di cui si riconosce anche la copertura in