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LA PIAZZA E LE NUNDINAE : COMMERCI , POLITICA , ISTITUZIONI CIVICHE DI UNA CITTÀ

Nel descrivere i frammenti dell’affresco abbiamo più volte utilizzato i termini scenario e sfondo in riferimento alle architetture e agli edifici, soprattutto i portici, che costituiscono un elemento di primo piano all’interno del fregio.

Non senza ragione, tuttavia, coloro che a più riprese hanno trattato dei singoli frammenti hanno concentrato la propria attenzione soprattutto sulle scene e le attività rappresentate e, in misura minore, sul rapporto che queste ultime intrattengono con lo spazio in cui si svolgono.

Nelle prossime pagine concentreremo la nostra attenzione sulle scene principali del fregio, quelle cioè, che consentono di chiarire meglio il ventaglio di attività che dovevano svolgersi nella piazza di una città romana nel I sec. d.C., in particolar modo in un’occasione durante la quale tutte potevano coerentemente essere ospitate all’interno dello spazio forense583.

Il fondo comune per le attività rappresentate nel fregio è senza alcun dubbio quello della vita quotidiana di una città romana nel pieno delle sue funzioni commerciali, politiche e socio-istituzionali. Il luogo in cui queste ultime hanno vita e assumono il loro valore di pubblica utilità non può non essere il foro; ritengo invece di dover scartare ipotesi alternative, che pur non sono mancate, e che hanno proposto di collocare lo svolgimento delle attività raffigurate, o di parte di esse, all’interno di aree pur significative di Pompei (ad es. la Palestra Grande) cui tuttavia non si può riconoscere la stessa valenza politica, sociale ed economica del foro584. Solo la piazza pubblica, in effetti, è in grado di convogliare in un solo punto, grazie ad una centralità frutto dello sviluppo della maglia urbana, i principali assi viari e così anche il flusso umano di venditori, acquirenti, uomini d’affari, politici, giovani, anziani,

583 Quando non diversamente specificato si veda quanto indicato al catalogo del Capitolo 2 per i rimandi alle tavole.

personaggi di rango elevato e figure poste ai margini della comunità, in cerca di fortuna o solo di sostentamento.

In questo quadro vanno lette ed inserite le scene raffigurate nell’affresco.

Caratteristica prima del fregio è rappresentata dal fatto che esso, pur composto da quadri in cui si tende ad evitare la sovrapposizione di più attività attraverso una pittura che procede per giustapposizioni paratattiche, mostra una sintassi decorativa complessa, in cui le singole attività concorrono a rendere viva l’immagine di un’occasione del tutto particolare: quella di un giorno di nundinae.

Già E. Magaldi, in un datato articolo dedicato al commercio ambulante di Pompei, aveva avanzato una simile ipotesi585. In quell’occasione, tuttavia, l’autore non sviluppò nel pieno delle potenzialità le pur felici intuizioni: in primo luogo, a causa della rapidità nella trattazione e del punto di vista che Magaldi assunse, attento più all’esame delle singole figure che all’insieme della rappresentazione; in secondo luogo, l’approfondimento relativamente poco accurato con cui il tema era trattato risultava necessariamente condizionato dallo scarso avanzamento degli studi su un aspetto che solo nell’ultimo cinquantennio è stato posto al centro del dibattito sull’economia romana antica. Non può sorprendere, dunque, il fatto che nei successivi contributi dedicati al fregio, le intuizioni di Magaldi siano state completamente ignorate. Va poi osservato che l’articolo del pompeianista risultava incentrato in maniera esclusiva sulla tematica commerciale e che pertanto venivano presi in considerazione solo i frammenti dell’affresco in cui essa appare più evidente. Tuttavia, si vedrà come solo l’esame delle diverse tematiche compresenti nel fregio (commerciale, sociale, religiosa) consenta di sostenere e avvalorare la tesi che qui si sostiene.

Quest’ultima considerazione ci obbliga inoltre ad una premessa di tipo metodologico: come si vedrà, nell’esame delle varie attività raffigurate nel fregio si è scelto di seguire un ordine piuttosto rigido, separando le scene di carattere più chiaramente commerciale dalle immagini di giovani impegnati a scuola o da quelle che ritraggono cittadini intenti a prendere visione di leggi e documenti di interesse pubblico. Si tratta di un criterio utilizzato soprattutto al fine di semplificare la trattazione di problemi spesso estremamente complessi, resi spinosi dalla lacunosità e dalla scarsità di notizie desumibili dalle fonti. Ciò, si badi, non deve tuttavia far dimenticare l’elemento fondamentale alla base dell’interno fregio, e cioè la necessaria e logica compresenza di attività così diverse su una stessa piazza, quella di Pompei, in un’unica occasione, le nundinae.

V. 1. Il commercio

L’attività commerciale è sicuramente quella quantitativamente e qualitativamente meglio rappresentata nei frammenti. La piazza pubblica ci appare in essi come un’area dai forti connotati economico-commerciali, con un interesse prevalente per la vendita al dettaglio di beni di natura assai diversa. Il che riporta alla mente la prima delle sei definizioni che Festo fornisce per il sostantivo forum, inteso principalmente come negotiationis locus586.

Tra le merci più rappresentate, i generi alimentari assumono senza dubbio un peso rilevante. La presenza di alimenti esposti e venduti direttamente sulla piazza non contrasta con l’ampia diffusione nelle città romane, a partire almeno dal II sec. a.C., di edifici come i

macella, specificamente destinati al commercio di simili prodotti. La costruzione di mercati

alimentari, del resto, non riuscì mai ad eliminare del tutto la presenza di venditori ambulanti ai margini della piazza stessa587. In casi come quello pompeiano, poi, la collocazione del macellum all’angolo nord-orientale del foro, affacciato direttamente sulla piazza, dovette

stimolare l’installarsi di ambulanti ai margini dei porticati, probabilmente non lontano dall’ingresso al mercato. In questo senso è estremamente interessante quanto si osserva nel frammento numero 11: in esso, accanto all’arco, che come si è visto richiama da vicino il monumento onorario presente presso l’angolo nord-orientale del foro di Pompei588, è presente, tra gli altri, un cuoco nell’atto di attingere del liquido, forse del brodo, da vendere ad alcuni acquirenti che si accalcano attorno alla pentola che occupa il centro della scena. Ci troviamo, qui, davanti ad uno di quei casi in cui non solo il contesto architettonico ma anche e soprattutto l’attività raffigurata contribuiscono a stabilire una connessione, direi sicura ed inequivocabile, tra il fregio e la realtà del foro cittadino. La presenza di un venditore di vivande nelle vicinanze dell’arco, e di conseguenza del macellum, costituisce infatti un elemento coerente non solo con la realtà pompeiana ma anche con quanto si apprende da alcuni riferimenti letterari relativi ai cuochi e ai luoghi in cui essi erano reperibili. A partire dal II sec. a.C. a Roma si assiste al fiorire di una più curata cultura culinaria, sicuramente favorita dal contatto assiduo con il mondo ellenistico589. Sempre più frequentemente cittadini

586 Festo, p. 74, 15-27 Lindsay.

587 Come si è avuto modo di ricordare, è proprio nelle botteghe esterne al muro perimetrale dei

macella che Nabers individuava una peculiarità di quei macella che, in modo un po’ troppo

generalizzato, la studiosa racchiudeva sotto la denominazione di ‘macella di tipo italico’: cfr. NABERS

1973 e supra Cap. III. 1. 2. 588 Cfr. supra Cap. III. 1. 3. 589 Cfr. LOWE 1985, pp. 79-81.

di rango elevato, ma non abbastanza ricchi per tenere a servizio un cuoco, si rivolgono a professionisti che operano nel mercato cittadino o possono essere qui reperiti in caso di necessità590. La vicinanza di situazioni come quelle descritte da Plauto alle consuetudini romane è stata in più di un caso messa in dubbio591. Sebbene il commediografo prenda spesso spunto o traduca autori attici, siamo comunque autorizzati a ritenere che Plauto si riferisca ad abitudini ben conosciute, e forse sperimentate dai suoi stessi spettatori, soprattutto nel caso di riferimenti a dettagli inerenti la sfera più strettamente quotidiana592. Del resto, che la testimonianza di Plauto abbia un valore concreto anche per il mondo romano, e che non costituisca una semplice eco di usi prettamente greci, è ben dimostrato da Plinio, il quale ricorda come prima della sua epoca molti cittadini ingaggiassero i cuochi al mercato evitando così di spendere somme ingenti per tenerli sempre in casa593. A certificare l’importanza che queste figure di cuochi professionali dovettero assumere a Roma a partire almeno dal II sec. a.C. interviene infine la testimonianza della presenza di un forum coquinum nell’Urbe594. L’esistenza di un forum coquinum espressamente destinato ai cuochi dovette divenire superflua con la realizzazione di un grande mercato alimentare, il macellum, al cui interno iniziarono a riunirsi i cuochi con le loro postazioni595.

590 Plau., Aul. 280-349; Pseud. 804, 908. Questi, come altri riferimenti plautini in cui si ha notizia di cuochi che vengono ‘affittati’ nel mercato sarebbero, secondo Lowe, da ricondurre ad una pratica greca e non romana, nella quale il cuoco è prevalentemente un servo che opera in casa: cfr. LOWE

1985,pp. 84-85. Personalmente, ritengo si tratti di una tesi non pienamente condivisibile: cfr. nota successiva.

591 Nel caso dei cuochi, ad esempio, Lowe sostiene un influsso dal modello della commedia greca, in cui il personaggio del µάγειρος ricopre effettivamente un ruolo di rilievo: cfr. DOHM 1964. I coqui di

Plauto sarebbero dunque il frutto di una mediazione tra le figure di cuochi greci, in origine uomini liberi dalle molteplici funzioni e disponibili anche per prestazioni occasionali, e i cuochi romani, prevalentemente servi che lavoravano presso case private: cfr. LOWE 1985,pp. 84-85 e p. 102. Si tratta

di una tesi che non condivido: i riferimenti alla pratica di ‘affittare’ cuochi nel mercato, ad esempio, sono così numerosi e diversificati da far pensare ad una consuetudine conosciuta dagli stessi spettatori di Plauto più che alla volontà di richiamare costumi ‘esotici’, e quindi greci, derivati dai modelli a cui il commediografo latino si ispirava.

592 Cfr. FRAENKEL 1960, pp. 84-85.

593 Plin. N.H. XVIII, 28. Lowe sembra avere dei dubbi sull’attendibilità di tale notizia, che Plinio avrebbe tratto dalle palliate in cui i cuochi ricalcano la figura del µάγειρος greco: cfr. LOWE 1985,p.

84.

594 Per la menzione di un forum coquinum si veda Plau. Pseud. 804. Ancora una volta Lowe appare scettico sull’esistenza di un tale mercato dei cuochi: cfr. LOWE 1985,p. 84. Sebbene non ne escluda la

possibile esistenza, l’autore ritiene si tratti di una creazione plautina coniata sulla base del modello greco dei celebri µαγειρεῖα ateniesi dove i cuochi stavano con i loro utensili in attesa di eventuali ordinazioni: Pollux. IX, 48; Athen. IV, p. 164; Diog. Laert. II, 72.

595 A questo proposito è di estremo interesse la notizia fornita in Plin. N.H. XVIII, 108, 4 in cui si riferisce della possibilità di reperire dei cuochi nel macellum e di pagarli perché cucinassero nelle case private.

I cuochi di professione, tuttavia, non erano soltanto disponibili per incarichi temporanei nelle case dei più ricchi. Al contrario, e ciò interessa più direttamente la discussione sul frammento numero 11 del fregio (Fig. 45), oltre che è nota la moda di acquistare cibi già cotti lungo le strade, nelle piazze e, ovviamente, nei pressi del mercato alimentare che, come abbiamo visto, doveva essere un punto privilegiato per le postazioni dei cuochi596. In questo senso sono interessanti i divertenti siparietti che Marziale mette in scena attorno ad un mercante ambulante di salsicce che si sgola fino a diventare rauco nel tentativo di vendere la merce che porta in uno scaldavivande597. Il confronto con il quadro rappresentato nel frammento 11 è impressionante, e descrive l’azione che è qui rappresentata meglio di ogni eventuale confronto iconografico598. Non solo la presenza di un cuoco nella piazza permette di identificare il luogo in cui si svolge la scena con il foro, ma il contesto stesso in cui i cuochi operavano, ossia nei pressi dei macella, e la raffigurazione di un arco che ritengo indubbio essere quello presso l’angolo nord-occidentale del foro pompeiano, consentono di legare la nostra scena con un settore specifico della piazza cittadina599. Più di noi, chi osservava il fregio doveva così essere aiutato nell’identificazione di un particolare angolo della città.

L’apporto del frammento numero 11 al presente lavoro può non essere limitato alla sola identificazione di una attività culinaria e di un luogo ben preciso della piazza cittadina. Alcuni versi dell’Aulularia di Plauto, infatti, ci conservano una testimonianza che, sommata alle altre che esamineremo nelle prossime pagine, potrebbe avere un notevole peso anche nell’ottica di una lettura dell’intero fregio come rappresentazione non già di una giornata ordinaria nel foro ma di una occasione del tutto particolare, ossia di un giorno di nundinae. La nostra attenzione è colpita da quanto descritto nella Scena IV dell’Atto II: Strobilo, servo di Megadoro, è stato ingaggiato dal proprio padrone per recarsi al macellum, acquistare ciò che è necessario per le imminenti nozze con la figlia di Euclione e soprattutto assicurarsi le prestazioni di due cuochi professionisti600. Giunto al mercato il servo inizia una serrata discussione con due cuochi, Antrace e Congrione, al fine di verificare quale dei due sia il più

596 Discorso a sé, ovviamente, meritano le tabernae, le cauponae e le popinae.

597 Mart. I, 42.9: [...] quod fumantia qui tomacla raucus circumfert tepidis cocus popinis [...].

598 È peraltro degno di nota il fatto che questa scena, così come molte altre del fregio, costituisce un

unicum all’interno dell’intero panorama iconografico greco-romano.

599 E ciò nonostante le possibili contraddizioni che, come si è più volte detto, riguardano alcuni particolari architettonici anche del frammento n. 11.

svelto ed il più capace. Nel tentativo di denigrare il collega e concorrente e aggiudicarsi la possibilità di lavorare nella casa di Megadoro e non dell’avaro e violento Euclione, Antrace definisce Congrione un ‘cuoco da giorno di mercato’ (cocus ille nunidinalest)601, ossia un cuoco abituato a cucinare solo ogni nove giorni (in nonum diem solet ire coctum), in occasione delle nundiane. Si apre così, davanti ai nostri occhi, un nuovo squarcio su una situazione di vita che doveva essere ben presente agli spettatori e che A. Ernout ha così efficacemente descritto: <<Ce jour-la [scil. le nundinae] il y avait affluence des habitants de

la banlieue et de la campagne, qui venaient à la ville vendre leurs produits ou faire leurs emplettes, et aussi plaider leurs procès, consulter les jurisconsultes, etc. Sur le forum s’installaient les cuisines en plein vent, dont les cuisiniers ne travaillaient que ce jour-la, et ne savaient faire qu’une médiocre chère, gargotiers d’occasion et sans références>>602. Evidentemente in occasioni in cui l’afflusso di mercanti, commercianti e avventori doveva essere eccezionalmente elevato, la presenza di cuochi che commerciavano, direttamente sulla piazza, cibi e bevande pronte da consumare doveva realmente essere una consuetudine. E credo che ci siano fondate ragioni per avvicinare il cuoco presente nel fregio a quelli che nei giorni di nundinae facevano affari nel foro, ovviamente nei pressi del mercato alimentare.

Altrettanto significative in questo senso appaiono le rappresentazioni di mercanti di generi alimentari, come quella del venditore di ortaggi o frutta visibile accanto all’arco nel frammento numero 11, o quella del commerciante di pane nel frammento 9 (Fig. 38)603. A proposito di quest’ultimo, ad esempio, è opportuno ricordare un interessante passaggio di Labeone, riportato da Ulpiano, da cui apprendiamo della consuetudine da parte del pistor, ossia del fornaio titolare della bottega, di delegare un servo per la vendita, evidentemente in occasione di mercati e fiere604.

Ciò che colpisce maggiormente in questi ultimi due casi, e che vedremo essere una costante anche per le altre attività commerciali, è la provvisorietà delle installazioni di

601 Plaut. Aul. 324-325. A questo passo si rifà anche Festo: cfr. Festo, p. 176, 27 Lindsay. 602 Cfr. ERNOUT 1952 p. 167, n. 1.

603 Nel caso di questo frammento è impossibile stabilire una connessione con un settore specifico del foro di Pompei, nonostante la presenza di un edificio con finestre sul fondo del colonnato: cfr. supra Cap. II. 1. 9.

604 Cfr. Dig. XIV, 3.5 § 9: Si quis pistor servum suum solitus fuit in certum locum mittere ad panem

vendendum. Per l’uso di praeopositi da parti di mercatores e negotiatores si veda anche infra in questo

vendita605. Pur potendo e dovendo presumere una certa mobilità per quei mercanti che non trovavano collocazione stabile all’interno del macellum, la caratterizzazione nel fregio delle

mensae di vendita, rappresentate come apprestamenti effimeri e rimovibili, lascia pensare non

tanto ad una situazione ‘normale’ quanto ad un’occasione particolare quale deve ritenersi un mercato straordinario o ‘periodico’.

In questo senso si può spiegare senza troppe difficoltà quella che a prima vista potrebbe suonare come una anomalia del nostro fregio, e cioè la vicinanza, in uno stesso luogo, e per di più nel foro, di mercanti che operano in campi assai diversi quali quello della vendita di generi alimentari, di stoffe, di calzature, e perfino di vasi metallici.

Quella della precarietà delle installazioni di vendita non è la sola curiosità che riguarda la raffigurazione delle attività commerciali nel fregio. Già nella descrizione delle singole scene con vendita di stoffe, infatti, si era sottolineata la necessità di chiarire ulteriormente il ruolo dei personaggi in azione (Figg. 38 e 43). In quella occasione si era fatto riferimento in particolare alle figure dei vestiarii e dei lintearii. È qui opportuno ritornare su questo punto. In un recente contributo dedicato alla produzione ed al commercio dei tessuti nel mondo romano, F. Vicari ha ben evidenziato le difficoltà di distinguere fra figure professionali che in ogni caso dovevano essere caratterizzate da precise delimitazioni merceologiche606. Non è ben chiaro, ad esempio, se i vestiarii si occupassero esclusivamente della produzione dei tessuti o se fossero impegnati anche nella commercializzazione. È inoltre necessario sottolineare come la vendita di vesti e stoffe fosse almeno in parte affidata agli ambulanti incaricati esclusivamente del commercio al dettaglio, che possono essere indicati con il termine

605 La consuetudine di occupare marciapiedi e strade a fini commerciali non è affatto sconosciuta al mondo romano. Marziale, ad esempio, ricorda come in molte strade di Roma i temerarii institores avessero invaso lo spazio antistante le proprie botteghe occupandolo irregolarmente, e come solo l’intervento di Domiziano fosse riuscito nel compito di ridare lustro alla città (Nunc Roma est, nuper

magna taberna fuit). Cfr. Mart. VII, 61: Abstulerat totam temerarius institor urbem | inque suo nullum limine limen erat. | Iussisti tenuis, Germanice, crescere uicos, | et modo quae fuerat semita, facta uia est. | Nulla catenatis pila est praecincta lagonis | nec praetor medio cogitur ire luto, | stringitur in densa nec caeca nouacula turba | occupat aut totas nigra popina uias. | Tonsor, copo, cocus, lanius sua limina seruant. | Nunc Roma est, nuper magna taberna fuit.

Nel caso del fregio, tuttavia, ci troviamo davanti ad una situazione completamente diversa: il foro, infatti, avrà goduto di uno statuto necessariamente differente rispetto a quello di vie dalla spiccata destinazione commerciale, come ad es. Via dell’Abbondanza a Pompei o via Marina. Qui, in prossimità della Basilica, sui marciapiedi che fiancheggiano l’edificio, M. Della Corte aveva riconosciuto alcune tracce riconducibili a baracche: cfr. DELLA CORTE 1922,p. 107 e MAGALDI 1930,

p. 75.

606 Cfr. VICARI 2001, p. 74. Nel caso degli affreschi pompeiani, tuttavia, non è possibile essere più precisi sulla qualità della merce venduta. Pur non esente da critiche spesso giustificate, è necessario ricordare l’ancora fondamentale analisi sulla produzione ed il commercio di tessuti a Pompei condotta da Moeller: cfr. MOELLER 1976. Una critica piuttosto serrata al lavoro di Moeller è quella di Jongman:

generico institores ma anche, più specificamente, con i sostantivi circitores, coctiones,

arillatores607. Proprio questo è ciò che ci mostra l’affresco pompeiano di cui ci stiamo occupando: un commercio svolto direttamente sulla piazza e non all’interno di botteghe chiuse; una vendita al dettaglio, effettuata in uno spazio pubblico, della quale non è del tutto semplice ricostruire modalità di svolgimento e regolamentazioni giuridiche. Molto suggestivo a tal proposito è il richiamo al già ricordato passo del Satyricon in cui Petronio descrive la vendita di stoffe nel foro di Napoli. Nella piazza una quantità di merce di non altissima qualità è esposta da mercanti di professione ma anche da coloro che vengono dalla campagna