1.1 – Gli anni ‘20
I rapporti politici ed economici tra Argentina e Italia si svilupparono in modo particolare sin dall’epoca fascista. Fu già a partire dal 1922 infatti che si manifestò l’interesse del nuovo governo Mussolini nei confronti dell’Argentina, a partire dalla questione dell’emigrazione, vista anche come terreno di penetrazione all’interno della comunità italiana.
In realtà prima della conquista del potere, il fascismo non aveva elaborato una propria idea del problema dell’emigrazione, mentre fin dal suo atto di nascita manifestò un’ambizione espansionista ed una esaltata concezione della italianità, di cui si reputava unico interprete, custode e rappresentante legittimo. Era diffusa la convinzione che l’emigrazione fosse la manifestazione di una prepotente vitalità espansionista della stirpe. Come indica Emilio Gentile, il fascismo definì la sua posizione politica sull’emigrazione nel convegno di Napoli dell’ottobre del 1922, alla vigilia della marcia su Roma,: era – disse Mussolini “un problema importantissimo della nostra politica estera”, che doveva essere risolto unendo gli emigrati in “un complesso organico potente da giovare alla Nazione italiana per il suo prestigio e per il suo sviluppo economico”.47 Mussolini dunque aveva
47 E.GENTILE, L’emigrazione italiana in Argentina nella politica di espansione del nazionalismo e del
36 progettato nell’autunno del 1922 una propria soluzione per la questione dell’emigrazione, dell’italianità e dell’espansione: in un primo tempo, si trattava di avviare una massiccia campagna per attivare il senso di italianità negli emigrati; successivamente, si doveva realizzare un’opera sistematica di sensibilizzazione svolta specialmente verso i giovani emigrati più ricettivi agli appelli del fascismo. All’indomani del suo insediamento al potere, Mussolini ostentò in questo campo, il suo attivismo, facendo mostra di voler rimediare, con una decisa azione interventista, all’ inerzia dei passati governi liberali. Il governo, disse alla Camera il 18 novembre 1922” intende conciliare con la sua azione le necessità demografiche della nazione e nello stesso tempo intende di provvedere alla energica tutela dei nostri emigranti, nella loro duplice qualità di operai e di italiani”.48Il governo fascista non manifestò, nei
primi anni, alcuna prevenzione verso l’emigrazione: “Bene o male che sia – disse ancora Mussolini il 30 marzo 1923 – l’emigrazione è una necessità fisiologica del popolo italiano”.49
Come ha scritto Roberto Cantalupo, occorreva sostituire “l’influenza di minoranze organizzate e sicure all’abbondante ma friabile materiale umano fornito all’emigrazione durante oltre settanta anni dalla vecchia Italia…per fondare la politica del prestigio affidandola a nuovi organismi da creare, atti a diffondere la cultura e la civiltà, adeguati all’accresciuta influenza nostra nel mondo.”50 Si può dire che il fascismo rimase sostanzialmente coerente con
questa direttiva, anche se la sua azione si svolse in forme tra loro talvolta discordanti. Perché anche in questo campo, la politica fascista risentì di una certa rivalità tra stato e partito e della sovrapposizione, come indica Gentile, specialmente fra il 1923 e il 1926 dei due criteri che ispiravano, da una parte, la politica del governo e, dall’altra, l’azione del partito attraverso l’organizzazione dei Fasci all’estero.
In ogni caso fin dai primi tempi dopo la conquista del potere, il fascismo
48 E.GENTILE, op. cit., pag. 382. 49 Ivi, pag.381.
37 manifestò un interesse speciale verso l’Argentina per la presenza di una cospicua comunità italiana. Inizialmente fu inviato come propagandista, per ‘organizzazione dei fasci all’estero, Ottavio Dinale. Ma il primo approccio importante e diretto al problema dell’emigrazione e della italianità in Argentina avvenne durante la crociera della nave “Italia” nell’America del Sud,51 che si svolse fra il febbraio e l’ottobre 1924. La crociera, era in realtà
una sorta di fiera campionaria cui partecipavano 567 ditte che esponevano i principali prodotti dell’industria e del commercio italiani. I risultati economici furono notevoli, valutati in contratti per un centinaio di milioni. Verso le Americhe il governo di Roma cercò poi nella stessa occasione, di aggiornare lo strumento delle missioni diplomatiche speciali già sperimentate dall’Italia liberale nel 1920-22. In questo senso ebbe particolare rilievo la missione di Giovanni Giuriati. Egli nel febbraio-ottobre 1924 fu nominato ambasciatore straordinario in America Latina, e partì con la nave “Italia”. Giuriati considerava la missione come un mezzo per conoscere da vicino la situazione dei paesi latinoamericani, in vista delle possibilità di penetrazione economica e dell’emigrazione. E nella sua missione apparve primario il problema della italianità delle comunità latinoamericane di connazionali. Su questo punto le sue considerazioni furono tuttavia tutt’altro che ottimistiche. Infatti egli rilevò che proprio nelle colonie numerose, come a Buenos Aires ma anche a San Paolo, la comunità italiana era divisa da egoismi e rivalità politiche.52 Per Giuriati, “avviare i nostri consanguinei verso la grande
Repubblica del Plata vuol dire condurli a sicura e rapida assimilazione”. Egli riteneva che l’Argentina fosse il paese dove gli italiani erano più facilmente e rapidamente snazionalizzati e assimilati, dove “più di ogni altro, l’emigrante è minacciato di snazionalizzazione”: ”non vi è connazionale più immemore della Patria, di quello nato in Argentina”. Lo stato non poteva intervenire in questo campo regolando l’emigrazione in vista della preservazione della
51 Ibidem.
38 italianità. Invece, rimproverava Giuriati, questo aspetto era trascurato nella politica del Commissariato per l’emigrazione. ”Nessun criterio politico presiede oggi alla risoluzione del nostro problema demografico”. Il Commissariato per l’emigrazione, secondo Giuriati, “non attende se non alla polizia del movimento emigratorio”. Esso - proseguiva- “si limita a studiare i vari mercati di lavoro sulle malcerte statistiche” dell’America Latina e delle rappresentanze consolari italiane. Non si preoccupava di valutare la situazione politica dei paesi d’immigrazione e perciò ignorava “se gli italiani che partono si conserveranno Italiani o rinnegheranno la Patria: assicurato il salario del partente, non pensa ad altro”.53
Le allarmate considerazioni di Giuriati non contribuirono però, almeno nel tempo immediato, a modificare la politica dell’emigrazione del governo fascista e il suo atteggiamento verso l’emigrazione in Argentina.54
“Con toni di marcatamente nazionalisti” - come ha scritto Marco Mugnaini, -“ Giuriati faceva notare come i figli di italiani diventassero rapidamente “fervidi argentini”, ponendo un problema “più grave e urgente”rispetto al Brasile, con il rischio di contribuire alla nascita dell’Argentina quale “potenza che potrà essere nemica”dell’Italia”.55 “Al tempo stesso Giuriati segnalava
l’ottima accoglienza ricevuta da parte delle autorità argentine e suggeriva di trasformare la legazione a Buenos Aires in ambasciata”.56 Diversamente da
quanto avvenuto nel dicembre 1922 questa volta la proposta si concretizzò, e in giugno Mussolini comunicò l’elevazione in ambasciata della rappresentanza italiana, senza attendere l’iter parlamentare dell’analogo provvedimento argentino (l’elevazione in ambasciata della rappresentanza argentina a Roma avvenne difatti nel 1926).57
53 Ivi, pag.381. 54 Ibidem.
55 M.MUGNAINI, L’America Latina e Mussolini. Brasile e Argentina nella politica estera
dell’Italia(1919-1943), Franco Angeli, Milano, 2008, pagg.46-47. 56 Ivi, pag.47.
39 Nei confronti dell’Argentina, il governo fascista manifestò comunque un’ attenzione speciale, mettendo sovente in rilievo i particolari rapporti di cordiale amicizia che legavano i due paesi.
Nel 1925, il re presenziò a Genova alla posa della prima pietra per il monumento al generale Belgrano, eroe dell’indipendenza argentina. Due anni dopo, l’inaugurazione del monumento fu celebrata con solenni feste italo- argentine per rinsaldare la fratellanza fra i due paesi legati, come si espresse Mussolini nel saluto al ministro argentino Gallardo, dalle “comuni origini tra i due popoli”58. In questo periodo, anche la stampa fascista seguì con
interesse particolare le relazione fra i due paesi, insistendo sui vincoli comuni, inneggiando al contributo degli italiani alla formazione della giovane nazione sudamericana e al suo progresso, esaltando i comuni destini futuri sotto il segno della latinità, e mettendo in risalto la buona disponibilità del governo argentino nel seguire un itinerario di collaborazione con il governo fascista nonostante le campagne antifasciste svolte da taluni giornali argentini e dai fuoriusciti antifascisti.59
Dietro la retorica ufficiale, il governo fascista cercava anche di trovare la via per conseguire concreti vantaggi nel mercato argentino per la produzione italiana e per l’emigrazione. Dopo le restrizioni adottate dagli Stati Uniti, si legge in una relazione inviata a Mussolini l’8 gennaio 1924 dalla Direzione generale degli affari politici e commerciali del ministero degli Esteri, l’Italia era obbligata a cercare altri mercati e altri sbocchi.60
Per quanto riguardava l’emigrazione la figura centrale in questo periodo è indubbiamente quella del senatore Giuseppe De Michelis (1872-1951), Commissario generale, dell’Emigrazione dal 1919 fino alla soppressione dell’ente nel 1927, diplomatico di notevole valore ed abile accentratore,
crisi Matteotti e che Mussolini diede indicazione di contrastare. Su questo aspetto si veda M.MUGNAINI, op. cit., pag.47.
58 E.GENTILE,. cit., pag.383. 59 Ibidem.
40 personaggio riverito ed applaudito dal fascismo, ma che indubbiamente rappresentava in parte la continuità con il passato. Egli infatti non era un figlio della “rivoluzione fascista”, anche se ne fu un rispettoso e illuminato interprete, sia nel campo specifico dell’emigrazione che in quello delle corporazioni.61 Negli anni del dopoguerra aveva dato un’impronta
organizzativa notevole al Commissariato, accentuando l’iniziativa dei trattati di lavoro per una disciplina dell’emigrazione e, nello stesso tempo, per una più rigorosa tutela e assistenza degli emigranti.
In un articolo apparso su “Gerarchia” in occasione del I Congresso dei fasci italiani all’estero, De Michelis considerava la stessa forte ripresa dell’emigrazione come effetto della politica del nuovo regime e sottolineava la linea della valorizzazione dell’emigrazione in cui prendevano particolare rilievo le iniziative di preparazione dei partenti. 62
L’atteggiamento del governo fascista nei confronti dell’ emigrazione in Argentina fu definito da De Michelis63 in una intervista alla “Nación”: “La
Repubblica Argentina è ancora uno dei paesi dove le correnti emigratorie italiane possono dirigersi con maggiore sicurezza e probabilità di successo, tenendo sempre conto dei bisogni del paese e della richiesta di manodopera”.64 Con l’organizzazione dei servizi dell’emigrazione , il
Commissariato poteva “scegliere i lavoratori da far emigrare secondo le esigenze e le necessità dei vari paesi di immigrazione”.65 L’Argentina offriva
buone possibilità di collocamento per la emigrazione agricola, mentre ostacolava e sconsigliava decisamente l’emigrazione di professionisti, impiegati e operai specializzati. Inizialmente nel 1923, su 89.324 emigranti solo 40 furono respinti. Nel 1924, oltre la metà degli emigranti transoceanici si
61 P.V.CANNISTRARO-G.ROSOLI, Emigrazione, chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell’Opera
Bonomelli, (1922-1928), Edizioni Studium, Roma, 1979, pag.18.
62 “Bollettino dell’Emigrazione”, n.11(1925), pag. 48-51, citato in Ibidem. 64 E.GENTILE, op. cit, pag. 384.
41 diresse in Argentina e poco meno di un terzo negli Stati Uniti; nel 1925 invece, gli emigranti in Argentina furono circa metà dell’emigrazione transoceanica, e più di un terzo quelli verso gli Stati Uniti.66 Il Commissariato
tendeva generalmente a incoraggiare l’emigrazione verso l’Argentina, e a disperdere le voci sfavorevoli, che potevano ostacolarla diffondendo false notizie sulla disoccupazione: “gli italiani – assicurava il “Bollettino della emigrazione”- soprattutto in dipendenza dell’organizzazione dei servizi statali dell’emigrazione nei porti del Regno, arrivando in Argentina vanno immediatamente a posto, anche per l’opera spiegata dagli uffici di collocamento appositamente istituiti a cura del nostro Commissariato generale per l’’emigrazione.”67 L’Argentina, scriveva nel 1926 Celestino
Arena, stretto collaboratore di De Michelis, “offre buone possibilità vastissime all’immigrazione italiana per affinità di razza e di cultura” e, pur avendo adottato misure restrizioniste, continua a vedere con grande simpatia l’emigrazione italiana che è sempre preferita fra tutte, specialmente perché è quella che fornisce il maggior numero di coloni e i migliori elementi all’agricoltura”.68
Per tutti gli anni ’20 ad occuparsi del dossier emigrazione fu delegato il Commissariato generale per le emigrazioni. Si può dire che tra il 1922 e il 1927, l’atteggiamento del governo fascista verso il problema fu un adattamento alla necessità. Il fascismo manifestò in questo periodo una ragionevolezza di intenti e di comportamenti nel trattare tecnicamente, per così dire, il problema dell’emigrazione, ma non rinunciò a perseguire fini più
66 E.GENTILE, op. cit, pag. 385.
67 Cfr. ”Bollettino della Emigrazione”, n. 3, pag. 208. Il Commissariato prese in considerazione anche i progetti di colonizzazione agricola, fece fare indagini in Argentina e, e per sua iniziativa, promosse la costituzione di una Compagnia italo-argentina di colonizzazione nel 1924. La Compagnia acquistò un lotto di 5000 ettari nella vallata superiore del Rio Negro per assegnarlo, in lotto di proprietà di 10 ettari, a 500 famiglie di coltivatori diretti. Nel 1925 erano stati colonizzati 1300 ettari e vi si erano insediate 81 famiglie. Su questo aspetto Cfr. E.GENTILE,
op. cit. pag. 385 68 E.GENTILE, Ibidem.
42 ambiziosi e velleitari, coerenti con la sua ideologia di potenza e di espansione, reclamando per sé il monopolio della tutela, della rappresentanza e della promozione dell’italianità. Nel frattempo la fascistizzazione del ministero degli Affari Esteri ad opera di Dino Grandi pose fine alle speranze autonomistiche dei Fasci all’estero, poiché fu presto chiaro che il controllo degli italiani all’estero spettava ai diplomatici, anche se, ancora negli anni Trenta, questi ultimi paventavano l’intromissione di altre organizzazioni. Il ministero degli Affari Esteri del resto aveva anche assorbito, tramite un’apposita direzione, le funzioni del Commissariato generale per l’Emigrazione, l’organismo che si era occupato degli emigranti dal 1901 al 1927. Infatti uno dei primi atti di Mussolini, con il decreto legge 18 gennaio 1923, n.227 era stato di togliere all’organizzazione dei servizi dell’emigrazione all’interno e all’estero, il carattere di un’amministrazione autonoma, ai margini cioè dell’organizzazione dello Stato, e di dichiarare il Commissariato parte integrante del ministero degli Esteri. Era la chiara affermazione che la politica generale dell’emigrazione doveva essere inquadrata nella politica governativa a livello internazionale.69 La fine del
confronto tra diplomazia e Fasci all’Estero, segnava la vittoria della prima e costituiva la riduzione dell’autonomia di questi ultimi, ma anche il maggior successo della propaganda tra gli italiani all’estero. L’azione congiunta dei Fasci e del ministero, nonché il prestigio crescente e i successi propagandistici del regime permisero, infatti, una maggiore penetrazione tra gli emigrati. La valutazione della presa sulle comunità emigrate è una questione molto dibattuta della storiografia sin dagli anni Trenta. La diaspora antifascista sottolineò, infatti, che i fascisti erano in posizione minoritaria tra gli italiani all’estero e lo stesso ribadirono le organizzazioni cattoliche.70
Giuriati aveva cercato di dare indicazioni negli anni ’20 sui possibili campi d’intervento dei Fasci: scuole, organizzazione dei combattenti, protezione
69 P.V.CANNISTRARO-G-ROSOLI, cit., pag. 29.
70 E.FRANZINA-M.SANFILIPPO, Il fascismo e gli emigrati: la parabola dei fasci italiani all’estero:
43 degli emigranti poveri, vigilanza sulla stampa, “Ma devo confessarti, - concludeva in una lettera Giuriati,- che non nutro la minima fiducia sul risultato concreto delle mie concioni”.71 E si astenne dal fare al duce qualsiasi
proposta in merito. Molto probabilmente Giuriati aveva dedotto le sue considerazioni pessimistiche anche dall’osservazione del fascio di Buenos Aires, allora il più importante dell’America Latina. Questo fascio, costituito prima della marcia su Roma, nel 1923, venne riconosciuto come sede della delegazione dei Fasci in America latina, cui era affidato il compito di promuovere la costruzione e controllare l’attività dei fasci nel continente.72
Dal 28 ottobre 1923, l’attività del fascio di Buenos Aires fu affiancata dal settimanale “Il Littore”, fondato e diretto dal capitano G.Trapani Milazzo, e divenuto, nell’aprile 1924, organo ufficiale dei Fasci italiani in Argentina. La lettura del settimanale, secondo quanto riferisce Gentile, consente di avere un’immagine per quanto sommaria, del carattere e della condizione del fascio bonaerense, e soprattutto del tipo di propaganda svolta per la intensificazione dell’italianità fra gli emigrati.
Certamente, l’azione del fascismo, anche mediante la funzione di giornali come “Il Littore”, si svolse in un ambiente che appariva tutt’altro che favorevole a riconoscergli un ruolo egemone, perché, come scriveva il 4 aprile 1924 da Buenos Aires Salvatore Cortesi73, al senatore Contarini, direttore
generale del ministero degli Esteri, l’ambiente era antifascista e “la grande maggioranza della colonia italiana è ancora infeudata ai principi massonici, anticlericali e mazziniani della metà del secolo scorso”. La penetrazione fascista era considerata “un compito difficile, data l’intransigenza irriducibile di alcuni caporioni”.74 Fin dagli anni ’20, la penetrazione del fascismo in
Argentina trovò molti ostacoli. E anche in seguito, non sarà facile per il
71 E.GENTILE, op. cit., pag. 388.
72 Ivi, pagg. 388-389. Nel 1925 risultavano costituiti i fasci di altre città argentine come Cordoba, La Plata, Mendoza, Mar de La Plata, Rosario, Salta e Santa Fé.
73 Si tratta del primo corrispondente dell’Associated Press in Italia. 74 ASDMAE, AP 1919-1930, Argentina, b. 806 bis, fasc. 922.
44 regime di Mussolini compiere una vasta opera di penetrazione a causa di organizzazioni antifasciste che cercheranno di svolgere un’azione di contrasto al fascismo anche in collaborazione con gruppi antifascisti di altri paesi. In ogni caso, era difficile per le organizzazioni fasciste, perseguire la conquista dell’egemonia in una collettività dove, nel 1923, risultavano esistenti, ciascuna con la sua fiera autonomia, 372 associazioni di beneficienza, di mutuo soccorso e di assistenza; 13 associazioni educative per la propaganda della cultura italiana, per un totale di 146.764 soci. Nel 1924, “Il Littore” riconosceva che i fascisti in Argentina erano pochi.75
Per questo motivo, all’inizio del 1925, il nuovo delegato dei fasci in Argentina, Vittorio Valdani, correggeva il tiro: nel suo ruolo di rappresentante dei fasci all’estero, attuò una politica di riorganizzazione del fascismo bonaerense, secondo il criterio,”pochi ma buoni”, e senza porre come pregiudiziale l’anzianità di adesione al fascio.76 Negli anni successivi la
situazione dei fasci in Argentina non dovette migliorare molto, per quanto riguarda la posizione e l’influenza sulle istituzioni tradizionali della collettività italiana. Per esempio nella città di Bahia Blanca fu necessaria l’iniziativa del rappresentante consolare per dar vita ad un fascio costituito il 15 maggio 1926.77 E ancora al principio degli anni ’30, nella sua relazione sui
fasci in Argentina, l’ambasciatore riferiva che essi svolgevano una scarsa attività, non avendo una direzione stabile e non avendo compiti specifici. Insomma l’organizzazione dei fasci non apparve, al fascismo, uno strumento molto efficace per fascistizzare la collettività degli emigrati italiani, rivelandosi anzi come un fattore di ulteriori divisioni, che non giovavano alla promozione dell’italianità. Più efficace e più abile fu invece l’azione di valorizzazione della italianità condotta nel campo culturale, soprattutto per opera di un abile propagandista dell’epoca, come Franco Ciarlantini78 il quale
75 E.GENTILE, op. cit, pag. 391. 76 Ivi. 391-392.
77 Ivi, pag.392.
45 durante la sua missione in Argentina, nel 1927, come delegato per la mostra del libro italiano, e specialmente attraverso la sua rivista “Augustea”, si impegnò attivamente per allacciare rapporti culturali fra i due paesi, nel mito della latinità e della romanità. Nel 1927, il governo fascista fece un brusco cambiamento nella politica dell’emigrazione.
Fino al 1926 l’emigrazione era stata esaltata e incrementata, dopo viene deprecata come perdita di capitale umano e impoverimento demografico della nazione.79 Dal 1927 la politica emigratoria del fascismo cambiò
drasticamente.
Dopo alcuni anni in cui si era seguita una politica possibilista si cominciò a definire l’emigrazione come una “dispersione”, un “depauperamento demografico”. Il fascismo adottava ora, come programma politico, il principio secondo cui il numero è potenza. In base ad esso, come disse Dino Grandi alla Camera il 31 marzo 1927, l’emigrazione “è un male, quando è fatta, come oggi, nei Paesi di sovranità altrui”. Non era estraneo al mutamento d’indirizzo anche l’emergere proprio della personalità di Grandi, sottosegretario agli esteri dal 1925 al 1929, che non vedeva di buon occhio la conservazione di un organo con competenze troppo ampie su un fenomeno che stava ormai esaurendosi.80
L’emigrazione non è più presentata, come una realtà storica di miseria, di sopraffazioni altrui e di inettitudine politica, ma come un fenomeno ora