• Non ci sono risultati.

1.3 Dalla campagna d’Etiopia alla seconda guerra mondiale.

Il periodo che va dai pronunciamenti militari degli anni ’30 fino allo scoppio della guerra in Etiopia, si può considerare come la fase sperimentale dell’iniziativa di Mussolini verso l’America Latina. L’instabilità che caratterizzò in quegli anni la situazione latino-americana non facilitò il definirsi, da parte italiana, di obiettivi precisi e di un disegno coerente. Anzi, contribuì a imprimere un andamento oscillante e frammentario all’azione di Roma. Nel 1935 potevano, però, dirsi acquisiti alcuni elementi di valutazione e una maggiore esperienza. Mussolini aveva verificato che il fascismo non era facilmente trapiantabile in terra americana e aveva constatato che il diffondersi di nuovi governi nazionalisti presentava incognite anche per l’Italia; la stessa crescita di movimenti di destra non andava necessariamente a vantaggio di Roma. Il bilancio non era però interamente negativo. Nel corso di quei movimentati cinque anni si era verificato, complessivamente, un limitato ma tangibile avvicinamento politico fra l’America Latina e l’Italia. L’ideologia e la propaganda fasciste avevano avuto modo di estendersi senza troppi ostacoli e anche sul piano dei rapporti diplomatici Mussolini poteva registrare alcuni successi, forse non soltanto propagandistici.

Ciò nonostante, la direttrice latino-americana della diplomazia italiana rimaneva, se non proprio marginale, sicuramente secondaria rispetto a quella africana e coloniale puntata sull’Etiopia.

120Ibidem. Si tenga presente che il Ministero degli Esteri argentino, alla vigilia del conflitto etiopico, era interessato a guadagnare il voto dell’Italia a Ginevra a favore di una mediazione argentina nella guerra della regione del Chaco fra Bolivia e Paraguay. La guerra del Chaco protrattasi per quatto anni, fu il conflitto più grave scoppiato fra le due guerre mondiali in America del Sud.

64 L’avvicinarsi del conflitto produsse un primo cambiamento. Insieme ai motivi propagandistici si inserivano ora nell’azione del fascismo precisi obiettivi di politica estera. Il nostro paese si trovava in una situazione delicata rispetto agli altri paesi: doveva trovare il modo di non apparire isolato. Roma cercava di limitare i danni che il conflitto provocava per l’immagine internazionale dell’Italia e puntava a evitare che i vari governi assumessero un atteggiamento anti-italiano in materia di sanzioni e sul piano politico. Anche l’ambasciatore italiano a Londra, Dino Grandi, saputo della mano libera data dal francese Laval a Mussolini nel gennaio del ’35 e messo al corrente della portata delle concessioni di Parigi e delle reali intenzioni del duce, comprese subito che le misure militari adottate in Eritrea e Somalia, nonché più in generale, l’atteggiamento assunto da Roma nei confronti di Addis Abeba, avrebbero suscitato diffidenza, malumore e, infine ostilità a Londra a causa della questione societaria. Perciò l’ambasciatore non si stancò di ammonire Mussolini a non sottovalutare il peso dell’opinione pubblica interna nella condotta diplomatica degli inglesi, invitandolo alla cautela e a una preparazione propagandistica intelligente, lenta e metodica delle proprie iniziative.121 Il duce in verità, mirava a risolvere la questione etiopica d’intesa

con Londra, prospettando in cambio ai britannici un accordo generale in Europa e nel Mediterraneo, nonché contando sui buoni uffici della Francia per indurre l’Inghilterra a un atteggiamento disponibile.122

“L’obiettivo preminente per il Duce, anche in America Latina”, - come ha scritto ancora Mugnaini”- “era far accettare le ragioni dell’Italia nella vertenza con il paese africano. A tale scopo venne intensificata la propaganda, ma senza eccessive forzature, dato che la maggior parte della stampa latino-

121 P.NELLO, Dino Grandi, Il Mulino, 2003, pag.155.

122 Ibidem. Sui rapporti italo-britannici e la condotta mussoliniana durante la crisi etiopica, cfr G.W.BAER, La guerra italo-etiopica e la crisi dell’equilibrio europeo, Bari, Laterza, 1970; DE FELICE,

Mussolini il duce I , Einaudi, Torino, pp. 663 ss.; R.QUARTARARO, cit, Bonacci, Roma, 1980, pag. 85 ss.; E.M.ROBERTSON, Mussolini fondatore dell’impero, Roma-Bari, Laterza, 1979, pag. 141 ss.; R.LAMB, Mussolini e gli inglesi, Corbaccio, Milano, 1998, pag, 159 ss.

65 americana già teneva un atteggiamento benevolo verso l’Italia. In quella prima fase Roma faceva affidamento sui buoni rapporti che intratteneva con pressoché tutti i governi latino-americani e non sembrava temere reazioni particolarmente negative da parte loro. La prima sorpresa per Mussolini venne dall’Argentina[…]” “che, insieme al Cile, sembrava maggiormente ben disposta verso l’Italia. Nella riunione straordinaria del Consiglio della Lega (31 luglio 1935), tenutasi dopo il rifiuto opposto dal Duce alla proposta di compromesso sull’Etiopia formulata da Eden, l’Argentina non fu rappresentata dall’ambasciatore a Roma, [Cantilo], bensì dal suo ministro a Berna, Ruiz Guiñazu”. Era la prima volta che accadeva e in quell’occasione il rappresentante argentino irritò il governo italiano facendo una “dichiarazione di voto non amichevole per l’Italia” e accennando al principio americano “di non riconoscere acquisti territoriali non ottenuti con mezzi pacifici”. La condotta del delegato argentino aveva tanto più sfavorevolmente sorpreso Roma per contrasto con la posizione conciliante assunta da altri membri autorevoli del Consiglio. E’ pertanto comprensibile che il sottosegretario agli Esteri Suvich facesse rilevare a Buenos Aires: “Tale atteggiamento contrasta con le intese intercorse con codesto governo di attenersi a un’amichevole collaborazione sul terreno della Lega”.123

“L’improvvisa frizione con l’Argentina non venne per il momento pubblicizzata sulla stampa italiana, nelle speranza che l’episodio rimanesse isolato e continuasse ‘ininterrotta’ la politica di amichevole comprensione reciproca. Anche Saavedra Lamas, desiderando circoscrivere il fatto e attenuarne la portata, confermò l’orientamento cordiale di Buenos Aires verso l’Italia e, su richiesta di Arlotta, assicurò che avrebbe provveduto a inviare istruzioni a Guiñazu affinché prendesse gli opportuni contatti con la delegazione italiana a Ginevra. L’episodio era comunque un sintomo di un certo malessere che, di fronte ai rifiuti di Mussolini di accettare le diverse soluzioni di compromesso inglesi e francesi, iniziava a pervadere anche gli

66 amici latino-americani dell’Italia. Non a caso [l’ambasciatore italiano] Arlotta, pur registrando l’atteggiamento di guardinga neutralità dell’Argentina, cominciava a nutrire qualche dubbio sulla posizione definitiva che questa avrebbe assunto”.124 La cancelleria argentina, secondo Arlotta, “era

combattuta tra le pressioni vivissime” provenienti dalla Gran Bretagna e il desiderio di mantenere “cordiali relazioni con l’Italia”. Grande peso avrebbe avuto anche l’orientamento definitivo della Francia. Quando cominciò a porsi il problema delle sanzioni, Saavedra Lamas, pur non prendendo alcun impegno, continuò a mostrarsi molto comprensivo e possibilista verso l’Italia. Contemporaneamente, Guiñazu dichiarava a Ginevra che, nonostante i sentimenti di fratellanza verso l’Italia, l’Argentina non poteva non appoggiare le iniziative della Società delle Nazioni tese a salvaguardare il principio di eguaglianza fra potenze grandi e piccole.

Di fronte all’inizio delle operazioni militari italiane scattate il 3 ottobre venne di nuovo convocato il Consiglio della Lega. Già il 4 ottobre la delegazione italiana a Ginevra fu informata confidenzialmente da Guiñazu che “il governo argentino si sarebbe associato in (linea di) principio alle eventuali sanzioni di carattere economico, ma che non avrebbe affatto messo in pratica il divieto di rifornire l’Italia”. “Il giorno successivo Arlotta conferì con Lamas e questi gli espose chiaramente la posizione argentina. Il ministro degli Esteri sottolineò la situazione ingrata” in cui era venuto a trovarsi il suo paese di fronte all’emergere del contrasto italo-britannico a Ginevra (l’impaccio era accresciuto dall’essere il delegato argentino chiamato a presiedere il Consiglio della Lega in un momento tanto delicato), ma confermò che l’Argentina non avrebbe potuto sottrarsi dall’appoggiare le scelte della Società delle Nazioni, tanto più se, come pareva, la Francia avesse dato il suo sostegno alla Gran

124 Ivi, 229-230. Su questo delicato momento della politica estera fascista Cfr. ASDMAE, AP. 1931-45, Italia, b. 34 f. 2, telespresso n, 232200/C Ministero degli Affari Esteri di Roma a Ministero

delle Colonie e varie ambasciate, 27-9-1935. L’aggravarsi della situazione e il delinearsi di un contrasto fra i paesi europei con i quali aveva sino a quel momento stretti rapporti, poneva Buenos Aires in una condizione imbarazzante.

67 Bretagna. Ciò nonostante Saavadra Lamas ribadì i sentimenti di amicizia verso l’Italia, informò che l’Argentina avrebbe preso accordi con il Cile e l’Ecuador nell’intento di coordinare l’azione dei tre paesi (che in quel momento rappresentavano l’America latina nel Consiglio della Lega) in senso benevolo verso l’Italia e concluse ribadendo che Buenos Aires non avrebbe comunque dato pratica attuazione alle eventuali sanzioni. In effetti il comportamento di Ruiz Guiñazu durante la discussione a Ginevra sulle sanzioni fu tutt’altro che ostile, tanto che Mussolini sentì la necessità di far conoscere a Saavedra Lamas la soddisfazione del governo fascista”.125 Anche

la posizione di altri paesi latinoamericani conciliante con Roma, come il Cile, era nota a Roma.

“Anche la missione che Alberto Asquini aveva in programma di compiere a Buenos Aires e a Rio de Janerio per favorire gli scambi economici[…], venendo a cadere in piena crisi etiopica, acquistò per Roma un evidente sapore di verifica delle intenzioni sud-americane”. In quell’occasione Asquini126, reduce da una missione commerciale oltreoceano tesa a riattivare

gli scambi con l’Italia, depressi dalla crisi economica, era il presidente di un neo costituito Centro Italiano di Studi Americani, volto ad approfondire lo studio dell’area.127 L’Argentina, pur aderendo formalmente alle sanzioni, non

le applicava, mentre appoggiava il progetto di mediazione Hoare-Laval128 che

era stato accolto favorevolmente da Mussolini. “Quando fu evidente che il piano Hoare-Laval era destinato al fallimento, l’ambasciatore argentino

125 Ibidem. È utile ricordare come le diplomazia argentina e cilena iniziarono, inoltre, a premere congiuntamente sul Foreign Office affinché quest’ultimo, si orientasse in senso più comprensivo verso l’Italia; e si arrivò anche alla formulazione di un progetto argentino-cileno di compromesso, che già prefigurava il piano franco-britannico Hoare-Laval. Cfr. M.MUGNAINI,

L’Italia e l’America Latina…, cit, pag. 231. 126 M.MUGNAINI, cit. , pag. 233.

127 E.SCARZANELLA-A.TRENTO, L’immagine dell’America Latina nel fascismo italiano, in “Il Mensile di storia Annali del SISCO”, Napoli, sett. 2002.

128 Per altre informazioni Cfr. R.QUARTARARO, Le origini del piano Hoare-Laval, in “Storia Contemporanea”, 8, 1977, n. 4, pagg. 749 ss.

68 Saavedra Lamas si fece promotore, alla fine di dicembre, di una proposta che, tentando di aggirare alcune obiezioni sollevate dal compromesso anglo- francese, ne riproponeva la sostanza”.129 La diplomazia argentina, avviò

contatti in tre direzioni. Venne fatto sapere, tramite Arlotta, che il contenuto dell’iniziativa era più soddisfacente per l’Italia rispetto al piano Hoare-Laval. Vennero presi contatti con Londra e Parigi probabilmente interessate a una proposta che poteva, forse, togliere loro qualche motivo di imbarazzo. Infine Lamas cercò di coinvolgere gli Stati Uniti e anche il governo brasiliano nell’iniziativa, che avrebbe così acquistato maggior spessore e sarebbe apparsa proveniente da paesi non coinvolti affatto nella vicenda. Il governo di Washington rispose con un rifiuto, motivato dal sicuro insuccesso a cui pareva destinato il progetto e dal desiderio di non compromettere la posizione di stretta neutralità mantenuto sino allora. Insomma, il tentativo argentino non riuscì a divenire il canale attraverso il quale sarebbe stato possibile riformulare un’ipotesi di soluzione che evitasse in extremis la rottura con Mussolini.

Dopo il definitivo fallimento del compromesso Hoare-Laval la collocazione internazionale dell’Italia iniziò a cambiare. L’acuirsi dello scontro diplomatico con Londra e con Parigi rese ancor più pressante per Roma l’esigenza di evitare o alleggerire l’isolamento e contrastare le sanzioni, che rischiavano di essere inasprite. Da qui la nuova importanza che veniva assumendo per l’Italia l’America latina che era legata, da una lato, ai sistemi di alleanza francesi e inglesi e, dall’altro, agli Stati Uniti che con il Neutrality Ac, riconfermarono il loro disimpegno rispetto alla Società delle Nazioni.130

L’Argentina cercava di mantenere un difficile equilibrio fra l’Italia e la Gran

129 M.MUGNAINI, L’Italia e l’America Latina…, cit., pag. 233.

130 Fra i membri della Lega, i più concilianti verso il fascismo erano proprio i latino-americani, che dopo aver dato un’adesione più che altro formale alle sanzioni economiche (con l’eccezione del Messico e della Colombia) erano ora contrari a estenderle e a stabilire l’embargo sul petrolio. Particolarmente amichevoli verso l’Italia continuarono a mantenersi il Cile, e l’Ecuador; posizioni non dissimili avevano il Perù, l’Uruguay e altri paesi latinoamericani.

69 Bretagna rinviando il più possibile un’eventuale scelta, mentre venivano segnalati crescenti sforzi inglesi che andavano a convergere con un ripresa delle attività antifasciste. Per essere efficace la manovra italiana in Argentina doveva svilupparsi su piani diversi: una campagna che andava facendosi sempre più capillare e martellante per conquistare l’opinione pubblica; una duplice azione diplomatica presso il governo per tenerlo sotto pressione, facendogli intravvedere nel contempo la possibilità di concessioni sulle questioni migratorie, se avesse resistito alle sollecitazioni britanniche; la mobilitazione patriottica della comunità italiana, che poteva trasformarsi anche in un potente mezzo di condizionamento per le autorità locali.

L’inquietudine che alcuni governi iniziarono a manifestare di fronte alle nubi che si addensavano all’orizzonte internazionale spingeva la diplomazia italiana a guardare maggiormente verso l’America latina. Particolarmente propizia per Mussolini era la tendenza ad allentare i rapporti con la Società delle Nazioni, che già si era manifestata nel dicembre 1935, ma che acquistò una certa consistenza nella primavera del 1936. Roma incoraggiava la rinascita di spinte isolazioniste nei governi latino-americani e pensava di poter contare su una pressione nello stesso senso esercitata da Berlino attraverso le numerose e influenti comunità tedesche in Sud America. Gli sforzi di Mussolini erano tesi a creare le condizioni per liquidare sul piano diplomatico il conflitto che si stava chiudendo sul piano militare con la vittoria delle truppe italiane. Ancora prima della proclamazione dell’impero il Duce diede la direttiva di “intensificare l’azione contro Ginevra con questa parola d’ordine; ritiro dell’America Latina da Ginevra e costituzione di una Società delle Nazioni americana e in linea subordinata abolizione immediata delle sanzioni”.131

La nascita di una Società delle Nazioni americana era questione complessa e, pur apparendo nell’immediato un utile slogan agitatorio, poteva più avanti

131 Cfr. ASDMAE, AP 1931-1945, Argentina, b. 8, f.1, telespresso n. 6767/1809/R, Suvich ad ambasciata a Berlino del 20-4-1936, riservato.

70 rivelarsi un ostacolo per il fascismo. Cantalupo suggerì pertanto a Mussolini di non insistere su una proposta che poteva arrecare esclusivo vantaggio a Washington e procurare qualche inconveniente al regime brasiliano. Si doveva piuttosto favorire l’idea, che Saavedra Lamas stava maturando, di stabilire un collegamento più solido fra Ginevra e il continente americano. Secondo Mugnaini, era più proficuo nell’Italia fascista far leva sulla scarsa propensione dell’America Latina a continuare anche solo formalmente le sanzioni132, visto che alcuni governi, come quello ecuadoregno, si orientavano

per la revoca prima ancora che fosse presa una decisione a Ginevra. In coincidenza della massiccia mobilitazione della comunità italiana (coordinata dalle ambasciate e dai vari comitati pro-Italia) per festeggiare la vittoria militare, Mussolini sollecitò espressamente l’Argentina, e anche il Cile, a abolire la sanzioni.133 La reazione delle due diplomazie fu diversa e per certi

versi opposta. In particolare l’Argentina, nonostante il ripetersi di recriminazioni da parte dell’Italia per il comportamento di Ruiz Guiñazu a Ginevra, aveva continuato a destreggiarsi fra Roma e Londra. Dopo la proclamazione dell’impero etiopico i malumori aumentarono. Le difficoltà incontrate durante la campagna etiopica furono registrate anche dal nostro rappresentante a Buenos Aires, Renato Guariglia, il quale segnalò

come la maggior parte degli italiani di Argentina era rimasta indifferente, e in alcuni settori perfino ostile. Effetto della attiva propaganda antifascista (numerosi essendo gli antifascisti italiani residenti a Buenos Aires) sobillata e favorita da Londra e Washington, effetto della posizione nettamente a noi contraria presa dall’Argentina a Ginevra per opera del suo Ministro degli Esteri Saavedra Lamas, effetto del timore di compromettere eccessivamente i propri interessi dimostrando simpatia per la causa italiana contrariamente all’atteggiamento ufficiale del governo argentino e della maggior parte dei veri e propri argentini, certo è che la collettività italiana in Argentina aveva dato un scarso contributo di simpatie morali e di aiuti materiali alla Patria durante la crisi etiopica. Erano partiti alcuni volontari, si erano raccolte alcune somme ed alcune merci durante il periodo delle sanzioni, ma tutto ciò era stato di gran lunga inferiore a quanto ci si poteva attendere da un Paese formato per una buona metà di italiani sia di recente origine sia tuttora nel godimento della cittadinanza italiana.134

132 Che molti paesi latino-americani si fossero limitati a una blanda adesione alle sanzioni è confermato dall’allora ministro per gli Scambi e per le Valute.

133 M.MUGNAINI,. L’Italia e l’America Latina…, cit.,pag. 239.

71 Alla fine di maggio l’Argentina fece una mossa a sorpresa, chiedendo la convocazione dell’assemblea della Società delle Nazioni per discutere del conflitto etiopico. L’Italia cominciò a sentire il bisogno di un chiarimento, anche perché l’iniziativa a Ginevra andava assumendo i connotati di un gesto anti-italiano. Nei mesi successivi gli elementi di incomprensione fra le due diplomazie aumentarono sino a trasformarsi in reali motivi di contrasto. Le cause dell’irrigidimento argentino verso l’Italia erano direttamente legate alla strategia che Buenos Aires perseguiva da qualche anno sulla scena internazionale, che veniva ora a scontrarsi con gli obiettivi di Mussolini. Infatti la diplomazia argentina non desiderava porre in crisi l’amicizia con la Gran Bretagna (tanto più in un momento in cui era in discussione il rinnovo degli accordi Roca-Runciman), era interessata alla salvaguardia del Patto Saavedra Lamas (che l’iniziativa fascista aveva, se non minato, sicuramente sminuito di valore)135 e voleva evitare che i paesi latino-americani si

allontanassero dalla Società delle Nazioni (seguendo cioè l’esempio cileno o brasiliano) rafforzando le posizioni dei suoi rivali regionali e degli Stati Uniti. Infine, Buenos Aires era la sede designata per l’imminente conferenza speciale interamericana e Saavedra Lamas, avendo l’intenzione di arrivarvi, come l’alfiere della sicurezza collettiva, non voleva che l’immagine del suo paese fosse intaccata da sospette connivenze con un paese aggressore, con il rischio di porre in difficoltà la stessa mediazione per la regione del Chaco nel conflitto boliviano-paraguayano. Il fascismo aveva invece accumulato risentimento per il voltafaccia dell’Argentina sulla questione etiopica. Roma scorgeva ora nella posizione di Buenos Aires addirittura un pericolo, non soltanto per il coordinamento della sua politica con Londra, ma forse ancor più per il rischio che l’Argentina e Saavedra Lamas in particolare potesse diventare il punto di collegamento fra Società delle Nazioni e panamericanismo, fra la dottrina della “sicurezza collettiva” e quella del “non

72 riconoscimento”. Su questo aspetto l’Argentina veniva ad avvicinarsi al Messico, vale a dire al paese latino-americano con il quale l’Italia aveva in quel momento i rapporti peggiori.136

La tradizionale amicizia italo-argentina fu quindi messa a dura prova dalla crisi etiopica, la cui fase acuta si avviò al superamento con la votazione per l’abolizione delle sanzioni di Ginevra (abolizione a cui aveva contribuito non poco l’America Latina). Il quadro europeo stava intanto cambiando insieme alla gerarchia di interessi che Mussolini aveva posto alla base della sua politica estera a partire dal 1923. Dopo la caduta di Laval in Francia e l’accordo austro-tedesco dell’ 11 luglio nel 1936 iniziò la guerra civile in Spagna il cui andamento avrebbe influito notevolmente sulla politica dell’Italia e sulle sue relazioni con l’America latina.137 Il nuovo attivismo non

produceva soltanto una più marcata attenzione della stampa italiana verso il “nuovo mondo” o l’intensificarsi degli strumenti di propaganda; l’intento era quello di superare gli aspetti negativi nelle relazioni fra l’Italia e l’America latina in modo da rilanciarle su basi nuove. Superata la fase sperimentale della sua azione, Mussolini impostò una politica che oltre alla diffusione del patriottismo e del fascismo fra gli italo-americani portasse alla concretizzazione di un piano positivo d’azione. Le prime reazioni che la guerra civile spagnola138 stava provocando tra i paesi latino-americani

sembravano essere incoraggianti per il fascismo. Inoltre, l’Italia constatava che la Società delle Nazioni continuava e perdere di autorità e di potere di