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L’art 38 comma 5 cost e la pronuncia di incostituzionalità della legge Crispi: quali 

pubblico?

Il d.P.R. n. 616/1977 rileva, seppur indirettamente, anche per un profilo ulteriore, relativo al rapporto fra il sistema delle IPAB (rectius, il regime giuridico previsto dalla legge Crispi del 1890) e l’art. 38, co. 5, della Costituzione. È a partire da questo decreto, infatti, che si mette in moto quel processo (di cui sono testimonianza le diverse ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale oltre che i dibattiti politici e accademici) che porterà, più di dieci anni dopo, alla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 ad opera sentenza n. 396 del 1988 della Corte Costituzionale e, conseguentemente, a un netto ridimensionamento del sistema delle Ipab.

Ma occorre procedere con ordine.

Si è già ricordato come prima dell’entrata in vigore della Costituzione potevano ravvisarsi tre diverse tipologie di attività assistenziali (in senso lato), in cui il rapporto fra pubblico e privato assumeva distinte sfaccettature:

      

91 In tal senso STECCANELLA M., op. ult. cit., p. 81. 92 Infra, par. 8.1.

 

- la beneficenza o assistenza legale posta in essere direttamente da soggetti pubblici; - la beneficenza o assistenza pubblica, che consisteva nella predisposizione di forme di

controllo e di disciplina uniforme sulla beneficenza di origine privata e ispirata, quindi, a due principi fondamentali, quali il rispetto della volontà dei fondatori e i controlli giustificati dal fine pubblico dell'attività svolta in situazione di autonomia;

- la beneficenza tout court privata riguardante quelle iniziative private non rientranti nell’ambito di applicazione della legge Crispi93.

Questo quadro non fu stravolto da legislatore Costituente il quale si “limitò” a rafforzare l’intervento diretto di soggetti pubblici (definito da quel momento assistenza sociale), introducendo per la prima volta un dovere giuridico in tal senso (vedi supra), nonché a riconoscere, dandogli garanzia costituzionale, la libertà di assistenza o beneficenza meramente privata attraverso la previsione di cui al co. 5 dell’art. 38.

Il rapporto fra quest’ultima previsione e il regime giuridico pubblicistico della legge Crispi (la quale, come già accennato, aveva finito per applicarsi a quasi tutte le iniziative assistenziali poste in essere in forma stabile94), è stato, nel corso degli anni, oggetto di diverse interpretazioni, spesso molto distanti fra loro.

Senza alcuna pretesa di completezza, ma solo per rendere l’idea dell’incertezza del quadro, si pensi, da un lato, alla posizione che ha ritenuto immediatamente incompatibile con la libertà di assistenza costituzionalmente garantita, l’art. 1 della Legge Crispi95 e dall’altro, a quella decisamente più “laica” che, di fatto, considerava coincidenti la beneficenza pubblica e la beneficenza tout court privata, ritenendo il sistema di controlli pubblici previsto dalla Crispi come implicitamente ricavabile dall’art. 38, co. 5, della

      

93 Le dimensioni di questa terza tipologia di assistenza erano, in realtà, particolarmente ridotte data

l’interpretazione onnicomprensiva data all’art. 1 della legge Crispi tale per cui quasi tutte le iniziative private in materia assistenziale rivolte ai poveri, venivano fatte rientrare nell’ambito di applicazione della legge. Ne rimanevano escluse, oltre le istituzione che furono “attratte” da leggi adottate per altri fini (si è detto delle istituzioni ospedaliere fatte rientrare nell’ambito di applicazione della legge n. 132/1968), i comitati di soccorsi e le fondazioni di famiglia (stante la previsione di cui all’art. 2 della l. n. 6972/1890), nonché tutte le attività poste in essere rinunciando al conseguimento della personalità giuridica.

Lo spazio così ridotto che rimaneva per la beneficenza privata tout court è una delle motivazioni adottate dai ricorrenti nella questione di legittimità che portò alla sentenza n. 173/1981 della Consulta; come meglio si dirà, proprio per tale ragione venne prospettata l’incompatibilità del d.P.R. n. 9 del 1972 (e indirettamente della legge Crispi) con l’art. 38, co. 5, Cost.

94 Si è detto nei precedenti paragrafi come, mentre all’ art. 1 della legge Crispi (secondo cui “Sono istituzioni

di assistenza e beneficenza soggette alla presente legge le opere pie ed ogni altro ente morale che abbia in tutto od in parte per fine: a) di prestare assistenza ai poveri, tanto in stato di sanità quanto di malattia b) di procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico”), sia stata data un’interpretazione onnicomprensiva; al contrario, le ipotesi di esclusione elencate dall’art. 2 sono sempre state interpretate in termini restrittivi.

95 Cfr. la posizione di AMORTH A., Il «principio personalistico» e il «principio pluralistico»: fondamenti

Costituzione, in quanto necessario a evitare che le attività private potessero porsi in contrasto con l’utilità sociale96.

In termini simili è stato evidenziato come dalla legge Crispi non derivasse nessun monopolio pubblico dell’assistenza (e quindi alcuna violazione del principio costituzionale di libertà di assistenza privata); infatti, il carattere “pubblico” delle istituzioni 97, non solo non faceva venir meno il carattere privatistico delle relative attività, ma (in assenza di una disciplina più moderna e più attuale) poteva considerarsi quasi costituzionalmente necessitato in considerazione della rilevanza sociale/collettiva dell’attività assistenziale98.

Ancora, c’è chi, partendo da una preliminare analisi dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, ha sostenuto che l’art. 38, co. 5, è stato introdotto per realizzare una sorta di “contrappeso” con la previsione di cui al comma 399, al fine di evitare che quest’ultima disposizione venisse “utilizzata/strumentalizzata” per legittimare un monopolio pubblico dell’assistenza100.

Indipendentemente da quale di queste letture risulti la preferibile, pare significativo che fino all’adozione del d.P.R. n. 616/1977 non furono sollevate questioni di incostituzionalità della legge Crispi per contrasto con l’art. 38 co. 5 della Costituzione101.

La situazione cambia con tale d.P.R. che, non solo ha realizzato un vero e proprio capovolgimento di prospettiva nella distribuzione delle funzioni rispetto al d.P.R. del 1972102; ma ha disposto, inoltre, il trasferimento ai Comuni singoli o associati delle

      

96 RESCIGNO G. U., Profili costituzionali, cit. p. 101; l’Autore, infatti, sostiene che alla luce del

complessivo quadro costituzionale, che “limita tutte le libertà individuali e prevede interventi differenziati di diversi organi a tutela di tali limiti; dichiara che la proprietà privata svolge una funzione sociale e può dunque essere limitata a questo scopo; sottopone le attività economiche ai penetranti limiti dell’art. 41”, non sarebbe concepibile ammettere che un’attività rivolta al bene di altri, come quella assistenziale, possa risultare completamente scevra da controlli pubblici.

97 Il carattere pubblico delle istituzioni non era previsto dalla stessa legge, ma si affermò nell’interpretazione

prevalente per ragioni ricavabili dalle peculiarità dell’ordinamento del tempo. Era opinione diffusa, infatti, che, nel silenzio della legge, il carattere pubblico era deducibile sulla base di tre ragioni (in primo luogo perché nel secolo scorso la pubblicità era implicita nella concessione della personalità giuridica; in secondo luogo perché le istituzioni svolgevano attività rivolte al pubblico e, infine, perché non si sapeva come spiegare altrimenti il controllo pubblico su attività private di diritto pubblico se non in nome di un interesse o ragione pubblica). Nessuna di tali ragioni, tuttavia, era tale da far portare a escludere il carattere privatistico delle loro attività.

98 FERRARI E., La Corte e la legge Crispi: il nome e la “effettiva natura” delle istituzioni (e delle libertà) di

assistenza, in Le Reg. 1988, pp. 1331 -1367.

99 “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. 100 Tale posizione è di CAVALERI P., L’assistenza tra disciplina pubblica, cit., pp. 183-188 il quale tuttavia,

sembra ritenere “parziale” la tutela di libertà di assistenza privata così come è stata riconosciuta nei primi anni di vita della Costituzione (p. 160).

101 Cfr. RESCIGNO G. U., op. ult., cit., p. 102.

102 L’art. 25, co. 1, ha previsto che “tutte le funzioni amministrative relative all’organizzazione ed alla

erogazione dei servizi di assistenza e beneficenza, di cui ai precedenti articoli 22 e 23, sono attribuite ai comuni ai sensi dell’art. 118, primo comma, della Costituzione”. Nel d.P.R. n. 616/1977, infatti, si riservano alla Stato solo alcune attribuzioni puntualmente elencate, mentre si trasferiscono a regioni e enti locali le

 

funzioni, del personale e dei beni delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza operanti nell’ambito regionale103 (art. 25 co. 5)104.

Il 14 dicembre 1978 il Tribunale di Milano, con ordinanza, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale fra i cui motivi si è fatto riferimento anche al contrasto della Legge Crispi con l’art. 38 co. 5 della Costituzione; è questo “l’inizio della fine” del sistema delle IPAB105.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte non ha dato peso al (possibile) contrasto con l’art. 38, ult. comma, dando invece rilievo a un ulteriore profilo fatto valere nell’ordinanza di rimessione; è stata dichiarata, infatti, l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 co. 5 del d.P.R n. 616/1977, e in via consequenziale di altri commi del medesimo articolo, per eccesso della delega rispetto alla legge 22 luglio 1975, n. 382 (Corte Cost. n. 173/1981)106.

      

principali competenze amministrative relative all’organizzazione e gestione dei servizi sociali. Come osservato da FERIOLI E., Diritti e servizi sociali, cit. p. 36, “Le regioni ricevettero per la prima volta dallo Stato un complesso di attribuzioni amministrative piuttosto rilevante, atto a consentire un reale potere di organizzazione di servizi sociali a livello regionale e tale da fondare un primo embrionale sistema di assistenza sociale regionale”. La stessa Autrice richiama una rilevante questione interpretativa relativa alla mancata attribuzione alle regioni di un potere di programmazione regionale in riferimento al settore della beneficenza pubblica, mentre in materia di assistenza sanitaria tale competenza regionale veniva espressamente riconosciuta dall’art. 32 co. 2 dello stesso d.P.R. In dottrina, tuttavia, è prevalsa la tesi in base alla quale la previsione del potere regionale di programmazione e organizzazione dei servizi e delle prestazioni avesse una portata generale e fosse applicabile anche alla materia della beneficenza pubblica.

103 Diversamente per le IPAB di carattere interregionale gli articoli 113 ss. del d.P.R. n. 616 del 1977 hanno

definito un assetto normativo differente, consistente in un sistema articolato di accertamento da cui deve emergere la naturapubblica o privata degli stessi, e il carattere fondazionale o associativo dell’organizzazione.

104 Il d.P.R. in questione stabiliva anche che, ove entro il primo gennaio 1979 non fosse stata approvata una

legge generale di riforma dell’assistenza pubblica, le regioni avrebbero potuto disciplinare direttamente i modi e le forme di attribuzione ai comuni dei beni e del personale necessari per l’esercizio delle funzioni amministrative trasferite. Furono diverse le ragioni di scontro politico che impedirono l’approvazione di tale riforma, nonostante la presentazione alle Camere di numerose proposte di legge (sugli ostacoli all’approvazione della legge quadro dell’assistenza, si veda MINISTERO DELL’INTERNO, Integrazione dei servizi sociali e sanitari. Tendenze generali e situazioni locali, Studio condotto dall’IRS, Roma, 1985, 23). In particolare, pare opportuno ricordare due decreti legge (d.l. 29 marzo 1979 n. 113 e d.l.19 giugno 1979 n. 209), entrambi non convertiti, che nel riaffrontare la questione della IPAB, avevano assunto le posizioni di parte cattolica, totalmente opposta a quella dell’art. 25 del d.P.R. del 1977, prevedendo la trasformazione in enti di diritto privato ed escludendo dall’assetto organizzativo dei servizi assistenziali gran parte degli enti fino a quel momento ritenuti pubblici. Per una puntuale descrizione del contenuto di questi decreti, si rinvia a STORCHI G.P., Gli indirizzi di riforma dell’assistenza: analisi del d.l. 29 marzo 1979, n. 113, in GIANOLIO R., GUERZONI L., STORCHI G.P. (a cura di), Assistenza e beneficenza tra pubblico e privato, Milano, 1979, pp. 113 – 136 e MARCHIANÒ G., Le proposte di legge quadro di riforma dell’assistenza e della beneficenza: brevi note di analisi comparativa, entrambi in GIANOLIO R., GUERZONI L., STORCHI G.P. (a cura di), Assistenza e beneficenza tra pubblico e privato, Milano1979; MOR G., Verso una legge quadro sulla assistenza, in Le Reg., 1981, pp. 135 ss.

105 Non si può fare a meno di notare come la circostanza che i ricorsi avverso la legge Crispi abbiano avuto

inizio solo dal momento in cui la qualificazione in termini di IPAB comportava il trasferimento di beni e personale delle IPAB ai comuni (ai sensi dell’art. 25 co. 5 del d.P.R. n. 616/1977), avvalora quelle tesi sopra riportate (Rescigno G.U., Ferrari E.) secondo cui il regime “pubblicistico” previsto dalla legge Crispi non era così invasivo da pregiudicare la natura privata delle Istituzioni delle relative attività.

106 In dottrina si osserva come, a differenza del trasferimento di beni e personali delle IPAB ai comuni, la

Tale pronuncia ha, di fatto, “salvato” il sistema delle IPAB - posticipando quindi di alcuni anni il definitivo superamento della legge Crispi - che sarebbe stato superato dall’attuazione di tali previsioni (con l’unica eccezione delle istituzioni svolgenti in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa che, per espressa previsione107, sarebbero rimaste le sole ad essere ancora sottoposte alla legge Crispi108).

Come anticipato, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle richiamate previsioni del d.P.R. facendo leva esclusivamente sulla questione di metodo (l’eccesso di delega); alla questione “sostanziale” (la compatibilità fra la legge Crispi e la libertà di assistenza costituzionalmente garantita) vengono riservate solo alcune considerazioni prospettiche, ma non viene presa alcuna posizione netta al riguardo109.

Per quanto in termini meno accentuati rispetto alla precedente sentenza n. 139/1972, nemmeno la pronuncia n. 173/1981 della Consulta è stata esente da critiche da parte della dottrina.

Una delle osservazioni più rilevanti è stata quella che ha sottolineato come tale sentenza presentasse un difetto di coordinamento con un’altra (di poco successiva): la n. 174 del 1981, che aveva “avallato” la nuova nozione di beneficenza pubblica contenuta nell’art. 22 del medesimo d.P.R. del 1977110.

Si tratta di una riflessione pienamente condivisibile. Infatti, da un lato, con la n. 174, si “consacra” l’avvio di una nuova politica sociale basata su una concezione moderna della beneficenza e dell’assistenza pubblica (vedi supra par. precedente); dall’altro, con la

      

particolare opposizione perché essi non avevano più una particolare rilevanza e perché già gravitavano nell’orbita delle amministrazioni comunali; cfr. STADERINI F., Diritto degli enti locali, Padova, 1999, p. 233 e FERIOLI E., op. ult. cit., p. 38-39.

107 Art. 25, co. 6, del d.P.R n. 616/1977.

108 Al pari delle IPAB sanitarie a carattere associativo le cui attività si fondano, a norma di statuto, su

prestazioni volontarie e personali dei soci, che la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, n. 833/1978 art. 45, aveva escluso dal trasferimento alle Regioni, prevedendo che rimanessero assoggettate alla legge Crispi.

109 La Corte si limita ad affermare che “dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana,

intraprendere una riforma del sistema, come è configurato dalla legge Crispi, comporta che si faccia debito conto dei precetti contenuti negli artt. 18, 19, 33 e 38 della Carta costituzionale e che sia affrontato, alla luce dell'art. 38, ultimo comma, il tema del pluralismo delle istituzioni in relazione alle possibilità di pluralismo nelle istituzioni (XXIII proposizione normativa Commissione Giannini). Fin quando ciò non sia avvenuto, è necessario che in sede di trasferimento di funzioni amministrative alle regioni e di attribuzioni di altre funzioni agli enti locali si osservino i principi della legislazione statale vigente, come aveva in realtà fatto, su questo punto, il legislatore delegato del 1972. Anticipare in sede di legislazione delegata, senza un puntuale sostegno nella legge di delega, principi così innovatori di riforma (tali da comportare l'eliminazione generalizzata delle IPAB infraregionali) significa prendere una scorciatoia che la disciplina costituzionale della delegazione legislativa rende del tutto impraticabile”.

In senso contrario DE SIERVO U., Le trasformazioni della legislazione in tema di IPAB, in Giur. cost., 1985, pp. 269-315 il quale ha osservato come la ragione sostanziale che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità del trasferimento di funzioni, beni e personali ai Comuni previsto dal d.P.R. del 1977 sia stata proprio il problema della privatizzazione di parte delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

 

sentenza n. 173 si mantiene in vita la vecchia organizzazione delle IPAB, costruita in un contesto del tutto diverso in cui la beneficenza manteneva una sostanza privatistica e certamente inadeguata alla nuova concezione dell’assistenza sociale.

Negli anni successivi alle due pronunce dell’inizio degli anni’80, il centro propulsivo dei cambiamenti riguardanti il settore assistenziale si sposta dal livello statale a quello regionale, non solo in virtù della ridefinizione delle competenze in capo all’ente regionale e comunale realizzata dal d.P.R. del 1977, ma anche della soppressione di numerosi enti assistenziali nazionali.

In diverse Regioni, soprattutto del centro e del nord del Paese, si assiste a un generale riassetto del welfare: sistemi non più settoriali ma basati sulla nuova concezione egualitaria di assistenza111, in cui, da un lato il rapporto fra soggetti pubblici e soggetti privati (di norma regolato da convenzioni112) assume tratti distinti rispetto al passato113 e, dall’altro, inizia ad essere effettivamente garantita la libera attività assistenziale dei privati di cui all’art. 38 ult. co. della Costituzione114.

Inoltre, inizia ad affermarsi nella giurisprudenza comune un’“interpretazione adeguatrice” dell’art. 1 della legge Crispi che, superando quella tradizione “radicale e onnicomprensiva”, consente l’affermarsi di iniziative assistenziali a favore dei poveri cui viene garantito un riconoscimento giuridico non necessariamente connesso alla natura giuridica di IPAB115.

È questo il quadro complessivo, sebbene appena accennato, in cui si arriva alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, “nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un'istituzione privata” (Corte Cost., n. 396/1988).

      

111 FERIOLI E. op. ult. cit., p. 45.

112 Quanto alle prime previsioni che prevedevano convenzioni fra pubbliche amministrazioni e soggetti

privati (scelti fra soggetti del terzo settore, soprattutto organizzazioni di volontariato, inseriti di norma in appositi albi o registri nazionali) per l’erogazione di servizi socio-assistenziali, si vedano: Regione Emilia Romagna, l. r. 12 gennaio 1985, n. 2, art. 20; Regione Umbria, l. r. 31 maggio 1982, n. 29 art. 26; Regione Piemonte, l. r. n. 20 del 23 agosto 1982, art. 13 relativa al solo volontariato; Regione Sardegna, l. r. 25 gennaio 1988, n. 4, articoli 7, 42 e 43; Regione Lombardia, l. r. 7 gennaio 1986, n. 1, art. 52 e 53 (le ultime due leggi richiamate prevedevano espressamente il diritto degli utenti di scelta del fornitore); cfr. in dottrina, FERIOLI E., op. ult. cit., p. 51.

113 Infatti, mentre al mantello pubblicistico che ricopre un’attività privatistica si sostituiscono rapporti

bilaterali riconducibili, a seconda dei casi concreti, al diritto privato (mere convenzioni, appalti) o al diritto pubblico (concessione di pubblico servizio, accordo di diritto pubblico etc.); tale argomento verrà ampiamente ripreso nei paragrafi successivi.

114 Si veda, ad esempio, Regione Lombardia, l. r., 7 gennaio n. 1986, n. 1, art. 4.

115 Le espressioni in corsivo sono di CAVALERI P., op. ult. cit., pp. 179 ss., cui si rinvia anche per i

Può risultare, a questo punto, opportuno soffermarsi brevemente sull’impianto motivazionale di tale decisione che, a fronte di diversi giudizi positivi per il pieno riconoscimento della libertà di assistenza privata, ha ricevuto anche commenti critici116.

La Corte è partita dal considerare l’impostazione di fondo della legge Crispi che nel disciplinare una serie di istituzioni dallo “spessore storico del tutto peculiare”, aveva previsto un “regime ambivalente” caratterizzato “da una disciplina pubblicistica in funzione di controllo, con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto agli altri enti pubblici” e ispirato a “due principi fondamentali, quali il rispetto della volontà dei fondatori e i controlli giustificati dal fine pubblico dell'attività svolta in situazione di autonomia”.

Tale disciplina, anche a seguito delle evoluzioni descritte nei precedenti paragrafi, aveva finito per assoggettare “non solo enti che, in quanto erogatori di servizi pubblici, avrebbero potuto aspirare a pieno titolo alla qualificazione di enti pubblici, anche se non fosse stato sancito il monopolio ora messo in discussione”, ma pure "organizzazioni espressive dell'autonomia dei privati che hanno conservato caratteri propri dell'organizzazione civile anche dopo la loro formale pubblicizzazione".

La Corte ha ritenuto tale quadro contrastante con il sopraggiunto art. 38 co. 5 della Costituzione, oltre che del principio personalistico che ispira nel suo complesso la Costituzione, in quanto non consentiva di assecondare “le aspirazioni di quelle figure soggettive sorte nell'ambito dell'autonomia privata, di vedersi riconosciuta l'originaria natura”.

Tale valutazione non è fatta in termini assoluti ma alla luce della “mutata situazione dei tempi”; la Corte, infatti, ha osservato come l’evoluzione degli apparati pubblici rendeva ormai possibile “assunzione diretta da parte di questi di certe categorie di interessi”, la cui

      

116 In termini critici verso la decisione di fondo presa in tale pronuncia, per le ragioni sopra richiamare volte a

negare che la legge Crispi desse vita a un monopolio pubblico dell’assistenza e in base alla considerazione secondo cui per garantire l’assistenza privata non sia sufficiente applicare la disciplina di diritto privato alle istituzioni, FERRARI E., La Corte e la legge Crispi, cit., pp. 1331 ss. Mostra apprezzamento per la