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Sussidiarietà orizzontale e rapporti concessori di pubblico servizio: un rapporto di 

3.4.  Dai servizi sociali come “settore organico” alla definizione legislativa dei servizi sociali in 

6.2.1.  Sussidiarietà orizzontale e rapporti concessori di pubblico servizio: un rapporto di 

Più problematico è considerare come espressione del principio di sussidiarietà orizzontale quelle previsioni della legge n. 328/2000, e quindi le corrispondenti previsioni di livello regionale, che ammettono che alla gestione e all’erogazione di servizi sociali, per conto del sistema integrato, possano concorrere anche soggetti privati; in altre parole, la possibilità che soggetti privati operino anche come erogatori di un pubblico servizio.

Tali perplessità non attengono al profilo dell’interesse perseguito: si è detto, infatti, che si considera rientrante nel principio di sussidiarietà orizzontale sia l’attività dei privati rivolta al perseguimento di interessi generali, sia quella (consistente in una “collaborazione” con soggetto pubblico titolare del servizio e/o della funzione) rivolta al perseguimento di interessi che, in quanto fatti propri da un’amministrazione, sono divenuti “pubblici”.

Un primo profilo problematico attiene, invece, alla compatibilità fra il principio in questione e la “funzionalizzazione”293 cui vengono sottoposti i soggetti privati che operano per conto (e in parte a carico) del sistema pubblico. Infatti, non solo l’attività dell’erogatore di pubblico servizio è sopposta a una (più o meno intensa) regolamentazione pubblicistica, ma ancor più dubbia è la compatibilità con il principio di sussidiarietà orizzontale dato che, tra i tratti caratterizzanti il modello concessorio di servizio pubblico, vi rientra anche la sostituzione (nella gestione del servizio) del concedente con il concessionario. Di guisa che si ritiene dubbia, in questi casi, l’effettiva presenza di quell’“alterità” (intesa come

      

292 CERULLI IRELLI V., op. ult. cit., pp. 1 ss.

293 Critico verso quella che definisce un’eccessiva “funzionalizzazione” dei soggetti privati nel campo dei

servizi alla persona, DE CARLI P., L' emersione giuridica della società civile. Con particolare riguardo alle azioni di sviluppo economico e ai servizi alla persona, Milano, 2006, pp. 196 ss., in part. pp. 213 ss.

 

necessaria autonomia, fra il soggetto pubblico e il privato sussidiato) ritenuta da parte della dottrina un elemento essenziale del fenomeno sussidiario294.

Ammesso che tale alterità sia davvero elemento essenziale della sussidiarietà orizzontale così come introdotta nel nostro ordinamento295, i dubbi di compatibilità fra sussidiarietà orizzontale e rapporto concessorio di pubblico servizio potrebbero ritenersi superati anche alla luce delle evoluzioni - nel senso di parziale “depublicizzazione contenutistico-funzionale” - che negli ultimi decenni hanno investito l’istituto concessorio (che per molti tratti è assimilabile a un contratto di diritto privato296). Per quanto, quindi, la questione rimanga controversa, si ritiene di non dover escludere a priori che fra i meccanismi attraverso cui trova espressione la sussidiarietà orizzontale possa rientrare, in alcuni casi, anche la concessione di servizio pubblico.

Tale profilo presenta evidenti connessioni con un’altra questione, sempre relativa al grado di “autonomia” che deve mantenere l’attività sussidiata; si fa riferimento alla possibilità che il potenziale sussidiato riceva delle risorse economiche dal soggetto pubblico.

Anche in questo caso sembrano potersi ritenere superate quelle posizioni secondo cui sarebbe da escludere la possibilità che il sostegno all’attività del privato consista in sussidi di natura economica, in quanto, in tale casi, viene sostenuto mancherebbe la capacità dei privati di attivarsi autonomamente297.

Più problematico è se la sussidiarietà orizzontale fornisca copertura ai rapporti di servizio pubblico che si instaurano fra un’amministrazione e un soggetto privato che opera per fine di lucro anche soggettivo; come noto, infatti, sia ai sensi della legge quadro del 2000, sia della maggior parte delle legislazioni regionali a questa successive, il coinvolgimento nell’erogazione dei servizi sociali può riguardare sia soggetti riconducibili al privato sociale sia al privato for profit298, per quanto in entrambi tali contesti normativi

      

294 Cfr. CIVITARESE MATTEUCCI S., Regime giuridico dell'attività amministrativa e diritto privato, in

Dir. pubbl., 2003, pp. 405-474; GIGLIONI F., Sussidiarietà orizzontale e terzo settore, in www.astrid- online.it, 2002; MARZUOLI C., op. ult. cit., p. 80; DONATI D., op. ult. cit., p. 206.

295 Si è detto sopra come ALBANESE A., op. ult. cit., pp. 127-129, includa nell’ambito del principio di

sussidiarietà orizzontale anche quei “rapporti che portano i soggetti privati ad integrarsi nel sistema pubblico di erogazione dei servizi e a collaborarne attivamente alla sua erogazione”.

296 Si v. infra, sull’argomento, cap. III, par. 4.1 e 5.

297 In tal senso RESCIGNO U.G., op. ult. cit., p. 31; cfr. sul punto anche DONATI D., op. ult. cit., p. 164 che

richiama diverse pronunce della Corte dei Conti che, in forme diverse, hanno riconosciuto la legittimità di contribuzioni economiche da parte dell’amministrazione a favore di soggetti espressione della società civile.

298 In realtà la questione inizialmente fu abbastanza controversa. Come emerge da CAFAGGI F., Modelli di

governo e riforma dello stato sociale e ID., Governare per contratto o per organizzazione? Alternative istituzionali nella riforma dello stato sociale, in CAFAGGI F. (a cura di), Modelli di governo, riforma dello

siano contenute previsioni che, direttamente o indirettamente, ammettono un favor per il terzo settore. Orbene, tale questione si inserisce nel più generale discorso riguardante la concezione stessa di sussidiarietà orizzontale: se va riferita solo al privato sociale o se possa riguardare anche l’iniziativa economica finalizzata al profitto.

A quanto accennato sul punto nel precedente paragrafo, cui si rinvia, pare opportuno aggiungere un’ulteriore riflessione riguardante, nello specifico, il rapporto fra il principio di sussidiarietà orizzontale e il principio di concorrenza (e, indirettamente, ai principi/istituti al primo connessi di esternalizzazione, privatizzazione, liberalizzazione e libera iniziativa economica).

L’art. 23-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, prima di esser abrogato dal referendum del 2011, richiamava il principio di sussidiarietà in due diversi contesti e con diverse ratio299: al comma 1 nell’ambito di previsioni rivolte alla promozione e al rafforzamento della concorrenza per il mercato; al comma 10 di previsione finalizzate a obiettivi di liberalizzazione e di promozione della concorrenza nel mercato.

Al di là delle perplessità sull’accostamento fra i processi di esternalizzazione liberalizzazione e il principio di sussidiarietà orizzontale, fra l’altro condivise da parte della dottrina300, pare opportuno dare conto della posizione di chi osserva come il principio

       stato sociale e ruolo del terzo settore, Bologna, 2002, rispettivamente pp. 7-74 e 75-135, in particolare a p. 48, negli anni immediatamente successivi all’adozione della l. n. 328/2000, si è posto il dubbio circa la possibilità dei soggetti for profit di partecipare alla gestione dei servizi sociali; questo sia per l’impianto complessivo della legge, sia per l’ambigua formulazione dell’art. 1 co. 5 che, dopo un elencazione di organizzazioni senza scopo di lucro, fa riferimento solo ad “altri soggetti privati”. Mentre in dottrina è prevalsa l’interpretazione della legge quadro nel senso di ammettere l’erogazione da parte di soggetti for profit, a livello di legislazione regionale alcune regioni hanno seguito questa impostazione, prevedendo una “riserva” per il no profit solo con riguardo alla partecipazione alla “costruzione” del sistema, in particolare – nei termini sopra descritti - nella fase della programmazione (in questo senso Regione Emilia Romagna, l.r. n. 2/2003, art. 38, 20 e 21; Regione Toscana, l. r. 41/2005; Regione Umbria, l.r. n. 11/2015, art. 279, co. 3; Regione Liguria, l.r. n. 12/2006, art. 19; Regione Lombardia, l.r. n. 3/2008, art. 3); altre regioni, invece, si sono orientate nel senso di escludere i soggetti for profit anche dalla fase dell’erogazione (in tal senso sembrano essersi orientate la Regione Piemonte l.r. n.1 /2004, art. 11, co. 1, e la Regione Sardegna, l.r. n. 23/2005, art. 10).

299 Questo, almeno, sembra evincersi dalla lettura della disposizione. Infatti, il comma 1 dell’art. 23-bis,

infatti, riguardava, in generale, disposizioni sull’affidamento e la gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica; esso andava letto insieme ai successi commi dell’articolo in questione (in particolare il co. 2 e il co. 3) che prevedevano una limitazione per la gestione diretta del servizio da parte dell’amministrazione (mediante affidamento diretto a società in house). Il comma 10, invece, prevedeva l’adozione da parte del Governo di un regolamento anche al fine di “limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica, i casi di gestione in regime d’esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale”.

300 DONATI D., op. ult. cit., p. 207 ritiene “deludente” il richiamo alla sussidiarietà orizzontale contenuto

nell’art. 23-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133. In senso contrario sembra potersi leggere, Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2002, n. 6395 che ha “considerato compreso nell’ambito del principio di sussidiarietà

 

in questione presenti “caratteristiche che rendono tale istituto completamente alternativo al diritto della concorrenza”301. Fra i diversi aspetti discretivi evidenziati dall’Autore, occorre fare riferimento al fatto che, mentre “negli assetti concorrenziali di mercato l’amministrazione è chiamata a essere terza e fuori dal gioco produttivo, nella sussidiarietà orizzontale, invece, essa è chiamata a cooperare con i soggetti privati e perfino ad avvantaggiarli”.

Per concludere, con tutte le cautele, i “sé”, i “ma” e i “però” che l’argomento in questione impone, si è cercato di affrontare alcuni dei profili più controversi della sussidiarietà orizzontale:

- ci si è soffermati su quali siano le modalità con cui il soggetto pubblico può “favorire” i privati e se queste possono assumere la forma di contributi economici;

- si è toccato il tema relativo a una necessaria “alterità” fra soggetto pubblico e soggetto privato e quello connesso della possibilità di considerare protette dal principio in questione quelle forme di collaborazione funzionali all’erogazioni di servizi prestati per conto dell’amministrazione;

- si è inquadrato il profilo relativo all’ambito “soggettivo” di applicazione del principio, aderendo a una posizione intermedia che, da un lato, non lo limita ai soli soggetti non profit; ma, dall’altro, non lo estende indiscriminatamente a tutti quelli che perseguono un fine di lucro;

- si è detto che, per quanto interesse generale e interesse pubblico non siano coincidenti, l’art. 118 ultimo comma della Costituzione può essere chiamato in causa anche quando l’attività dei privati è rivolta al perseguimento di interessi che, in quanto fatti propri da un’amministrazione, sono qualificabili come “pubblici”.

Rimane, tuttavia, opportuna un’ultima precisazione.

Il fatto di considerare riconducibili alla sussidiarietà orizzontale, nei limiti e modi descritti, anche quei rapporti fra pubblico e privato già inquadrabili negli istituti tradizionali, non significa non riconoscere che la sussidiarietà orizzontale è anche altro.

Come sopra ricordato, i casi in cui tale principio si esprime nella sua forma più “pura” e in cui può apportare un maggior contributo innovativo, sono quelli in cui la collaborazione fra pubblico e privato dà vita ad un tertium distinto e separato dai modelli

       orizzontale, e quindi protetto dal principio stesso, il rapporto convenzionale tra una USL e un’azienda sanitaria privata operante nell’ambito del servizio sanitario sulla base di un rapporto convenzionale” (così CERULLI IRELLI V., op. ult. cit., p. 5).

tradizionali (cioè tanto la rimessione al mercato, quanto dall’assunzione in carico da parte di un soggetto pubblico)302. Purché si individuino dei confini oltre ai quali non è possibile andare303, stante il rischio di trasformare la sussidiarietà orizzontale in uno “slogan bon à tour faire”, tale principio contiene molte potenzialità ancora inespresse, come è normale che sia data la sua recente considerazione. In tal senso può anche considerarsi quella recente giurisprudenza che ha utilizzato la sussidiarietà orizzontale “come nuovo criterio di riconoscimento della legittimazione ad agire”304.

7. L’erogazione di prestazioni socio-assistenziali fra moduli organizzativi di pubblico servizio e assistenza privata.

Quando si ragiona su quali prestazioni assistenziali possano essere messe a disposizione della cittadinanza, viene quasi spontaneo distinguere, almeno in teoria, fra quelle attività che presentano un carattere di doverosità in quanto rientrano fra le prestazioni che un soggetto pubblico è tenuto a garantire; e quelle estranee ai compiti pubblici, prive di qualunque doverosità e riconducibili esclusivamente alla libera assistenza privata tutelata dall’art. 38, ult. comma, della Costituzione.

Quanto alle prime, la doverosità è frutto di una valutazione “politica” di un soggetto pubblico (valutazione ovviamente che segue le coordinate costituzionali sui diritti sociali); a tali attività si farà riferimento nel corso del lavoro utilizzando l’espressione “pubblico servizio” e altre locuzioni a questa riconducibili (erogatore di pubblico servizio, atto di incarico di pubblico servizio etc.), fermo restando le perplessità di certa dottrina nel considerare servizi sociali e servizi pubblici come categoria unitaria305.

All’interno di questa categoria, è necessario poi distinguere fra le prestazioni erogate direttamente da un soggetto pubblico e quelle che, pur qualificabili come servizio pubblico

      

302 Cfr. DONATI D., op. ult. cit., pp. 241 ss.; ARENA G., Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art.

118 della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, 2005, vol. I, pp. 179 ss.

303 Uno strumento cui ha fatto ricorso il legislatore, sia statale sia regionale, è quello di individuare gli ambiti

oggettivi (rectius, i settori o le attività) in cui il principio di sussidiarietà orizzontale può operare. In tal senso si è orientato il legislatore statale nel d.lgs. 24 marzo n. 155 disciplinando l’impresa sociale (art.2), nonché alcuni legislatori regionali che hanno espressamente previsto un elenco di settori/attività nei quali può operare il principio in questione (cfr. Regione Calabria, l. r. n. 29/2012 e Regione Umbria l. r. n. 16/2006).

304 Sull’argomento si rinvia a GIGLIONI F., La legittimazione processuale, cit., pp. 413 ss. Nella stessa

direzione sembra potersi fare riferimento all’istituto del “baratto amministrativo, attualmente disciplinato dal d.l. n. 133/2014, convertito con modificazioni in legge n. 164/2014, ma previsto anche nell’art. 190 dello schema di decreto legislativo di attuazione delle Direttive sui contratti pubblici, che ne rende ancora più evidente il legame con il principio in questione.

 

perché la loro titolarità rimane in capo a un soggetto pubblico, vengono erogate da soggetti privati in qualità di erogatori/incaricati di pubblici servizi (cd. “forme di outsourcing”)306.

Sia l’erogazione diretta da parte di un soggetto pubblico sia i casi di outsourcing, possono seguire moduli organizzativi fra loro diversamente articolati e costruiti.

Prima di procedere alla loro analisi occorre fare riferimento al secondo tipo di attività assistenziali che possono risultare a disposizione di una determinata collettività, ossia quelle prestazioni frutto dell’apporto autonomo e volontario di soggetti privati, riconducibile all’art. 38, ultimo comma, della Costituzione.

7.1. Prestazione assistenziale “libera” non rientrante nell’attività di servizio pubblico.

Con riferimento a questa tipologia di attività, essa è configurabile come attività privata, priva del carattere di doverosità (quindi, non qualificabile come pubblico servizio) e di norma integrativa/aggiuntiva rispetto a quella qualificabile come servizio pubblico (il condizionale è d’obbligo perché, come si cercherà di illustrare, la distinzione in concreto risulta spesso non agevole).

Se si segue l’interpretazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui si è dato conto nei precedenti paragrafi, tale attività privata potrebbe anche essere agevolata/favorita da parte dei soggetti pubblici.

A tal riguardo è però necessaria un’ulteriore distinzione.

a. Attività assistenziale senza fine di lucro

Quando l’attività assistenziale non persegue alcun fine di lucro soggettivo (facendo, quindi, rientrare in tale ipotesi non solo il caso di chi non “fa e non vuole fare profitto”, ma anche di chi “fa profitto per poter usare quelle risorse per il benessere generale”307), si

rientra certamente nell’“ambito operativo” dei principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale e non vi sono dubbi sul fatto che l’amministrazione possa intervenire per favorire/supportare tale attività, col fine di allargare “la sfera del possibile intervento rispetto a quella che i soggetti pubblici avrebbero previsto e programmato come necessario”308.

      

306 Cfr. BIN R., PITRUZZELLA G., DONATI D., op. ult. cit., p. 289. 307 ID., op. ult. cit., p. 297.

Le modalità e le forme che tale intervento può assumere non sono tassative e possono essere le più varie, non ritenendosi di escludere a priori nemmeno la possibilità di contribuzioni di natura economica309, purché ciò avvenga nel rispetto di altri principi (sia di origine interna sia di matrice europea) che regolano l’attività pubblica, legislativa e/o amministrativa (ad esempio, se si opta per l’erogazione di contributi, non possono non essere rispettati i principi di imparzialità, ragionevolezza, uguaglianza, non discriminazione in base alla nazionalità etc.).

b. Attività assistenziale con fine di lucro

Quando, invece, l’attività socio-assistenziale “privata” è posta in essere per il perseguimento di uno scopo di lucro anche soggettivo, vengono in rilievo tutte le perplessità e le incertezze riguardanti l’effettiva portata del principio di sussidiarietà orizzontale e la sua operatività nei confronti dei soggetti for profit. Controversa è, infatti, la riconducibilità al principio di sussidiarietà di un eventuale sostegno di un soggetto pubblico a tali attività private rivolte al perseguimento di un lucro soggettivo310.

Al di là tali incertezze, alcuni punti fermi circa regime giuridico dell’attività assistenziale posta in essere da soggetti privati for profit al di fuori di un incarico di pubblico servizio, sembrano poter essere individuati.

In primo luogo, tali attività rientrano in pieno nell’ambito di applicazione dell’art. 41 della Costituzione; in tali casi, pertanto, alla luce di quanto previsto dal comma secondo, il soggetto pubblico ha il dovere/potere di intervenire per evitare che la libera iniziativa economica privata si svolga in contrasto con l’utilità sociale (si pensi, ad esempio, ad una previsione legislativa che richieda un’autorizzazione finalizzata all’accertamento del possesso di requisiti tecnici/qualitativi, anche per chi opera al fuori di un vincolo di servizio pubblico e, quindi, senza attingere a risorse pubbliche).

In secondo luogo, non pare possa escludersi nemmeno l’operatività dell’art. 38, co. 5, della Costituzione che tutela la libertà di assistenza privata; da ciò consegue che la libera iniziativa economica privata, che consiste nell’erogazione di servizi socio-assistenziali, gode di tutele costituzionali più forti rispetto ad altre attività economiche: non sono ammissibili, quindi, monopoli pubblici in materia assistenziale o comunque il trasferimento (o la riserva ab origine) a soggetti pubblici così come l’art. 43 della Costituzione ammette per altre attività di impresa; lo stesso dovrebbe dirsi con riguardo

      

309 BIN R., PITRUZZELLA G., DONATI D., op. ult. cit., pp. 285 ss. 310 Vedi supra par. 6.1.

 

all’operatività dell’art. 41 co. 3 soprattutto con riguardo ai programmi più che ai controlli311.

7.2. Opacità della distinzione fra attività assistenziale di servizio pubblico e attività autonoma: in dottrina e nella legislazione di settore.

Tornando alla distinzione principale fra attività assistenziale qualificabile come pubblico servizio e quella libera e “non doverosa” posta in essere da soggetti privati, il problema della loro distinzione non si pone quando l’attività privata non è in alcun modo “favorita” dall’amministrazione: non istaurandosi alcun rapporto collaborativo fra pubblico e privato, la distanza fra le due ipotesi è evidente, tanto in astratto quanto in concreto.

I problemi sorgono quando fra l’amministrazione e il soggetto privato si instauri un rapporto giuridico non riconducibile, però, a una relazione organica e funzionale di servizio pubblico.

Ciò può accadere, ad esempio, nel caso in cui l’amministrazione, attraverso l’erogazione di contributi e altri vantaggi economici, si limiti a favorire un’attività privata che rimane libera, in quanto non rientrante fra i compiti della pubblica amministrazione (ma rispetto a questi aggiuntiva e integrativa).

Ancor più problematici sono i casi in cui il rapporto pubblico-privato viene cristallizzato in una convenzione che regoli sia i profili più strettamente legati allo svolgimento dell’attività, sia quelli “patrimoniali”, relativi al corrispettivo/rimborso spese.

In tutte queste ipotesi risulta spesso difficile distinguere fra attività assistenziale qualificabile come pubblico servizio e attività assistenziale privata (eventualmente “favorita” dall’amministrazione).

Si ritiene, tuttavia, che la varietà delle forme che la collaborazione, il coordinamento, il raccordo fra pubblico e privato sociale hanno assunto nel settore assistenziale (tutte ricomprese nell’espressione welfare mix e tutte più o meno riconducibili a un modello di welfare sussidiario), non dovrebbe precludere a un loro preciso inquadramento dogmatico (ovviamente nella consapevolezza della necessità di adattare, entro certi limiti, le categorie giuridiche alle peculiarità dei servizi sociali); a meno che non si ritenga che distinguere l’attività assistenziale che è servizio pubblico da quella come tale non qualificabile, non si

      

311 Cfr. MARZUOLI C., Le aziende speciali e le istituzioni, in Atti del 41° Convegno del Centro studi

amministrativi di Varenna, Servizi pubblici locali e nuove forme di amministrazione, Milano, 1997, pp. 48 ss., in part. p. 63.

riduca a un mero esercizio di stile, privo di effettive conseguenze in termini di regime giuridico312.

Viene naturale chiedersi, infatti, se non sia questa la ragione per cui in dottrina le due attività vengono spesso confuse e sovrapposte (per quanto, ovviamente, non manchino Autori che a tale distinzione danno evidenza313, senza però che le esigenze di sistematizzazione possano ritenersi interamente soddisfatte314).

      

312 Sul diverso regime giuridico che distingue un’attività qualificabile come servizio pubblico da un’attività