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Profili giuridicamente rilevanti della distinzione fra attività assistenziale di pubblico 

3.4.  Dai servizi sociali come “settore organico” alla definizione legislativa dei servizi sociali in 

7.2.2.  Profili giuridicamente rilevanti della distinzione fra attività assistenziale di pubblico 

      

331 Per quanto trattasi di profili distinti, va ricordato che l’erogazione di contributi e la stipula di convenzioni

è quasi sempre subordinata all’iscrizione ad appositi registri (cfr. legge sul volontariato e sulle associazioni di promozione sociale), e per le associazioni di volontariato anche alla dimostrazione “attitudine e capacità operativa”. Al riguardo merita un cenno il Disegno di legge per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale (n. 2617) che prevede la riorganizzazione del “sistema di registrazione degli enti e di tutti gli atti di gestione rilevanti, secondo criteri di semplificazione, attraverso la previsione di un registro unico del Terzo settore(…) L’iscrizione nel registro, è obbligatoria per gli enti del Terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell’economia sociale o che esercitano attività in regime di convenzione o di accreditamento con enti pubblici o che intendono avvalersi delle agevolazioni previste ai sensi dell’articolo 9”.

332 A tal riguardo si veda l’art. 4 del disegno di legge di riforma del Terzo settore cit., che fra i principi e i

criteri direttivi del riordino richiama la disciplina “degli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e d’informazione nei confronti degli associati e dei terzi, differenziati anche in ragione della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego di risorse pubbliche”; nonché la disciplina “nel pieno rispetto del principio di trasparenza, i limiti e gli obblighi di pubblicità relativi agli emolumenti, ai compensi e ai corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati”.

 

Si è detto che le modalità con cui l’amministrazione, nell’ottica della sussidiarietà orizzontale, può favorire l’autonoma iniziativa dei privati sono le più varie.

Talvolta, il rapporto che si crea fra amministrazione sussidiante e privato sussidiato presenta caratteri tali per cui la differenza rispetto all’ipotesi in cui il privato opera come erogatore di pubblico servizio sono evidenti; si pensi a tutti i casi in cui non vi sia una disciplina convenzionale come, ad esempio, quando si ha solo un provvedimento dell’amministrazione che concede contributi ai privati333.

Più complesso è distinguere fra assistenza privata e assistenza qualificabile come servizio pubblico quando, come non di rado accade, in entrambe le fattispecie il rapporto pubblico-privato assume tratti (più) stabili, dei quali è indice la presenza di uno “strumento consensuale”. Occorre cioè chiedersi se la diversa natura di tale rapporto (che solo in un caso dovrebbe configurarsi come vincolo concessorio di servizio pubblico) si ripercuota sullo strumento che lo contiene; e occorre chiederselo, soprattutto, nei casi in cui è previsto solo un generico riferimento alla “convenzione”.

Come noto, la convenzione è uno strumento poco definito che può indicare sia accordi convenzionali interamente riconducibili al diritto civile, sia accordi che, per quanto consensuali, mantengono un carattere pubblicistico334.

Rinviando a una successiva parte del lavoro una trattazione più approfondita del tema335 - al momento è sufficiente osservare che, a parere di chi scrive, la diversa natura del rapporto giuridico fra pubblico privato dovrebbe incidere sulla natura giuridica dello “strumento consensuale”.

Di modo che una convenzione che regoli l’attività assistenziale libera e non doverosa prestata dai privati, dovrebbe essere riconducibile tout court ai contratti rientranti nell’attività di diritto privato dell’amministrazione; manca, in questi casi, il collegamento con l’esercizio di un potere amministrativo necessario per giustificare lo scostamento dal diritto civile.

      

333 In questi casi, infatti, per quanto il provvedimento di concessione dei contributi di norma possa

influenzare obiettivi e modalità di svolgimento dell’attività del privato (ammettendosi anche controlli ex post), l’attività del privato rimane sostanzialmente autonoma.

334 Cfr. PERFETTI L, op. ult. cit., p. 82 e DE CARLI P. op. ult. cit., p. 396; di entrambi gli Autori si vedano

nello specifico le parti riportate in precedenza. Interessante a tal riguardo l’osservazione di ALBANESE A., I rapporti fra soggetti non profit., cit., pp. 159 ss., secondo la quale la convenzione non sarebbe idonea a regolare rapporti di servizio pubblico in quanto un contenitore “troppo generico e informale, insufficiente a garantire che la relazione fra p.a. e Terzo settore sia fondata su regole chiare, al tempo stesso rispettose della identità dei soggetti non profit e improntate ad una corretta definizione del loro ruolo rispetto a quello degli operatori commerciali”.

Diversamente, quando la convenzione regola un rapporto di servizio pubblico, la titolarità pubblica dell’attività e, quindi, il carattere di doverosità, la connotazione pubblicistica del momento concernente l’erogazione-predisposizione del servizio336 e la funzionalizzazione dell’attività al perseguimento di un interesse pubblico, sono tutti elementi che dovrebbero ricondurre la fattispecie all’accordo pubblicistico che, come noto, presenta un regime giuridico in parte diverso dai contratti tout court privatistici, non interamente riconducibile al diritto civile.

Pertanto, sembra potersi concludere nel senso che distinguere fra l’attività assistenziale del privato prestata in qualità di erogatore di pubblico servizio e quella libera tutelata dall’art. 38, ult. co., della Costituzione eventualmente favorita da un soggetto pubblico, non rileva solo su un piano teorico ma anche su quello delle conseguenze in termini di regime giuridico; come meglio si vedrà nelle successive parti del lavoro, tali differenze riguardano la presenza (in un caso e non nell’altro) di un’attività discrezionale dell’amministrazione sia nella fase inziale del rapporto, sia al termine di questo (potestà di revoca e rinnovo della convenzione)337.

Per concludere, pare opportuno soffermarsi brevemente sulle ragioni per cui nel settore dei servizi sociali venga spesso trascurato di dare rilievo alla distinzione fra l’attività assistenziale di pubblico servizio e quella privata “libera”; con ciò risultando evidente la distanza rispetto ad altri settori (propriamente economici) in cui la differenza fra la libera iniziativa economica dei privati e l’attività di pubblico servizio è sempre stata netta. Infatti, nonostante i mutamenti solitamente sintetizzati riferendosi al passaggio dallo Stato gestore allo Stato regolatore338 hanno certamente contribuito a sfumare tale differenza, essa continua a mantenere la sua rilevanza339.

La prima ragione di tale distanza pare legata all’evoluzione del settore dell’assistenza e del concetto di beneficenza. Infatti, fino alle novità della fine degli anni ’70, il rapporto fra pubblico e privato in tale settore ha assunto quell’ibrida “sembianza” che trovava espressione nella disciplina delle IPAB, consistente in una formale pubblicizzazione di rapporti che rimenavano sostanzialmente privati; invece, negli altri settori dove la categoria

      

336 CAIA G., La disciplina dei pubblici servizi, cit., pp. 945 ss.

337 Cfr. sul punto PERFETTI L., op. ult. cit., p. 87. Si v. infra, cap. 3 par. 4.1 per ulteriori riferimenti

dottrinali.

338 Per tutti, S. CASSESE, La nuova costituzione economica, cit.

339 Cfr. CAIA G., I servizi pubblici nell'attuale momento ordinamentale, cit., p. 146, secondo cui “i servizi di

interesse generale (servizi pubblici) non sembrano essere identificati con qualsivoglia attività economica sottoposta a programmi pubblici o autorizzazioni amministrative, bensì con prestazioni alla collettività e agli utenti per le quali è centrale il ruolo istitutivo-organizzativo e/o di affidamento da parte della pubblica amministrazione”.

 

giuridica del servizio pubblico aveva preso piede, veniva pacificamente attribuita natura concessoria alla relazione fra il privato erogatore e il soggetto pubblico titolare del servizio.

Quando si è affermata la moderna concezione di assistenza e si è avuto il trasferimento dei relativi compiti ai comuni, si è da subito manifestata l’esigenza, anzitutto dettata da ragioni economiche, di instaurare forme di collaborazione, raccordo, etc. con i privati340. Si potrebbe forse sostenere che tale apertura si sia realizzata preliminarmente (e, quindi, a prescindere) da qualunque inquadramento teorico da parte della dottrina e della giurisprudenza (inquadramento che sarebbe, forse, stato necessario per adattare categorie e istituti dei servizi pubblici alle peculiarità dei servizi sociali)341.

La seconda ragione pare riconducile all’assenza, per lunghi anni, di una legge nazionale che disciplinasse il settore e in particolare il rapporto fra pubblico e privato (dopo soprattutto che le riforme di fine anni ’70 e in particolare il d.P.R. n. 1616/1977 aveva sancito definitivamente l’inadeguatezza della legge Crispi)342. Ciò ha favorito l’affermarsi delle soluzioni più eterogenee e articolate, contribuendo, a parere di chi scrive, a rafforzare lo stato di confusione sui profili di cui si discute.

La terza ragione è quella che, più delle altre, presenta profili di attualità; si ritiene, infatti, che possa aver contribuito alla “diluizione” delle categorie giuridiche (servizio pubblico vs. attività assistenziale privata, convenzione vs. concessione di servizio pubblico vs. contratto di diritto privato) una ragione non strettamente giuridica, ma derivata da una sorta naturale di difficoltà a coniugare rapporti convenzionali e procedure ad evidenza pubblica geneticamente proprie di rapporti contrattuali in senso stretto.

      

340 Come ricordato in precedenza, i primi “semi” di welfare mix si ritrovano nelle legislazioni regionali

immediatamente successive al d.P.R. n. 616/1977; sul punto si veda anche FERIOLI E., op. ult. cit., p. 51 la quale mette in evidenza la differenza fra l’impostazione di tale decreto di trasferimento di funzioni alle regioni, che pareva rivolto a realizzare un sistema socio-assistenziale incentrato su attività (pubbliche) provenienti da soggetti pubblici, e le soluzioni emerse a livello regionale.

341 È noto, infatti, come l’istituto della concessione di pubblico servizio sia stata “costruita” sui servizi

pubblici propriamente economici e tradizionalmente ritenuta non utilizzabile per i servizi quali sanità, istruzione etc. (cfr. PRESUTTI E., Istituzioni di diritto amministrativo italiano, vol. I, Roma, 1920, p. 332). Ma anche dopo che l’art. 22 della l. n. 142/1990 ne ha espressamente previsto la sua utilizzabilità anche per i servizi sociali (infra), dalle riflessioni della dottrina emergeva un atteggiamento di particolare “cautela” sull’utilizzo di tale strumento come modello organizzativo dei servizi alla persona (cfr. CAVALLO PERIN R., La struttura della concessione di servizio pubblico locale, Torino, 1998, pp. 93 ss., che considera l’impossibilità per gli utenti di verificare direttamente la qualità del servizio” – a causa del carattere non industriale e dei conseguenti fenomeni di asimmetria informativa – una ragione che potrebbe portare a limitare – non escludere – l’utilizzo della concessione per la gestione di determinati servizi a carattere non industriale). Sull’argomento, cfr. anche PELLIZZER F., SANTI G., La “convenzione” con gli enti non profit fra sistema contrattualistico comunitario, normative nazionali ed intervento attuativo regionale, in CARINCI F. (a cura di), Non profit e volontariato: profili giuridico istituzionali, Milano, 1999, pp. 139 ss.

Con questo determinando, però, la conseguenza che la progressiva attenzione (anche di derivazione europea) a individuare una disciplina per la scelta del privato con cui stipulare la convenzione (sempre salvaguardando uno spazio di discrezionalità dell’amministrazione) ha, nella sostanza, indotto a trascurare i profili concernenti la qualificazione di tali rapporti convenzionali. Rapporti che comunque sembrano mantenere - anche a livello di categorie giuridiche dell’ordinamento nazionale - elementi di differenziazione rispetto ai tradizionali rapporti contrattuali passivi dell’amministrazione, continuando a caratterizzarsi per un profilo funzionale pubblicistico ben più pregnante.

Altra prospettiva è, invece, quella di far discendere differenziazioni di regime giuridico concorrenziale tra i suddetti rapporti per il sol fatto che nel contesto europeo siano stati introdotti diversi livelli di regole concorsuali, in derivazione dei particolari e settori di attività343.