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Arte e società, passando dalle teorie di Ruskin

"La civiltà moderna, nella sua fretta di realizzare una ingiusta divisione della prosperità materiale, ha soppresso del tutto l'arte popolare; in altre parole la maggior parte della gente è esclusa dall'arte, che ora è nelle mani di pochi ricchi e gente colta, i quali, possiamo ben dire, hanno bisogno di essa certamente meno dei laboriosi proletari"105

William Morris

La città medievale rappresenta per entrambi gli autori, Ruskin e Morris, la dimensione ideale di un vivere sereno, dove il monastero, la corporazione e la chiesa erano gli elementi costitutivi , e la vita si svolgeva in pace con la natura, lontano dai rumori e dalle tensioni dell'era industriale.

A costo di passare sotto silenzio gli aspetti più inquietanti dell'epoca, come il diffuso ricorso alla tortura ed al rogo come metodo di punizione dei colpevoli di reati comuni o degli eretici, questo periodo si caratterizzava per l’esistenza di aggregati urbani in grado realizzare un'ideale di libertà quanto nessuna cultura urbana precedente. Mai dall'epoca delle grandi dinastie egizie c'era stata una tale unità tra visione religiosa e varietà di interessi economico- sociali106. Nonostante la struttura sociale delle città continuasse ad essere di tipo gerarchico, il fatto che un servo potesse diventare un libero cittadino dimostrava un apprezzabile grado di mobilità sociale.

105 W. Morris, Arte e socialismo: le aspirazioni e gli ideali dei socialisti inglesi di oggi, cit., pag. 101

106 Si trattava di una cultura urbana che si basava sulla cooperazione volontaria sostituita alla coercizione unilaterale e all'obbedienza cieca. (L. Mumford, op. cit., pag. 399)

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Non è certamente in discussione la misurazione, del resto sempre discutibile, del tasso di civiltà presente nelle diverse epoche107, ma la ragione della motivazione di Morris, influenzata dagli insegnamenti di Ruskin, a considerare la vita medievale come espressione di tutta la bellezza possibile.

Se pensiamo che la vita civica e religiosa degli operai dell'ottocento si svolgeva in squallidi e anonimi edifici, privi di qualsiasi grazia architettonica, di certo non stupisce che le persone manifestassero una totale cecità verso la bellezza, tanto forte quanto assoluta era la mancanza di quest'ultima. E se paragoniamo questi ambienti ai tipici villaggi medievali circondati dagli immensi pascoli, giardini, campi e frutteti, risulta ancora più comprensibile la frustrazione di Morris.

Dal punto di vista architettonico, alcuni degli esempi più significativi dell'urbanistica del tardo Medioevo si trovano in villaggi della regione del Costwold, come Chipping Camden, Burford, e Bybury, considerato da Morris il più bello d'Inghilterra. Chipping Camden era un perfetto esempio di villaggio medievale: le case costruite a schiera, per avere la massima difesa dal freddo, non risultavano monotone grazie ad alcune loro caratteristiche come i frontoni, le finestre a sporto, e le decorazioni delle facciate. La semplice collocazione di una larga finestra al piano terreno esprimeva un'idea di fusione con gli spazi aperti e, allo stesso tempo, di confortevole intimità dell'interno senza neppure la necessità di un giardino antistante108. Un'immagine del tutto diversa da quella che avevano davanti ai loro occhi gli uomini delle grandi città contemporanee. Proprio la ferita della sensibilità estetica spingeva Morris a richiamare l'attenzione dei concittadini a ciò che li circondava. Quando al mattino essi si alzavano dal letto per fare

107 Nelle città medievali la Chiesa, con i suoi campanili, "dita ammonitrici", le sculture di arcangeli d'orati, e le torri che facevano alzare gli occhi al cielo, era il luogo dove i cittadini si raccoglievano più frequentemente. La sua posizione centrale era la chiave del tracciato della città sia geograficamente che metaforicamente, poiché la Chiesa rappresentava il principale punto di riferimento della vita tutti i cittadini. la vita di ognuno, infatti, era concepita come un susseguirsi di episodi significativi durante il pellegrinaggio verso il cielo, infatti, per ogni momento importante della vita di ogni uomo, la Chiesa aveva il suo sacramento o la sua celebrazione. Il sociologo Lewis Mumford sosteneva che ogni epoca conteneva in sé le sue contraddizioni e il suo dramma caratteristico, ponendo la domanda di quale fosse stato il dramma del periodo medievale. Secondo la risposta dello studioso, è stata la paura, ovvero, il dramma del peccatore nel passaggio nell'al di là, in un mondo crudele e malvagio, qualora non si fosse pentito. La terra stessa era, infatti, concepita come un volgare luogo di sosta lungo la strada indirizzata verso i due mondi opposti: il cielo di Dio o l'inferno. (L. Mumford, La cultura delle città, Edizioni di comunità, Torino, 1999, pag. 51)

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colazione, mangiare uova o bere una tazza di tè, passeggiando per le strade della city, avrebbero dovuto osservare attentamente la grande quantità di case uniformi, con facciate di colore giallo nauseante, con tetti sottili fatti di «fredde ardesie paonazze»109. Case che immediatamente, per la povertà dei materiali, davano l'impressione all'osservatore di essere abitate dalle famiglie meno abbienti della città110. Morris era convinto che il sentimento di disperato disgusto che lo accompagnava al ritorno da camminate in strade maltenute e tra muri di mattoni «malcotti», fosse il medesimo provato da coloro che facevano lo stesso percorso lungo le strade di Londra, pur con la mente occupata dagli ordinari impegni di vita e di lavoro. Al contrario, le strade medievali erano essenzialmente sentieri nati per il quotidiano andirivieni degli abitanti e, non essendo lastricate, ricordavano il cortile di una fattoria, ed erano quindi agli occhi dei passanti molto più familiari. Non erano solo questi elementi "rurali", tuttavia, che spingevano l'artista romantico ad esaltare il medioevo come l'espressione della bellezza e di uno stile di vita ideale. Per la prima volta la maggior parte degli abitanti era composta di uomini liberi (eccezion fatta per certi gruppi particolari come gli ebrei) che avevano assimilato le regole di convivenza, di autodisciplina e di auto- ordinamento vigenti all’interno delle varie corporazioni di cui facevano parte, venendone influenzati anche nel loro comportamento individuale. Dominium e communitas, organizzazione e associazione tendevano, quindi, a confondersi l'uno nell'altra. È questo spirito di associazione che porta Morris a considerare le ghilde111 come modello ideale di struttura e di vita civile in contrapposizione all'individualismo ed egoismo della società contemporanea:

109 W. Morris, L'arte e l'industria nel XIV secolo, cit., pag. 152 110

Ibidem

111 Durante il Medioevo l'individuo, se isolato, era condannato ad avere per destino o l'esilio o la morte. Come riporta il sociologo Lewis Mumford, chiunque fosse stato in vita cercava immediatamente di appartenere ad un'associazione: «Non c'era sicurezza se non nella vita associata, e non c'era libertà che non riconoscesse gli obblighi di una vita corporativa.» Fuori dalla Chiesa le ghilde rappresentavano una forma di associazione nella sua forma più universale. Le ghilde dei tempi anglosassoni erano anzitutto confraternite a carattere religioso che si riunivano per scambio di conforto fraterno ed incoraggiamento , e seppur rivolte a compiti economici precisi, non erano mai completamente assorbite in essi.(L. Mumford, La cultura delle città, cit., pagg. 20-21)

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"Ma cosa dette agli uomini delle città il desiderio di sacrificare i loro faticosi guadagni per ottenere una condizione sociale a fianco dei baroni e dei vescovi? La risposta è chiara: lo spirito di associazione, che non si era mai estinto nei popoli d'Europa e che nel Nord- Europa almeno, era stato mantenuto vivo dalle ghilde, che si erano sviluppate dappertutto; ecco la forte organizzazione che il feudalesimo non poté abbattere."112

Nelle corporazioni l'uomo si esprimeva in ciò che riusciva a creare con le sue mani e con l'aiuto degli altri, sentendosi parte di un gruppo di confratelli che con i loro martelli, le loro spole ed altri arnesi, eseguivano un lavoro ricco di espressività. Le corporazioni, pertanto, basandosi sull’associazione tra uomini padroni della propria attività, rappresentavano per l'artista la dimensione ideale opposta a quella della società industriale caratterizzata da individui che provavano fatica, noia, disamore e mortificazione nel lavoro che conducevano. L'arte trovava, quindi, la sua piena espressione nel sistema di lavoro corporativo libero dalle logiche del profitto, che, invece, determinavano il sistema capitalistico dell'ottocento.

Questa armonia della lavorazione trovava particolare espressione nell’arte gotica, come aveva predicato Ruskin, il quale considerava quest'arte, con le sue sublimi altezze e dimensioni, il simbolo della libertà e delle pulsioni creative dell'uomo, arrivando, quindi, a concepire il medioevo come l'età dell'oro per i lavoratori di quel periodo :

"L'aspetto più ammirevole della scuola gotica consiste proprio in questa accettazione delle fatiche delle menti più umili e nell'avere eretto, su quei frammenti imperfetti, dove il tocco è imperfetto in se stesso, un insieme imponente e inattaccabile"113.

112 W. Morris, , L'arte e l'industria nel XIV secolo, cit., pag. 160

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Ruskin guardava con nostalgia a quel periodo così ricco di sentimenti e idee che, attraverso le vie meravigliose dell'arte, trovavano la loro massima espressione, al contrario di quello che avveniva nella civiltà industriale; pienamente convinto che una grande arte nazionale era impossibile nella sua epoca.

Questa visione drammatizzante si basava su una concezione del rapporto arte- società, alla cui stregua l'elemento negativo tanto della società che dell'arte era la macchina e la conseguente lavorazione meccanizzata, con la produzione in serie e di scarsa qualità. In Stones of Venice, forse la più significativa delle opere lasciate da Ruskin, sono considerate le condizioni sociali nelle quali l'artista è chiamato a operare attraverso un confronto tra il mondo pre-rinascimentale, nel quale l'artigiano era il soggetto del suo lavoro, e il mondo contemporaneo nel quale l'uomo ne era l'oggetto, non autonomo e sottomesso. Proprio la nuova condizione umana determinata dalla meccanizzazione era la principale causa della crisi dell'arte nella società vittoriana oltre che dell'incomprensione dell'arte passata.

L'arte gotica era, invece, il simbolo del genio dell'uomo nonché l'espressione dell'ambiente ideale di produzione artistica e di lavoro alternativi alla società industriale. Nelle sezioni di The Stones of Venice dal titolo Nature of the gothic, Ruskin ne descrive le principali caratteristiche, o "elementi morali"114, espressione quest'ultima che indica come lo studio dei meriti dell’architettura gotica avesse condotto Ruskin a meditare sulle virtù degli uomini che l’avevano creata. Motivo per cui da critico estetico egli era destinato a diventare critico della società.

Le caratteristiche dell'architettura gotica erano: 1) la selvatichezza; 2) la mutabilità; 3) il naturalismo; 4) la propensione al grottesco; 5) la rigidità; 6) la ridondanza115.

La selvatichezza era l'elemento che Ruskin definiva come "grossolano", "irregolare", dell'architettura gotica, nella quale veniva espressa quella devozione religiosa, quel temperamento freddo, tipico della popolazione nordica, portatrice di una rudezza di pensiero che si traduceva in grossolanità artistica. Ma, come Ruskin, scriveva, «la richiesta di precisione contraddistingue sempre un

114

Ivi, pag. 148 115Ibidem

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fraintendimento dei fini artistici»116. Non a caso, perché l'uomo, seppur concependo un'ideale di perfezione, si abitua alla delusione di non poter raggiungere mai nella sua totalità quel modello ideale che ha nella mente. La capacità di esecuzione è soggetta ai sentimenti umani, non di rado è costretta a rinunciare al proprio fine perfezionistico per riuscire a mantenere il ritmo di lavoro, mentre, secondo il pensiero di Ruskin, «nell'agire umano solo ciò che è cattivo può essere perfetto, nel senso peggiore del termine».117

Del resto l'imperfezione, in quanto è insita nella vita stessa, è allo stesso modo l’espressione della vita dell’uomo e di tutte le creature viventi, nelle loro diverse fasi di sviluppo e di mutamento: «nulla di ciò che vive è, o può essere, assolutamente perfetto; c'è sempre una parte che deperisce e una che nasce».118 Bandire l'imperfezione, significherebbe, secondo Ruskin, frustrare l'espressività e paralizzare la vita.

La seconda caratteristica dell'arte gotica è la mutabilità o varietà. Per darne conto, Ruskin faceva riferimento all'esecuzione artistica dei lavoratori sottoposti a rigida schiavitù, prendendo come esempio l'architettura greca. Quei capitelli tutti uguali tra loro e quelle cornici uniformi, rivelavano la natura servile di coloro che le avevano eseguite, dal momento che essi erano stati obbligati, oltre che ad essere stati addestrati, anche a riprodurre gli stessi particolari. Al contrario, nell'arte gotica sia il disegno che l'esecuzione mostrano una varietà incessante, a dimostrazione che i lavoratori avevano agito in piena libertà. Qui di seguito sono citati alcuni esempi di forme tipiche dell'arte gotica che costituiscono una variazione continua. A cominciare dall'arco a sesto acuto che è non solo esempio innovativo rispetto all'arco a tutto sesto, ma implica una serie molteplice di varianti, proprio perché le proporzioni di un arco a sesto acuto sono mutabili all'infinito, mentre quelle di un arco a pieno centro sono sempre le stesse. Anche le colonne a fascio non solo rappresentano un'ardita novità rispetto alla singola colonna e al pilastro unico, bensì permettono infinite modalità di realizzazione nel loro raggruppamento e nelle proporzioni che ne derivano. Infine, l'introduzione della decorazione ad intaglio consente una stupefacente variazione nel trattamento

116 Ivi, pag. 150 117

Ivi, pag. 151 118Ibidem

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della luce che proviene dalle finestre, dando altresì adito alla più vivace fantasia creativa. Per il critico d'arte il talento dell'artista, infatti, non si esprimeva nell'uniformità ma nella capacità di variazione; o meglio, egli poteva prediligere l’una o l’altra, ma era sempre nella novità di invenzione che la sua capacità creativa si manifestava.

Il terzo elemento caratteristico dell'arte gotica è il naturalismo, cioè l'espressione dell'amore per gli oggetti naturali e la capacità di rappresentarli con la più piena spontaneità possibile. Questa caratteristica si ricollega al primo elemento elencato: in quanto sono messi in condizioni di libertà, i lavoratori trarranno spunto dalla natura circostante, rappresentandola come appare ai loro occhi e dando sfogo alla fantasia e rispettando allo stesso tempo le regole artistiche.

Nel modo di rappresentare l'ambiente circostante Ruskin divide i lavoratori in tre grandi gruppi: da un lato si trovano i lavoratori maggiormente predisposti all'imitazione, detti anche uomini dei «fatti»119; al lato opposto quelli più abili nel disegno120 ; nel centro coloro che posseggono entrambi le doti. Guai però a disprezzare l'attributo di uno per il suo opposto. Se, per esempio, un artista molto abile nell'imitazione disprezzasse il disegno, la sua opera risulterebbe un'imitazione esasperata della realtà. All’opposto, può verificarsi l’errore dell’artista che possiede stupefacenti doti grafiche ma che disprezza «i fatti»: mentre dal rapporto con i fatti il disegno non può prescindere, perché solo dalla natura e dalle sue forme l’artista trova la sua ispirazione. Allo stesso modo, il miglior colorista inventa meglio quando si ispira ai colori e alle forme della natura, ma se si lascia troppo andare dal piacere di inventare forme fantastiche, trascura volontariamente le verità dalla natura, dalla quale dovrebbe trarre alimento. Gli artisti gotici rientravano, secondo il pensatore inglese, nel gruppo centrale, perché, seppur ispirati dall'amore per il vero e, quindi, dalla capacità di rappresentarlo, ubbidivano contemporaneamente agli istinti dell'immaginazione, traendo spunto anche dall'elemento fantastico. La propensione al grottesco viene difatti annoverata da Ruskin tra le caratteristiche dell'arte gotica. Un esempio

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Ruskin con «fatti» intende i fatti percepiti per mezzo dell'occhio e della mente, che trovano espressione nell'esecuzione senza essere filtrati dai precetti artistici. (Ivi, pag. 155)

120

Con il termine «disegno» Ruskin indicava la capacità di comporre nobilmente forme e colori. (Ibidem)

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dell'elemento fantastico possono essere i gargoyle, ovvero le parti terminali dei canali di gronda di una struttura, che venivano scolpiti a forma di figure fantastiche (tipicamente degli esseri mostruosi).

Viene, inoltre, identificata dal critico d'arte come penultimo attributo dell'architettura gotica la rigidità, non una rigidità statica, ma "dinamica"121, che si traduceva in una «particolare energia che trasforma il movimento in tensione; la resistenza in rigidità, che rende saettante e non curvo il lampo selvaggio, che fa biforcuto il vigoroso ramo di quercia e non pieghevole»122. Un'energia che viene comunicata dalle volte e dai costoloni gotici per la tensione elastica e la testimonianza di forza che si trasmette da una parte all'altra. Proprio l'operosità degli artisti nordici, sollecitata dalla freddezza del clima, si scolpiva e congelava nelle aguzze guglie simili a stalagmiti di ghiaccio e nei pinnacoli appuntiti, tipici elementi decorativi dell'arte gotica.

La ridondanza, infine, è l'ultimo elemento elencato che Ruskin definisce come ricchezza di lavoro, testimoniata dalle decorazioni a traforo delle finestre oppure dai capitelli scolpiti raffiguranti foglie o altri richiami della natura: esempi di una ricchezza ornamentale che rifletteva ancora l'industriosità di chi l'aveva eseguita. Arte e società nella visione ruskiniana si sviluppano dalla stessa radice rinviando alla fedeltà dello stesso unico fine: la ricerca della bellezza. Come un predicatore ha il compito di rivelare verità agli altri, l'artista ha il dovere di racchiudere nella sua opera aspetti della bellezza che risultano meno tangibili agli occhi dei comuni osservatori123.

L'elemento di fondo di questa analisi è la concezione dell'arte come forma espressiva della personalità dell’individuo in senso culturale, sociale e morale. Colui che realizza l'opera è inevitabilmente influenzato dalle condizioni lavorative, dal clima estetico e sociale, oltre che dalla propria individualità. Come spiega sempre Ruskin nel saggio intitolato The elements of drawing (1857), un ambiente sfarzoso ed eccessivo può tradursi, attraverso la mano dell'artista, in forme e colori "grossolani", mentre un ambiente più tranquillo in forme e colori

121 Ivi, pag. 163 122

Ibidem 123

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più tenui124. Risulta, quindi, comprensibile la critica radicale mossa da Ruskin alla civiltà contemporanea, dato che il grigio dei fumi ed i continui rumori meccanici delle fabbriche impediscono ai sensi di percepire in profondità l'ambiente circostante, e dare di esso un'espressione attraverso le vie dell'arte. Proprio perché la civiltà industriale è dall'autore accusata di essere incompatibile con la formazione armoniosa della personalità dell'uomo, minata nella fantasia e nell'espressione artistica. Se l'arte è una sovrastruttura, quale arte può nascere in un ambiente in cui la macchina si sostituisce al lavoro manuale del lavoratore ed i fumi e la sporcizia prodotti dalle fabbriche inquinano le città?

È sulla scia di Ruskin che Morris risponde a questo quesito, sostenendo che l'arte risulta annientata, mancando ispirazione, condizioni e volontà di produrre cose belle:

"Uomini che vivono in mezzo a una tale bruttezza non possono concepire la bellezza, e quindi non possono esprimerla."125

"L'avanzata dell'esercito industriale" sotto i "suoi capitani d'industria" ha prodotto lo scempio della bellezza sulla faccia della terra, costringendo le persone a vivere immerse nel degrado. Proprio l'artista, il cui scopo è quello di creare la bellezza dando espressione alle sensazioni ed impressioni che riceve dall'ambiente circostante, viene privato della possibilità di creare, dal momento che, sostiene Morris, «tutto intorno è brutto e volgare»126.

La natura è la principale fonte da cui l'arte trae la propria ispirazione ed ha bisogno, per essere espressa, di facoltà mentali e sensoriali ben addestrate al riconoscimento del bello. Si tratta, tuttavia, di un addestramento poco proficuo, o nullo. Morris riteneva, infatti, che mancasse all'artista la conoscenza della tradizione del passato e, per ristabilire questo contatto, in una delle sue

124 J. Ruskin, The elements of drawing (1857) in "The Ethics of the dust ten lectures to little housewives on the elements of crystallisation", Siegel- Cooper, New York, Chicago, pag. 183 125

W. Morris, La parte dei lavoratori nell'arte, cit., pag. 93 126 Ibidem

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conferenze127 sull'arte, esortava i giovani a studiare i monumenti antichi e a dedicarsi al disegno, elemento indispensabile per avere un approccio efficace con la creazione artistica.

Disgustato dai progressi di facciata ostentati dalle colossali esposizioni vittoriane, Morris inseguiva fedelmente la linea ruskiniana, considerando l'architettura gotica come simbolo di libertà e di un'armoniosa cooperazione tra gli uomini:

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