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Capitolo 2. Il DNA tumorale circolante (ctDNA)

2.1 Aspetti biologici del ctDNA

Nel plasma e nel siero sono presenti frammenti di acidi nucleici circolanti non associati a cellule, la cui presenza fu descritta per la prima volta nel 1948 da Mandel e Metais208.

Tuttavia all’interno della comunità scientifica non fu da subito riconosciuto il carattere innovativo di questo risultato, tanto è vero che le potenziali applicazioni del DNA libero circolante (cfDNA) in ambito oncologico furono dimostrate solo nel 1977, quando elevati livelli di cfDNA furono individuati nel siero di pazienti affetti da neoplasia209. Nel 1989, un ulteriore studio dimostrò che il cfDNA isolato dal plasma dei pazienti affetti da neoplasia condivideva le stesse alterazioni genetiche del DNA delle cellule del tumore primitivo (mutazioni e amplificazioni di oncogeni o oncosoppressori), suggerendo dunque che l’origine degli aumentati livelli di cfDNA fosse da ricercare nelle cellule tumorali210.

Il cfDNA è rilasciato sia da cellule sane che da cellule tumorali211,212. La frazione di DNA attribuibile a queste ultime è definita DNA tumorale circolante (ctDNA).

La distinzione tra cfDNA e ctDNA è possibile mediante la ricerca delle mutazioni somatiche presenti nel genoma tumorale213,214 e pertanto, essendo dotato di specificità biologica, è in grado di ricoprire il ruolo di biomarcatore tumorale215.

Normalmente gli acidi nucleici liberi circolanti nel sangue sono presenti solo in piccole quantità, variabili da individuo a individuo. La presenza, seppur minima, di cfDNA in pazienti sani sembra essere correlata al meccanismo di rilascio attivo da parte dei linfociti o alla lisi di cellule nucleate presenti nel flusso sanguigno216,217.

Nei soggetti sani, la concentrazione media di cfDNA riscontrata è attorno a 10-30 ng/ml, mentre nei pazienti oncologici spesso supera 100 ng/ml218.

La diversa concentrazione di cfDNA presente tra individui sani e pazienti oncologici ha sollevato la possibilità di considerare la quantità di cfDNA in circolo un marcatore specifico di malattia neoplastica, attribuendogli un ruolo anche nella diagnosi precoce di tumore polmonare219.

Tuttavia, il principale ostacolo a questo è dato dal fatto che la presenza di cfDNA non si associa unicamente alla patologia neoplastica, ma anche ad alcuni stati infiammatori, quali infarto del miocardio, ictus, malattie autoimmuni, oppure a complicanze associate alla gravidanza220.

Dal momento che il ctDNA spesso rappresenta meno dell’1% del cfDNA totale, con una concentrazione assoluta variabile tra 1 e 100 ng/ml221,222, la sua rilevazione può talvolta risultare complicata. Inoltre, tenendo conto che la presenza di tumore e infiammazione sono spesso concomitanti, la quantità ctDNA può risultare fortemente diluita rispetto alla quantità totale degli cfDNA in circolo. Pertanto è necessario ricorrere a metodiche diagnostiche che abbiano sensibilità molto elevata, come il Next- Generation Sequencing (NGS) e la droplet digital PCR (ddPCR).

Il ctDNA può essere isolato dal sangue periferico sottoforma di frammenti a basso peso molecolare, di dimensioni inferiori a 1000 bp.

Tale procedura può essere eseguita sia su plasma che su siero, tuttavia il plasma è preferibile in quanto il siero contiene una maggior quantità di DNA circolante non tumorale derivante dall’emolisi e dalla lisi leucocitaria che si realizza durante la coagulazione223. Inoltre il plasma può contenere una più alta quantità di ctDNA in quanto l’EDTA, presente nella provetta del prelievo, inibisce indirettamente le DNAsi presenti nel sangue224.

Pochi sono i dati disponibili riguardo alla stabilità del ctDNA nel sangue: sembra che la sua clearance sia rapida, con un’emivita inferiore a 2 ore, e che milza, fegato e reni ne siano i responsabili225.

Dato che l’intero genoma tumorale può essere ricostruito a partire da piccoli frammenti circolanti e che qualsiasi segmento di DNA può essere potenzialmente ritrovato in circolo sottoforma di ctDNA, la sua genotipizzazione è definita anche “biopsia liquida”225.

Più precisamente, per analogia con la definizione di biopsia tissutale, il termine biopsia liquida dovrebbe essere ristretto al prelievo sanguigno che si associa alla valutazione citopatologica delle cellule tumorali (CTC)226, cioè cellule distaccatesi dalla massa

tumorale primaria e migrate a siti secondari attraverso la via linfatica e il circolo sanguigno.

Tuttavia con tale termine è possibile fare riferimento anche ad altri biomarcatori tumorali più facilmente isolabili nel sangue o in altri fluidi corporei (urine, saliva, liquido pleurico, liquido ascitico), come appunto il ctDNA, oppure l’RNA circolante, il microRNA e gli esosomi227.

Il meccanismo attraverso il quale il DNA tumorale viene rilasciato nel sangue deve essere ancora completamente chiarito, tuttavia sono state formulate diverse ipotesi a riguardo, tra cui le più accreditate suggeriscono il rilascio attivo da parte delle cellule tumorali di esosomi contenenti DNA o il rilascio passivo a seguito di necrosi o apoptosi. Quest’ultimo meccanismo è documentato dalla presenza di elevate quantità di cfDNA nel plasma di pazienti oncologici con malattia in stadio avanzato ad elevata proliferazione, in cui si verifica un aumento del numero di cellule apoptotiche e necrotiche a causa del rapido turnover cellulare che caratterizza la massa tumorale in accrescimento211,216,228,229.

In particolare è stato ipotizzato che frammenti di cfDNA in circolo possano avere origine da cellule apoptotiche e necrotiche tumorali che siano state fagocitate dai macrofagi normalmente impegnati nella clearance dei residui cellulari derivati da necrosi e apoptosi, che ne hanno successivamente rilasciato il DNA frammentato230,231.

Più precisamente si pensa che il ctDNA sia rilasciato primariamente dalla neoplasia come risultato della necrosi a cui va incontro, mentre il cfDNA origini dalle cellule sane andate incontro ad apoptosi232.

Il DNA rilasciato dalle cellule tumorali necrotiche ha dimensioni variabili, mentre quello rilasciato da cellule apoptotiche, si presenta sottoforma di frammenti uniformi di 185- 200 bp215,233. Dal momento che la principale fonte di cfDNA negli individui sani deriva dalle cellule apoptotiche, è questa la componente normalmente predominante.

Il contributo delle cellule tumorali al cfDNA totale è altamente variabile: gli studi che hanno investigato questo aspetto hanno evidenziato percentuali tra lo 0.01% e più del 90%213,229. Tuttavia è difficile fare confronti in quanto le tecnologie impiegate negli studi per la quantificazione del cfDNA sono state diverse.

Inoltre il rilascio passivo di ctDNA dipende dal sito, dalle dimensioni e dalla vascolarizzazione della massa tumorale, e questo potrebbe spiegare l’alto grado di variabilità nella concentrazione di ctDNA e la presenza di frazioni mutanti215. Il rilascio attivo e spontaneo di acidi nucleici circolanti all’interno di micro-vescicole (esosomi)

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