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Capitolo 1. Il tumore del polmone

1.5 Caratterizzazione molecolare

1.9.1 Farmaci inibitori tirosin chinasici di EGFR

L’inibizione farmacologica di EGFR con inibitori tirosin chinasici rappresenta il primo esempio di terapia a bersaglio molecolare di successo nel trattamento del carcinoma polmonare.

Gli inibitori tirosin chinasici di EGFR sono piccole molecole in grado di competere per il legame dell’ATP con il dominio intracellulare del recettore bloccandone l’autofosforilazione e determinando dunque un’inibizione della trasduzione del segnale, che si ripercuote sui processi proliferativi e anti-apoptotici cellulari175,176. Questo si traduce nell’arresto del ciclo cellulare in fase G1, cui consegue un aumento della p27 che inibisce la chinasi ciclina-dipendente 2 (CDK2), e una riduzione del Ki-67, una proteina nucleare espressa solo durante le fasi di attività del ciclo cellulare.

Inoltre si ha il potenziamento del meccanismo apoptotico mediante l’attivazione del complesso BAX e delle caspasi 8, e la limitazione all’invasione e alla metastatizzazione attraverso la riduzione dell’espressione delle metalloproteasi MMP-9177.

Grazie ai risultati di alcuni studi randomizzati161-163,178-182, che hanno confrontato nei pazienti EGFR mutati la chemioterapia a base di platino con i TKI, gefitinib, erlotinib e afatinib sono stati approvati per il trattamento in prima linea dei pazienti con mutazioni di EGFR, in quanto hanno mostrato un significativo miglioramento nel tasso di risposta e nella sopravvivenza libera da progressione.

Questi farmaci, somministrati per via orale, hanno una minore tossicità e si associano a una migliore qualità di vita rispetto alla chemioterapia standard.

I TKI-EGFR mostrano un’incidenza significativamente bassa degli effetti avversi tradizionalmente legati al trattamento chemioterapico, come mielosoppressione, nausea, vomito, affaticamento e neurotossicità, mentre presentano più tipicamente rash cutaneo, diarrea e lieve o moderato aumento delle transaminasi162,163,179. Afatinib è il farmaco che mostra una più alta percentuale di diarrea e rash cutaneo, mentre il rischio di ipertransaminasemia è maggiore per gefitinib. La percentuale di reazioni avverse di grado severo risulta più alta con erlotinib (54.1%), rispetto ad afatinib (42.1%) o gefitinib (29.1%)183.

Rimane tuttora discusso quale sia il TKI-EGFR da preferire nel trattamento di prima linea. Studi clinici e meta-analisi hanno mostrato un’efficacia simile per afatinib,

Afatinib è l’unica molecola ad aver mostrato nell’analisi combinata di due studi un significativo beneficio in termini di OS nei pazienti con delezione dell’esone 19 di EGFR185.

Lo studio LuxLung 7 ha messo a confronto direttamente gefitinib e afatinib nel trattamento di prima linea dei pazienti EGFR mutati, mostrando una modesta superiorità di afatinib in termini di PFS (11 vs 10,9 mesi; HR: 0.74, 95% IC: 0.57-0.95, p: 0.017), di TTF (13.7 vs 11.5 mesi; HR: 0.73, 95% IC: 0.58-0.92, p: 0.007), indipendentemente dal tipo specifico di mutazione EGFR presente (ex19del o L858R)186. È riportato anche un incremento del tasso di risposta oggettiva (ORR) con afatinib (73% vs 56%, p:0.002)187.

Per quanto riguarda invece la sicurezza, entrambi i farmaci si sono rivelati ben tollerati, con un’incidenza complessiva di eventi avversi legati al trattamento di grado maggiore di 3 rispettivamente del 30% per afatinib e del 20% per gefitinib. Inoltre, per entrambi è stata riscontrata una percentuale molto bassa di sospensione del trattamento dovuta a effetti avversi a esso correlati (6%).

Un tasso di incidenza significativamente più alto per quanto riguarda la diarrea (90%) e la stomatite (64%) è stato riportato nei pazienti trattati con afatinib, mentre un incremento delle transaminasi si è rivelato più frequente nei pazienti trattati con gefitinib186.

Erlotinib e gefitinib sono inibitori tirosin chinasici di prima generazione la cui caratteristica è quella di competere reversibilmente col sito di legame per l’ATP.188,189 I risultati di alcuni studi randomizzati hanno evidenziato una certa variabilità di risposta alla terapia con TKI-EGFR di prima generazione a seconda che la mutazione sia localizzata a livello dell’esone 19 o 21. In particolare i pazienti con delezione dell’esone 19 sembrano rispondere meglio rispetto a quelli con mutazioni puntiformi dell’esone 21, come la L858R190-192.

Per quanto riguarda la loro attività nei confronti delle metastasi cerebrali, alcuni studi hanno mostrato da parte di erlotinib una più elevata capacità di oltrepassare la barriera emato-encefalica e di raggiungere quindi il sistema nervoso centrale rispetto a gefitinib193.

L’aggiunta di agenti anti-angiogenetici (bevacizumab) e chemioterapici agli inibitori tirosin chinasici di prima generazione nel trattamento di prima linea dei pazienti EGFR mutati sembrerebbe aumentarne l’efficacia.

Tuttavia, i risultati preliminari osservati nella popolazione asiatica necessitano di ulteriori conferme da parte di studi di fase III che includano anche pazienti di etnia caucasica194.

Afatinib è un TKI di seconda generazione che forma dei legami covalenti con il bersaglio e blocca irreversibilmente il sito di legame per l’ATP nel dominio tirosin chinasico del recettore. In modelli in vitro è stato visto che l’inibizione irreversibile di EGFR è in grado di superare la resistenza acquisita ai TKI di prima generazione. Tuttavia, tale azione è presente a concentrazioni del farmaco non ottenibili in vivo, motivo per il quale i TKI di seconda generazione hanno dimostrato solo una modesta azione in pazienti resistenti ai TKI di prima generazione111,195.

Infatti è stato osservato che, in media entro 8-12 mesi dall’inizio della terapia con TKI di prima o seconda generazione, la maggior parte dei pazienti sviluppa resistenza e dunque progressione di malattia100,196.

Tale evento sembrerebbe da ascrivere all’insorgenza, sotto la pressione selettiva dei TKI, di cloni caratterizzati da aberrazioni genomiche che conferiscono alle cellule neoplastiche la capacità di proliferare e sopravvivere nonostante la presenza del farmaco113.

I meccanismi responsabili dell’instaurarsi della resistenza acquisita al farmaco consistono nella mutazione o amplificazione del gene EGFR, oppure nell’attivazione di vie alternative di trasduzione del segnale regolate da altri geni.

In particolare, grazie all’analisi mutazionale del tessuto tumorale proveniente da rebiopsie eseguite al momento della progressione di malattia in seguito a trattamento con TKI, è stato possibile identificare la mutazione T790M sull’esone 20 di EGFR (50- 60% dei casi), l’amplificazione di MET (~10% dei casi), l’amplificazione di HER2 (~10% dei casi), la mutazione di PIK3CA (5% dei casi) e la mutazione di BRAF (1-2% dei casi)197.

In una percentuale variabile dal 3 al 14% dei casi è stata invece osservata la trasformazione istologica in carcinoma a piccole cellule o in carcinoma squamoso198-200. Inoltre in una minoranza di pazienti, variabile dall’1 al 5%, sono state descritte mutazioni in un secondo sito di EGFR: D761Y nell’esone 19201, L747S nell’esone 19202 e T854A nell’esone 21203.

Un terzo di questi meccanismi rimane tuttavia sconosciuto e la sovrapposizione di più meccanismi di resistenza acquisita si riscontra solo nel 4% dei casi109.

L’individuazione di tali caratteristiche molecolari ha accelerato lo sviluppo di inibitori tirosin chinasici di terza generazione, disegnati per inibire selettivamente la forma mutata del recettore EGFR. Si tratta infatti di inibitori somministrati per via orale ed irreversibili, che grazie alla loro peculiare struttura sono in grado di inibire non solo la mutazione attivante di EGFR, ma anche la T790M204,205.

Tra questi, osimertinib (AZD9291) rappresenta la molecola allo stadio più avanzato dello sviluppo clinico206.

Lo studio randomizzato di fase III AURA3 ha confrontato osimertinib con la combinazione di cisplatino e pemetrexed in pazienti con mutazione T790M di EGFR andati in progressione dopo il trattamento di prima linea con TKI-EGFR166. Lo studio ha mostrato una PFS mediana significativamente maggiore nei pazienti ai quali è stato somministrato osimertinib (PFS: 10.1 vs 4.4 mesi; HR: 0.30,95% IC: 0.23-0.41), inclusi quelli con metastasi cerebrali (HR: 0.32, 95% IC: 0.21-0.49). Anche il tasso di risposta si è mostrato significativamente più elevato (71% vs 31%), oltre che più duraturo (DOR: 9.7 vs 4.1 mesi) con osimertinib. Per quanto riguarda il profilo di sicurezza, osimertinib è risultato associato a una minor incidenza di eventi avversi di grado 3-4 rispetto alla chemioterapia standard, probabilmente grazie all’alta selettività per EGFR mutato. Questi risultati confermano dunque il ruolo cruciale di osimertinib in pazienti EGFR mutati in cui il trattamento con TKI di prima linea si è rivelato fallimentare.

Recentemente è stato disegnato uno studio randomizzato di fase III, chiamato FLAURA, allo scopo di confrontare l’impiego di osimertinib con quello dei TKI di prima generazione nel trattamento di prima linea dei pazienti EGFR mutati.

I risultati di questo studio sono attesi con trepidazione in quanto potrebbero modificare ulteriormente l’algoritmo terapeutico in questo sottogruppo di pazienti194.

Per quanto riguarda gli altri TKI di terza generazione, lo sviluppo clinico di rociletinib (CO1686), un’altra molecola che si era mostrata promettente in base agli studi di fase I, è stato interrotto in quanto i risultati di studi successivi non sono stati altrettanto positivi, mostrando inoltre un’alta incidenza di iperglicemia severa e un allungamento del QT all’elettrocardiogramma207. Altri TKI di terza generazione in corso di sviluppo, in quanto hanno mostrato una buona attività e un ottimo profilo di tollerabilità negli studi di fase I, sono EGF816, ASP8273, e AC0010. Anche per queste molecole sono però necessari studi più ampi di fase II e III che confermino le osservazioni preliminari194.

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