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Capitolo 2. Il DNA tumorale circolante (ctDNA)

3.4 Discussione

Caratterizzazione molecolare: biopsia solida versus biopsia liquida

Dai risultati di questo studio prospettico emerge che nei 152 pazienti nei quali è stata fatta la diagnosi cito-istologica di adenocarcinoma polmonare, la quota di pazienti con mutazioni di EGFR (20.5%), di KRAS (32.8%), di altri oncogeni (9.8%), o WT (36.9%), era in linea con quanto riportato da studi epidemiologici condotti su popolazioni con istotipo analogo261. Nel nostro studio l’adenocarcinoma polmonare era prevalente nel sesso maschile (91 uomini vs 61 donne, rapporto M:F=1,5:1).

Nei pazienti EGFR mutati, in accordo con i dati riportati in letteratura, la delezione in-frame a carico dell’esone 19 (ex19del) era la più rappresentata (61.5%) rispetto alla mutazione dell’esone 21 L858R (23.1%)262. Quest’ultima in un paziente era associata alla mutazione E790K a livello dell’esone 18, per la quale è stata evidenziata una maggiore sensibilità al trattamento con afatinib263.

Inoltre, abbiamo osservato un caso di mutazione L861Q a livello dell’esone 21 e due casi in cui era presente un’inserzione nell’esone 20 (p.769_D770insASV e D770_N77insSVD). Queste ultime si associano a resistenza nei confronti dei TKI di prima generazione, motivo per il quale, quando presenti, è indicato in prima linea un trattamento chemioterapico264.

Le mutazioni più frequenti del gene KRAS erano le mutazioni del codone 12 G12C e G12V, riscontrate ciascuna nel 30% dei casi, in linea con quanto precedentemente descritto262. Più rare erano le mutazioni a carico dei codoni 13 e 61. In un paziente la mutazione di KRAS era associata al riarrangiamento di ALK. Sebbene rara, dal momento che più frequentemente tali mutazioni risultano mutualmente esclusive, questa associazione è stata già riportata in letteratura265-267.

Per quanto riguarda le mutazioni di EGFR, la concordanza tra la biopsia tissutale e la biopsia liquida è stata dell’84.2%. La mutazione di EGFR è stata identificata sul tessuto tumorale di 25 pazienti: 15 di questi presentavano anche la mutazione sul plasma, con una sensibilità del 62.5%.

Nessun paziente EGFR mutato sul plasma è risultato WT sul tessuto. In assenza di falsi positivi, la specificità è stata del 100%.

La sensibilità osservata della biopsia liquida per EGFR è in linea con quanto descritto in letteratura. Infatti, Weber e collaboratori hanno impiegato una metodica simile per analizzare la mutazione di EGFR in un campione di popolazione caucasica, ottenendo una sensibilità del 61% e una specificità del 96%236.

Anche una metanalisi che ha preso in considerazione più studi condotti su popolazione asiatica e caucasica, nei quali sono state applicate diverse metodiche di analisi del ctDNA, ha mostrato complessivamente una sensibilità del 62% e una specificità del 96%244.

Recentemente, la promettente performance diagnostica nel determinare lo stato mutazionale di EGFR osservata in questi studi controllati, è stata confermata nel setting diagnostico dello studio multicentrico ASSESS, che ha mostrato una sensibilità del 46% e una specificità del 97% in pazienti con NSCLC avanzato248.

La maggiore sensibilità ottenuta dal nostro centro rispetto a quella riportata nello studio ASSESS, è probabilmente da ascrivere alla minor eterogeneità delle tecniche di laboratorio utilizzate. Infatti, nello studio multicentrico la caratterizzazione molecolare è stata eseguita secondo la pratica locale di ogni singolo centro, talvolta impiegando tecniche a bassa sensibilità. Nel nostro studio invece è stato delineato un protocollo pre- analitico ottimale e l’estrazione e analisi del DNA tissutale e del ctDNA sono state eseguite con test diagnostici in vitro certificati, impiegando metodiche a elevata sensibilità.

In base ai nostri risultati, sebbene la biopsia liquida non rappresenti un sistema di analisi accurato come l’analisi del tessuto, la determinazione delle mutazioni di EGFR con tecnica Real-Time PCR sul ctDNA potrebbe essere utile in quei casi in cui il materiale tumorale non risulta adeguato per l’analisi molecolare.

Per quanto riguarda la mutazione di KRAS, la concordanza tra la biopsia liquida e quella solida è stata del 75.3%. Nei pazienti che presentavano una mutazione di KRAS su tessuto, l’analisi del ctDNA ha confermato tale mutazione in 19 casi su 36, con una sensibilità del 52.8%. Nessun paziente KRAS mutato sul plasma è risultato WT sul tessuto quindi, in assenza di falsi positivi, la specificità è risultata del 100%.

La minor concordanza osservata rispetto a EGFR potrebbe dipendere dalla mancata disponibilità di un kit diagnostico certificato per l’analisi del gene KRAS e dalla maggior eterogeneità di stadio del sottogruppo dei pazienti KRAS al momento della diagnosi.

Infatti, la mancata rilevazione dell’allele mutato da parte della biopsia liquida potrebbe essere attribuita sia a motivi tecnici intrinseci alla tecnica di Real-Time PCR, sia a cause biologiche legate ad alcune caratteristiche della neoplasia, quali il grado di differenziazione, le dimensioni della massa tumorale e la vascolarizzazione, che possono essere responsabili del mancato rilascio in circolo del ctDNA. In letteratura è riportato infatti un significativo aumento della sensibilità quando sono valutati i soli pazienti in stadio avanzato o con adenocarcinoma scarsamente differenziato272.

L’ipotesi che i pazienti con metastasi a distanza presentino un maggior rilascio di ctDNA è avvalorata dal fatto che nel nostro studio la presenza di una mutazione di EGFR sul tessuto sia stata confermata nel plasma con maggior frequenza nei pazienti in stadio M1b (73%) rispetto a quelli in stadio M1a (27%) alla diagnosi, in accordo con quanto riportato anche dallo studio ASSESS248.

In letteratura, una recente metanalisi ha mostrato un’elevata sensibilità (74%) e specificità (94%) nell’identificazione di mutazioni di KRAS su ctDNA, tuttavia ha preso in considerazione studi effettuati su campioni di ridotta numerosità e in cui l’analisi del ctDNA è stata condotta impiegando metodiche di analisi con diversa sensibilità268. Nei pazienti che presentavano altre mutazioni su tessuto tumorale, non è stata possibile l’identificazione su ctDNA in quanto non disponibile un kit diagnostico specifico, fatta eccezione per la mutazione p.T1010I di MET, che è stata confermata.

Infatti, la Real-Time PCR è in grado di identificare mutazioni note attraverso specifiche sonde, ma non copre l’intero spettro mutazionale, non rendendo dunque possibile l’identificazione di alcune mutazioni meno comuni ma clinicamente rilevanti.

Risposta al trattamento nei pazienti EGFR mutati su ctDNA

Dalla valutazione delle caratteristiche e dell’andamento clinico di 18 pazienti EGFR mutati che hanno ricevuto il trattamento sistemico presso il servizio di pneumo- oncologia dell’AOUP, come atteso, i pazienti sono risultati prevalentemente di sesso femminile e non fumatori. Il 22% dei pazienti presentava anche fattori di rischio aggiuntivi per tumore polmonare, in particolare una pregressa esposizione professionale a polveri sottili o a metalli pesanti. Ciò evidenzia il ruolo di diversi co-fattori ambientali nello sviluppo di cancerogenesi a livello polmonare.

Al di là delle sedi di metastatizzazione più frequentemente attese, in un paziente è stata descritta la presenza di metastatizzazione a livello della membrana coroidea dell’uvea. Questa rappresenta la sede più comune di metastatizzazione intraoculare ed è più frequente nel sesso maschile e nei fumatori o ex-fumatori269, come nel caso da noi descritto.

Tutti i pazienti tranne uno, sono stati trattati in prima linea con TKI-EGFR. Il paziente che non ha ricevuto il trattamento con TKI presentava un’inserzione a carico dell’esone 20, che è considerata un marcatore predittivo di resistenza.

È stata osservata una risposta parziale al trattamento nell’89% dei pazienti, un valore leggermente superiore a quanto riportato in letteratura.

La PFS mediana è stata di 9 mesi (range 1-24 mesi), ai limiti inferiori rispetto a quanto riportato dai principali studi presenti in letteratura (Tabella 4).

Non è stato invece possibile calcolare l’OS, in quanto, al momento dell’analisi dei dati (Maggio 2017), solamente due pazienti erano deceduti. Questo potrebbe essere in parte attribuito all’arruolamento al protocollo di studio con osimertinib dei pazienti andati incontro a progressione per insorgenza della mutazione di resistenza T790M.

A causa del ridotto numero di pazienti EGFR mutati e della natura prospettica dello studio, che non ha consentito di ottenere per alcuni pazienti un dato esaustivo di risposta al trattamento, non è stato possibile raggiungere la significatività statistica nel determinare l’eventuale correlazione tra la presenza di mutazione sul plasma o il valore di ∆Ct alla diagnosi e la risposta al trattamento con TKI-EGFR.

In via speculativa non è però da escludere che, aumentando la casistica, si possano ottenere differenze statisticamente significative nei gruppi analizzati e dunque delineare il ruolo della biopsia liquida nell’identificare un sottogruppo di pazienti con una diversa prognosi.

In letteratura, il possibile ruolo dell’identificazione di mutazioni di EGFR su ctDNA come fattore predittivo della risposta ai TKI-EGFR è stato descritto in uno studio di Mok e colleghi270, che riportano nei pazienti EGFR mutati su ctDNA trattati con erlotinib una miglior prognosi rispetto a quelli trattati con placebo (PFS 13.1 vs 6 mesi; P<0.0001), mentre nessuna differenza emerge nei pazienti EGFR negativi su plasma trattati con erlotinib o con placebo.

Inoltre, nello studio di Weber e colleghi descritto in precedenza, i pazienti che presentavano una mutazione attivante di EGFR sul plasma avevano una PFS maggiore di quelli senza mutazione nel plasma (5.7 vs 2.8 mesi), anche se è opportuno sottolineare che, in tale studio, i campioni di plasma non sono stati raccolti al momento della diagnosi, bensì in media 10.5 mesi dopo il prelievo bioptico.

Per quanto riguarda il ruolo prognostico dei livelli di ΔCt riscontrati alla diagnosi, un recente studio retrospettivo ha suddiviso i pazienti che presentavano mutazioni attivanti di EGFR su plasma in due gruppi sulla base del valore di ΔCt, utilizzando come cut-off il valore mediano del ΔCt. Gli autori hanno concluso che i pazienti con ΔCt più elevato, e dunque minori livelli di mutazione in circolo, mostravano miglior risposta oggettiva (70.9% vs 54.9%, P: 0.022) e beneficio clinico (86.4% vs 68.3%, P: 0.003) rispetto al gruppo con valori inferiori al mediano.

Nei pazienti appartenenti al gruppo con valori superiori al mediano è stata evidenziata anche una tendenza a una maggior sopravvivenza libera da progressione (P: 0.050)271.

Sarà dunque necessario ampliare la nostra casistica, proseguendo nell’arruolamento ed estendendo il follow-up dei pazienti EGFR mutati, in modo da poter rivalutare con una maggior potenza statistica la correlazione della presenza di mutazioni sul ctDNA, e del loro livello espresso in termini di ΔCt, con la risposta al trattamento.

Discussione dei due casi clinici

Il caso clinico della paziente A fa riflettere sulla possibilità di monitorare il trattamento con TKI-EGFR mediante prelievi seriati del ctDNA, al fine di poter riscontrare precocemente la mutazione di resistenza T790M. I pazienti che sviluppano tale mutazione possono beneficiare infatti del trattamento di seconda linea con osimertinib.

Quasi tutti i pazienti sviluppano, in media tra gli 8 e i 12 mesi dall’inizio del trattamento con TKI-EGFR, un meccanismo di resistenza, che nella maggior parte dei casi è rappresentato dalla mutazione T790M (50-60% dei casi).

Molti studi in letteratura hanno dimostrato l’applicabilità della biopsia liquida nell’identificazione della T790M e la correlazione del suo riscontro sul plasma o tessuto con la risposta al trattamento. Sulla base dei risultati ottenuti da Oxnard e colleghi, la positività della T790M sul tessuto predice una PFS mediana di 9 mesi più lunga rispetto ai pazienti T790M negativi sul tessuto. Anche la positività della T790M sul plasma è in grado di prolungare la PFS, ma la sopravvivenza non risulta significativamente più lunga rispetto ai pazienti che non presentano la mutazione sul plasma. I pazienti T790M negativi sul plasma ma positivi sul tessuto hanno una migliore prognosi rispetto a quelli negativi sul tessuto254.

Come visto nel caso clinico descritto, il riscontro della mutazione di resistenza T790M su ctDNA è in grado di anticipare di alcuni mesi la progressione radiologica e questo risulta in linea con quanto riportato in un altro studio condotto da Oxnard e colleghi249. Inoltre, al momento della progressione, la paziente A mostrava una diminuzione dei livelli di Δct rispetto al prelievo precedente. Questo è indicativo della presenza di un maggior numero di alleli mutati in circolo che, come ipotizzato nel nostro studio prospettico, potrebbe essere correlata con la risposta al trattamento con TKI-EGFR. La caratterizzazione molecolare eseguita su rebiopsia mostrava un doppio meccanismo di resistenza, rappresentato dalla mutazione T790M e dall’amplificazione di MET. Quest’ultima non risultava rilevabile sul ctDNA, che mostrava solo la mutazione di resistenza T790M.

La biopsia liquida è da considerarsi dunque uno strumento complementare e non sostitutivo della biopsia tissutale per la determinazione dei meccanismi di resistenza agli inibitori tirosin chinasici di EGFR.

Infatti tra i meccanismi di resistenza acquisita, oltre alla presenza della mutazione T790M, si annoverano l’amplificazione di MET, quella di HER2 e la trasformazione di istotipo (microcitoma o carcinoma squamoso), che risultano difficilmente diagnosticabili in assenza di un prelievo istologico109.

Questi meccanismi di resistenza acquisita possono essere eterogenei in uno stesso paziente e richiedono pertanto un inquadramento diagnostico completo dal punto di vista clinico e strumentale.

Nonostante la paziente sia stata arruolata in un protocollo di studio con un inibitore tirosin chinasico di III generazione, che in studi di fase III ha mostrato risultati promettenti in termini di PFS e ORR166, il trattamento non si è dimostrato efficace nel bloccare la progressione di malattia, per cui la paziente è rapidamente deceduta. All’exitus potrebbe aver contribuito l’amplificazione di MET.

Chabon e colleghi hanno infatti dimostrato che quest’ultima rappresenta il più frequente meccanismo, oltre alla C797S, in grado di contribuire allo sviluppo di resistenza nei confronti di osimertinib273. Attualmente non è ancora disponibile un trattamento specifico nei confronti di tale mutazione.

Nel caso clinico B è interessante notare come il ctDNA analizzato più volte durante il trattamento con TKI-EGFR fosse WT prima della progressione di malattia, momento nel quale è comparsa sia la mutazione attivante di EGFR sia la mutazione di resistenza T790M.

Questo concorda con quanto riportato in letteratura da Oxnard e collaboratori, che hanno dimostrato come i livelli di mutazioni attivanti rilevabili nel plasma prima dell’inizio della terapia si riducano in relazione alla risposta al trattamento, talvolta fino a non risultare più identificabili, per poi risalire congiuntamente a quelli della T790M al momento della progressione radiologica di malattia249.

Come nel caso precedente, la rebiopsia alla progressione si è dimostrata indispensabile al fine di evidenziare la natura eterogenea della resistenza acquisita, in quanto ha permesso di identificare non solo la presenza della mutazione T790M, ma anche la trasformazione della lesione polmonare primitiva nell’istotipo squamoso.

La malattia si è dimostrata sensibile a osimertinib in tutte le sedi, con l’eccezione della lesione andata incontro a trasformazione in carcinoma squamoso. L’utilizzo della radioterapia stereotassica si è dimostrato utile fino ad oggi nel controllo dell’oligo-

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