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Gli aspetti evocativi presenti nel testo spettacolare Uomini e top

LA FUNZIONE SPETTATORE IN UOMINI E TOP

V.4. La cifra evocativa della regia di Stefano Pagin

V.4.1. Gli aspetti evocativi presenti nel testo spettacolare Uomini e top

Il testo spettacolare Uomini e topi si compone di diversi aspetti che mirano a evocare, a richiamare il taglio interpretativo giocoso, infantile dato dal regista al testo. L’evocazione è un meccanismo che permette un forte coinvolgimento dello spettatore che è chiamato a partecipare all’operazione di completamento di ciò a cui assiste.

21 Lo stesso Pagin ha definito così il suo teatro nel corso della conversazione avuta con lui.

Un primo aspetto importante in tal senso è la scenografia. La figura retorica utilizzata dal regista per realizzarla – come da lui stesso dichiarato – è la sineddoche: usare una parte per il tutto. Così la baracca dei braccianti del ranch è richiamata da due pile di cassette della frutta incastrate a formare gli scaffali dove i lavoratori appoggiano i loro oggetti personali. Una pila a destra e una a sinistra, staccate in modo da lasciare un’apertura al centro del palco, la quale assumerà il ruolo di soglia della baracca. Anche all’interno di questa ipotetica baracca pochi oggetti la connotano: un cubo di legno è il tavolo dove George siede spesso per giocare al solitario, dei bidoni di latta capovolti diventano le sedie. E in mezzo il telo verde che viene continuamente spazzato dal vecchio scopino del ranch Candy. Appoggiato alla pila di cassette a sinistra palco c’è un albero. È chiaramente un albero finto, ma dà un effetto di realtà: il tronco è formato dall’assemblaggio di alcuni pezzi di legno, la chioma da mazzetti di foglie finte tenute insieme da alcune mollette. L’albero insieme al telo verde, nel prologo e nell’epilogo, sono i due elementi scenografici che stanno a indicare la radura (contrassegnata poi anche dai rumori degli animali che la abitano). Lo spettatore è spinto a completare con la sua immaginazione il resto della baracca, a riempire la radura con gli elementi naturali che la contraddistinguono. È lo stesso meccanismo che si innesca guardando il film di Lars von Trier Dogville, dove le case della piccola cittadina sono senza muri, definite dai confini tracciati su una planimetria disegnata su un pavimento che sembra una grande lavagna nera; l’interno delle case è connotato da pochi oggetti e sono i rumori a sopperire alle mancanze (ad esempio non ci sono porte che si aprono e si chiudono, ma si percepiscono attraverso il gesto dei personaggi e al rumore che il loro aprirsi e chiudersi produce). Anche nello spettacolo di Pagin è utilizzato un principio simile nelle scene in cui i braccianti giocano con i ferri di cavallo. I diversi personaggi compiono il gesto di lanciare il ferro di cavallo, ma l’oggetto reale non esiste; al movimento del lancio, però, segue sempre

il rumore metallico del ferro di cavallo che sbatte contro un altrettanto ideale paletto di ferro. Gli stessi versi degli animali prodotti dagli attori semi-nascosti dietro la scenografia nelle scene della radura, evocano un’ambientazione che non si vede realmente in scena. Ma i suoni la richiamano nella mente dello spettatore.

La cifra evocativa, rituale, del gioco infantile è dichiarata attraverso la danza pantomimica dell’inizio dove i personaggi platealmente si creano dei finti muscoli sistemando della specie di ovatta sotto i vestiti. Allo stesso modo, nel primo quadro, quando il padrone del ranch entra in scena, prima di parlare, si maschera mettendo un cuscino sotto la camicia per fare la pancia e indossando un cappello in testa. Dalla parte del gioco si inscrivono anche le decisioni di mettere in scena fucili e pistole-giocattolo e di non usare liquidi e cibo vero in scena (quando George e Lennie, nel prologo, mangiano le fave, dentro alle gavette non c’è davvero qualcosa di commestibile; quando la moglie di Curley entra in scena bevendo dalla bottiglia, dentro al contenitore non c’è davvero qualcosa da bere). Nella stessa direzione va la scelta di sparare al cane di Candy (un cane peluche) sul palco (e non fuori scena come aveva fatto ad esempio Squarzina nel suo adattamento). E ancora, mentre nel romanzo e nella sceneggiatura di Squarzina non viene detto che la pistola di Carlson è stata rubata da George e il lettore/spettatore lo scopre solo quando George la tira fuori dalla tasca mentre parla con Lennie nella radura, nello spettacolo di Pagin, invece, quando George ruba la pistola di Carlson, lo fa chiaramente vedere al pubblico. Queste scelte guidano lo spettatore nella lettura dello spettacolo, gli consegnano le regole del gioco e in questo modo lo invitano a giocare insieme agli attori. È proprio grazie a questa dichiarazione di intenti che fra spettatore e attori si crea complicità e compartecipazione alla costruzione del senso finale.

abiti imbottiti appositamente per farlo sembrare l’omone grande e grosso descritto da Steinbeck, una volta nella radura, si toglie la maglia con un gesto liberatorio e rimane a torso nudo, apre le braccia e respira profondamente. È come se in quel momento Lennie dichiarasse il suo estraniamento dal gioco della “trappola infernale” fatto fino a lì. È come se inconsciamente si consegnasse ai suoi assalitori, dichiarando che la sua natura istintiva, la sua ingenuità, la sua purezza, il suo modo di essere sono “irrimediabilmente fuori posto” all’interno delle regole del mondo umano e che, per questa ragione, il suo destino non può che essere uno solo.