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LA RICEZIONE TEATRALE

III.2. Una pragmatica della comunicazione teatrale

Nel 1967 tre ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto (California) pubblicano un libro che diventa un fondamento per tutti gli studiosi nel campo della psicologia, della comunicazione e della pragmatica dal titolo Pragmatica della

comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi. Utile

al percorso di ricerca sulla ricezione che si sta tentando di svolgere nel presente elaborato, è l’osservazione che in questo testo si compie attorno al comportamento umano. I tre ricercatori sostengono che il comportamento umano possieda una proprietà ovvia (e per questo spesso trascurata) che è quella di non prevedere il suo opposto, ovvero non esiste un non-comportamento. Se si accetta questo presupposto ‒ cioè che ogni comportamento porti con sé, di necessità, un messaggio ‒ allora se ne conclude che ogni comportamento è comunicazione. Ne deriva conseguentemente il primo assioma della pragmatica della comunicazione: non si può non comunicare. Come i tre studiosi affermano:

L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.8

Il “messaggio” è qui inteso come una singola unità di comunicazione; una serie di

8 PAUL WATZLAWICK,JANET HELMICK BEAVIN,DON D.JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana.

Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi del testo, traduzione di Massimo Ferretti, Roma,

messaggi scambiati fra persone è definita “interazione”.

Tornando al tema della ricezione teatrale, si può affermare che anche all’interno di un testo spettacolare si inneschi un meccanismo in “interazione” fra testo e pubblico, durante il quale avviene uno scambio di “messaggi”. La comunicazione che si attiva con il testo spettacolare è contraddistinta dal carattere collettivo9 e dalla compresenza fisica di emittente

e ricevente, con la conseguente dinamicità della loro relazione. Nell’interazione teatrale i ruoli comunicativi sono continuamente strutturati e definiti nel corso dello spettacolo negli e con gli atti segnici che esso produce. Alcuni dei segnali, a disposizione dello spettatore, con cui si può misurare e controllare il mantenimento della comunicazione fra attori e pubblico sono quelli fatici: applausi, fischi (che in base al contesto culturale in cui sono prodotti possono assumere significati diversi), urla di approvazione, silenzio, abbandono della sala teatrale, chiacchiere. La risposta del pubblico ha degli effetti sulla recitazione degli attori in scena: può deprimerli o, diversamente, incoraggiarli.

Secondo De Marinis la condizione necessaria e sufficiente perché ci sia comunicazione teatrale è che il ricevente conosca il codice (o i codici) dell’emittente senza necessità di reversibilità da parte del destinatario. Ma se si prendono in considerazione certi lavori teatrali, soprattutto del teatro d’avanguardia, ci si rende conto che la comunicazione messa in atto, più che l’obiettivo di trasmettere un messaggio, ha lo scopo di provocare lo spettatore, agire su di lui per indurlo a determinati comportamenti.10 Effettivamente lo spettacolo

9 Bisogna ricordare però che certi spettacoli teatrali d’avanguardia - che mirano a una partecipazione sempre

più coinvolta dello spettatore - sono strutturati per essere fruiti da uno spettatore alla volta (come ad esempio l’Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore del Teatro del Lemming).

10 Si prenda come esempio la performance del Living Theatre, Mysteries and smaller pieces. A un certo punto,

durante lo spettacolo, gli attori cadono come morti addosso allo spettatore. Non è certo che lo spettatore di uno spettacolo del genere conosca questo tipo particolare di codice, però trovandosi all’interno di un contesto teatrale (sempre se non si tratta di uno spettatore eccessivamente ingenuo), egli attiverà le convenzioni generali per cui sa che la scena rappresenta ma non è il mondo reale, l’attore interpreta ma non è il personaggio. Questo gli permette di stringere un patto di fiducia con l’emittente del testo spettacolare accogliendo quello che accade in scena e facendo quello che è spinto a fare dal testo spettacolare.

teatrale (che sa mescolare sapientemente seduzione passionale, coinvolgimento ludico e manipolazione ideologica) mette in atto diverse strategie di manipolazione e seduzione nei confronti dello spettatore. Il testo spettacolare agisce sullo spettatore, lo induce a fare o a credere. Ci si chiede in che modo riesca a farlo. De Marinis, per provare a rispondere a questa domanda, propone di lavorare nella direzione di una «teoria dell’azione teatrale, del teatro come azione (comunicativa, segnica), o meglio, come intreccio complesso […] di azioni segniche».11 Il testo spettacolare è un testo nel quale si finge, si fa mostra attraverso gli attori

di fare asserzioni e di eseguire altre azioni. Eco ha affermato che alla base di ogni enunciazione teatrale da parte dell’attore, sono rintracciabili due atti illocutori fondamentali: 1) “io sto recitando”, per cui l’attore dice la verità proprio nel momento in cui inizierà a mentire; 2) “io sono un altro uomo”, grazie al quale lo spettatore entra nel mondo possibile della performance, dove è autorizzato a sospendere momentaneamente la sua incredulità. Stringendo questo patto con gli attori, lo spettatore si lascia coinvolgere dagli eventi a cui assiste e si dispone affinché ciò che accade sul palco abbia in lui delle reazioni (di assenso o di rifiuto). Il testo spettacolare, poi, può agire sullo spettatore attraverso atti verbali e non- verbali. De Marinis propone una classificazione degli atti linguistici trasmessi dagli spettacoli e degli scopi (atti perlocutori) che, tramite essi, gli emittenti teatrali intendono perseguire: i testi spettacolari (per indicare i quali si userà la sigla abbreviata TTSS) con prevalenza di direttivi e commissivi inducono lo spettatore a fare qualcosa (sono caratteristici degli spettacoli politico-propagandistici, dei comizi, delle feste politiche); i TTSS con prevalenza di espressivi invece hanno lo scopo di enfatizzare gli stati psicologici ed emotivi dell’emittente al fine di coinvolgere affettivamente lo spettatore (utilizzati specialmente nel teatro romantico, nel dramma espressivo, nel teatro gestuale); i TTSS con

prevalenza di rappresentativi vogliono esprimere verità attraverso le proposizioni usate creando un effetto di realismo sullo spettatore (teatro-cronaca, teatro-inchiesta); i TTSS con prevalenza di dichiarativi che, se pronunciati in modo adeguato, trasformano lo status degli oggetti a cui si riferiscono (è quanto accade durante feste popolari e rituali religiosi), creano un effetto mistico di incantamento su chi ascolta e assiste all’evento rappresentato. Visti questi esempi, ciò che comunque «risulta decisivo, ai fini del completamento dell’atto linguistico e della sua definizione, è il comportamento del destinatario (lo spettatore), le sue risposte cognitive e passionali, in una parola, il suo modo di ricezione».12 È possibile

affermare, quindi, che la manipolazione dello spettatore è dovuta anche alla presenza di un confine labile tra finzione e realtà, alla coesistenza di azione e simulazione dell’azione, all’impercettibile scambio tra fingere di fare e il fare effettivo. La conseguenza è che il testo spettacolare «si configura sempre come un’azione seduttiva esercitata sullo spettatore, un fare manipolatorio che, attraverso la messa in opera di determinati atti segnici e di stimolazioni programmate, produce determinate modificazioni nel suo universo emotivo e intellettuale, influenzandone anche i comportamenti».13