Le premesse teoriche dalle quali si è partiti verso la realizzazione del laboratorio sono state illustrate nel corso del primo seminario cen-trale e, successivamente, in occasione del seminario conclusivo dal consulente metodologo dott. Achille Orsenigo che ha partecipato a tut-ti gli incontri di preparazione del laboratorio indirizzando l’attut-tività dei referenti del corso, individuati dal Consiglio nei componenti della Commissione Mista di sorveglianza.
L’idea guida che ha orientato il gruppo dei referenti considera la formazione come “un processo orientato ad organizzare, a sviluppare capacità di costruire legami ed ordini, più o meno provvisori, rispetto alla massa di dati, emozioni, richieste, pressioni che costituiscono il no-stro contesto di vita. Essa orienta nel processo di costruzione della real-tà, organizza la conoscenza”. In questo quadro di riferimento, si è rico-nosciuto che la formazione e, quindi, anche l’autoformazione, è
“un’opportunità per dare forma al mondo esterno, ma anche a noi stes-si e agli altri. Essa svolge all’interno di un contesto lavorativo una fun-zione critica di socializzafun-zione, d’integrafun-zione”. Porta ad avere rappre-sentazioni sufficientemente condivise della realtà. Una formazione frammentata e settoriale, d’altra parte, può sviluppare incomprensio-ni, difficoltà d’integrazione tra il lavoro di parti diverse di un sistema orientato a fornire un servizio alla cittadinanza, ad esempio tra pub-blici ministeri, giudici di cognizione e magistrati di sorveglianza.
Le molte esperienze formative che ognuno ha attraversato nella propria vita lavorativa, scolastica e personale, segnano anche il pro-prio attuale modo di rappresentarsi la formazione e di parteciparvi. Il rapporto con questa dimensione vissuta nel passato, continua a vive-re, ad esercitare un suo peso, nel presente. Esse portano a prefigurare il percorso, la sua possibile utilità, i rischi, i problemi, il modo corret-to di vivere la formazione. Accade così che si sviluppi, in quescorret-to caso come in molte altre situazioni lavorative e di vita, una certa tendenza a ripetere, a prefigurarsi come possibile solo ciò che si è già speri-mentato, senza considerare che, invece, sono possibili differenti me-todi di sviluppo di un percorso formativo. Essi non sono adeguati, buoni in sé, ma operano in funzione del contesto, delle
rappresenta-zioni che ognuno vive dei problemi che caratterizzano la società, il proprio lavoro e di come si interagisce con le richieste che ciascuna organizzazione lavorativa riceve dalla collettività.
Il metodo di lavoro proposto si è dato l’obiettivo, dunque, di “co-niugare una dimensione di ricerca con una riflessione sulla propria ed altrui esperienza professionale”, su alcune tematiche di particolare inte-resse per la magistratura di sorveglianza e per le diverse figure pro-fessionali che, a vario titolo, si occupano dei problemi della pena e della sua esecuzione.
Si è proceduto nella convinzione che in un mondo complesso e di-namico come quello in cui viviamo, in cui sono posti al magistrato problemi articolati, a volte confusi, sia di particolare importanza la ricerca di risposte adeguate, che evitino lo smarrimento degli opera-tori che finisce per produrre inevitabilmente risposte rigide e stereoti-pate. Risposte adeguate, in grado di fornire ai cittadini ed alla società un servizio apprezzato, non sono, salvo ridotti casi, rintracciabili nel-l’applicazione meccanica di prescrizioni, ma vanno piuttosto indivi-duate attraverso lo sviluppo di capacità riflessive non autoreferenzia-li. Vanno dunque coltivate capacità e possibilità di dar voce a pensieri e prassi quotidiane e confrontare visioni e rappresentazioni diverse.
Per procedere in questa direzione assume grande rilievo l’offerta di opportunità e lo sviluppo di capacità di vedersi all’opera nella pra-tica professionale, ascoltare ed osservare le modalità di lavoro proprie, dei colleghi e dell’organizzazione giudiziaria nel suo insieme.
L’autoformazione è parsa, quindi, lo strumento più adeguato per muoversi in questa direzione. Con essa s’intende “valorizzare l’espe-rienza dei partecipanti, quindi anche i loro interrogativi, le loro perples-sità e problemi”. Di fondo sta l’idea che sia fondamentale apprendere dall’esperienza propria ed altrui.
Il concreto progetto operativo messo a punto dal gruppo dei refe-renti, con l’ausilio del consulente metodologo, ha previsto, dunque, per rimanere fedele alle premesse teoriche di cui sopra, una suddivi-sione dei processi lavorativi, propri di tutte e di ciascuna delle funzio-ni giudiziarie coinvolte, in quattro distinte fasi: a) la fase di rappre-sentazione dei problemi; b) la fase dedicata alla selezione ed elabora-zione delle informazioni; c) la fase in cui occorre prendere le decisio-ni di competenza di ciascuna funzione; d) la fase, infine, di valutazio-ne dei risultati del proprio lavoro.
La scelta di un modello di formazione a costruzione dialogica, alternativo a quello tradizionale del c.d. travaso, ha imposto, quindi, al laboratorio una linea direzionale orientata a mobilitare la curiosità
e l’interesse per la ricerca, verso una prospettiva di costruzione dei problemi attraverso una rappresentazione degli stessi innescata dalla esperienza di ciascun partecipante, confrontata con quella derivante da altri punti di vista. Si è voluto, in altre parole, sottoporre a critica quel tipo di formazione professionale che, derivando principalmente dalla prassi di tutti i giorni, sviluppa processi di routine operative e co-gnitive che consentono forse di risparmiare tempo, ma provocano contestualmente una diminuzione dell’interesse verso una possibile modifica degli atteggiamenti, spesso accompagnata da un evidente disinteresse per il punto di vista di una professionalità diversa.
L’affermazione secondo la quale “i problemi non esistono in natu-ra”, che ha accompagnato lo svolgimento del primo seminario interdi-strettuale e che tende a favorire l’individuazione delle questioni meri-tevoli di riflessione sulla base delle singole esperienze professionali, è stata, nel concreto della esperienza formativa, utilizzata al fine di veri-ficare il rapporto che collega le previsioni normative che devono gui-dare l’operatore nel quotidiano esercizio della professione e le concre-te applicazioni che non possono non concre-tenere conto della situazione contingente in cui si opera. La ricerca di una linea di tendenza tra i due diversi aspetti è stata efficacemente idealizzata raffrontando i dati di interesse con il sistema degli assi cartesiani, ponendo sull’asse ver-ticale la normativa considerata rilevante per la trattazione di un deter-minato profilo tematico e, sull’asse orizzontale, i dati statistici di rife-rimento, le diverse tipologie di condotte e di comportamenti proces-suali che influiscono sulla applicazione della norma e, in definitiva, tutto ciò che influisce sulla individuazione della quantità e qualità del trattamento sanzionatorio.
Nell’ambito della fase volta all’analisi dei problemi relativi alla se-lezione ed elaborazione delle informazioni si sono approfonditi, in particolare, due diversi aspetti: il primo inerente alle modalità di ac-quisizione dei dati istruttori; il secondo concernente il grado di inci-denza che la qualità della attività istruttoria esercita sulla fase di presa della decisione. Sotto il primo profilo, si è sottolineata l’esigenza, con particolare riguardo all’acquisizione dei dati informativi utili all’atti-vità del magistrato di sorveglianza, di giungere alla definizione di mo-duli organizzatori più adeguati, che consentano maggiore speditezza e completezza delle attività istruttorie, anche tramite contatti diretti o informali con altre istituzioni che dovrebbero garantire interventi non burocratici ma responsabili.
Il tema della incidenza qualitativa delle informazioni raccolte sul-le determinazioni concernenti il trattamento sanzionatorio e
peniten-ziario è stato, sotto altro profilo, da tutti sottolineato, come momento di altissima criticità, anche in considerazione del fatto che la scarsa collaborazione di alcuni organi investigativi, rilevata soprattutto per le informazioni riguardanti la personalità e le forme di eventuale mani-festazione di una permanente pericolosità sociale, produce rilevanti conseguenze negative, specie laddove si tratti di valutare persone ap-partenenti alla criminalità organizzata, comune o terroristica.
La fase di presa delle decisioni, inevitabilmente raccordata con la precedente attività di raccolta delle informazioni, è stata delineata, nell’ambito del percorso formativo, come espressione di un momento di continuità, ma anche di distacco e di semplificazione rispetto alla fase precedente. Posto che con l’espressione decidere si fa riferimento alla attività di tagliare un nodo, si è costruito un parallelismo tra la predetta attività e quella che opera una scelta allo stato degli atti che è soggetta, comunque, a verifiche e valutazioni successive. In tale rico-struzione, la decisione diventa scelta di un programma ed, in quanto tale, si proietta necessariamente sul futuro, aprendo una fase nuova che è quella di un possibile cambiamento.
Si è indagato, quindi, sulle interrelazioni esistenti tra la tipologia di trattamento sanzionatorio, in rapporto alle aspettative del condan-nato e della società, e sul ruolo delle prescrizioni cui subordinare eventuali provvedimenti utili al reinserimento sociale, in rapporto alla formulazione delle prognosi di competenza di ciascun operatore, in un’ottica che ha voluto esaltare anche il recupero dei valori offesi e del danno provocato dal reato.
Si è, inoltre, inteso valorizzare il principio della collegialità della decisione, in rapporto all’insieme degli elementi rilevanti per il giudi-zio, senza trascurare il ruolo, spesso sacrificato, degli esperti dei tri-bunali di sorveglianza, in un’ottica di promozione di una loro parteci-pazione attiva alla fase della decisione.
Il percorso formativo non ha potuto omettere di considerare l’im-portanza della fase di valutazione dei risultati dell’attività professio-nale svolta dalle diverse figure di riferimento, attraverso una differen-te valorizzazione dei concetti di verifica e di valutazione. Con la prima espressione si è inteso esprimere una operazione di controllo sulla effettiva realizzazione degli obiettivi stabiliti come ipotesi di lavoro.
Con il termine valutazione, si è richiamata, invece, l’idea della attri-buzione di un valore rispetto al risultato raggiunto, delineandosi, quindi, come una operazione costruttiva. All’interno del concetto espresso con il termine valutazione si è, ancora, distinta una valuta-zione di tipo endoprocedimentale, che segue, quindi, il divenire di una
misura riabilitativa ed una valutazione postprocessuale, per sua stes-sa definizione esterna al procedimento.
A fronte di tale articolato quadro di problemi, si è evidenziato un forte interesse non tanto per valutazioni di tipo formalistico sulla cor-rettezza o meno della decisione, quanto, piuttosto, sui temi della veri-fica in concreto della idoneità della misura adottata a raggiungere le finalità previste, con particolare attenzione al divenire della misura ed al tema dei controlli, nonché sulle problematiche collegate agli obiet-tivi avuti di mira con un determinato provvedimento.
Si è insistito, in modo particolare, sulla necessità che i provvedi-menti adottati riposino, anche nei minimi dettagli, su basi normative più che solide, al fine di evitare la creazione di inutili aspettative da parte dei condannati. Il tema dei controlli è stato, quindi, affrontato anche nell’ottica di un bilanciamento, non sempre possibile, tra misu-re afflittive e diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla sa-lute. Il tema è risultato intimamente collegato, come è ovvio, a quello della acquisizione ed elaborazione dei dati indispensabili per la deci-sione ed, in definitiva, al ricorrente tema dell’istruttoria. Sono emersi, al riguardo, anche problemi di interpretazione normativa riassumibi-li nel quesito se l’istituto del differimento della pena per motivi di salu-te sia o meno invocabile anche da parsalu-te di chi si trovi a scontare la pena in affidamento in prova al servizio sociale. Si è, in sostanza, mes-sa in luce una forte interrelazione tra la mancanza di adeguate forme di controllo ed il possibile fallimento delle misure alternative e, quin-di, delle decisioni che tali misure pretendano di applicare.
Le riflessioni sul punto si sono incentrate, in definitiva, sulla dif-ferenza concettuale esistente tra una valutazione che riguardi la deci-sione presa e, quindi, la correttezza formale e sostanziale della stessa in rapporto alle informazioni acquisite (si richiama qui il concetto di decisione soddisfacente o decisione adeguata) ed una valutazione che abbia interesse, invece, per gli effetti, gli esiti della decisione. Tra que-sti ultimi, devono dique-stinguersi, quelli incidenti sul condannato e quel-li concernenti la società, in un corretto bilanciamento tra esigenze di prevenzione generale e speciale, tra retribuzione e riabilitazione.