Relazione sull’attività svolta
dalla Commissione Mista per i problemi della magistratura di sorveglianza nel
corso del quadriennio 1998-2002
(Testo approvato nella seduta dell’Assemblea plenaria del 2 luglio 2003)
QUADERNI
Consiglio Superiore della Magistratura del
QUADERNI DEL
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2004, Numero 140
Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dal Consiglio Superiore della Magistratura
PRESENTAZIONE
Nella consapevolezza che i temi collegati alla pena ed alla sua con- creta esecuzione rappresentino un importante momento di verifica dell’attività giurisdizionale del settore penale e, più in generale, del- l’efficienza complessiva dell’intero ordinamento, il Consiglio superio- re della magistratura, fin dalla consiliatura 1990-1994, ha avvertito l’e- sigenza di dedicare momenti di specifico approfondimento alla parti- colare attività svolta dai Tribunali e dagli Uffici di sorveglianza.
L’idea di dare vita ad un organismo che, nell’ambito della struttu- ra consiliare, potesse avvalersi del contributo di esperienza dei magi- strati di sorveglianza, di rappresentanti del Ministero della Giustizia e di componenti dell’organo di autogoverno, non si è affermata come manifestazione di una volontà di isolare le problematiche concernen- ti la pena e, quindi, di marginalizzare la magistratura di sorveglianza che ne fa quotidiana applicazione, rispetto alle altre espressioni della giurisdizione, ma, piuttosto, si è imposta come un primo tentativo di comprensione e di razionalizzazione di una realtà assai diversificata, sia da un punto di vista normativo, per la disordinata evoluzione del settore, sia per l’estrema divaricazione delle prassi.
Lo scenario così sinteticamente descritto è stato compiutamente e positivamente percorso dalla Commissione Mista per i problemi della magistratura di sorveglianza che, nel corso del consiliatura 1998-2002, ha svolto un importante ruolo di stimolo per le riflessioni del Consi- glio superiore della magistratura sia con riguardo alla formazione pro- fessionale dei magistrati cui spetta la concreta esecuzione della pena, sia per ciò che concerne l’analisi di temi attinenti alla organizzazione del lavoro ed alla funzionalità degli uffici, senza trascurare approfon- dite analisi sulle prospettive di evoluzione del sistema di esecuzione delle pene.
La presente Relazione, che è il frutto del lavoro intenso svolto dalla Commissione Mista nel quadriennio, rappresenta, dunque, al tempo stesso, la sintesi di un percorso avviato molti anni fa, su diret- ta sollecitazione dei Presidenti dei Tribunali di sorveglianza e della Associazione Nazionale Magistrati, e il punto di partenza di una espe- rienza nuova che tende a privilegiare una visione globale dei problemi della pena, non come esclusiva pertinenza di quanti operano come magistrati di sorveglianza, ma che considera i temi del trattamento sanzionatorio e della sua attuale funzione in un’ottica che si propone
di valorizzare le specifiche forme di intervento attribuite alla compe- tenza di diversi organi giudiziari che, in differenti fasi del processo e con strumenti operativi autonomi, contribuiscono a modellare l’intero sistema.
Un particolare ringraziamento deve essere, dunque, formulato, ai componenti tutti della Commissione Mista, al dott. Paolo Canevelli, magistrato addetto all’Ufficio Studi e documentazione del C.S.M. ed al funzionario dirigente della segreteria della Sesta Commissione, sig.ra Domenica Faranda, che, con assidua dedizione e spirito di intelligen- te collaborazione, hanno contribuito alla riuscita del lavoro.
Roma, settembre 2003.
Il Presidente della Sesta Commissione Prof. Luigi Berlinguer
INDICE
Introduzione . . . . Pag. 9
PARTE PRIMA: La formazione professionale . . . . » 13
I. - Premessa . . . » 13
II. - Il primo laboratorio di autoformazione (2000-2001) . . » 14
II. 1 - Introduzione. . . . . » 14
II. 2 - Aspetti metodologici. . . . . » 16
II. 3 - Le figure professionali coinvolte. . . . . » 20
II. 4 - I contenuti del laboratorio. . . . . » 22
II. 5 - La verifica dei risultati del percorso formativo. . . » 28
III. - Il progetto del secondo laboratorio di autoformazione (2002). . . » 31
III. 1 - Introduzione. . . . . » 31
III. 2 - I contenuti del laboratorio. . . . » 32
PARTE SECONDA: Funzionalità degli uffici e organizzazio- ne del lavoro . . . . » 37
I. - La raccolta dei dati: l’invio del questionario. . . » 37
II. - L’incontro con il Ministro della giustizia del 27 novem- bre 2000. . . » 39
III. - La risoluzione consiliare del 10 maggio 2001. . . . » 41
IV. - La nuova circolare sulla organizzazione tabellare de- gli uffici (biennio 2002-2003). . . » 42
V. - L’incontro con il Ministro della giustizia del 5 marzo 2002. . . . » 45
VI. - Il convegno di studio sullo stato attuale del sistema sanzionatorio (Roma, 21-22 giugno 2002): dati stati-
stici e problemi organizzativi. . . » 51 PARTE TERZA: prospettive di evoluzione del sistema di
esecuzione delle pene. . . . . » 55 I. - Le pene alternative e il giudice della cognizione: il
patteggiamento. . . . » 55 II. - Le proposte di modifica dell’art. 656 c.p.p. in tema di
sospensione dell’ordine di esecuzione. . . » 58 III. - Il nuovo regolamento penitenziario. . . . » 60 IV. - Le proposte di modifica normativa avanzate nell’in-
contro con il Ministro del 27 novembre 2000. . . . » 66 V. - Il contributo offerto per la Relazione al Parlamento. . » 68 VI. - Il convegno di studio sullo stato attuale del sistema
sanzionatorio (Roma, 21 – 22 giugno 2002). . . » 73
Relazione sull’attività svolta dalla Commissione Mista per i problemi della magistratura di sorveglianza nel cor- so del quadriennio 1998-2002
INTRODUZIONE
La Commissione Mista per i problemi della magistratura di sorve- glianza, tra rappresentanti del Ministero della giustizia, componenti del Consiglio superiore della magistratura e magistrati di sorveglian- za, istituita nell’ambito della consiliatura 1986/1990, è stata ricostitui- ta per il successivo quadriennio 1990/1994 con delibera consiliare del 28 febbraio 1991.
Al termine del mandato, la Commissione ha steso una Relazione sulle attività svolte approvata dal C.S.M. nella seduta del 19 luglio 1994. Dopo un breve riepilogo dei temi di maggior interesse e delle ini- ziative assunte nel corso del quadriennio, la Relazione ha formulato una serie di considerazioni da affidare alle valutazioni del futuro Con- siglio che possono così sintetizzarsi: 1) si è espresso l’auspicio di una nuova costituzione della Commissione Mista; 2) si è raccomandata l’organizzazione di incontri di studio tra magistrati di sorveglianza, almeno uno all’anno in sede centrale; 3) si è prospettata l’opportunità di proseguire le riunioni congiunte con la corrispondente Commissio- ne operante presso il Ministero; 4) si è invitato il C.S.M. ad una parti- colare attenzione a momenti formativi sui temi della sorveglianza, specificamente diretti agli uditori giudiziari, anche in tirocinio gene- rico; 5) si è sollecitata l’attenzione del C.S.M. sulla istituzione di un posto di magistrato di appello nei Tribunali di sorveglianza di mag- giori dimensioni; 6) si è vivamente raccomandata la prosecuzione della pubblicazione del Bollettino di informazione sulle prassi e sulla giurisprudenza.
A seguito di una sollecitazione del Presidente della A.N.M. (nota del 6 febbraio 1997), il Consiglio superiore della magistratura ha deli- berato la ricostituzione della Commissione Mista nella seduta del 28 maggio 1998, dopo che nella consiliatura 1994/1998 nessuna iniziati- va era stata intrapresa. Con successiva delibera del 16 luglio 1998, il
Consiglio ha designato i seguenti magistrati di sorveglianza come componenti della Commissione: dott. ssa Laura LONGO, magistrato dell’ufficio di sorveglianza di Roma; dott. ssa Vincenza MACCORA, magistrato dell’ufficio di sorveglianza di Milano; dott. ssa Angelica DI GIOVANNI, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli; dott.
Nicola MAZZAMUTO, magistrato dell’ufficio di sorveglianza di Paler- mo; dott. Mario VAUDANO, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Torino; dott. Pasquale MANGONI, Presidente del Tribunale di sor- veglianza di Trieste. Nel corso della consiliatura, il dott. Vaudano, nel frattempo collocato fuori ruolo per un incarico internazionale, è stato sostituito dal dott. Lino MONTEVERDE, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Genova.
In rappresentanza del Ministero della Giustizia hanno preso parte ai lavori della Commissione, in tempi diversi, i dottori Alessandro MARGARA, Gian Carlo CASELLI e Giovanni TINEBRA, in qualità di Capi, pro tempore, del Dipartimento dell’Amministrazione penitenzia- ria; i dottori Giovanni TAMBURINO, Francesco GIANFROTTA e Seba- stiano ARDITA, il primo come direttore dell’Ufficio Studi e ricerche del D.A.P., gli altri due come direttori, pro tempore, dell’Ufficio centra- le Detenuti del D.A.P.; i dottori Paolo CANEVELLI e Zaira SECCHI, direttori, pro tempore, del Casellario Giudiziario Centrale del Ministe- ro della Giustizia.
Con delibera successiva, il Consiglio ha designato come compo- nenti della Commissione i Consiglieri avv. Sergio PASTORE ALINAN- TE, in qualità di presidente, dott. Paolo ANGELI e dott. Santi CON- SOLO.
Nell’imminenza del termine della consiliatura, la Sesta Commis- sione, nel cui ambito la Commissione Mista è stata costituita, ha valu- tato positivamente la proposta di effettuare una ricognizione delle pro- blematiche affrontate dalla predetta Commissione nel corso del qua- driennio, anche al fine di conservare traccia negli atti del Consiglio del- le riflessioni svolte e delle iniziative intraprese nel quadro della più ge- nerale programmazione delle attività di competenza della Sesta Com- missione.
Si è ritenuto opportuno, in tale prospettiva, che la ricognizione sia orientata a sviluppare i seguenti temi: a) la formazione professionale dei magistrati di sorveglianza, sia a livello centrale sia in sede perife- rica, con possibilità di confronto e di interscambio delle esperienze con altri magistrati addetti alle funzioni penali, estesa anche agli udi- tori giudiziari in tirocinio mirato; b) l’organizzazione del lavoro nei tribunali ed uffici di sorveglianza, con riferimento sia alla rilevata ina-
deguatezza degli organici, anche e soprattutto di personale ammini- strativo, sia alla predisposizione di nuovi strumenti di organizzazione tabellare degli uffici che consentano un migliore utilizzo delle risorse disponibili; c) le prospettive di evoluzione del sistema di esecuzione della pena ed, in un quadro più generale, del sistema sanzionatorio, accompagnate dall’analisi dei riflessi organizzativi ed ordinamentali di alcune iniziative di modifica normativa all’esame dei competenti or- gani parlamentari.
Della redazione della richiesta ricognizione è stato incaricato, con delibera dell’assemblea plenaria del 25 luglio 2002, il dott. Paolo Cane- velli, magistrato addetto all’Ufficio Studi e Documentazione del Con- siglio, che ha costantemente collaborato con i componenti della pre- detta Commissione Mista, prima come componente della stessa, su in- dicazione del Ministro della giustizia (fino al 24 ottobre 1999), poi, come magistrato dell’Ufficio Studi.
La presente ricognizione non sembra poter prescindere da alcune considerazioni di carattere generale sulle tematiche di prioritario inte- resse della magistratura di sorveglianza che la Commissione Mista ha inteso rappresentare nel corso della consiliatura.
Ed, invero, il dibattito che si svolge nel nostro Paese sul tema della pena, della sua effettività e, in definitiva, della sua efficacia necessita di una riflessione non superficiale che, non trascurando il complesso quadro normativo in via di trasformazione in virtù degli interventi normativi degli ultimi anni, ne agevoli la comprensione in un’ottica di verifica dei livelli di funzionalità dell’intero sistema. L’efficacia di un modello sanzionatorio deve, invero, misurarsi dalla sua capacità di raggiungere gli obiettivi prefigurati dall’ordinamento che, secondo un orientamento politico-culturale ormai generalizzato, si individuano nella prevenzione generale e speciale in relazione al rischio di ricadu- ta nel reato, nella esigenza di garantire una adeguata forma di retri- buzione per il danno che il reato ha causato al singolo ed alla comu- nità sociale e nella finalità rieducativa che si propone di offrire alla persona condannata concrete opportunità di reinserimento sociale.
Una visione globale del problema - che sia orientata a considerare il tema della pena e della sua attuale funzione alla luce dei principi di certezza, tempestività ed effettività - non può prescindere da un’anali- si delle specifiche forme di intervento attribuite alla competenza di di- versi organi giudiziari che, in differenti fasi del processo e con stru- menti operativi autonomi, contribuiscono a modellare l’intero siste- ma. Si vuole, così, sottolineare come sia fuorviante e, quindi, errata la diffusa convinzione secondo la quale la concreta applicazione della
sanzione penale sia di esclusivo interesse della magistratura di sorve- glianza, come se l’ordinamento avesse delegato completamente la ge- stione della pena ad uno sparuto numero di giudici incaricati di con- centrare le proprie valutazioni sulle persone, piuttosto che sui fatti oggetto di accertamento da parte dei giudici del processo. In tale pro- spettiva, meritano di essere attentamente considerati i nuovi poteri del pubblico ministero, quale organo promotore dell’esecuzione delle sen- tenze di condanna, che è chiamato, nello stesso tempo, a svolgere un fondamentale ruolo informativo sulla possibilità di espiare la pena detentiva attraverso misure alternative al carcere. Né possono sotto- valutarsi i delicati compiti del giudice dell’esecuzione, sia come orga- no di garanzia del condannato in ordine al corretto operato del pub- blico ministero, sia perché titolare di autonomi poteri di trasforma- zione del giudicato. Senza dimenticare, in tale visione di insieme ne- cessariamente semplificata, il ruolo del giudice della cognizione che interviene sulla pena non solo per determinarne il profilo quantitati- vo, ma per compiere valutazioni che preludono ad un possibile am- pliamento del ventaglio sanzionatorio attraverso le sanzioni sostituti- ve o che, d’altro lato, subordinano l’inizio dell’esecuzione della pena al verificarsi di determinate condizioni.
P
ARTE PRIMALa formazione professionale
I. - Premessa
L’intervento della Commissione Mista nel dibattito sui temi della for- mazione professionale dei magistrati di sorveglianza ha trovato la sua più efficace espressione nel documento redatto dai componenti della predet- ta Commissione nella seduta del 24 maggio 1999, che ha recepito anche alcune preziose indicazioni emerse a seguito di riunioni congiunte con la Nona Commissione consiliare. Dopo aver premesso un sintetico riferi- mento alla particolare attenzione sempre dimostrata dal Consiglio sui temi della formazione e dell’aggiornamento professionale dei magistrati di sorveglianza, il documento della Commissione Mista ha evidenziato come, in una situazione profondamente modificata rispetto a quella che aveva aperto la strada alla riforma penitenziaria del 1975 e poi del 1986, si avverta sempre più “l’esigenza di non disperdere tale patrimonio di cono- scenze e di esperienze e di proseguire nel solco di una tradizione di impegno, di approfondire e sviluppare il discorso formativo, aggiornandolo nel qua- dro istituzionale, ordinamentale, normativo, professionale, culturale e gene- razionale in cui si trova l’odierna Magistratura di sorveglianza”.
In una situazione di grave difficoltà dovuta, tra l’altro, al notevole ampliamento dei settori di intervento della magistratura di sorve- glianza – dal controllo di legalità sugli Istituti penitenziari, alla con- cessione e gestione esecutiva delle misure alternative alla detenzione, anche in favore di collaboratori di giustizia, all’applicazione e gestio- ne esecutiva delle misure di sicurezza detentive e non detentive, al controllo giurisdizionale dei decreti ministeriali applicativi del regime speciale previsto dall’art. 41 bis ord. pen. – si è sottolineato come “l’at- tività formativa si collochi come momento essenziale, come fondamen- tale risorsa strategica per recuperare ed accrescere la coscienza del pro- prio ruolo istituzionale e professionale, per acquisire e sviluppare gli strumenti giuridici e culturali del proprio lavoro e renderlo sempre più rispondente alle esigenze di giustizia della società attuale”.
Né si è omesso di considerare come, proprio attraverso l’opera giurisdizionale della magistratura di sorveglianza, trovi concreta at- tuazione il fondamentale principio costituzionale del finalismo riedu- cativo della pena. La particolare natura della giurisdizione rieducati-
va, che si nutre di saperi extragiuridici e che rivolge il proprio sguar- do soprattutto al futuro, implicando complessi giudizi prognostici e predittivi su basi probabilistiche che richiedono adeguati strumenti cognitivi, non può, tuttavia, essere isolatamente considerata, ma deve essere opportunamente inserita ed armonizzata nel complessivo siste- ma formativo della magistratura che si occupa del settore penale.
Si è, dunque, ampiamente valorizzata la più recente esperienza con- siliare che nel settore della formazione professionale ha inteso evitare ogni marginalizzazione della fase esecutiva, con conseguente isolamen- to della magistratura di sorveglianza, sulla scia di precedenti iniziative consiliari prevalentemente orientate ad affrontare il tema della pena da un punto di vista non settoriale e che hanno consentito a pubblici mini- steri, giudici della cognizione, magistrati di sorveglianza e giudici mino- rili di confrontarsi sulle dinamiche e sulle interrelazioni che si creano tra processo e pena ovvero sulla funzione e sul concreto contenuto di provvedimenti prescrittivi volti a ripristinare, anche nel settore civile (ed, in particolare, nella sfera dei rapporti familiari), il primato della legalità, in rapporto ai principi che tutelano la libertà della persona.
Nel documento della Commissione Mista si è, dunque, sottolinea- ta l’esigenza che la magistratura di sorveglianza contribuisca alla “dif- fusione della cultura costituzionalmente orientata del finalismo rieduca- tivo della pena personalizzata”, ancorandosi, tuttavia, alla cultura gene- rale del processo, alla logica delle garanzie e delle prove, del contrad- dittorio e del dibattimento, della motivazione e della nomofilachia, senza smarrire il legame che sussiste tra il fatto reato, visto nella sua complessità sostanziale e processuale, e la giurisdizione esecutiva e rieducativa.
II. - Il primo laboratorio di autoformazione (2000-2001)
II. 1 - Introduzione
Un primo riferimento alla particolare utilità di formule organiz- zative duttili e di metodologie formative sperimentali è contenuto già nel richiamato documento della Commissione Mista sull’attività di formazione dei magistrati di sorveglianza. Ed, invero, dopo aver sot- tolineato la necessità di proseguire e migliorare i moduli formativi già sperimentati negli anni 1996/1999 attraverso incontri di studio inter- disciplinari e interfunzionali sui temi del processo e della pena, ovve- ro, mediante l’inserimento stabile dei magistrati di sorveglianza e delle
tematiche sanzionatorie e penitenziarie negli incontri di studio di ca- rattere generale del settore penale, la Commissione Mista ha opportu- namente posto l’accento sui possibili sviluppi di una prospettiva di at- tuazione della già prevista formazione decentrata e della sua integra- zione e complementarietà con la formazione centrale. In tale ottica, si è auspicata l’organizzazione di “una serie di seminari su base interdi- strettuale da collocarsi nel primo semestre, con l’utilizzazione di formu- le organizzative duttili e di metodologie formative specializzate (si pensi al c.d. laboratorio di autoformazione) che siano propedeutici ad un se- minario centrale da collocarsi nel secondo semestre”.
Il suggerimento della Commissione Mista è stato recepito dal Co- mitato scientifico che, nell’ambito della programmazione degli incon- tri di studio per l’anno 2000, ha inserito il primo laboratorio di auto- formazione per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali che, a seguito della delibera di approvazione del Plenum in data 22 marzo 2000, si è articolato su un primo seminario centrale (Roma, 17-18 maggio 2000), quattro seminari interdistrettua- li in sede decentrata ed un seminario conclusivo di nuovo in sede cen- trale (Roma, 17-18 maggio 2001).
Il laboratorio, rivolto prevalentemente ai magistrati di sorveglian- za, quale offerta formativa specializzata, ha coinvolto, tuttavia, una quota significativa, sia pure ridotta, di pubblici ministeri, di giudici di cognizione e di magistrati minorili, nonché un certo numero di giudi- ci onorari esperti dei tribunali di sorveglianza, realizzando una profi- cua circolazione di idee, culture ed esperienze giudiziarie diverse in un’ottica interfunzionale e multidisciplinare. Nella fase di avvio, si è costituito, insieme al consulente metodologo, il gruppo dei referenti individuati nei magistrati di sorveglianza componenti della Commis- sione Mista istituita presso il C.S.M. che, attraverso una serie di incon- tri preparatori, hanno delineato le linee generali di progettazione del- l’intero percorso formativo.
Si sono, inoltre, discussi gli obiettivi che il gruppo dei referenti si è proposto di raggiungere individuandoli “nella promozione e nel soste- gno di una cultura cooperativa tra i magistrati e di un sentimento più forte dell’unità della giurisdizione, nella fortificazione delle identità e dei ruoli professionali”, mediante l’acquisizione di una maggiore consape- volezza dei principi e dei valori costituzionali che governano l’uso del- la discrezionalità, le finalità della pena e, in definitiva, il fenomeno sanzionatorio visto nella sua unità, anche al fine di conseguire con- creti miglioramenti nell’adeguatezza, tempestività, effettività ed effi- cacia delle sanzioni penali.
Non sono mancate occasioni per definire il ruolo ed i compiti di singoli referenti, sia nella prevista attività di componenti del gruppo centrale di monitoraggio, sia nella veste di coordinatori del lavoro dei gruppi interdistrettuali in sede decentrata.
II. 2 - Aspetti metodologici
Le premesse teoriche dalle quali si è partiti verso la realizzazione del laboratorio sono state illustrate nel corso del primo seminario cen- trale e, successivamente, in occasione del seminario conclusivo dal consulente metodologo dott. Achille Orsenigo che ha partecipato a tut- ti gli incontri di preparazione del laboratorio indirizzando l’attività dei referenti del corso, individuati dal Consiglio nei componenti della Commissione Mista di sorveglianza.
L’idea guida che ha orientato il gruppo dei referenti considera la formazione come “un processo orientato ad organizzare, a sviluppare capacità di costruire legami ed ordini, più o meno provvisori, rispetto alla massa di dati, emozioni, richieste, pressioni che costituiscono il no- stro contesto di vita. Essa orienta nel processo di costruzione della real- tà, organizza la conoscenza”. In questo quadro di riferimento, si è rico- nosciuto che la formazione e, quindi, anche l’autoformazione, è
“un’opportunità per dare forma al mondo esterno, ma anche a noi stes- si e agli altri. Essa svolge all’interno di un contesto lavorativo una fun- zione critica di socializzazione, d’integrazione”. Porta ad avere rappre- sentazioni sufficientemente condivise della realtà. Una formazione frammentata e settoriale, d’altra parte, può sviluppare incomprensio- ni, difficoltà d’integrazione tra il lavoro di parti diverse di un sistema orientato a fornire un servizio alla cittadinanza, ad esempio tra pub- blici ministeri, giudici di cognizione e magistrati di sorveglianza.
Le molte esperienze formative che ognuno ha attraversato nella propria vita lavorativa, scolastica e personale, segnano anche il pro- prio attuale modo di rappresentarsi la formazione e di parteciparvi. Il rapporto con questa dimensione vissuta nel passato, continua a vive- re, ad esercitare un suo peso, nel presente. Esse portano a prefigurare il percorso, la sua possibile utilità, i rischi, i problemi, il modo corret- to di vivere la formazione. Accade così che si sviluppi, in questo caso come in molte altre situazioni lavorative e di vita, una certa tendenza a ripetere, a prefigurarsi come possibile solo ciò che si è già speri- mentato, senza considerare che, invece, sono possibili differenti me- todi di sviluppo di un percorso formativo. Essi non sono adeguati, buoni in sé, ma operano in funzione del contesto, delle rappresenta-
zioni che ognuno vive dei problemi che caratterizzano la società, il proprio lavoro e di come si interagisce con le richieste che ciascuna organizzazione lavorativa riceve dalla collettività.
Il metodo di lavoro proposto si è dato l’obiettivo, dunque, di “co- niugare una dimensione di ricerca con una riflessione sulla propria ed altrui esperienza professionale”, su alcune tematiche di particolare inte- resse per la magistratura di sorveglianza e per le diverse figure pro- fessionali che, a vario titolo, si occupano dei problemi della pena e della sua esecuzione.
Si è proceduto nella convinzione che in un mondo complesso e di- namico come quello in cui viviamo, in cui sono posti al magistrato problemi articolati, a volte confusi, sia di particolare importanza la ricerca di risposte adeguate, che evitino lo smarrimento degli opera- tori che finisce per produrre inevitabilmente risposte rigide e stereoti- pate. Risposte adeguate, in grado di fornire ai cittadini ed alla società un servizio apprezzato, non sono, salvo ridotti casi, rintracciabili nel- l’applicazione meccanica di prescrizioni, ma vanno piuttosto indivi- duate attraverso lo sviluppo di capacità riflessive non autoreferenzia- li. Vanno dunque coltivate capacità e possibilità di dar voce a pensieri e prassi quotidiane e confrontare visioni e rappresentazioni diverse.
Per procedere in questa direzione assume grande rilievo l’offerta di opportunità e lo sviluppo di capacità di vedersi all’opera nella pra- tica professionale, ascoltare ed osservare le modalità di lavoro proprie, dei colleghi e dell’organizzazione giudiziaria nel suo insieme.
L’autoformazione è parsa, quindi, lo strumento più adeguato per muoversi in questa direzione. Con essa s’intende “valorizzare l’espe- rienza dei partecipanti, quindi anche i loro interrogativi, le loro perples- sità e problemi”. Di fondo sta l’idea che sia fondamentale apprendere dall’esperienza propria ed altrui.
Il concreto progetto operativo messo a punto dal gruppo dei refe- renti, con l’ausilio del consulente metodologo, ha previsto, dunque, per rimanere fedele alle premesse teoriche di cui sopra, una suddivi- sione dei processi lavorativi, propri di tutte e di ciascuna delle funzio- ni giudiziarie coinvolte, in quattro distinte fasi: a) la fase di rappre- sentazione dei problemi; b) la fase dedicata alla selezione ed elabora- zione delle informazioni; c) la fase in cui occorre prendere le decisio- ni di competenza di ciascuna funzione; d) la fase, infine, di valutazio- ne dei risultati del proprio lavoro.
La scelta di un modello di formazione a costruzione dialogica, alternativo a quello tradizionale del c.d. travaso, ha imposto, quindi, al laboratorio una linea direzionale orientata a mobilitare la curiosità
e l’interesse per la ricerca, verso una prospettiva di costruzione dei problemi attraverso una rappresentazione degli stessi innescata dalla esperienza di ciascun partecipante, confrontata con quella derivante da altri punti di vista. Si è voluto, in altre parole, sottoporre a critica quel tipo di formazione professionale che, derivando principalmente dalla prassi di tutti i giorni, sviluppa processi di routine operative e co- gnitive che consentono forse di risparmiare tempo, ma provocano contestualmente una diminuzione dell’interesse verso una possibile modifica degli atteggiamenti, spesso accompagnata da un evidente disinteresse per il punto di vista di una professionalità diversa.
L’affermazione secondo la quale “i problemi non esistono in natu- ra”, che ha accompagnato lo svolgimento del primo seminario interdi- strettuale e che tende a favorire l’individuazione delle questioni meri- tevoli di riflessione sulla base delle singole esperienze professionali, è stata, nel concreto della esperienza formativa, utilizzata al fine di veri- ficare il rapporto che collega le previsioni normative che devono gui- dare l’operatore nel quotidiano esercizio della professione e le concre- te applicazioni che non possono non tenere conto della situazione contingente in cui si opera. La ricerca di una linea di tendenza tra i due diversi aspetti è stata efficacemente idealizzata raffrontando i dati di interesse con il sistema degli assi cartesiani, ponendo sull’asse ver- ticale la normativa considerata rilevante per la trattazione di un deter- minato profilo tematico e, sull’asse orizzontale, i dati statistici di rife- rimento, le diverse tipologie di condotte e di comportamenti proces- suali che influiscono sulla applicazione della norma e, in definitiva, tutto ciò che influisce sulla individuazione della quantità e qualità del trattamento sanzionatorio.
Nell’ambito della fase volta all’analisi dei problemi relativi alla se- lezione ed elaborazione delle informazioni si sono approfonditi, in particolare, due diversi aspetti: il primo inerente alle modalità di ac- quisizione dei dati istruttori; il secondo concernente il grado di inci- denza che la qualità della attività istruttoria esercita sulla fase di presa della decisione. Sotto il primo profilo, si è sottolineata l’esigenza, con particolare riguardo all’acquisizione dei dati informativi utili all’atti- vità del magistrato di sorveglianza, di giungere alla definizione di mo- duli organizzatori più adeguati, che consentano maggiore speditezza e completezza delle attività istruttorie, anche tramite contatti diretti o informali con altre istituzioni che dovrebbero garantire interventi non burocratici ma responsabili.
Il tema della incidenza qualitativa delle informazioni raccolte sul- le determinazioni concernenti il trattamento sanzionatorio e peniten-
ziario è stato, sotto altro profilo, da tutti sottolineato, come momento di altissima criticità, anche in considerazione del fatto che la scarsa collaborazione di alcuni organi investigativi, rilevata soprattutto per le informazioni riguardanti la personalità e le forme di eventuale mani- festazione di una permanente pericolosità sociale, produce rilevanti conseguenze negative, specie laddove si tratti di valutare persone ap- partenenti alla criminalità organizzata, comune o terroristica.
La fase di presa delle decisioni, inevitabilmente raccordata con la precedente attività di raccolta delle informazioni, è stata delineata, nell’ambito del percorso formativo, come espressione di un momento di continuità, ma anche di distacco e di semplificazione rispetto alla fase precedente. Posto che con l’espressione decidere si fa riferimento alla attività di tagliare un nodo, si è costruito un parallelismo tra la predetta attività e quella che opera una scelta allo stato degli atti che è soggetta, comunque, a verifiche e valutazioni successive. In tale rico- struzione, la decisione diventa scelta di un programma ed, in quanto tale, si proietta necessariamente sul futuro, aprendo una fase nuova che è quella di un possibile cambiamento.
Si è indagato, quindi, sulle interrelazioni esistenti tra la tipologia di trattamento sanzionatorio, in rapporto alle aspettative del condan- nato e della società, e sul ruolo delle prescrizioni cui subordinare eventuali provvedimenti utili al reinserimento sociale, in rapporto alla formulazione delle prognosi di competenza di ciascun operatore, in un’ottica che ha voluto esaltare anche il recupero dei valori offesi e del danno provocato dal reato.
Si è, inoltre, inteso valorizzare il principio della collegialità della decisione, in rapporto all’insieme degli elementi rilevanti per il giudi- zio, senza trascurare il ruolo, spesso sacrificato, degli esperti dei tri- bunali di sorveglianza, in un’ottica di promozione di una loro parteci- pazione attiva alla fase della decisione.
Il percorso formativo non ha potuto omettere di considerare l’im- portanza della fase di valutazione dei risultati dell’attività professio- nale svolta dalle diverse figure di riferimento, attraverso una differen- te valorizzazione dei concetti di verifica e di valutazione. Con la prima espressione si è inteso esprimere una operazione di controllo sulla effettiva realizzazione degli obiettivi stabiliti come ipotesi di lavoro.
Con il termine valutazione, si è richiamata, invece, l’idea della attri- buzione di un valore rispetto al risultato raggiunto, delineandosi, quindi, come una operazione costruttiva. All’interno del concetto espresso con il termine valutazione si è, ancora, distinta una valuta- zione di tipo endoprocedimentale, che segue, quindi, il divenire di una
misura riabilitativa ed una valutazione postprocessuale, per sua stes- sa definizione esterna al procedimento.
A fronte di tale articolato quadro di problemi, si è evidenziato un forte interesse non tanto per valutazioni di tipo formalistico sulla cor- rettezza o meno della decisione, quanto, piuttosto, sui temi della veri- fica in concreto della idoneità della misura adottata a raggiungere le finalità previste, con particolare attenzione al divenire della misura ed al tema dei controlli, nonché sulle problematiche collegate agli obiet- tivi avuti di mira con un determinato provvedimento.
Si è insistito, in modo particolare, sulla necessità che i provvedi- menti adottati riposino, anche nei minimi dettagli, su basi normative più che solide, al fine di evitare la creazione di inutili aspettative da parte dei condannati. Il tema dei controlli è stato, quindi, affrontato anche nell’ottica di un bilanciamento, non sempre possibile, tra misu- re afflittive e diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla sa- lute. Il tema è risultato intimamente collegato, come è ovvio, a quello della acquisizione ed elaborazione dei dati indispensabili per la deci- sione ed, in definitiva, al ricorrente tema dell’istruttoria. Sono emersi, al riguardo, anche problemi di interpretazione normativa riassumibi- li nel quesito se l’istituto del differimento della pena per motivi di salu- te sia o meno invocabile anche da parte di chi si trovi a scontare la pena in affidamento in prova al servizio sociale. Si è, in sostanza, mes- sa in luce una forte interrelazione tra la mancanza di adeguate forme di controllo ed il possibile fallimento delle misure alternative e, quin- di, delle decisioni che tali misure pretendano di applicare.
Le riflessioni sul punto si sono incentrate, in definitiva, sulla dif- ferenza concettuale esistente tra una valutazione che riguardi la deci- sione presa e, quindi, la correttezza formale e sostanziale della stessa in rapporto alle informazioni acquisite (si richiama qui il concetto di decisione soddisfacente o decisione adeguata) ed una valutazione che abbia interesse, invece, per gli effetti, gli esiti della decisione. Tra que- sti ultimi, devono distinguersi, quelli incidenti sul condannato e quel- li concernenti la società, in un corretto bilanciamento tra esigenze di prevenzione generale e speciale, tra retribuzione e riabilitazione.
II. 3 - Le figure professionali coinvolte
La programmata interfunzionalità del laboratorio ha perseguito, quindi, l’obiettivo di consentire a tutti i partecipanti al percorso for- mativo di conoscere meglio il lavoro delle diverse figure professionali coinvolte nella fase di determinazione e di individualizzazione del
trattamento sanzionatorio, al fine di individuare, ove possibile, uno specifico ruolo dei diversi soggetti della decisione da proporre come fi- gura tipo di riferimento della funzione da ciascuno svolta. In una medesima prospettiva, l’esperienza di autoformazione è risultata utile ai fini della individuazione di moduli organizzativi adeguati in rela- zione alle specifiche esigenze di ciascuna professionalità.
È sembrato utile, pertanto, proporre ai partecipanti di ragionare in termini di concreto riferimento a precedenti esperienze individuali di ciascuno. Si sono, così, delineate le caratteristiche specifiche di cia- scuna funzione in rapporto alle previsioni normative che ne defini- scono competenze ed attribuzioni.
Sul ruolo del Presidente del Tribunale di sorveglianza, la riflessio- ne comune ha sottolineato una esigenza di maggior visibilità della fun- zione congiunta alla necessità di realizzazione di protocolli di lavoro con tutti i soggetti, istituzionali e non, che partecipano al trattamento del condannato, anche fornendo semplicemente informazioni. Si è, inoltre, attentamente valorizzata la funzione presidenziale di forma- zione del ruolo delle udienze, con particolare riguardo ai condannati detenuti ed ai principi di trasparenza ed imparzialità nella scelta dei procedimenti da trattare con urgenza.
Anche l’attività della Procura generale nella fase di individualizza- zione della pena è stata oggetto di specifico approfondimento nell’am- bito dell’attività formativa. Sono stati opportunamente evidenziati i momenti salienti dell’attività del pubblico ministero di secondo grado, dalla preparazione dell’udienza, al potere di impugnazione, fino all’at- tività consultiva in tema di estinzione della pena per esito positivo del- l’affidamento.
Non sono mancati importanti riferimenti al ruolo del giudice mi- norile che, oltre a cumulare su di sé le funzioni di cognizione e di ese- cuzione del giudicato, ha positivamente sperimentato l’unica vera for- ma di probation inserita nell’ordinamento penale italiano, attraverso l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 D.P.R. n. 448 del 1988).
I poteri del giudice della cognizione nella determinazione quanti- tativa del trattamento sanzionatorio, secondo i parametri indicati nel- l’art. 133 c.p., sono stati adeguatamente valorizzati, senza, tuttavia, tra- lasciare le importanti implicazioni derivanti dalle attività prescrittive che, sempre più spesso, caratterizzano la figura del giudice che si oc- cupa del merito del processo, dalla fase cautelare alla eventuale deter- minazione di obblighi per la sospensione condizionale della pena.
Il particolare angolo visuale del magistrato di sorveglianza nella
fase di concreta esecuzione della pena inflitta dal giudice del merito, ovvero, in quella che è stata definita la vera e propria individuazione qualitativa della pena (nel caso di concessione di misure alternative a condannati liberi), è stato oggetto di approfondito dibattito, alla ricer- ca di un difficile punto di equilibrio tra partecipazione all’opera di trattamento del condannato e svolgimento di una vera e propria atti- vità giurisdizionale, con i conseguenti requisiti di terzietà ed impar- zialità. Anche il ruolo dell’esperto del tribunale di sorveglianza è stato doverosamente sottolineato, in quanto portatore di professionalità diverse da quelle del magistrato, non meno importanti nell’analisi della evoluzione della personalità del detenuto, anche al fine di solle- citare l’adozione di nuove forme di collaborazione in grado di ulte- riormente valorizzare il contributo degli esperti nelle attività prepara- torie dell’udienza e nella redazione delle ordinanze.
Si è, così, positivamente sperimentata la capacità di un percorso formativo interdisciplinare e multifunzionale di costruire una comune cultura della pena, all’interno ed all’esterno della magistratura, che sappia coniugare efficacemente la dimensione afflittiva e quella riabi- litativa della pena, le esigenze della prevenzione generale e quelle della prevenzione speciale, anche in rapporto alla tipologia del reato com- messo ed al danno arrecato alla persona offesa, in una prospettiva che tenda al superamento di valutazioni (del legislatore, del giudice, del- l’opinione pubblica in genere) fondate più sul momento emozionale che su parametri di tipo normativo costituzionale.
II. 4 - I contenuti del laboratorio
Gli aspetti metodologici sopra descritti e la suddivisione del lavo- ro all’interno dei gruppi interdistrettuali nelle quattro fasi della rap- presentazione dei problemi, della elaborazione delle informazioni ac- quisite, della presa di decisioni e della valutazione dei risultati hanno suggerito di assegnare a ciascuna area interdistrettuale la trattazione di diversi profili tematici. L’individuazione dei temi di ricerca e di ap- profondimento è stata operata nell’ambito del gruppo dei referenti mediante l’analisi dei profili di maggior interesse per i magistrati che si occupano della pena e della sua concreta applicazione. Si è scelto, così, di privilegiare lo studio delle problematiche relative al tratta- mento sanzionatorio e penitenziario di alcune categorie di condanna- ti che, o per l’alta percentuale di presenze in carcere o per via della no- vità rappresentata dal loro stesso ingresso nel circuito penale, sono ap- parse particolarmente rappresentative della tematica di fondo del se-
minario. Si è indagato, quindi, sui profili teorici ed applicativi del trat- tamento sanzionatorio e penitenziario degli stranieri (area Centro), dei condannati appartenenti alla criminalità organizzata (area Isole), dei condannati con problemi di tossicodipendenza (area Sud) e dei c.d. colletti bianchi (area Nord).
Nei laboratori interdistrettuali si è, quindi, approfondito lo specifi- co tema di riferimento avendo riguardo alla scansione metodologica del processo lavorativo e curando sempre la diversità dei punti di vista delle figure professionali coinvolte nel percorso formativo. La fase di rappresentazione del problema si è, così, arricchita mediante la costru- zione di griglie di riferimento volte a selezionare in forma organizzata i seguenti segmenti operativi: la descrizione del problema, la categoria di appartenenza del problema stesso (se di tipo organizzativo ovvero legislativo - giurisprudenziale), l’individuazione del soggetto professio- nale che lo identifica come tale, il risultato prefigurato con l’individua- zione del problema ed il suo livello di condivisione. Tale scansione metodologica ha consentito, ad esempio, ai partecipanti dell’incontro dell’area centro di orientare le proprie riflessioni su quale trattamento sanzionatorio riservare allo straniero autore di reati (con possibili diva- ricazioni nell’ipotesi di stranieri tossicodipendenti o legati alla crimi- nalità organizzata), su come rendere effettiva la sanzione penale irro- gata (con i rilevanti problemi che scaturiscono spesso dalla incerta identificazione degli stessi), su come garantire, infine, l’applicazione delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario anche nei confronti dei condannati stranieri, per favorire un loro effettivo reinserimento sociale.
Sempre con riferimento ai contenuti del laboratorio, si è rilevato, in tutte le aree interessate, un’assoluta inadeguatezza ed inattendibi- lità di taluni dati istruttori che si è registrata, in particolare, nella scar- sa disponibilità degli organi di polizia a fornire informazioni adegua- te al livello della decisione da assumere. Si è, invero, sottolineato come tali organi, pur in ipotesi di condanne per delitti di particolare allar- me sociale come quelli elencati nell’art. 4 bis ord. pen., trasmettano, di frequente, dati informativi privi della necessaria specificità, ricorren- do spesso a formule generiche e stereotipate, ovvero non rispondendo affatto nel termine di legge loro assegnato.
Particolare rilievo ha avuto nella fase interdistrettuale del labora- torio il momento di riflessione sugli elementi che condizionano posi- tivamente o meno la presa di decisioni. Ad una discussione di caratte- re generale sul ruolo degli attori del processo decisionale (con signifi- cative aperture al ruolo attivo della Procura generale nell’ambito della
udienza camerale ed alla partecipazione non meramente passiva del condannato e del suo difensore), si è accompagnata una forte sottoli- neatura, con specifico riferimento ai condannati appartenenti alla ca- tegoria dei c.d. colletti bianchi, del ruolo delle prescrizioni in rappor- to alla formulazione della prognosi, in una prospettiva volta a coniu- gare il momento della imposizione con quello della libera determina- zione. Si è registrata, quindi, l’evidente connessione tra l’eventuale attività di volontariato concordata dal condannato con i servizi socia- li e la reintegrazione, in forma indiretta, del bene giuridico offeso.
Particolare evidenza è stata data, inoltre, nella trattazione degli aspetti sanzionatori e penitenziari dei condannati tossicodipendenti, alla valutazione degli esiti delle misure di favore applicate in rapporto alle finalità di prevenzione generale e speciale della pena. Si è discus- so, in particolare, degli indici rivelatori del buon esito del trattamento, ritenendosi opportuno indagare se la misura alternativa o, comunque, il trattamento sanzionatorio debbano tendere a realizzare il principio del “tempo senza delitto”, da valutare come esito positivo della prova e se, in definitiva, la prognosi che ciascun giudice deve compiere, secon- do le rispettive fasi di competenza, debba essere una prognosi sulla pericolosità ovvero, invece, sulla rieducabilità della persona.
Seguendo tale prospettiva, si è convenuto che l’obiettivo di un si- stema sanzionatorio che voglia richiamarsi ai principi della nostra Co- stituzione non possa prescindere dal tentativo di realizzare, per il con- dannato, un progetto di recupero possibile, tenuto conto del modello sociale di riferimento, senza inseguire percorsi velleitari alla ricerca di un tipo ideale di condannato che, emendato dalle sofferenze inflittegli con la pena, diventi protagonista di un ruolo sociale di rilievo. Tale ri- flessione, scandita da ripetuti richiami ad un sano pragmatismo che non esalti il principio di onnipotenza delle decisioni giudiziarie, non poteva non affrontare il tema della recidiva e del suo esatto contrario.
L’assenza di recidiva è stata, vista, da alcuni, come obiettivo, di re- gola, minimale (pur nella consapevolezza che in alcuni casi, come per i tossicodipendenti, rappresenti pur sempre un lusso), considerata l’e- sigenza di coinvolgere la persona condannata in un percorso autocri- tico che valorizzi l’obiettivo del passaggio dalla strumentalità alla ade- sione rispetto alle misure alternative. Da altri, invece, è stata indicata come un obiettivo di altissimo livello, in grado di fornire nuova linfa e nuove motivazioni ai giudici che si occupano della pena, consentendo la ricerca di obiettivi non moralistici, ma di necessario rispetto dei diritti dell’altro e, quindi, del patto sociale che è alla base della convi- venza delle persone. In tale seconda ottica, si è dato un forte risalto al
tema del rispetto delle vittime dei reati ed alle problematiche poste da quella che dovrebbe essere la funzione riparativa della pena (non ne- cessariamente risarcitoria).
Le nuove prospettive di un sistema sanzionatorio più attento alle esigenze della vittima e della società offesa, nei suoi beni primari, dal- la commissione di un reato sono state a lungo discusse, con riferimen- to ad alcuni casi concreti affrontati dai colleghi presenti. Si è, in par- ticolare, affrontato il tema delle attività di volontariato da imporre al condannato affinché, attraverso una più avvertita forma di afflittività, la pena possa svolgere quel ruolo di retribuzione del male arrecato che, negli ultimi tempi, sembra sempre più lontano, non soltanto nella voce di chi invoca una maggiore effettività della pena.
Non sono mancate, al riguardo, voci dissonanti che hanno messo in guardia dal rischio di anticipare così la nuova frontiera del diritto sanzionatorio futuro, aggirando, in sostanza, il principio di stretta le- galità e di tassatività della pena. Si è indicata, in proposito, una possi- bile forma di collaborazione con i Centri di servizio sociale che, nelle loro relazioni socio-familiari da inviare prima della decisione, potreb- bero indicare cosa il condannato si impegna a fare nei confronti della vittima del reato, così recuperando un consenso di massima del con- dannato verso forme alternative di riparazione dell’offesa. Pur regi- strandosi una buona adesione a tale impostazione, non è mancato chi ha sottolineato l’importanza che l’attività di volontariato, suggerita o prescelta dal condannato, sia, in una certa misura, collegata con il tipo di reato commesso, ritenendo non produttiva un’attività quale che sia.
Si è osservato, pertanto, come appaia fondamentale per la buona riu- scita di un affidamento concordare un’eventuale attività riparativa con il Centro di servizio sociale in modo da inserirla in un progetto; si è ipotizzato, in proposito, l’adesione del condannato ad interventi psi- cologici che, in relazione alla tipologia del reato, possano ridurre il rischio della recidiva.
Secondo un’altra prospettazione, l’obbligo risarcitorio, formal- mente previsto dalla norma in tema di affidamento, dovrebbe essere sempre inserito e spiegato al condannato come una forma di rispetto degli obblighi previsti dall’ordinamento in caso di violazione della leg- ge penale, anche se non produttiva di danni economicamente risarci- bili. Dal complesso del dibattito sul punto, si può, quindi, enucleare una decisa tendenza a non impiegare forme di “volontariato coatto”, al di fuori cioè di un progetto o di una chiara adesione del condannato verso attività socialmente utili.
Gli incerti confini tra puntuale osservanza delle prescrizioni ed
esito positivo della misura alternativa sono stati affrontati con partico- lare riguardo a situazioni, emerse dall’esame di alcuni casi pratici, in cui il comportamento del condannato, non violativo delle prescrizioni, abbia, tuttavia, sollevato dubbi e perplessità. È il caso del tossicodi- pendente, detenuto domiciliare, che durante l’esecuzione della misura, continui a fare uso di sostanze stupefacenti ovvero dello straniero che, dopo aver compiuto una serie di violazioni di scarso significato, si al- lontani dall’Italia e faccia ritorno al proprio Paese di origine, senza at- tendere la pronuncia estintiva prevista dall’ultimo comma dell’art. 47 ord. pen. In tali ed altre simili ipotesi si è discussa la praticabilità di una soluzione interpretativa che, preso atto dell’esito non positivo della prova, dichiari, comunque, la pena integralmente espiata, negando, nel contempo, la pronuncia estintiva degli altri effetti penali della condan- na. Sulla tematica della ricerca del tipo ideale e del suo reinserimento nella società, che, come si è già osservato, deve tendere alla valorizza- zione delle condizioni di partenza di ciascuno, si è inserito un dibatti- to sulla legittimità, ovvero opportunità, che i programmi terapeutico- riabilitativi nei confronti di persone tossicodipendenti prevedano o meno l’utilizzo del metadone anche in funzione di mantenimento. Trat- tasi, come è ovvio, di decidere se dare ingresso nel campo delle misure sanzionatorie o alternative a quella che è stata definita la politica della riduzione del danno nell’ambito di un progetto che, in realtà, non mira alla disintossicazione del soggetto, ma a recuperare forme di conviven- za compatibili con il rispetto di un ordinato vivere civile. È la politica del proibizionismo in materia di stupefacenti che ha suscitato, nell’i- potesi prospettata, un vivace confronto tra i colleghi.
I diversi approcci ai problemi trattati nell’ambito di ciascuna fase seminariale a livello interdistrettuale sono stati successivamente og- getto di un’opera di sintesi nel corso conclusivo della esperienza di autoformazione tenutosi in Roma il 17 e 18 maggio 2001. L’esposizio- ne in sede plenaria dei percorsi formativi svolti dalle singole aree, in relazione ai profili tematici di pertinenza di ciascuna articolazione, è stata seguita da momenti di comune riflessione sul significato del lavoro di gruppo e da un dibattito a più voci sui punti di maggiore cri- ticità sollevati, anche in relazione agli aspetti contenutistici del labo- ratorio.
Si è, così, introdotto nel dibattito il tema del giusto processo (art.
111 della Costituzione) e dei riflessi che il principio del contradditto- rio nella formazione della prova può determinare nell’ambito del pro- cedimento, di competenza della magistratura di sorveglianza, che ha per oggetto il controllo di legalità sul principio di flessibilità della pena
e la individuazione qualitativa della pena che il condannato deve espiare, nella consapevolezza che costituiscono oggetto di prova (art.
187 comma 2 c.p.p.) anche i fatti che si riferiscono alla determinazio- ne della pena o della misura di sicurezza.
Si è stabilito, quindi, un collegamento con i temi trattati nella se- conda fase metodologica utilizzata per comprendere meglio le dina- miche, processuali e non, che regolano l’applicazione di una sanzione penale. Una volta condiviso il principio secondo il quale la prova nel procedimento di sorveglianza deve sottostare alle regole del contrad- dittorio (già nella sua formazione?) e che le odierne prassi di quasi tutti i tribunali di sorveglianza non sembrano garantire l’attuazione ed il rispetto di tale principio, assicurando nel migliore dei casi alle parti (ed al difensore in primis) una tardiva conoscenza degli elementi su cui si formerà il giudizio, si è riproposta, in alcuni interventi, la que- stione irrisolta del pubblico ministero che deve seguire la fase dell’e- secuzione e della sorveglianza.
Secondo tale ricostruzione, il principio costituzionale non tollera che l’istruttoria venga di fatto svilita attraverso schemi preconfeziona- ti, il cui esito viene disvelato alle parti solo con la relazione del giudi- ce relatore. Si è pensato, dunque, in tale prospettiva, alla realizzazio- ne di un sistema simile a quello del processo penale minorile che vede valorizzare al massimo livello le esigenze trattamentali del minore e che, ciò nonostante, è costruito secondo il classico schema ordina- mentale che prevede (salve rare eccezioni) la presenza di un ruolo istruttorio del pubblico ministero ed un ruolo decisorio del giudice.
L’alternativa ad una ricostruzione del sistema secondo un model- lo perfettamente aderente alla riforma costituzionale sul giusto pro- cesso, è stata anche prospettata, con l’assetto ordinamentale invariato, nella direzione di una valorizzazione del ruolo del magistrato di sor- veglianza istruttore (che ha giurisdizione sull’istituto di detenzione) che raccolga gli elementi di prova utili, al di fuori della udienza, e con fissazione della stessa solo all’esito di una compiuta acquisizione istruttoria, come avviene, del resto, nel procedimento di cognizione. Il materiale probatorio sarebbe, così, a disposizione delle parti ben prima dell’udienza in camera di consiglio, con la possibilità per le stes- se di integrare le acquisizioni al fine di una più consapevole decisione del giudice ed in linea, del resto, con la previsione dell’art. 666, comma 5°, c.p.p..
Il principio di terzietà del giudice sarebbe, in tale ottica, garantito dall’affidamento della relazione sul procedimento ad altro componen- te del collegio della sorveglianza (anche un esperto), ferma la parteci-
pazione al collegio, non in veste di relatore, del magistrato di sorve- glianza istruttore, al fine di evitare la dispersione di un patrimonio di conoscenze indiscutibile e di rispettare gli orientamenti dell’ordina- mento penitenziario (art. 70) che vuole che del collegio faccia parte il magistrato che si occupa del trattamento del detenuto.
Anche l’aspetto della collegialità della decisione ne risulterebbe arricchito, tenuto conto che gli elementi di prova possono essere real- mente conosciuti dalle parti e che almeno due giudici su quattro sono a conoscenza degli elementi rilevanti per la decisione. Secondo tale ri- costruzione, si è sottolineata l’importanza, nella fase probatoria che avviene in udienza, di una effettiva audizione del condannato, se ri- chiesta, che potrebbe restituire un senso alla partecipazione al colle- gio di una componente di esperti specialisti in psicologia o altre scien- ze umane.
II. 5 - La verifica dei risultati del percorso formativo
Una prima valutazione dei risultati del laboratorio è stata com- piuta direttamente con i partecipanti al corso. Già nell’ultimo dei quattro seminari interdistrettuali ciascun referente ha provveduto a raccogliere le osservazioni ed i suggerimenti dei presenti, lasciando un congruo spazio perché ciascuno potesse esprimere liberamente anche eventuali criticità sulla struttura complessiva dell’offerta formativa.
Analogo percorso è stato seguito nell’ambito del corso centrale con- clusivo, che ha riservato apposita sessione dei lavori ad interventi dei partecipanti sul punto.
È opportuno tracciare, quindi, una sintesi riepilogativa dei mo- menti di maggiore criticità evidenziati dai partecipanti che hanno sot- tolineato, in buona sostanza, una certa rigidità dello schema di asse- gnazione a ciascuna area dei profili tematici e le difficoltà di relazio- ne con professionalità diverse, atteso che nelle percentuali di ammes- si al laboratorio è risultata di gran lunga preminente la componente magistrati di sorveglianza.
Dalla quasi totalità dei partecipanti è stata, inoltre, sottolineata la eccessiva dislocazione temporale dei singoli incontri interdistrettuali che non ha consentito di ricollegare proficuamente il lavoro in prece- denza svolto con quello del seminario successivo. Il programmato dia- logo con professionalità che, nell’ambito della comune giurisdizione penale, si occupano a vario titolo dei problemi della pena e della sua esecuzione, è stato generalmente giudicato, dalla componente mag- gioritaria di magistrati di sorveglianza, non riuscito, per la quasi tota-
le assenza delle figure di riferimento. Si è auspicata, in tale prospetti- va, una riedizione dell’esperimento che sia in grado, a livello attuativo, di consentire un effettivo dialogo tra diverse professioni, quanto meno con la figura del pubblico ministero che cura l’esecuzione dei provve- dimenti di condanna. Da molte parti è stata sottolineata l’opportunità di un dialogo, invece, con altre professionalità, esterne alla magistra- tura, quali direttori di istituti penitenziari, assistenti sociali, educato- ri, ed in genere operatori del trattamento interno ed esterno.
Non sono mancate voci che hanno richiesto, per eventuali futuri incontri, una più ampia prospettiva culturale, lamentando una man- canza di stimoli determinata dalla impostazione troppo operativa del laboratorio. Altri, al contrario, hanno invocato una maggiore attenzio- ne alle tematiche interpretative del settore, auspicando l’intensificarsi di occasioni di confronto anche di tipo giuridico su singole questioni.
L’esperienza autoformativa è stata, tuttavia, generalmente apprez- zata, pur non mancando note di dissenso sulla imposizione di alcuni temi (il trattamento penale e penitenziario degli stranieri) e sulla ec- cessiva rigidità degli schemi di lavoro e della suddivisione in fasi sug- geriti dal metodologo. Da registrare anche convinte adesioni alla im- postazione metodologica del corso (positiva l’idea di destrutturare il lavoro in una serie di fasi, per poi ricomporre il tutto secondo una nuova consapevolezza) ed al tentativo di far discutere diverse profes- sionalità. Molto apprezzata, infine, la scelta di tipo seminariale che ha consentito ad un numero ristretto di colleghi di confrontarsi e di espri- mersi liberamente secondo modelli autonomamente individuati.
Un bilancio complessivo dell’esperienza formativa, redatto dal coordinatore del laboratorio dott. Nicola Mazzamuto, che si è avvalso del contributo dei singoli referenti e delle osservazioni del metodolo- go, è stato affidato, inoltre, ad una relazione conclusiva sulla espe- rienza del laboratorio di autoformazione regolarmente trasmessa alla Nona Commissione consiliare. L’opera di sintesi è svolta seconda i seguenti parametri di valutazione. Il gradimento dei partecipanti, lo sviluppo delle conoscenze, lo sviluppo delle capacità di azione ed i mutamenti dei processi lavorativi ed organizzativi.
Si è osservato, quanto al primo punto, che, dopo una fase di scet- ticismo iniziale dovuta alla novità del metodo, la metodologia forma- tiva “ha registrato progressivamente il gradimento generale” (con punte di vero e proprio entusiasmo tra i partecipanti ai seminari dell’area Nord), con richiesta corale di prosecuzione dell’attività formativa intrapresa. Quanto al secondo aspetto, si è rilevato come il laboratorio abbia contribuito ad una maggiore consapevolezza dei ruoli profes-
sionali e delle finalità istituzionali e come “abbia notevolmente appro- fondito la problematica giurisprudenziale dell’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale, sotto il profilo sia della sua interpretazione sistematica, sia delle prospettive esecutive con particolare riguardo alle prescrizioni c.d riparative”.
Il profilo dello sviluppo delle capacità di azione viene sottolineato come uno dei risultati più significativi del laboratorio che è riuscito a
“favorire una maggiore sensibilizzazione ed un maggior coordinamento tra Procure Generali territorialmente vicine in tema di esecuzione pena- le, nonché lo sviluppo di riflessioni ed iniziative che hanno contribuito al dibattito in seno alla Commissione Mista ed al C.S.M. sul funziona- mento dei Tribunali e degli Uffici di sorveglianza e sui tempi e modi del- l’esecuzione penale”, poi confluiti nell’importante delibera consiliare del 10 maggio 2001.
Si è evidenziata, infine, tra i contributi più rilevanti del laborato- rio, la “diffusione di modelli virtuosi di interazione tra Procura generale e Tribunale di sorveglianza” (con particolare riferimento all’esperienza di Sassari), nonché l’elaborazione di profili e moduli organizzativi, processuali ed ordinamentali che hanno arricchito il dibattito istitu- zionale e preparato il terreno di importanti scelte organizzative. Si pensi alla recente delibera consiliare in tema di criteri di organizza- zione tabellare degli uffici che, per la prima volta, ha dedicato una spe- cifica attenzione alla gestione dei Tribunali ed uffici di sorveglianza intervenendo sulla assegnazione degli affari, sull’attività istruttoria e sui suoi protocolli, in una linea direttiva che ha auspicato l’istituzione della figura del magistrato di sorveglianza istruttore e la creazione di un ufficio del giudice.
Nella prospettiva di una auspicata nuova edizione del laboratorio di autoformazione, la citata relazione ha concluso formulando alcune ipotesi di miglioramento della struttura del corso così sintetizzate: a) significativo aumento della quota riservata ai pubblici ministeri ed ai giudici della cognizione, giacché il laboratorio ha vissuto i suoi mo- menti più favorevoli laddove si è verificata una maggiore compresen- za funzionale; b) riduzione del numero degli incontri decentrati e loro maggiore concentrazione, al fine di renderli meglio compatibili con gli impegni di ufficio ed evitare dispersioni di energie o cali di tensione;
c) richiesta ai singoli referenti di attivare un più stabile collegamento con i magistrati partecipanti al corso, al fine di far proseguire ideal- mente l’esperienza formativa anche nella concreta attività professio- nale di ciascuno; d) individuazione più puntuale dei contenuti temati- ci dei singoli incontri.
III. - Il progetto del secondo laboratorio di autoformazione (2002)
III. 1 - Introduzione
La positiva esperienza del primo corso ha suggerito al Consiglio di predisporre un analogo progetto di formazione anche per il 2002 che, sulla base delle indicazioni emerse nell’ambito della Commissione Mi- sta, si proponga di sviluppare come tema generale quello delle progno- si e delle prove nell’ambito del trattamento sanzionatorio, anche alla luce dei principi del giusto processo, della sua ragionevole durata e della effettività e tempestività della risposta penale e che preveda, a livello attuativo, oltre ad una accresciuta presenza di giudici e di pubblici mini- steri, la partecipazione anche di magistrati con funzioni di legittimità, così accentuando il carattere interfunzionale del laboratorio.
Nello studio e nell’approfondimento delle problematiche e delle prassi che governano il trattamento sanzionatorio riservato dalla legge a chi sia riconosciuto responsabile di un reato si è assistito, dunque, ad un mutamento di prospettiva che, solo qualche anno fa, appariva dif- ficilmente ipotizzabile. Si sono poste le premesse, infatti, per il defini- tivo superamento di quella che è stata definita la marginalizzazione della fase esecutiva, con il conseguente isolamento della magistratura di sorveglianza istituzionalmente incaricata di occuparsene, a vantag- gio, invece, di una concezione che mira a valorizzare una visione glo- bale dei problemi della pena al punto da considerare il tema del tratta- mento sanzionatorio e della sua attuale funzione, alla luce dei principi di certezza, tempestività ed effettività, non disgiunto da un’analisi delle specifiche forme di intervento attribuite alla competenza di diversi organi giudiziari che, in differenti fasi del processo e con strumenti operativi autonomi, contribuiscono a modellare l’intero sistema.
Sembra, quindi, stabilmente avviato un processo di positiva inte- razione tra i due momenti centrali del sistema sanzionatorio. L’aspet- to della sicurezza, tutto incentrato sui bisogni e le domande della vit- tima del reato che ha subito la violazione di un proprio diritto, e la fase del trattamento volta a riconoscere i bisogni della persona con- dannata ed a proporgli una ragionevole prospettiva di reinserimento sociale. Si è, dunque, accolto il suggerimento di un’autorevole dottri- na (G. DE LEO) che ha sottolineato come “nei profili professionali e nella programmazione formativa deve realizzarsi una nuova sintesi, in- terattiva e integrata, delle competenze, nel senso che, non solo l’operato- re della sicurezza (pubblico ministero?) ha bisogno di acquisire una vi-
sione delle competenze trattamentali, ma anche l’operatore del tratta- mento (magistrato di sorveglianza?) deve sviluppare una nuova propria visione della sicurezza con specifiche competenze in tal senso”.
Recuperando alcuni rilievi critici mossi alla concreta articolazione della prima esperienza formativa e taluni autonomi contributi di rifles- sione, la Commissione Mista ha proposto (ed il Plenum approvato) che il secondo laboratorio venisse modulato sulla base di due soli incontri interdistrettuali (ottobre 2002), molto ravvicinati al fine di non disper- dere eccessivamente la tensione formativa dei partecipanti, ed un incontro finale in sede centrale (11-13 novembre 2002) per il confron- to delle esperienze, la verifica dei risultati formativi e per l’individua- zione di eventuali nodi organizzativi suscettibili di superamento anche mediante gli opportuni interventi consiliari. In tale prospettiva, si è attribuita particolare valenza al lavoro del gruppo dei referenti, prima, durante e dopo i seminari interdistrettuali, coordinati dal consulente metodologo, anche al fine di dare unitarietà al laboratorio evitando disallineamenti rispetto al progetto operativo concordato.
III. 2 - I contenuti del laboratorio
Il tema prescelto dal Consiglio per questa nuova esperienza d’au- toformazione – “Le prove e le prognosi nel trattamento sanzionatorio” – è sembrato, alla luce di quanto sopra sottolineato, perfettamente con- gruente con l’obiettivo finale del laboratorio, poiché i concetti di “pro- gnosi” e di “prova” risultano d’ordinaria amministrazione sia per il pubblico ministero, sia per il giudice della cognizione, sia, infine, per il giudice che si occupa specificamente di determinare le concrete modalità d’esecuzione della pena detentiva (il magistrato di sorve- glianza). Ed, invero, il concetto di prognosi rinvia a quel processo logi- co-intuitivo che il giudice deve compiere, partendo da alcuni dati in suo possesso concernenti un determinato fatto-reato e la persona che ne è l’autore, al fine di valutare (prevedere) quale sarà il suo compor- tamento futuro nel contesto sociale di riferimento. Esempi tipici di giudizi prognostici sono quelli che compie il pubblico ministero quan- do valuta le esigenze cautelari indicate nell’art. 274 lett. c) c.p.p., al fine di determinare il proprio operato verso la richiesta o meno di una misura custodiale. E come non ricordare la valutazione che deve com- piere il giudice della cognizione quando, avuto riguardo ai criteri indi- cati nell’art. 133 c.p., dispone la sospensione condizionale della pena inflitta nei limite di due anni, presumendo che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati? Un’operazione di tipo intuitivo è anche
richiesta alla magistratura di sorveglianza che, sulla base di conoscen- ze tecnico-professionali che derivano dall’analisi dell’impianto norma- tivo predisposto per le misure alternative alla detenzione, perviene alla formulazione di un giudizio che si fonda su valutazioni essenzialmen- te soggettive collegate come sono alla conoscenza dell’uomo condan- nato ed alla osservazione della sua eventuale trasformazione.
Il tema, come appare evidente, investe direttamente la categoria della discrezionalità e del suo esercizio che è argomento trasversale a tutte le funzioni giurisdizionali. Né può sfuggire la particolare valenza che assume la discrezionalità nell’ambito della fase del giudizio riser- vata alla determinazione ed alla esecuzione del trattamento sanziona- torio. In tema d’applicazione della pena non sembra possibile, invero, dare ingresso a trattamenti sanzionatori matematicamente commisu- rati su una figura astratta di colpevole, non potendosi assolutamente prescindere dalle condizioni e dalle circostanze del reato, dalla perso- nalità del suo autore e, in definitiva, dal fattore umano che permea di sé l’esercizio concreto della giurisdizione penale, dalla fase cautelare a quella d’esecuzione della pena.
L’argomento delle prove nella determinazione ed esecuzione del trattamento sanzionatorio, d’altra parte, rinvia al concetto, già ogget- to di uno specifico approfondimento da parte del Consiglio nell’incon- tro di studio su “Modelli e dinamiche del processo e della pena” (Roma, 15/18 gennaio 2001) di incremento, dispersione e circolazione delle informazioni nelle diverse fasi processuali in una prospettiva di ricer- ca di una sempre maggiore cooperazione istituzionale. Le informazio- ni più rilevanti sulle caratteristiche del fatto-reato e sulla persona del colpevole (da quelle concernenti lo stato di tossicodipendenza alle condizioni di salute o di disagio mentale, dagli eventuali collegamenti con la criminalità organizzata alla questione della esatta identificazio- ne del soggetto autore di reati fin dalla fase delle indagini preliminari) sono state oggetto d’attenta disamina da parte dei partecipanti al cor- so opportunamente riuniti in uno specifico gruppo di lavoro. Partico- lare attenzione è stata dedicata in quella sede all’analisi dei principali veicoli di trasmissione delle informazioni, sottolineandosi, da più par- ti, l’insufficienza dei tradizionali strumenti di conoscenza offerti al giudice della fase successiva (motivazione della sentenza di condanna e, successivamente, estratto esecutivo), soprattutto per quanto riguar- da le informazioni più strettamente attinenti alla personalità del con- dannato in relazione alla individuazione delle più adeguate modalità esecutive della pena inflitta. Nell’auspicio di un ampliamento degli strumenti cognitivi a disposizione del giudice (posizioni giuridiche,