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L’aspetto economico della gestione

2. L’EQUILIBRIO ECONOMICO-FINANZIARIO DELLE AZIENDE.

2.2.1. L’aspetto economico della gestione

Come è noto, ciò che qualifica l’azienda di produzione, e parimenti la distingue da altre forme organizzative, è il suo costituire un complesso unitario ed articolato di mezzi e di persone coerentemente rivolto alla produzione di ricchezza.

Il valore prodotto deve poi venire equamente distribuito tra le categorie di soggetti che nel corso del tempo hanno contribuito alla sua determinazione, comunemente rappresentate dai soci (conferenti il capitale di rischio), dai finanziatori (conferenti capitale di credito), dai lavoratori, dallo Stato (che fornisce i servizi di carattere generale) nonché dai fornitori dei rimanenti fattori della produzione.

Il giudizio di equilibrio economico, in tal guisa, comporta il soddisfacimento delle attese reddituali di tutti i soggetti che nel corso del tempo hanno contribuito alla produzione di ricchezza da parte dell’azienda, ivi apportando fattori produttivi la cui remunerazione è fissata contrattualmente, come nel caso dei fornitori o dei finanziatori (c.d. fattori in posizione contrattuale), ovvero apportando fattori la cui remunerazione è soltanto eventuale e residuale (tipicamente, l’imprenditore individuale oppure i soci in caso di società di persone e di capitali) e che concorrono al rischio imprenditoriale, prefigurato dall’alternarsi di risultati gestionali a volte positivi e a volte negativi, allo scopo di conseguire un utile periodico.

77 Secondo Cavalieri e Ranalli l’economicità rappresenta “…la capacità dell’impresa di soddisfare i vincoli che

ne qualificano le condizioni di durevole esistenza”;Cavalieri E., Ranalli F., Appunti di economia aziendale, vol. I, Kappa, Roma, 1994, pag. 110. Il Paoloni, invece, definisce il fenomeno in esame come “…la convenienza ad

avviare e/o continuare una data attività imprenditoriale o la validità di un progetto di investimento”; Paoloni M., Appunti di economia aziendale, Quattroventi, Urbino, 2001, pag. 51. Secondo Airoldi, Brunetti e Coda costituisce una “…condizione di funzionamento dell’azienda, come modalità che consente all’attività aziendale

di perseguire le finalità generali di istituto”; Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Lezioni di economia aziendale, op. cit., pag. 329. Per Cavenago rappresenta invece “…un criterio di scelta della condotta aziendale”; Cavenago D., Scelte aziendali ed economicità, op. cit., pag. 137. Sul punto si vedano anche: Corticelli R., La crescita

dell’azienda. Armonie e disarmonie di gestione, Giuffrè, Milano, 1992, pag. 110; Onida P., “Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione dell’impresa”, Rivista dei Dottori Commercialisti, gennaio-febbraio, 1961.

Secondo tale approccio, pertanto, l’aspetto economico della gestione aziendale deve preliminarmente venire riguardato in un’ottica di costi e ricavi, variamente interrelati gli uni agli altri e unitariamente configurati nello spazio e nel tempo: l’azienda, infatti, sostiene dei costi per acquisire sul mercato gli input produttivi di cui necessita per l’esplicazione dei propri processi produttivi, parallelamente conseguendo dei ricavi in seguito all’allocazione presso il pubblico dei beni e dei servizi prodotti.

La gestione d’impresa trova quindi alimentazione ed iterazione dal conseguimento dei ricavi, ed è proprio nell’alternato susseguirsi di quest’ultimi con i relativi costi che è necessario individuare le condizioni affinché l’istituto economico possa perdurare nel tempo: come poc’anzi accennato, infatti, i ricavi prodotti dalla gestione dovranno tendenzialmente ristorare tutti i portatori dei fattori impiegati nel ciclo produttivo, sia quelli la cui remunerazione è stabilita contrattualmente (e che pertanto costituisce a tutti gli effetti un costo di gestione), sia quelli la cui remunerazione è soltanto eventuale e residuale, in misura congrua rispetto al rischio sopportato.

L’equilibrio economico o autosufficienza economica consiste dunque “…nell’attitudine

della gestione aziendale a generare un flusso di ricavi che, alle condizioni richieste dal mercato, risulta idoneo a coprire i fattori di produzione in posizione contrattuale e a remunerare congruamente quelli in posizione residuale”78, in ciò prefigurando la condizione- base dell’economicità e parimenti costituendo uno dei vincoli che l’impresa deve necessariamente soddisfare per poter sopravvivere nel tempo.

In linea generale, il giudizio di equilibrio economico si estrinseca nella considerazione di due presupposti, contigui e coordinati:

• il primo (cui peraltro si è già fatto cenno al momento di definire il significato di autosufficienza economica), risiede nell’attitudine dell’azienda a preservare l’integrità del capitale in previsione della continuità dell’attività imprenditoriale, e trova soddisfazione nella misura in cui il reddito generato dalla gestione risulti sufficiente a garantire il pieno reintegro dei fattori impiegati nei processi produttivi nonché a remunerare congruamente il capitale apportato dai soci (o dall’imprenditore

78 Secondo il Paoloni “…l’impresa si trova in equilibrio economico nel momento in cui, alle condizioni di

mercato o alle condizioni cui debba ritenersi vincolata, riesce ad ottenere entrate capaci di remunerare sia i fattori in posizione contrattuale (ad es. manodopera), sia quelli in posizione residuale (ad es. capitale di rischio)”, Paoloni M., Appunti di economia aziendale, op. cit., pag. 52. Per il Troina “…un’impresa è

economicamente equilibrata allorquando – tramite i flussi di ricavi - riesce a remunerare, così come previsto dal mercato, tutti i fattori produttivi che ha vincolato a sé con remunerazione contrattuale e tendenzialmente riesce anche a remunerare congruamente i fattori su cui grava, in prima linea, il rischio generico d’impresa”, Troina G., Lezioni di Economia aziendale, op. cit., pag. 67. Sul punto si vedano anche: Zanda G., Il bilancio

delle società. Lineamenti teorici e modelli di redazione, Giappichelli, Torino, 2007, pag. 14; Onida P., Economia

d’azienda, op. cit., pag. 58; Airoldi G., Brunetti G., Coda V., Lezioni di economia aziendale, op. cit., pag. 334; Ferrero G., Istituzioni di economia d’azienda, op. cit., pag. 198.

individuale). Si parla, in tal senso, di condizione oggettiva dell’equilibrio economico, rilevata dalla sussistenza di una adeguata eccedenza dei ricavi sui costi d’esercizio; • la seconda condizione dell’autosufficienza economica (c.d. soggettiva), invece,

concerne l’attitudine dell’impresa a conseguire gli obiettivi di performance prefissati dall’organo direttivo, avendo in particolare riguardo dell’adeguatezza dei flussi di ricchezza periodicamente ritratti dalla gestione operativa nel sostenere efficacemente il processo di sviluppo aziendale.

Si evince pertanto come dalla considerazione di entrambi i profili, oggettivo e soggettivo, sia possibile pervenire ad un giudizio di equilibrio economico che “…implica la

considerazione delle prospettive di evoluzione dell’impresa (e non solo, quindi, di raggiungimento di meccaniche condizioni di minimo equilibrio tra ricavi e costi) nonché l’espressione di un giudizio complessivo formulato, essenzialmente, dai componenti del soggetto economico, tenuto conto delle aspettative degli interessi esterni aziendali” 79.

Peraltro, la definizione di equilibrio economico necessita di alcune precisazioni, in particolare con riguardo al fattore tempo.

Il requisito dell’autosufficienza economica di un’azienda, infatti, può essere riguardato in relazione a differenti periodi temporali (in generale, nel breve-medio e lungo periodo), posto che il reddito, quale espressione della remunerazione del capitale di rischio investito in una data attività imprenditoriale, può essere stimato avendo come riferimento l’intero ciclo di vita aziendale (si parla in tal caso di reddito totale) ovvero i vari esercizi in cui viene arbitrariamente suddivisa, per comune prassi amministrativa, l’iterata ed unitaria esistenza dell’istituto medesimo (c.d. reddito d’esercizio).

A tal riguardo, acclarato che l’impresa “…non è un accidente della vita economica ma

una organizzazione di beni e di persone per sua natura atta a perdurare nel tempo”, da cui necessariamente consegue che “…l’unità economica della gestione vieta di determinare, se

non per astrazione, equilibri economici per singoli esercizi”80, appare a nostro avviso evidente come l’apprezzamento dell’equilibrio economico (specie nel suo aspetto soggettivo) dovrebbe plausibilmente effettuarsi con esclusivo riferimento al medio-lungo periodo.

Nella normalità dei casi, infatti, su un orizzonte temporale di breve termine l’attività gestionale potrebbe risultare economicamente squilibrata non soltanto a causa di temporanee congiunture sfavorevoli, ma anche a motivo del tempo fisiologicamente necessario affinché date iniziative produttive o commerciali possano dare pieno frutto, mentre un’analisi delle

79 Cattaneo M., Economia delle aziende di produzione, Etas, Milano, 1969, pag. 153. 80 Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese, op. cit., pag. 23.

prospettive reddituali condotta su periodi di tempo sufficientemente lunghi81 potrebbe rivelare

adeguate e durevoli condizioni di autosufficienza, tali da consentire all’azienda di superare l’alternanza di esercizi ora favorevoli ora avversi.

Quanto sopra è particolarmente vero nel periodo di avvio e di primo sviluppo di un’impresa neocostituita, quando il volume dei ricavi ben difficilmente risulta sufficiente a coprire sia i costi d’esercizio che quelli di struttura, ivi compresi gli oneri d’avviamento della produzione, e pertanto il verificarsi di costanti perdite d’esercizio non dovrebbe di per sè comportare un giudizio tout court negativo sulla possibilità di permanenza in vita dell’istituto medesimo, ovviamente nella misura in cui sussistano apprezzabili e concordanti prospettive di recupero.

Al contrario, in condizioni particolarmente favorevoli ma non destinate a perdurare, un’azienda potrebbe per breve tempo raggiungere l’equilibrio pur non presentando nel lungo termine apprezzabili prospettive di autosufficienza, dato che una vacua ed effimera sopravvivenza economica potrebbe trovare origine in politiche aziendali tanto spregiudicate quanto miopi, volte alla scellerata massimizzazione di una performance aziendale di corto respiro a prezzo di un generale impoverimento della complessiva struttura (e quindi della lesione delle capacità dell’impresa di raggiungere un durevole e redditizio equilibrio in futuro).

A tal proposito, l’Onida raccomanda di distinguere i giudizi sull’economicità della gestione a seconda che trovino riferimento nel breve periodo oppure nel medio-lungo termine, appunto al fine di evitare il possibile rigetto di iniziative imprenditoriali inidonee al raggiungimento di profitti immediati ovvero l’accoglimento di “…progetti illusori non

concretamente realizzabili, perché fondati sulla ristretta considerazione di condizioni presenti favorevoli ma transitorie o su di un’insufficiente ponderazione delle forze necessarie per superare le difficoltà del primo avviamento o di ricorrenti fasi avverse”82.

Acclarato quindi che l’intervallo temporale più adatto ai fini dell’apprezzamento dell’economicità d’impresa (posto che l’equilibrio economico ne costituisce una delle condizioni determinative) risulta senz’altro essere il lungo periodo, ne deriva che la sede primaria in cui devono trovare formulazione le decisioni volte ad influenzare le condizioni di equilibrio del sistema aziendale sia quella in cui si formulano i piani strategici, ossia quei

81 Corticelli R., La crescita dell’azienda. Armonie e disarmonie di gestione, op. cit., pag. 84; Zanda G., Il

bilancio delle società. Lineamenti teorici e modelli di redazione, op. cit., pag. 14. 82 Onida P., Economia d’azienda, op. cit., pag. 59.

“…piani che definiscono le linee di fondo dello sviluppo dell’attività dell’impresa vista nella sua interezza spaziale e nella sua proiezione temporale di lungo periodo”83.

Nella predisposizione di detti piani, appunto in grado di valorizzare il potenziale economico prospettico dell’impresa nella sua accezione qualitativa prima ancora che quantitativo-dimensionale (con ciò intendendo la crescita dell’impresa come complessiva organizzazione e del suo personale in termini di professionalità, efficienza, innovatività e velocità di adattamento alle mutevoli esigenze del mercato84), l’organo di comando deve dare l’impronta allo sviluppo che la complessiva organizzazione dovrà maturare in considerazione dei caratteri dinamici ed evolutivi del contesto competitivo, possibilmente cercando di anticipare e dominare tali caratteri.

L’importanza delle scelte assunte in sede strategica appare quindi oltremodo rilevante con riguardo al fine dell’impresa economica, trattandosi spesso di decisioni difficilmente reversibili con cui si destinano e vincolano risorse limitate su un orizzonte temporale più o meno ampio al fine di assicurare il raggiungimento di una congrua redditività, in tal guisa acquisendo la condizione di durevolezza dell’istituto medesimo.

Naturalmente, appare chiaro come la conseguibilità di una durevole condizione di autosufficienza nel lungo periodo derivi strettamente dalla capacità dell’impresa di sopportare, economicamente e finanziariamente85, le eventuali insufficienze reddituali aventi

manifestazione nel breve/medio termine.

Infatti, all’aumentare del “tempo d’attesa” richiesto per il raggiungimento dell’autosufficienza economica deve necessariamente fare riscontro un commisurato e concorde aumento della “capacità d’attesa” in capo alla data azienda, con la conseguenza che il grado di sostenibilità di una qualunque iniziativa imprenditoriale deriva alfine dall’attitudine dell’istituto a perpetrare la normale attività gestoria pur a fronte di una condizione di disequilibrio più o meno accentuato.

Ad adiuvandum, più ancora che con riferimento all’azienda considerata nella sua veste di soggetto giuridico autonomo, la sopportabilità del complesso di iniziative imprenditoriali deve venire riguardata con riferimento alla disponibilità dei soci (e segnatamente del soggetto cui afferisce il capitale di comando) a rinunciare temporaneamente alla congrua remunerazione del capitale investito nell’impresa a titolo di rischio, facendo piuttosto fronte alle eventuali e temporanee insufficienze reddituali tramite l’apporto di nuovo capitale: laddove ciò non fosse possibile, è evidente, il giudizio sulla conseguibilità

83 Marchini I., “Efficienza, produttività, redditività, economicità nell’impresa”, op. cit.

84 Coda V., “L’orientamento strategico dell’impresa”, Finanza, Marketing e Produzione, n. 1, 1989. 85 Sarcone S., L’azienda, caratteri d’istituto, soggetti, economicità, Giuffrè, Milano, 1997, pag. 123.

dell’autosufficienza economica in una prospettiva di lungo periodo non potrebbe che essere negativo.

È pertanto possibile affermare che la veste giuridica dell’azienda, le caratteristiche dei soggetti appartenenti alla compagine sociale, la maggiore o minore solidità finanziaria di quest’ultima e del soggetto economico cui la stessa sottende, la generale congiuntura economica e quella specifica del mercato nel quale l’azienda opera, i rapporti più o meno buoni intrattenuti con le banche e altri stakeholders (ivi compresi i fornitori), sono tutti elementi il cui vario comporsi concorre a determinare la “capacità d’attesa” di una data azienda in modo assolutamente differente da quella di qualsiasi altra86.