4. L’ECONOMICITÀ DI GRUPPO
4.1. Premessa: l’economicità super-aziendale
L’evoluzione storica del fenomeno dei gruppi aziendali ha evidenziato come la tipologia di processo aggregativo in esame nasca quando, a giudizio di chi governa un dato sistema aziendale, il sistema medesimo non appare più sufficientemente funzionale al soddisfacimento dei propri fini ontologici (quanto meno sotto l’aspetto dimensionale, poiché il processo di globalizzazione abbrevia i tempi di ricerca dell’ottima dimensione flessibile al mutare del contesto internazionale) e se ne ricerca, perciò, una sostanziale modifica attraverso l’aggregazione con altri sistemi aziendali.
In tal guisa, il gruppo rappresenta quel modello di “azienda” che più e meglio di altri, soprattutto in confronto con la grande impresa singola, ottempera all’esigenza di assicurare il durevole mantenimento di una condizione di equilibrio dinamico sotto la spinta di molteplici influssi, sia interni che esterni al complesso, al punto da potersi affermare che “…i gruppi,
quali fenomeni di concentrazione con finalità ultime economiche, sono quelle realtà poste in essere per motivi di economicità delle aziende coinvolte e, quindi, per migliorare detta economicità, se fosse già esistente, per mantenerla, se fosse in pericolo, o per riconquistarla, se fosse stata temporaneamente perduta”325.
A tal riguardo, come è noto l’aspetto economico della gestione concerne l’esercizio dell’azienda dal punto di vista dei costi e dei ricavi nonché delle relazioni tra gli uni e gli altri variamente configurate nel tempo e nello spazio: affinché un’azienda di produzione possa svolgere la propria attività istituzionale deve infatti acquisire sul mercato i fattori di cui necessita, sostenendo costi e, successivamente, collocare sul medesimo i prodotti ottenuti conseguendo i correlati ricavi.
L’iterazione del prefato processo trova quindi nei ricavi il proprio “volano”, ed è esattamente nella relazione costi-ricavi che l’azienda deve trovare le condizioni per poter perdurare nel tempo, ovvero quest’ultimi dovranno tendenzialmente remunerare, alle condizioni richieste dal mercato, tutti i portatori dei fattori produttivi impiegati nel ciclo produttivo, ivi compreso il capitale di rischio a prescindere dalla forma dal medesimo concretamente assunta: secondo tale approccio, pertanto, l’equilibrio economico
dell’esercizio, più ancora della mera autosufficienza, costituisce la condizione primaria dell’economicità, e quindi della capacità dell’azienda di perdurare nel tempo.
Come accennato nel secondo capitolo, il giudizio sull’equilibrio economico è generalmente basato sull’accertamento di due tipi di condizioni:
• la prima, insita nella definizione stessa di equilibrio economico, prefigura l’attitudine dell’impresa a preservare l’integrità del capitale in essa investito a titolo di rischio in previsione della continuità della gestione, con ciò riferendosi, in senso lato, alle condizioni
oggettive di equilibrio economico, soddisfatte dal divario positivo tra i ricavi ed i costi di gestione: tale condizione, in altre parole, è soddisfatta se e nella misura in cui il reddito generato dalla gestione è sufficiente a garantire un pieno reintegro dei fattori impiegati nei processi di produzione e a remunerare il capitale apportato dai soci, in misura congrua rispetto al rischio e alle aspettative di cui quest’ultimi sono portatori;
• la seconda concerne la capacità dell’impresa di realizzare i programmi di gestione che le sono stati assegnati dal proprio soggetto economico, ovvero l’adeguatezza dei flussi di ricchezza generati periodicamente a sostenere gli investimenti originati dai suoi piani di sviluppo mantenendo il ricorso all’indebitamento entro i limiti desiderati: detto profilo di equilibrio è quindi di natura soggettiva.
Alla luce di entrambi i citati profili, oggettivo e soggettivo, è possibile delineare un giudizio di equilibrio economico che “…implica, dunque, la considerazione delle prospettive
di evoluzione dell’impresa (e non solo, quindi, di raggiungimento di meccaniche condizioni di minimo equilibrio tra ricavi e costi) nonché l’espressione di un giudizio complessivo formulato, essenzialmente, dai componenti del soggetto economico, tenuto conto delle aspettative degli interessi esterni aziendali”326.
Peraltro si evidenzia come l’analisi delle condizioni dell’equilibrio economico aziendale assume una diversa prospettiva quando riferita all’apprezzamento dell’economicità di un’impresa inserita in un gruppo, posto che le diverse strategie con cui, nell’ambito della direzione unitaria del complesso, l’unitario soggetto economico persegue il suo programma, sono di particolare rilevanza nell’influenzare la vitalità della singola entità produttiva: se infatti si estende il concetto di equilibrio, soggettivo ed oggettivo, ai gruppi aziendali (totalmente o parzialmente integrati), gli obiettivi dell’unico soggetto di governo potrebbero anche trascendere l’individualità della singola controllata facendo piuttosto capo ad una auspicata sua utilità per il perseguimento di un progetto complessivo afferente l’aggregato.
Un’ulteriore questione si pone relativamente all’individuazione delle condizioni produttive e dei soggetti cui riferirsi per l’accertamento delle condizioni di equilibrio, sia oggettivo che soggettivo, posto che a tale proposito ogni giudizio relativo alle condizioni di equilibrio può caratterizzarsi per diversi ambiti di riferimento con riguardo al gruppo: quello delle singole unità aziendali, della sola capogruppo, dell’aggregato nella sua interezza ovvero di porzioni dell’intero complesso (i sottogruppi), a loro volta identificati in virtù del vincolo di partecipazione che li collega ad una “sotto-capogruppo” (c.d. sub-holding, che svolge sulle sue controllate la funzione di indirizzo), oppure ancora sottogruppi di unità aziendali supervisionati dalla holding, ma che costituiscono raggruppamenti di unità differenti in virtù della complementarietà dei processi che in o fra esse si svolgono.
Ne consegue che non è concesso esprimere giudizi complessivi di gruppo trascurando quello nel gruppo, e viceversa: si evidenzia infatti che in tale tipologia di aggregato, a differenza di quanto avviene nella singola impresa, per i portatori dei fattori a remunerazione residuale si configura spesso un esito disomogeneo (di utile ovvero perdita) con riguardo ai loro apporti, ossia a fronte della congrua remunerazione dei soci di maggioranza possono esservi minoranze di singole o più aziende in perdita, e viceversa327.
In molte circostanze e, comunque, non in modo assoluto, si attesta quindi la mancanza di una significatività assoluta, ai fini dell’analisi degli equilibri e dell’economicità del complesso, dei risultati gestionali parziali conseguiti dalle singole entità costituenti il complesso: ciò è particolarmente vero quando il soggetto economico del gruppo consente la durevole presenza di consociate che pur versando in situazioni di perdita sono comunque funzionali al raggiungimento degli obiettivi dell’aggregato riguardato nella sua interezza, con la conseguenza che i risultati delle singole unità hanno una valenza del tutto “parziale” sia quando fra di esse siano sviluppate forti integrazioni delle specifiche attività, sia in considerazione del modo in cui avviene la distribuzione della ricchezza all’interno del gruppo. In altre parole, l’aspetto positivo dell’equilibrio economico è ciò che più rileva nel dettare le differenze insite nell’apprezzamento della stessa condizione di economicità (l’equilibrio economico) in un’impresa completamente autonoma rispetto al caso di un’impresa che è gestita sulla base delle direttive di un’impresa capogruppo, in considerazione del fatto che la peculiarità di un gruppo di imprese risiede proprio nella condivisione del soggetto economico da parte di più soggetti giuridici: in tali contesti ci si può attendere che l’unico soggetto economico di ciascuna sia portato a considerare, anzitutto, l’aggruppamento nel suo insieme, piuttosto che le singole imprese che lo compongono, per cui l’eventuale situazione di
squilibrio in capo ad un’unità del gruppo sarà per tale soggetto un aspetto locale del più ampio equilibrio economico ricercato a livello di gruppo, ed in quanto tale verrà valutata nelle conseguenze (in altre parole, lo squilibrio economico di un’impresa facente parte di un gruppo ha un diverso significato rispetto all’analoga condizione di un’impresa singola, laddove le condizioni per la sua durabilità vengano poi recuperate ad un livello sovraziendale).
Posto quindi che l’equilibrio economico di gruppo potrebbe non accompagnarsi, per vari ordini di motivi, a quello delle singole unità aziendali che ne fanno parte, si pone la questione se di fronte a tale tipologia di aggregato di imprese debba ricercarsi un “equilibrio di sistema”o piuttosto un “sistema di equilibri”.
L’espressione del giudizio economico di gruppo richiede infatti la soluzione del problema del significato da attribuire alle eventuali asimmetrie nei risultati della gestione che si dovessero registrare all’interno dell’aggregato, dovendosi assegnare un peso adeguato alla combinazione di equilibri parziali da cui ha avuto origine quello globale, soprattutto nella misura in cui essi comportino diversi livelli di remunerazione del capitale di rischio complessivamente attratto nel gruppo.
In tal guisa, con riferimento ad un’impresa non più osservata singolarmente ma in seno ad economie più vaste, assunte come unità sistemica nella molteplicità, è possibile estendere le condizioni di economicità aziendale in precedenza indagate ai sistemi in esame e quindi introdurre quella che Onida denomina “economicità super-aziendale di gruppo”, relativa appunto all’azienda operante all’interno di economie più vaste ma colte in senso unitario. Se ne distinguono due accezioni: la prima, l’economicità aziendale conseguibile esclusivamente in seno al gruppo, concernente il caso di aziende che risultano economiche grazie proprio all’appartenenza al gruppo e che al di fuori risulterebbero meno economiche o prive del tutto del carattere della durabilità; la seconda, più propriamente indicata come economicità super- aziendale tout court o economicità di gruppo, si palesa invece quando “…aziende che
neanche entro il gruppo riescono né presumibilmente riusciranno, almeno per tempo lungo o indefinito, a raggiungere l’autosufficienza economica dell’esercizio e risultati positivi di bilancio, ma che il gruppo ha tuttavia convenienza a mantenere in vita o comunque non può abbandonare senza danno per la sua complessa economia”328.