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Tipologie che considerano la natura della capogruppo.

5. TIPOLOGIE DI GRUPPI AZIENDAL

5.4. Tipologie che considerano la natura della capogruppo.

I criteri in esame classificano gli aggregati aziendali sulla base delle caratteristiche economico-giuridiche della capogruppo oppure dei soci che la controllano, all’uopo distinguendo: i gruppi pubblici, i gruppi privati e quelli misti, quando si consideri la natura giuridica del socio di maggioranza407 della capogruppo; i gruppi controllati da una holding esclusivamente finanziaria da quelli controllati da una holding anche operativa, quando si consideri l’attività economica svolta dalla capogruppo.

a) Natura giuridica del socio di maggioranza della capogruppo

Per definire la natura pubblica o privata di un gruppo aziendale si deve valutare la natura del socio di maggioranza (soggetto economico) della società capogruppo408, poiché sia le aziende costituenti i gruppi pubblici, sia quelle costituenti i gruppi privati, utilizzano la struttura privatistica delle società di capitali (altrimenti si tratterebbe di enti pubblici economici). Tale distinzione è di fondamentale importanza perché la natura del gruppo influenza notevolmente i comportamenti adottati nonché le finalità istituzionali perseguite dalle imprese costituenti il complesso409: così se la finalità economica di un gruppo privato è normalmente quella di rimunerare adeguatamente tutti i fattori della produzione, ivi compresi quelli in posizione residuale (segnatamente, il capitale di rischio apportato dai soci), lo scopo dei gruppi pubblici è invece quello di produrre beni e servizi in quantità e qualità sufficienti a soddisfare i bisogni della collettività (o di specifiche categorie di essa).

Il criterio in esame consente quindi di individuare i:410

1) gruppi pubblici, la cui società di vertice (holding) è controllata direttamente dallo Stato o da un ente pubblico: si tratta, in altre parole, di quei gruppi che hanno un soggetto

407 Marano M., La struttura di gruppo nell’economia d’impresa, op. cit., pag. 67. L’Autore aggiunge che

“…infatti, pur se la natura pubblica o privata del soggetto giuridico non è priva di rilevanti conseguenze sulla vita aziendale (si pensi alla natura degli atti che si concludono nello svolgimento dell’attività aziendale o all’applicabilità delle norme del fallimento) diventa rilevante guardare il carattere pubblico o privato del soggetto economico”.

408 Amaduzzi A., Ricerche di economia dell’azienda industriale, Utet, Torino, 1965, pag. 80. L’Autore valorizza quindi il criterio classificatorio basato sulla natura del soggetto economico, dato che “…il carattere privato o

pubblico dell’azienda viene comunque meglio rivelato dalla considerazione del suo soggetto economico”. Il Coda al riguardo sottolinea che “…la distinzione in oggetto ha perso molto del suo significato originario, in

quanto sempre più il soggetto economico è chiamato a gestire l’azienda, sia essa pubblica o privata, in termini di redditività, competitività e socialità”; Coda V., L’orientamento strategico dell’impresa, op. cit., pag. 5. 409 Per una esaustiva disamina della tematica in esame, in particolare con riguardo alla classificazione delle aziende (e degli aggregati aziendali) in base alla relativa finalità istituzionale, si veda: Paoloni M., Grandis F.G.,

La dimensione aziendale delle amministrazioni pubbliche, op. cit.

410 Si vedano in proposito: Saraceno P., Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell’esperienza italiana, Giuffrè, Milano, 1975; Cafferata R., “Il sistema delle partecipazioni statali in Italia. Dalle origini alle privatizzazioni”, in: “L’intervento pubblico nel governo delle imprese: l’esperienza italiana”, supplemento di

economico di natura pubblica, ma che per la loro struttura giuridica di diritto privato operano a tutti gli effetti come società commerciali411;

2) gruppi privati, in cui il controllo della capogruppo è detenuto da persone fisiche;

3) gruppi misti, nei quali il controllo della holding è ripartito in modo paritario tra un socio di natura pubblica e un socio (o un insieme di soci) costituito da una persona fisica (o da una persona giuridica privata a sua volta controllata da una persona fisica).

Più specificamente, per distinguere i gruppi pubblici dai gruppi privati occorre individuare, innanzi tutto, il soggetto economico del gruppo, normalmente identificato nel soggetto economico della società holding412: acclarato quindi che si considerano “pubblici” quegli aggregati di imprese contraddistinti dalla presenza di un comune soggetto economico di diritto pubblico, in tale ultimo ambito si possono ulteriormente distinguere i gruppi a partecipazione statale dai gruppi di imprese pubbliche locali.

Per quanto concerne i primi, le partecipazioni di controllo sono detenute dallo Stato spesso attraverso una articolata catena di controllo, che sino ad anni recenti aveva il suo punto di riferimento negli enti autonomi di gestione, più recentemente trasformati in società per azioni controllate dal Ministero del Tesoro413.

Meno immediata risulta, invece, l’identificazione del secondo modello sopra richiamato: ci si riferisce, infatti, all’insieme di aziende di produzione direttamente controllate da un ente locale territoriale, tipicamente rappresentato da un comune o, in modo meno frequente nella realtà, da un provincia414.

Un’ulteriore criterio atto a distinguere i gruppi “privati” da quelli “pubblici”, risiede, come anticipato, nel diverso fine istituzionale che normalmente connota le citate tipologie, posto che risulta strettamente correlata alla natura del soggetto economico, e quindi alla natura

411 In altre parole “…le aziende operano come società commerciali e ne mantengono a tutti gli effetti la forma e,

come tali, si muovono nell’ambito del codice civile, al pari delle aziende di pertinenza di soggetti privati”; Ferrero G., Istituzioni di economia d’azienda, op. cit., pag. 52.

412 Passaponti B., Politiche di aggregazione aziendali. Attinenze e diversificazioni, op. cit., pag. 157. Per l’Autore “…l’azienda su cui verte di fatto il controllo unitario dell’area aggregativi e che, pertanto, nel

fenomeno generale assume un particolare rilievo è la capogruppo. In realtà, questa è soltanto un’unità componente la cui posizione di preminenza deriva dall’immediato collegamento con il soggetto economico comune. L’azienda-guida, in quanto tale, non è mai subordinata al controllo di altre unità, per cui, senza turbare l’ortodossa configurazione dello schema aggregativi, può non avere la forma di società di capitali, ma una qualsiasi conformazione giuridica che la abiliti genericamente al possesso di partecipazioni azionarie (al vertice di un gruppo vi possono essere, in linea di principio, anche società di persone, ma, salvo casi del tutto particolari, considerazioni di ordine pratico si oppongono a soluzioni di questo tipo). Di rilievo è stata, invece, nel nostro Paese, la configurazione della capogruppo come ente pubblico economico nell’ipotesi in cui l’aggregazione fosse di pertinenza della sfera pubblica (i principali gruppi pubblici, che fortemente hanno inciso sul modello di sviluppo industriale del nostro Paese, sono stati, o ancora sono, l’Iri, l’Eni, l’Efim, ecc.)”. 413 Marano M., La struttura di gruppo nell’economia d’impresa, op. cit., pag. 66.

414 Matteuzzi Mazzoni L., La produzione di servizi nella gestione comunale, Giappichelli, Torino, 1990, pag. 32; Garlatti A., L’impresa pubblica e il controllo del gruppo locale, Egea, Milano, 1994, pag. 142.

pubblica ovvero privata dell’aggregato, l’obiettivo al cui perseguimento il gruppo è unitariamente e coordinatamente proteso.

Secondo tale chiave di lettura, si hanno gruppi privati laddove, attraverso il loro governo, si intendano realizzare obiettivi di natura privatistica, essenzialmente riconducibili alla remunerazione congrua dei conferenti il capitale di rischio, mentre i gruppi pubblici sono in buona misura rivolti al soddisfacimento di esigenze sociali, con la conseguenza che le origini di questi ultimi di fatto derivano non tanto da ragioni spontanee di sviluppo dimensionale delle aziende, quanto da motivi di natura politico/sociale.

Non vi è dubbio che circostanze del genere non possano essere prive di effetti sul processo produttivo della ricchezza: infatti, nonostante il medesimo modo di operare conformemente alla normativa civilistica, e comunque nell’ambito del medesimo sistema economico generale, si hanno stimoli, prospettive e vincoli spesso diversi nel passare, nell’ambito dello svolgimento della produzione, dall’iniziativa privata a quella pubblica415.

Inoltre, nei sistemi economici moderni oltre ai gruppi pubblici e privati è possibile rinvenire la sussistenza di gruppi misti, nei quali il controllo della holding è ripartito, in modo non necessariamente paritario, tra un socio di natura pubblica e un socio (o un insieme di soci) costituito da una persona fisica (o da una persona giuridica privata a sua volta controllata da una persona fisica).

Essi sono promossi e spesso dominati da aziende pubbliche (a volte in seguito all’assunzione del controllo da parte di quest’ultime di gruppi privati preesistenti) e sono normalmente volti al perseguimento di finalità di natura sociale; tuttavia, specialmente per le loro dimensioni e le caratteristiche delle produzioni effettuate, non possono sorgere ed operare convenientemente senza la collaborazione di aziende private, che appunto dispongono delle competenze e dei capitali all’uopo necessari.

Si rileva però che i limiti posti dalle esigenze delle aziende private all’azione del soggetto economico, espresso dalle aziende pubbliche nell’ipotesi in cui detengano il controllo, sono giudicati spesso tanto incisivi da indurre quest’ultime a rinunciare o a ridurre la collaborazione dei soggetti privati, o ad ottenerla in forme che non comportino interventi nella gestione e nel campo di decisione.

415 Passaponti B., Politiche di aggregazione aziendale. Attinenze e diversificazioni, op. cit., pag. 164. Per l’Autore “…il problema è che certe condizioni dell’equilibrio economico delle aziende non sono, nel settore

pubblico, sacrificate in ossequio ad esigenze politiche e sociali e che le imprese, ancorché utilizzate come strumenti per obiettivi più generali, non perdono di vista il loro vero fine”.

b) Attività economica svolta dalla capogruppo

Come è ormai noto, i gruppi aziendali sono costituiti da un numero variabile di imprese svolgenti attività differenti ed aventi ruoli diversi all’interno dell’aggregato. Tra le diverse aziende appartenenti al gruppo quella collocata al vertice della piramide societaria (c.d. capogruppo o holding), costituisce la sede di esercizio del supremo potere decisionale con riguardo all’intero complesso: considerata l’importanza del ruolo ricoperto dall’azienda capogruppo, alcuni Autori416 hanno proposto una classificazione dei gruppi aziendali sulla base dell’attività realizzata da tale società. Si possono così distinguere417:

1) gruppi controllati da una holding pura o finanziaria: sono aggregati in cui la capogruppo è una società finanziaria che si limita a gestire le partecipazioni azionarie possedute nelle diverse società del gruppo, e a governare le risorse finanziarie da quest’ultime complessivamente prodotte o richieste. È proprio la lettura del bilancio di una holding pura ad evidenziare l’assenza di un’attività industriale, dato che il patrimonio risulta formato prevalentemente da un complesso di partecipazioni e di crediti di finanziamento nei confronti delle società controllate, a cui generalmente si aggiungono altri investimenti di natura finanziaria, mentre nel conto economico, a fronte di costi di struttura, oneri finanziari ed imposte, sono rinvenibili esclusivamente dividendi ed interessi attivi418; 2) gruppi controllati da una holding mista o industriale: sono gruppi in cui la capogruppo

affianca all’attività di gestione delle partecipazioni, di coordinamento delle strategie e di gestione finanziaria del gruppo nella sua interezza, anche un’attività operativa finalizzata alla produzione e alla commercializzazione di beni o servizi. In tale seconda ipotesi, oltre alle voci sopra evidenziate, il bilancio comprenderà anche le tipiche voci contabili connesse alla gestione di un’attività industriale419.

416 Si vedano in proposito: Azzini L., I gruppi. Lineamenti economico-aziendali, op. cit., pag. 84; Pepe F.,

Holdings, gruppi e bilanci consolidati, op. cit., pag. 44; Petix L., Aspetti della gestione finanziaria dei gruppi, Cedam, Padova, 1979., pag. 20; Saraceno P., La produzione industriale, op. cit., pag. 55.

417 Va peraltro rilevato che “… le differenze tra i due gruppi di holding hanno natura semplicemente formale;

sotto il profilo sostanziale, la distinzione non mette in evidenza due fattispecie fra loro economicamente diverse. Il fenomeno economico del gruppo resta inalterato nelle sue reali caratteristiche nell’uno e nell’altro caso e non ha rilievo il fatto che la società, la quale costituisce il centro motore del gruppo, svolga attività finanziaria ed industriale insieme, oppure soltanto la prima senza la seconda”; Pepe F., Holdings, gruppi e bilanci consolidati, op. cit., pag. 46.

418 Zattoni A., Economia e governo dei gruppi aziendali, op. cit., pag. 53.

419 Si rileva come le holding industriali siano solitamente più numerose di quelle pure, poiché il tipico percorso di sviluppo di un’impresa prevede, in una prima fase, l’acquisizione di alcune partecipazioni di controllo in altre imprese e, successivamente, la creazione di una capogruppo di natura eminentemente finanziaria. A tal riguardo il Vender afferma che “…se è vero che la holding mista rappresenta spesso un momento di transizione, non si

può asserire con altrettanta certezza che la formula mista sia insoddisfacente e come tale si debba forzatamente orientare verso la holding pura. A nostro avviso infatti è necessario tenere presente la dimensione del gruppo nonché la maggiore o minore sofisticatezza del sistema decisionale e informativo”; Vender J., “Aspetti della

formazione e della gestione finanziaria dei gruppi”, in: Pivato G. (cura di), Trattato di finanza aziendale, Franco Angeli, Milano, 1983, pag. 1125.

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