Alla progressiva riduzione dell'automa a innocuo «giochetto infantile»19 sul piano
tecnico fa dunque riscontro il parallelo depotenziamento della sua aura più spaventosa all'interno dell'immaginario letterario e, in particolare, in quei racconti e romanzi pensati specificatamente per un pubblico infantile. La nascita di opere scritte appositamente:
per utenti pre- e post-puberali non avrebbe potuto nascere prima della fine del XVII secolo, per la semplice ragione che antecedentemente a quella data l'infanzia non era concepita come qualcosa di diverso dall'età adulta: se un bambino era solo un adulto in
miniatura è perché il nefasto ciclo biologico dell'Antico Regime -con indici elevatissimi
di mortalità infantile- induceva a considerare l'infanzia come una condizione transitoria e precaria, da cui si doveva uscire al più presto20.
Dunque il sorgere di questo nuovo mercato editoriale è strettamente connesso al nascere dell'idea stessa di infanzia, un concetto moderno che si lega a una serie di fattori storici e sociali, tra cui la diminuzione del tasso di mortalità infantile, l'intensificarsi dei rapporti affettivi tra genitori e figli, la maggiore importanza conferita alla sfera intima e privata e, non per ultimo, l'innalzamento degli indici di alfabetizzazione. È proprio il processo di scolarizzazione, con la conseguente esigenza di nuove letture formative adeguate a un pubblico fanciullesco, a incoraggiare la produzione di opere dal carattere pedagogico, o in cui l'ambientazione ludica e fantastica fa da cornice a una rigida precettistica. Stefano Calabrese parla a questo proposito di «testi lucreziani, in cui calici bordati di zucchero vanigliato contenevano dosi massicce di fiele educativo o, al peggio, rieducativo»21, pur riconoscendo come l'«orientamento oppressivamente pedagogico»
non sia l'unico presente nella letteratura per l'infanzia.
La componente fantasiosa e immaginifica, infatti, non sempre è secondaria rispetto al preponderante fine didattico, ma anzi si svincola, nei suoi multiformi esiti, da ogni imperativo funzionale, divenendo sede privilegiata di un regno interiore 19 L. ALLEGRI, op. cit., p. 25.
20 S. CALABRESE, Letteratura per l'infanzia. Fiaba, romanzo di formazione, crossover, UBM, Milano
2013, p. 6.
dominato dall'emotività. È proprio «il mondo incantato»22 delle fiabe a configurarsi
come campo d'azione peculiare di prodigi magici, oggetti che si animano, marionette e burattini che prendono vita in conformità ai desideri più intimi dei bambini a cui si rivolgono. La narrazione fiabesca, proprio in virtù delle sue continue esagerazioni fantastiche, si configura, infatti, come «forma di comunicazione privilegiata degli adulti con i bambini, nel presupposto che questi ultimi siano ancora cognitivamente incapaci di distinguere il reale dall'immaginario e il possibile dall'impossibile»23.
Nella misura in cui «i processi inconsci del bambino possono chiarirglisi soltanto attraverso immagini che parlano direttamente al suo inconscio»24, il prodigioso
animarsi di materia inorganica, oggetti e animali che di colpo prendono la parola, o provano emozioni di gioia e dolore proprio come gli esseri umani, non sono elementi accolti con sconcerto da parte del giovanissimo lettore, che anzi li trova conformi al suo intimo modo di sentire. In altri termini, «nel contenuto delle fiabe vengono espressi in forma simbolica fenomeni psicologici interiori»25, che la dimensione del
soprannaturale colloca a debita distanza dalla realtà fisica del bambino, debellando in modo definitivo ogni possibile effetto di perturbamento.
È proprio per questa caratteristica intrinseca al fantastico fiabesco che Freud esclude «forse troppo drasticamente, la possibilità stessa dell'Unheimliche»26
all'interno del genere:
Le fiabe accolgono apertamente l'opinione animistica sull'onnipotenza dei desideri e dei pensieri, eppure non riesco a ricordare alcuna fiaba autentica che abbia in sé alcunché di perturbante.
[…] nei racconti di Andersen le suppellettili casalinghe, i mobili e i soldatini di latta sono vivi, ma nulla potrebbe essere più lontano dal perturbante.27
Questa esclusione si spiega ancora una volta in rapporto all'elemento chiave perché sussista il perturbante, ovvero un contesto realistico e ordinario, di cui l'evento soprannaturale rappresenti una lacerazione, un'inspiegabile anomalia. Il necessario presupposto per poter parlare di ritorno del represso è la prospettiva razionalistica, poiché «nel regno della fantasia non sono perturbanti molti fatti, che 22 L'espressione deriva dal già citato saggio di Bruno Bettelheim.
23 S. CALABRESE, Letteratura per l'infanzia, cit., pp. 11-12.
24 B. BETTELHEIM, op. cit., p. 34.
25 Ibidem, p. 39.
26 P. PELLINI, op. cit., p. 61.
risulterebbero tali nella vita»28. Questa intuizione, che Francesco Orlando definisce
«fondamentale»29, rimarrà un concetto fondante anche per le varie teorizzazioni del
fantastico letterario, poiché già in Caillois:
Il fiabesco è un universo meraviglioso che si affianca al mondo reale senza sconvolgerlo e senza distruggerne la coerenza. Il fantastico invece rivela uno scandalo, una lacerazione, un'irruzione insolita, quasi insopportabile nel mondo reale.30
Prima ancora di domandarci se sia possibile o meno parlare di una dimensione soprannaturale all'interno di questo genere, e quali significati essa veicoli, sarà opportuno soffermarci sull'interpretazione psicoanalitica delle fiabe fornita da Bruno Bettelheim nel suo saggio Il mondo incantato, pubblicato per la prima volta nel 1976 e qui assunto come testo chiave per orientarsi nel foltissimo panorama di studi sull'argomento. A più riprese, nel corso della sua analisi, Bettelheim evidenzia come l'elemento fantastico della narrazione fiabesca risponda all'«esigenza di magia del bambino», essendo in grado di parlare «contemporaneamente alla nostra mente conscia e inconscia, a tutti e tre i suoi aspetti – Es, Io Super-io»31, e di guidarlo nel
difficile processo di maturazione e integrazione della personalità. L'efficacia della modalità comunicativa della fiaba sta proprio nell'assenza di qualsiasi precetto o imperativo ad agire, elementi esplicitati, invece, all'interno della favola moraleggiante e nel mito. Un ulteriore discrimine tra mito e fiaba è individuato da Bettelheim nel sostanziale «ottimismo» di quest'ultima, in grado di rassicurare il bambino sul successo dei suoi tentativi di maturazione, grazie al lieto fine delle vicende narrate:
I miti proiettano una personalità ideale che agisce sulla base delle richieste del Super-io, mentre le fiabe illustrano un'integrazione dell'Io che consente un'adeguata soddisfazione dei desideri dell'Es. La differenza spiega il contrasto fra il radicato pessimismo dei miti e il sostanziale ottimismo delle fiabe.32
In virtù dell'indeterminatezza del paesaggio fiabesco e della sua lontananza dal piano del reale, sono state spesso evidenziate «le analogie tra gli eventi fantastici nei miti e nelle fiabe e quelli che hanno luogo nei sogni e nelle fantasticherie degli 28 Ibidem, p. 1068.
29 F. ORLANDO, Il soprannaturale letterario, cit., p. 4.
30 R. CAILLOIS, De la féerie à la science-fiction [1966], (trad. it.) P. REPETTI, Edizioni Theoria, Roma-
Napoli 1991, p. 19.
31 B. BETTELHEIM, op. cit., p. 39.
adulti»33, sebbene gli elementi della fiaba che potremmo definire «onirici» presentino
due fondamentali differenze: in primo luogo essi esprimono apertamente quei desideri che nei sogni appaiono mascherati o sottoposti a censure; in seconda istanza mostrano «un contenuto comune conscio e inconscio che è stato plasmato dalla mente conscia». Mentre, dunque, nei sogni agisce quella che Freud chiama «elaborazione secondaria», processo inconscio attraverso il quale viene data una forma narrativa coerente al materiale onirico, nel racconto fiabesco esso è orchestrato da un intervento cosciente, cosicché «il potenziale eversivo e centrifugo di questi mondi possibili sia ammortizzato dalla regia di un narratore adulto che orienta alla fine l'intreccio verso conclusioni normalizzanti»34.
Tralasciando le analisi proposte dalle teorie strutturaliste, inaugurate dalla
Morfologia della fiaba di Propp, Stefano Calabrese cita la posizione del danese
Bengt Holbeck, che nel saggio del 1987 Interpretation of Fairy Tales. Danish
Folklore in a European Perspective interpreta le narrazioni fiabesche e, in
particolare, i motivi magici e meravigliosi, come ricodificazione di conflitti psichici. In questa prospettiva, il linguaggio simbolico delle fiabe rinvierebbe a fenomeni psicologici interiori inerenti ai destinatari, ma propri anche del narratore, che si articolano nel testo secondo alcune fondamentali regole di trasformazione35,
riassumibili in:
1. Principio dell'esternalizzazione: nelle fiabe non si hanno mai riferimenti espliciti al mondo dell'interiorità, nascosto e celato al fruitore della narrazione, ma passioni e desideri vengono esteriorizzati in azioni, oggetti e referenti concreti. In questo modo le spiegazioni razionali e apertamente didattiche sono celate dietro alla trasposizione fantastica, che possiede il merito di distanziare la narrazione a un doppio livello: sul piano della realtà psichica e su quello della realtà fisica.
2. Principio della proiezione: nella misura in cui la personalità infantile non è ancora in grado di comprendere le pressioni inconsce più complesse o contraddittorie, il bambino ha bisogno di proiettare i propri sentimenti più pericolosi o socialmente eversivi in figure esterne a lui e ben identificabili in virtù della loro 33 Ibidem, p. 39.
34 S. CALABRESE, Letteratura per l'infanzia, cit., p. 13.
35 Per la terminologia Cfr. S. CALABRESE, Letteratura per l'infanzia, cit., pp. 45-46; S. CALABRESE, La
comunicazione narrativa. Dalla letteratura alla quotidianità, Mondadori, Milano 2010, pp. 180-
natura di «flat character»36. Questo secondo principio risponderebbe quindi
all'esigenza del bambino di «distanziarsi dal contenuto del proprio inconscio e vederlo come qualcosa di esterno a sé, per poterlo padroneggiare»37.
3. Principio dello «split»: connesso al principio della proiezione, lo «split», ovvero la «scissione», è il procedimento di semplificazione indispensabile affinché l'utenza infantile riesca a proiettarsi e identificarsi nei personaggi delle fiabe, ricavandone un messaggio positivo e rassicurante. Tale regola obbedisce all'esigenza infantile di «scindere una persona in due per mantenere incontaminata l'immagine buona» e viene impiegata «da molti bambini come un sistema per risolvere una relazione troppo difficile da intrattenere o da comprendere»38. È il caso del già citato
racconto di Hoffmann, in cui la figura dell'avvocato Coppelius e del padre di Nataniele simboleggerebbero la polarizzazione dei due lati positivo e negativo connessi all'immagine del padre. Bettelheim cita inoltre l'emblematico esempio di
Cappuccetto rosso, in cui la duplice natura amorevole e minacciosa della nonna si
scinde nelle figure dell'innocua vecchietta e del famelico lupo, rispondendo al conflitto interiore del bambino, per cui la nonna, nei suoi momenti di collera, è il lupo, ma rassicurandolo sul fatto che «il lupo è una manifestazione passeggera: la nonna tornerà vincitrice»39. Finalità analoga si ritrova nel «tipico espediente delle
fiabe di scindere la madre in una buona madre (in genere defunta) e in una cattiva matrigna»40, cosicché i sentimenti di collera e risentimento del bambino verso la
madre possano essere deviati verso una figura «altra», che lo preserva dal senso di colpa. Al meccanismo della scissione è possibile ricondurre, infine, l'elemento fantastico della metamorfosi, definito da Stefano Calabrese col termine di «multiformismo»41, che simboleggia allo stesso tempo il processo di trasformazione
e maturazione individuale e l'emergere dei lati più oscuri della propria personalità, spesso rappresentati attraverso la regressione del personaggio al mondo animale o inorganico, ma con la certezza mai scalfita che «nulla cambia in modo permanente»42 36 La distinzione tra personaggi «flat», ovvero privi di un'articolata interiorità, e «round» si deve allo
scrittore britannico Edward Morgan Forster (1879-1970). «Aspetti del romanzo». 37 B. BETTELHEIM, op. cit., p. 57.
38 Ibidem, p. 68. 39 Ivi.
40 Ibidem, p. 70.
41 S. CALABRESE, Letteratura per l'infanzia, cit., p. 59.
e, al termine della narrazione, l'ordine iniziale verrà ristabilito43.
In accordo con l'interpretazione psicoanalitica delle fiabe fornita da Bettelheim, di cui Holbeck indaga e approfondisce gli esiti narrativi nei tre fondamentali meccanismi di esteriorizzazione, proiezione e scissione, l'elemento immaginifico va a configurarsi come la rappresentazione simbolica di desideri e conflitti psichici interni. In questa prospettiva, secondo la quale «nel contenuto delle fiabe vengono espressi in forma simbolica fenomeni psicologici interiori»44, il fantastico sembra
ridursi a un mero espediente narrativo atto a riprodurre sul piano estetico la dimensione inconscia. La dimensione sovra-naturale mira dunque a collocare le vicende del racconto a una debita distanza dalla realtà concreta del bambino che ne fruisce. Oltre a porre l'accento sulla verità psicologica, espressa in forma di simbolo, le «esagerazioni fantastiche», secondo Bettelheim, rispondono anche a un'esigenza ludica dell'utente infantile, la stessa che ci permette di scegliere se «applicare la fiaba alla nostra vita o semplicemente godere delle cose fantastiche che ci racconta»45.
È dunque lecito chiedersi se sia possibile parlare di un'istanza soprannaturale all'interno del genere fiabesco, poiché il prodigio magico si verifica precipuamente in un mondo del meraviglioso alternativo a quello reale, all'interno del quale tutto è permesso e in cui non esiste una netta demarcazione tra piano del possibile e dell'impossibile. In una narrazione in cui «la sospensione delle leggi naturali» deriva «da una convenzione di genere»46, per cui sarà avvertito come del tutto naturale
imbattersi in animali parlanti, geni benigni o spaventosi, fate e streghe, non c'è spazio per quello «scandalo» o «lacerazione» del quotidiano che Caillois pone come presupposto necessario all'esistenza del fantastico. Tramite la canonica formula d'apertura del «C'era una volta», la fiaba ci proietta in un'altra dimensione, quella dell'immaginario, i cui significati potranno essere di volta in volta ricondotti a interpretazioni di tipo psicoanalitico, o ridotti alle «funzioni» narrative proposte da Propp e dai teorici strutturalisti.
43 Il repertorio favolistico che presenta metamorfosi in animali è assai vario. Tra le più note trasformazioni è possibile citare le fiabe dei fratelli Grimm Fratellino e sorellina, I sette corvi (rielaborata ne I cigni selvatici di Andersen), Il principe ranocchio e La bella e la bestia, di origini incerte.
44 B. BETTELHEIM, op. cit., p. 39.
45 Ibidem, p. 45.
Tuttavia, di fronte ai numerosissimi e tra loro difformi esiti dei racconti fiabeschi, che spaziano dalla narrazione folklorica alle fiabe d'autore, sembra opportuno abbandonare una definizione di fantastico basata sulle specifiche di genere e adottare un approccio diverso, che accetti di postulare per il soprannaturale letterario uno statuto autonomo.