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Alle soglie del meraviglioso Tre tipi di animazione nelle fiabe

2.3 Una definizione autonoma per il fantastico letterario

3.1.1 Alle soglie del meraviglioso Tre tipi di animazione nelle fiabe

Nell'ottica di una prima semplificazione classificatoria dell'animarsi dell'inanimato nelle fiabe di Andersen sarà utile richiamarsi alla nozione di «soglia» a più riprese teorizzato dagli studiosi del fantastico letterario e, in particolare, al saggio di Carla Benedetti L'enunciazione fantastica come esperienza dei limiti29, che

apporta brillanti contributi intorno al concetto di «dubbio» todoroviano. Dopo aver evidenziato i limiti delle «nozioni di incertezza, dubbio, esitazione, mancanza di orientamento, insicurezza, turbamento, sgomento» più volte citate al fine di evidenziare «la condizione soggettiva che costituisce l'esperienza fantastica»30,

Benedetti propone nuove categorie che:

pur non applicandosi direttamente al fantastico, rappresentano la premessa e il confronto obbligato di ogni tentativo di definire il fantastico a parte subiecti: il concetto di

Unheimliche di Freud, la teoria Kantiana del sublime, la spiegazione «idealista» data da

Shopenhauer al fenomeno delle visioni di spiriti, e il concetto di «numinoso» di Otto31.

Riprendendo il concetto di Perturbante freudiano, viene segnalata come inadeguata l'impostazione teorica che lo stesso Freud adotta, focalizzata sugli effetti 27 Titolo originale: Meister Floh,[1822].

28 Ibidem, p. 398. Rimando al saggio citato per ulteriori e interessanti approfondimenti sui richiami di Hoffmann all'interno delle fiabe di Andersen.

29 C. BENEDETTI, L'enunciazione fantastica come esperienza dei limiti, in La narrazione fantastica,

Aa. Vv., Nistri-Lischi, Pisa 1983, pp. 289-353. 30 Ibidem, pp. 298-299.

di unheimlich che l'evento inaspettato provoca nel lettore o nel personaggio, anziché sulle condizioni di esistenza stessa di tale sensazione. Essa risiede, invece, non «nella connotazione emotiva che gli avvenimenti acquistano per il personaggio o per il lettore, ma nello stesso valore di posizione che l'oggetto perturbante e l'oggetto evocato dalla narrazione fantastica assumono»32. La soggettività enunciante,

portatrice di un «paradigma di realtà»33 interno al racconto, si trova ad affrontare un

avvenimento che essa esperisce in modo inequivocabile come reale, ma che è portata inconsciamente a rimuovere, poiché esso sovverte l'ordine di cose razionalmente accettato e condiviso. Tale esitazione, più chiara ora nei termini di «rimozione», è l'atto di «pura difesa» a cui il soggetto ricorre nel tentativo di «mantenersi al riparo da un'asserzione che lo precipiterebbe in una contraddizione insostenibile», poiché travalica un «limite soggettivo invalicabile»34. Il superamento del dubbio e

dell'esitazione a favore di un pieno credito nei confronti dell'evento fantastico non può essere compiuto senza che il soggetto ne subisca un «contraccolpo fortissimo», nella misura in cui il nuovo ordine del soprannaturale disintegra il paradigma interpretativo di riferimento, provocando gravissime perdite: «perdita d'identità, perdita della fiducia nella propria ragione, segni di squilibrio, follia, ma soprattutto perdita di attendibilità agli occhi del lettore»35 e, si potrebbe aggiungere, anche agli

occhi delle altre istanze interne al racconto. Gli altri personaggi, infatti, ricorreranno a loro volta a quei meccanismi di difesa e rimozione atti a preservare la propria stabilità psichica e ontologica: essi minano la credibilità del testimone di questa realtà-altra, emarginandolo entro i confini della follia, della malattia mentale o di uno stato allucinatorio permanente o momentaneo. A questa dimensione di rifiuto del dato avvertito come «non concreto» Rosalba Campra, nel saggio Territori della

finzione, allaccia i motivi del «ricordo, l'immaginazione (come proiezioni mentali

volontarie); il sogno, l'allucinazione (come proiezioni involontarie)»36.

Proprio a partire dal concetto di «soglia», il cui superamento è spesso tematizzato nel testo a partire dall'esitazione, o più propriamente l'omissione, linguistica, vale a 32 Ibidem, p. 302.

33 Per il concetto di «paradigma di realtà» Cfr. G. GOGGI, Assurdo e paradigma di realtà: alcuni nodi

del fantastico, in La narrazione fantastica, cit., pp. 75-176.

34 C. BENEDETTI, op. cit., p. 324.

35 Ibidem, pp. 321-322.

dire una preventiva «resistenza alla verbalizzazione dell'evento soprannaturale»37, è

possibile individuare all'interno delle centocinquantasei fiabe andersaniane tre macro-aree che oscillano, adottando la terminologia di Francesco Orlando, tra una situazione di massima critica e un'altra dominata dal totale credito accordato alla vicenda prodigiosa.

Alla prima categoria, quella cioè di critica massima, appartengono tutte le narrazioni in cui il conflitto tra i due mondi, l'artificiale e il naturale, è risolto infine a favore di quest'ultimo, che svela i limiti intrinseci all'artefatto, mera imitazione di un idillio di natura insuperabile. Ciò rimanda al già citato saggio di Castagnoli Manghi, che individua tra le affinità con Hoffmann «la predilezione per ogni opera della natura di fronte a ogni opera dell'uomo»38 e, in accordo con l'ideologia romantica, si

ritrova anche nei passaggi più suggestivi di Andersen, tra cui spicca la visione, intrisa di rimandi favolosi, del giovane protagonista del romanzo Peer Fortunato:

Peer sedeva come in un sogno e guardava. I cespugli sembravano aver forma di qualcosa di umano, e qualcosa di animalesco; immobili, mentre la nebbia si alzava come un ondeggiante velo vaporoso. Richiamava quello che Peer aveva visto a teatro nel balletto, dove le fanciulle degli elfi erano raffigurate turbinanti, fluttuanti in veli trasparenti; ma questo era molto più fantastico e meraviglioso! Il teatro non poteva competere con una scena così vasta, non poteva riprodurre un'aria così limpida e chiara, un chiaro di luna così luminoso.39

Al vertice opposto, caratterizzato da un totale credito accordato da parte di personaggi e lettori agli elementi fantastici narrati, si pongono, invece, le fiabe in cui la «soglia» tra i mondi del reale e dell'immaginifico viene esplicitamente superata, con tutto il carico di inquietudine e perturbamento che tale gesto comporta. Sono questi i testi che più da vicino ricordano le tetre atmosfere dei racconti hoffmanniani, toccando temi come la perdita d'identità e lo sdoppiamento del sé, motivi che, tuttavia, solo raramente approdano ai tragici e sinistri epiloghi delle storie di Hoffmann. Spesso stemperati alla luce di una fede che sempre premia gli individui dal cuore puro, o tramite la trasposizione su piani immaginari dei più profondi conflitti interiori, gli elementi di rottura nel piano del reale sono ciononostante vivi in tutta la loro drammaticità all'interno di fiabe come L'Ombra o La Sirenetta, i cui finali, benché non tetri, non possono tuttavia definirsi «lieti». In quest'ottica, l'arte 37 C. BENEDETTI, op. cit., p. 328.

38 A. CASTAGNOLI MANGHI, op. cit., p. 398

risulta depotenziata dal suo ingresso nella vita reale, che, a sua volta, è costretta a soccombere di fronte all'entrata in scena della finzione.

Augusto Guidi, nel breve saggio Collodi e Andersen, rileva come «La natura per i nordici rivaleggia con l'arte e Andersen […] non può dirsi che faccia eccezione»40,

citando a esempio le divergenze dell'animarsi delle marionette nello scrittore danese e in quello toscano: «I burattini andersaniani non si riscattano ma si corrompono diventando persone di carne e ossa»41. Essi, cioè, appartengono a un piano ideale in

cui possono essere tipi fittizi, «oggetti desueti» e in sé privi di valore e, al contempo, re, regine, o umili fattorini e vivono nell'arte teatrale d'una vita più piena e più vera. Lo stesso Andersen, all'interno della fiaba La strada dell'onore disseminata di spine, dichiara come: «La fiaba e la realtà sono così vicine, ma la fiaba ha la sua armoniosa soluzione su questa terra, la realtà la rimanda spesso oltre la vita terrena, nel tempo e nell'eternità»42.

Il mondo fiabesco dunque si presenta in sé privo di separazioni nette e contrasti drammatici, estraneo ai tre «assi oppositivi fondamentali» segnalati da Rosalba Campra nel saggio già citato: «concreto/non concreto; animato/inanimato; umano/non umano»43. In ultima analisi, in esso non operano il principio di realtà e

quello di non-contraddizione; una caratteristica che il genere condivide con gran parte della produzione letteraria fantastica e con la dimensione intimamente immaginifica propria della psicologia primitiva e infantile. Tale è l'aspetto che aveva portato Freud a escludere dalla categoria del perturbante questo tipo di narrazioni e, in particolare, l'animismo degli oggetti di Andersen:

Le fiabe accolgono apertamente l'opinione animistica sull'onnipotenza dei desideri e dei pensieri, eppure non riesco a ricordare alcuna fiaba autentica che abbia in sé alcunché di perturbante.

[…] nei racconti di Andersen le suppellettili casalinghe, i mobili e i soldatini di latta sono vivi, ma nulla potrebbe essere più lontano dal perturbante.44

Tra i molti elementi di divergenza tra le fiabe andersaniane e quelle di origine popolare e folklorica (in Andersen la localizzazione spazio-temporale è quasi sempre 40 A. GUIDI, Collodi e Andersen, Quaderni della Fondazione Nazionale «Carlo Collodi», Industria

Tipografica Fiorentina, Firenze 1970, p. 12. 41 Ibidem, p. 19.

42 H. C. ANDERSEN, Storie e fiabe, cit., p. 388.

43 R. CAMPRA, op. cit., p. 31.

esplicitata e spesso coincide con la Danimarca ottocentesca; inoltre i suoi personaggi sono dotati di una complessità psicologica estranea ai tipi della fiaba tradizionale), il più peculiare è sicuramente il saldo ancorarsi alla realtà quotidiana, che permette a personaggi irreali di vivere «in universi dai valori riconoscibili, riconducibili al proprio mondo reale»45. A questo proposito Ervino Pocar, nell'Introduzione dei

Racconti e fiabe (UTET 1931), sottolineando la distanza tra Andersen e Hoffmann,

afferma:

l'Andersen, pur ricorrendo al meraviglioso, si regge su un terreno più piano, parla con voce più sommessa e più delicata […] E mentre Hoffmann ti trascina in quel suo mondo con genialità irresistibile, di maniera che non sai se vivi nella realtà o in un sogno e, per uno strano gioco di prospettive, credi di aggirarti in piena coscienza fra le cose reali e invece proprio allora queste ti sfumano nell'irreale, l'Andersen è più positivo, e il campo delle sue fantasie è pur sempre la buona madre terra.46

Ben lontani dal muoversi in un universo dominato dal meraviglioso, i «soldatini di latta» e le «suppellettili casalinghe» di Andersen sono anzi strettamente ancorati a quello governato dai valori borghesi, dalle convenzioni sociali e perfino dalla caducità umana, là dove essi si trovino a inscenare il tanto amato «gioco degli uomini», una commedia che possono tuttavia allestire senza timore, giacché «non c'era alcuna malignità perché era solo un gioco»47. È questa la dimensione più rosea

di Andersen, quella che gli ha valso per secoli il titolo di «scrittore per bambini», o di «re delle fiabe», capace di introdurci con pochi sapienti tocchi in una dimensione nella quale tutto è possibile, eppure, allo stesso tempo, in cui non si travalica mai a livello cosciente un paradigma di realtà interno al testo che coincide con le nostre stesse categorie logiche del reale. In altri termini, il mondo naturale non viene scosso o mutato, né l'animazione fantastica inficia la realtà, la cui dura crudeltà rappresenta «l'altra faccia del genio andersaniano»48, ma la fiaba ci regala soltanto uno scorcio di

rasserenante meraviglia, in cui adulti e bambini sono invitati a condividere una «momentanea sospensione dell'incredulità»49.

Racchiuso entro lo spazio narrativo di un sogno, di una visione febbricitante 45 H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., Introduzione di Vincenzo Cerami, p. XIV.

46 H. C. ANDERSEN, Racconti e fiabe, cit., Introduzione di Ervino Pocar, p. 14.

47 Cfr. la fiaba Il porcellino salvadanaio, che offre ai lettori di tutte le età una brevissima eppur vivida scena in cui giocattoli, quadri e orologi mettono in scena la loro singolare «commedia». H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 372-373.

48 A. GUIDI, op. cit., p. 13.

illuminata dalla fede nella grazia divina, o a volte sollecitato da uno stato d'ebrezza negato eppure allo stesso tempo adombrato dallo stesso personaggio-testimone50,

l'evento soprannaturale vive per il tempo di una notte, ma si dissipa alle prime luci dell'alba, quando i lumi della ragione reclamano che si ritorni alla sofferenza, alla miseria e alle ingiustizie del mondo degli adulti: «la narrazione non nega al […] sogno […] la sua qualità di reale, di esistente (in quanto sogno): ciò che gli nega è la possibilità di prolungarsi materialmente nel mondo della veglia»51, dunque di

oltrepassare la soglia reale-irreale.

Nell'analizzare le fiabe inscrivibili in questo terzo tipo di animazione dell'inanimato, maggiormente dominato dall'incertezza, è opportuno richiamarsi ancora una volta al concetto di «formazione di compromesso» proposto da Orlando a proposito del binomio credito-critica da accordare al soprannaturale:

Come i giochi del bambino, la letteratura apre uno spazio immaginario fondato sulla sospensione o neutralizzazione della differenza tra vero e falso, uno spazio in cui vige il diritto di rispondere al piacere dell'immaginario. L'apertura stessa di un tale spazio costituisce una formazione di compromesso tra le istanze opposte del reale e dell'irreale.52

Questa tipologia è dunque quella che meglio ci permette di cogliere la fiaba come «luogo di tutti i possibili»53, un mondo senza dolore e costrizioni in cui ogni

bambino, anche se ormai già adulto, può riscoprire il «piacere dell'immaginario», collocato a debita distanza dal proprio mondo quotidiano e dal piano di realtà, i quali, benché spesso avvertiti come vicinissimi, non vengono tuttavia mai violati. È rilevante notare, però, come il temporaneo vitalismo di statue, marionette e altre «buone cose di pessimo gusto» della società borghese ottocentesca, benché traslato dal piano del fantastico a quello del sogno, non esaurisca tutta la sua portata narrativa in tale slittamento. Se è vero che l'evento soprannaturale appare sovente depotenziato su due piani, quello dell'inattendibilità del testimone (molto spesso bambino) e quello della sua manifestazione notturna, che gli conferisce gli sfumati contorni della visione onirica, esso, pur collocandosi in un altrove ben delimitato, è tanto potente e centrale nel testo da irradiare il proprio riverbero emotivo al di là delle frontiere, se non della razionalità, per lo meno della sensibilità. Così la statua «di buona fattura» 50 Cfr. Il marionettista, H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 313-316.

51 R. CAMPRA, op. cit., p. 31.

52 F. ORLANDO, La letteratura fantastica, cit., p. 22.

del porcellino di bronzo, che, nel cuore di una placida notte fiorentina, si anima a mezzanotte in punto e parte per «una bizzarra cavalcata» alla scoperta delle affascinanti opere d'arte della città col bambino «così bello, ridente, eppure così sofferente» che si è addormentato sul suo dorso, torna alla propria inerte natura di statua alla luce del giorno («Era mattino, era quasi scivolato giù dal porcellino di bronzo che stava al suo solito posto, nella strada di Porta Rossa»). Eppure la suggestione di quest'avventura notturna, a metà tra l'onirico e il soprannaturale, è così vivida in quel fanciullo da fare di lui, anni dopo, un grande pittore, la cui più commovente opera raffigura proprio «un meraviglioso ragazzino vestito di stracci seduto a dormire per strada, appoggiato al porcellino di bronzo a via di Porta Rossa»54.

Seppur delimitato e sminuito, dunque, lo squarcio soprannaturale contiene in sé germi di significato che si perpetuano anche nel mondo della veglia, nei termini di una maggiore consapevolezza di sé e della propria vocazione da parte del personaggio che li ha vissuti, oppure, talvolta, imprimendo sul piano del reale orme innegabili della propria esistenza. È il caso del «piccolo cuore di stagno» ritrovato dalla cameriera tra le ceneri del soldatino, che brucia «non sapeva se […] per il fuoco o per amore»55 e lascia di sé un indizio tangibile della propria umanità; del sorriso sul

viso esanime della piccola fiammiferaia; della bambola della piccola Ida che, dopo il ballo notturno insieme ai fiori ormai appassiti, appare «molto assonnata»56. Si tratta

di indizi, più o meno evidenti, ascrivibili alla categoria dell'«oggetto mediatore» teorizzata da Lucio Lugnani nel saggio Verità e disordine: il dispositivo dell'oggetto

mediatore: esso rappresenta cioè una traccia anomala, un elemento derivante da un

«di là» meraviglioso che trasla dalla dimensione del «sogno confuso» a quella della «solida e sicura realtà della veglia e della salute»57. L'oggetto si fa dunque mediatore

di «piani di realtà differenti», rappresentando, al tempo stesso, la prova della «facile mediazione fra il piano del quotidiano e il piano del magico meraviglioso»58.

In ultima analisi, il significato veicolato dal soprannaturale in Andersen sembra 54 Cfr. Il porcellino di bronzo, in H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 153-161

55 Cfr. Il tenace soldatino di stagno, in H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 98-101.

56 Cfr. I fiori della piccola Ida, in H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 19-25.

57 L. LUGNANI, Verità e disordine: il dispositivo dell'oggetto mediatore in La narrazione fantastica,

cit., p. 196. 58 Ibidem, p. 180.

collocarsi all'interno di una poetica più ampia, adombrata in molte fiabe, quando non esplicitamente dichiarata dall'autore per mezzo dei suoi umanissimi personaggi, che ruota attorno alla tematizzazione del conflitto tra verità e finzione, mai del tutto sanato. La dimensione fiabesca e, più in generale, quella della poesia e dell'arte possono vantare una pienezza estranea al mondo reale, fondata su sue proprie leggi e sull'annullamento delle soglie tra naturale e immaginario, tra possibile e impossibile. Anzi, spesso gli stessi personaggi di Andersen, nel loro statuto di esseri fittizi, vivono drammaticamente il conflitto tra il proprio desiderio di esistere, così fortemente sentito e sofferto, e la dura realtà che nega loro tale esistenza. È il «rovello interiore»59 di cui parla Vincenzo Cerami, così vividamente profilato all'interno della

narrazione da farci dubitare della parzialità dei nostri stessi paradigmi conoscitivi, instillando in noi «il sospetto che la ragione non basti a spiegare tutti i fenomeni»60. È

lo stesso Andersen a suggerirci tale interpretazione, tramite la definizione di poesia proposta dalla seconda topolina nella fiaba Brodo di stecchino61: «La nonna lo aveva

sentito leggere; disse che erano necessari tre ingredienti principali: «Ragione, fantasia e sensibilità!»»62 Ancora una volta un personaggio di fantasia, a cui

appartengono l'attributo della piccolezza e un'esistenza sotterranea, si fa portatore di una visione più ampia e complessa, accostabile a una pur solo accennata dichiarazione di poetica.

In quest'ottica, non è più importante stabilire che cosa la ragione concepisca come reale o irreale, o quale confine ponga alle realizzazioni del fantastico, ma conta piuttosto comprendere di volta in volta che cosa sia vero a livello emotivo, limitatamente al campo del sentire di ogni singolo attante, sia esso uomo, creatura mitologica o essere inanimato. Non è dunque più possibile condividere la prospettiva parziale e «diurna» del «professore di botanica» o del «noioso consigliere» ne I fiori

della piccola Ida, che dichiarano inammissibile l'animarsi notturno dei fiori danzanti,

né sembra lecito circoscrivere al piano del fittizio il dramma tutto umano del soldatino di stagno o della pratolina, la tragica passione della Sirenetta, l'ambita fuga d'amore delle statuine della ballerina e dello spazzacamino. Tutti obbediscono a una 59 H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., Introduzione di Vincenzo Cerami, p. XIV.

60 F. ORLANDO, La letteratura fantastica, cit., p. 4.

61 Brodo di stecchino, pp. 410-420.

62 Ibidem, p. 414. Per altre fantasiose «ricette di poesia» al negativo si veda la fiaba I fuochi fatui

loro propria verità, avvertita come innegabile eppure impossibile da spiegare in termini razionali, ma non per questo meno autorizzata a esistere: «Non devi chiedere al naturalista, chiedi piuttosto al poeta»63. Secondo questa prospettiva, non appare

assurdo il desiderio del principe ne La principessa sul pisello64 di sposare una

«principessa vera», dimostratasi tale «visto che attraverso ben venti materassi e venti piumini di edredone aveva sentito il pisello. Così sensibile poteva esserlo soltanto una vera principessa», mentre, al contrario, è percepita come ridicola l'ambizione dell'imperatore di gloriarsi del suo nuovo abito, invisibile «a chiunque non fosse all'altezza del suo incarico o fosse intollerabilmente stupido»65. Qui la meravigliosa

stoffa dei due ciarlatani non ha davvero niente di «magnifique», eppure l'inganno della presunzione è portato avanti da servitori e uomini di corte e, anche dopo che l'innocente voce di un bambino ha svelato la nudità dell'imperatore, egli opta ciononostante per «arrivare fino alla fine della processione», perpetuando la mascherata ormai svelata:

La natura era potata, tirata, legata e messa in fila, artefatta, come i vecchi giardini francesi; era una mascherata.

«È la vita degli uomini» disse l'angelo della morte.66

Di fronte alle menzogne e ipocrisie a cui la mentalità adulta accorda un credito ostinato, ammettendo di «tessere sul telaio vuoto» le proprie arbitrarie verità, non meno degno di credibilità appare l'universo del fiabesco, in grado di dar voce alle

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