3.3 In bilico tra sogno e realtà
3.3.2 La tentazione di esistere
La morte come riscatto o salvezza atta a tutelare il personaggio di fantasia dalla denigrante contaminazione col piano del reale è centrale in racconti come Il tenace
soldatino di stagno o La pratolina, nei quali l'aspirazione a esistere da parte dei
protagonisti inanimati si fa sofferta, consapevole e drammatica. Emblematico a questo proposito l'esito della fuga dei due fidanzati di porcellana desiderosi di vedere il «vasto mondo», nella fiaba La pastorella e lo spazzacamino120, che, dopo una lunga
e difficoltosa ascesa attraverso il comignolo per «una strada terribile, così in alto, così in alto», constatano allibiti come il mondo sia troppo grande per due minuscole e fragili statuine da salotto:
La povera pastorella non aveva immaginato che fosse così, appoggiò la sua testolina allo spazzacamino e pianse tanto che l'oro le si staccò dalla cintura.
«È troppo!» disse. «Non posso sopportarlo. Il mondo è troppo grande! Se solo fossi di nuovo sul tavolino sotto lo specchio!».121
Così i due ripercorrono a ritroso la buia stufa, nella quale il grazioso spazzacamino, a dispetto del ruolo che interpreta, non si dimostra affatto disinvolto, dal momento che «era pulito e carino come nessun altro, dello spazzacamino aveva solo l'apparenza, il suo artefice avrebbe potuto benissimo farne un principe». È dunque a patto di soffermarsi all'«apparenza», ai caratteri più esteriori della propria esistenza inorganica che pastorella e spazzacamino, così come molti altri personaggi 118 A. GUIDI, op. cit., p. 15.
119A. CASTAGNOLI MANGHI, op. cit., p. 407.
120Titolo originale Hyrdinden og Skorteensfeieren [1845], in H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp.
239-242. 121Ibidem, p. 241.
delle fiabe di Andersen, possono vivere lieti «finché si ruppero».
Peculiarità di protagonisti come il «piccolo povero fiore» de La pratolina, o il soldatino di stagno, che «era un po' diverso; aveva una sola gamba perché era stato fuso per ultimo e non era rimasto abbastanza stagno» dal vecchio cucchiaio da cui erano stati plasmati i suoi ventiquattro fratellini, è il loro qualificarsi come oggetti marginali, esclusi e rigettati dal loro stesso minuscolo universo, «cose fisiche rappresentate come prive o diminuite, o in corso di privazione o diminuzione di funzionalità»122:
Oggetti comuni e, spesso, di poco conto, protagonisti anonimi della vita quotidiana, di quella vita che, in queste fiabe, è l'«epopea della gente semplice», microcosmi rivalutati secondo un'ottica anticipatrice del gusto e della matrice, come ben si avverte, decadentista, disciolta e decantata nella trasfigurazione fantastica, ma venata, quasi sempre, di quell'umorismo, definito dai danesi «lune», che è, insieme, di scherzosità, di bonarietà, di allegria e di serenità anche nelle vicende meno liete della vita123.
La comune margherita, simbolo della perfetta comunione con la bellezza naturale intrisa di rimandi alla beatitudine celeste, viene denigrata dagli altezzosi fiori del giardino, più «nobili e impettiti», i quali, proprio in virtù dei loro brillanti colori, verranno prediletti dal «grosso coltello affilato e scintillante» che li uccide, recidendoli. Il monito esplicitamente espresso nella fiaba del piccolo fiore, destinato ad allietare, muto, col proprio singolare profumo, la prigionia della «povera allodola» catturata, che infine muore di stenti, ricorda ancora una volta come «non è affatto la grandezza che fa la differenza!»; si tratta di una verità centrale anche in fiabe come Il
brutto anatroccolo o Il tenace soldatino di stagno, nelle quali la diversità si dimostra
anzi un valore, simbolo d'elezione verso uno scopo ben più alto rispetto a quello riservato ai prosastici personaggi secondari, siano essi fiori altezzosi, troll, topi, o anatre da cortile.
La congerie di animali e oggetti superbi e ostili si muove in «universi dai valori riconoscibili, riconducibili al proprio mondo reale»124 e, in particolare, al mondo
borghese dominato da inutili convenzioni sociali, norme di comportamento e rigide gerarchie. Il soldatino si trova dunque a scontrarsi con il «grosso topo di fogna» che rivendica furibondo l'esibizione del «lasciapassare» per poter accedere al suo 122F. ORLANDO, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, cit., p. 4.
123F. BACCHETTI, Andersen e la fiaba: un classico tra letteratura e pedagogia, in Itinerari della fiaba,
cit., p. 95.
prezioso mondo sotterraneo, ubicato «sotto un tombino», così come al brutto anatroccolo è concesso ricevere una più indulgente accoglienza da parte delle anatre selvatiche, disposte a sopportarne la vista a patto di non doversi imparentare con tanta bruttezza: «Sei sinceramente brutto! […] Ma fa lo stesso, purché non ti sposi nella nostra famiglia»125. Significativo il riferimento al «lustrino» della ballerina di
carta, nella scena finale de Il tenace soldatino di stagno, che, un tempo «scintillante» al centro del drappeggio azzurro che ricadeva sulle sue spalle, appare ora «nero come il carbone» tra le braci della stufa, contrapposto al tenace «piccolo cuore di stagno» del soldatino innamorato, di origini assai più modeste rispetto al suo «grazioso castello di carta». Di fronte alla morte qualsiasi differenza è appianata, si disintegrano le gerarchie e anche la più umile delle creature inorganiche può forse veder realizzato il proprio anelito a una vita più vera, che sulla Terra le è preclusa.
Gli esiti struggenti e rasserenanti delle fiabe più note non sono, tuttavia, gli unici epiloghi prospettati all'interno delle narrazioni di Andersen, la cui «semplicità è solo una parte […] il resto ha un sapore piccante»126. Nel terzo gruppo ascrivibile allo
statuto del soprannaturale di ignoranza, con oscillazioni verso quello di
trasposizione, si collocano due dei racconti in cui l'animarsi notturno di oggetti privi
di vita suscita i maggiori effetti di perturbamento, con tinte non estranee a quelle dei racconti hoffmanniani, oscure e diaboliche: Il marionettista, del 1851 e La zia
Maldidenti, 1872. Qui la visione soprannaturale stenta a circoscriversi entro la
rassicurante dimensione onirica, garante di un ordine di realtà precostituito e immutabile, e minaccia di dilatare la propria eco al di là delle soglie dell'irrealtà, fino ad approdare al mondo della veglia sotto forma di doppi inquietanti. La distanza tra l'animarsi delle marionette ne Il marionettista, che per loro stessa ammissione «erano diventate eccellenti artisti», e quello dei giocattoli nella camera dei bambini all'interno de Il tenace soldatino di stagno, i quali «a tarda sera […] cominciarono a divertirsi, a giocare a “vengono ospiti”, alla guerra o al ballo», o ne Il porcellino
salvadanaio, in cui bambole e burattini inscenano la commedia del giocare «agli
uomini», risulta in primo luogo evidente dall'esigenza avvertita dal vecchio marionettista di indagare l'origine dell'avvenimento fantastico, altrove assunto 125H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., p. 185.
acriticamente come dato.
Anziché soffermarsi sulla incantevole, favolosa rappresentazione, come avviene per la «divertente» danza dei fiori nella stanza della piccola Ida, lo sguardo del lettore si rivolge, seguendo esplicite direttive da parte della voce narrante interna al racconto, verso le cause esterne alla base dell'animazione, riconducibili stavolta a un singolo e singolare personaggio, il «diplomato all'istituto politecnico». Quest'eccentrica figura, lontana da quella dello studente che ritaglia buffe immagini per la curiosa Ida-Alice, e sintomaticamente descritta nei suoi caratteri più esteriori (egli è definito «uno spettatore insolito», un «diplomato del politecnico», un fascinoso scienziato-mago che sembra in grado di padroneggiare arti occulte, tanto da parere simile a un dio), è assimilabile, invece, al misterioso aiutante di Johannes, protagonista della fiaba Il compagno di viaggio127. Nella storia egli fa la sua
apparizione all'improvviso, in un'atmosfera quasi fatata, sotto forma di voce maschile alle spalle del protagonista, e non risulterà ulteriormente caratterizzato attraverso alcun attributo fisico né morale, eccezion fatta per la sua bontà: «Si affezionarono l'uno all'altro, perché entrambi erano buoni». È proprio tale natura misteriosa e benefica a qualificare il compagno di viaggio, sempre pronto a supportare l'ingenuo Johannes con la sua saggezza intrisa di richiami al mondo della magia, come l'angelo custode prefigurato dalla preghiera del padre morente, il quale aveva augurato al figlio di ricevere dal Cielo la ricompensa per il suo buon cuore: «Sei stato un buon figlio, Johannes! […] Il Signore saprà certo aiutarti in questo mondo!»128. Grazie a
risorse prodigiose e una sapienza assimilabile, in ultima istanza, a preveggenza, il compagno di viaggio sarà infatti chiamato a sostenere una lotta che si estende ben oltre i confini dell'umano, chiamando in campo potenze infernali e demoniache, solo in parte ascrivibili agli antagonisti tipici del genere fiabesco. La principessa amata da Johannes, spietata esecutrice di ogni pretendente che fallisca nell'indovinare i suoi tre indovinelli, si rivelerà infatti vittima di un incantesimo, o meglio di un maleficio, che ogni notte, «un quarto a mezzanotte» le apre le porte di un regno da incubo:
Attraversarono un lungo e ampio corridoio, le cui pareti scintillavano in modo strano: erano più di mille ragni luminosi che correvano su e giù e brillavano come il fuoco. Ora giunsero in una grande sala fatta d'oro e d'argento, fiori rossi e blu, grandi come girasoli, 127Titolo originale: Reisekammeraten [1835], in H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., pp. 35-50.
rilucevano sulle pareti; ma nessuno poteva coglierli perché i gambi erano orribili serpenti velenosi e i fiori stessi erano il fuoco che usciva dalle loro fauci. L'intero soffitto era pieno di lucciole rilucenti e pipistrelli azzurri che sbattevano le ali sottili: proprio uno strano spettacolo.129
Lo «strano spettacolo» non è altro che il preludio a una raffigurazione del Maligno intessuta di rimandi fiabeschi, il cui giardino infernale è dominato da luce, splendore e una graziosità che, benché illusoria e immediatamente svelata nei suoi retroscena più macabri (serpenti velenosi, insetti, pipistrelli) non manca di affascinare e coinvolgere il lettore con la sua magnificenza. Seduto sul trono di questo mondo oltre-umano, i cui attributi diabolici risultano sfumati e depotenziati tramite ironiche riduzioni, non vi è un agghiacciante Lucifero, bensì un «vecchio Troll», già rivale- giocattolo del soldatino di stagno, circondato da una servitù tutt'altro che demoniaca, composta da «piccoli folletti neri, con un fuoco fatuo sul berretto» e una serie di «manici di scopa con in cima un torso di cavolo», trasformati per magia in cortigiani: In mezzo alla sala c'era un trono sorretto da quattro scheletri di cavallo, con i finimenti fatti di ragni fiammanti, mentre il trono stesso era di vetro bianco come il latte e cuscini per sedersi erano topolini neri che si mordevano la coda. Sopra c'era un baldacchino di ragnatele rosa incastonato di graziosi moscerini verdi che splendevano come pietre preziose. Sul trono sedeva un vecchio troll con la corona sull'orrida testa e uno scettro in mano.130
Ulteriore attributo atto a conferire al mondo notturno del Troll un'aura indefinita e fiabesca è la sua ubicazione non nelle viscere della terra, bensì su una montagna, raggiungibile dalla principessa tramutata in «strega cattiva e maligna» attraverso un volo che presenta al contempo elementi che ne sottolineano la purezza e la contaminazione peccaminosa: «la principessa volò sopra la città avvolta in un largo mantello bianco, con lunghe ali nere, verso una grande montagna». Per tre notti il compagno di viaggio la segue, invisibile, lungo il suo volo notturno fino al Troll, frustandola «ben bene […] con la sua fascina, tanto che dove picchiava le usciva sangue. Uh, che volo, fendeva l'aria, il vento le afferrava il mantello che si gonfiava da ogni lato come una grande vela, e la luna lo attraversava con i suoi raggi». In bilico tra favoloso e demoniaco, il volo della principessa ne Il compagno di viaggio ricorda per certi aspetti -se l'accostamento non pare troppo audace- la cavalcata 129Ibidem, p. 45.
notturna di «Margherita, trasformata in una strega131» dell'opera di Bulgakov, che
sorvola «nuda e invisibile» la «sonnolente e un po' ignobile Mosca staliniana»132 per
presiedere in qualità di «Regina» all'annuale ballo di Satana. Seppur con evidenti divergenze, dettate non in ultimo dalla differente economia narrativa di fiaba e romanzo, le due figure, quella della principessa vittima del sortilegio e quella della regina Margherita Nikolaevna, presentano elementi di affinità che, al di là delle innegabili anomalie, sembrano autorizzare una lettura in parallelo dei due personaggi femminili, entrambi investiti d'una sensualità travolgente e sovversiva. Opportunamente censurata in Andersen, là dove risulta, invece, esaltata e celebrata all'interno de Il maestro e Margherita, la nudità è altresì presente in entrambe le scene di volo, come sottolinea il sangue che fuoriesce dalla schiena della principessa, vestita soltanto di un mantello bianco che si gonfia col vento, sotto gli inclementi colpi di frusta del compagno di viaggio. Tale punizione fisica, assimilabile in prima analisi alla mortificazione di matrice cristiana, risulta, tuttavia, tutt'altro che legittimata alla luce della logica interna alla narrazione: se la giovane è vittima di un maleficio, preda impotente di diaboliche stregonerie, perché inveire ulteriormente sul suo corpo, poiché esso agisce privo di volontà? La malia del sortilegio, inoltre, non si esaurisce con l'uccisione del Troll e la risoluzione dei tre indovinelli da esso pretesi, ma richiede ancora un'ultima prova, che sconfigga definitivamente la ritrosia della principessa, la quale «continuava a essere una strega e non voleva affatto bene a Johannes». È forse lecito intravedere, dunque, perfino nella luminosa fiaba di Andersen, la presenza di un'istanza demoniaca insita nella donna stessa, pre-esistente all'intervento della forza soprannaturale e che a essa sopravvive, coincidente con la parte più animalesca, sovversiva e pericolosa della femminilità, che andrà debellata con l'intervento in prima persona di Johannes:
Johannes fece ciò che gli aveva consigliato il compagno di viaggio: quando la immerse nell'acqua la principessa lanciò un grido e gli guizzò fra le mani, trasformata in un grande cigno nero dagli occhi lucenti; quando tornò a galla per la seconda volta era un cigno bianco come la neve, tranne per un anello nero intorno al collo. Johannes pregò devotamente il Signore e immerse per la terza volta l'uccello nell'acqua, e quello si trasformò subito in una splendida principessa. Era ancora più bella di prima e con i begli occhi pieni di lacrime lo ringraziò per averla liberata dal sortilegio.133
131M. A. BULGAKOV, Il maestro e margherita [1940], (trad. it.) S. ARCELLA, Newton Compton, Roma
2011, p. 213.
132F. ORLANDO, Il soprannaturale letterario, cit., p. 159.
La devota preghiera del giovane non riesce ad allontanare dal lettore il sospetto che dietro tale rito di purificazione tramite l'elemento salvifico dell'acqua si celi, in realtà, un vero e proprio atto di dominazione, mirato a consacrare il passaggio, del tutto terreno, dall'acerba renitenza della vergine-strega alla piena maturità sessuale della «splendida principessa». L'intero rituale, oltre a svolgersi durante la prima notte di nozze dei due novelli sposi, è l'unico all'interno della fiaba a non richiedere l'intervento di alcun oggetto magico esterno; ciò avvalora al contempo l'interpretazione in chiave simbolico-cristiana e quella nei termini di una cerimonia sessuale-iniziatica.
Agli antipodi si pone il bagno esoterico a cui viene sottoposta Margherita, ormai intrisa di una piena consapevolezza di sé e dei propri istinti, che presenta l'opposta finalità di portare a compimento la sua trasfigurazione da donna mortale a essere oltre-umano, nelle vesti della bellissima e potente «regina Margot»: «le riversarono addosso un liquido ardente, denso e rosso. Margherita avvertì il sapore del sale sulle labbra e capì che la stavano lavando col sangue»134. Sebbene l'intervento
soprannaturale, la cui natura satanica è a più riprese esplicitata nel romanzo, appaia qui veicolato dall'azione prodigiosa di una «crema grassa e giallastra», la magica pomata donata da Azazello, di cui la donna si cosparge il corpo con voluttà, tra le pagine di Bulgakov ancor più forte si avverte la rilevanza di una componente interamente umana, insita nei singoli personaggi predestinati a essere gli eletti di un “benigno” manifestarsi dell'istanza infernale. Nel caso particolare di Margherita, ella, oltre a delinearsi, insieme al Maestro e a Ivan, come «uno dei personaggi con cui l'Io del lettore si identifica […] gli unici a riconoscere il soprannaturale a prima vista»135,
vanta lontanissime origini regali come «magnifica bisbisbisbisnipote» della «regina di Francia vissuta nel sedicesimo secolo»136 , subito evidenti nel suo superiore
contegno di fronte a Woland, e possiede il nome da sempre deputato alla Regina delle tenebre: «Si è consolidata la tradizione […] che la padrona di casa si chiami immancabilmente Margherita, in primo luogo, e in secondo luogo, sia del posto»137.
134M. A. BULGAKOV, op. cit., p. 234.
135F. ORLANDO, Il soprannaturale letterario, cit., p. 162.
136M. A. BULGAKOV, op. cit., p. 227.
Oltre agli attributi di magnificenza a luminosità dei due balli infernali a cui presiedono la principessa della fiaba e la strega-regina, è interessante evidenziare un altro dettaglio che accomuna la giovane vergine a Margherita, «diventata una strega per il dolore e le sciagure»138 che l'hanno colpita, individuabile nel motivo della
decapitazione. La morte per decapitazione, prospettata e immediatamente esaudita in apertura del romanzo di Bulgakov ai danni del critico Berlioz, esponente di una mentalità «piattamente atea, materialistica e positivista, tutta volta a negare il Male, Satana e Dio»139, e poi riproposta, stavolta sotto forma di «testa decapitata […]
ancora magicamente senziente, durante la grande festa data da Woland a metà del romanzo»140, è centrale e ricorrente anche nella fiaba di Andersen: sarà amputata la
testa del Troll artefice del sortilegio, a causa del quale la malvagia principessa «faceva impiccare o decapitare»141 qualunque pretendente fallisse le sue tre prove,
proprio come, in una scena precedente della storia, era stata strappata via la testa della marionetta raffigurante la regina, a causa dell'intervento del feroce mastino, che «faceva tanto d'occhi, come tutti gli altri» spettatori di fronte alla commedia.
Sono proprio le circostanze di tale decapitazione, che prelude all'animarsi del teatrino grazie al magico unguento del compagno di viaggio, a presentare elementi d'affinità con lo stupefacente spettacolo di magia nera tenuto da Woland in uno dei più famosi teatri di Mosca:
Dio solo sa cosa pensò il mastino […] fece un salto dritto sul teatrino, afferrò per l'esile vita la regina e “gnick, gnak!”: era terribile! [...]
Era la marionetta più bella che aveva, e ora quell'orrido mastino le aveva staccato la testa con un morso.142
L'orrore e lo sconcerto di fronte a una menomazione che, benché operata nei confronti di una creatura inanimata, appare descritta nei termini di una vera e propria uccisione, ricordano da vicino la decapitazione del presentatore Bengalskij ad opera del gatto Behemot, affine, se non per motivazioni, senz'altro nella dinamica:
E accadde una cosa mai vista. Il gatto rizzò il pelo e miagolò in maniera straziante. Poi si raggomitolò a palla e, come una pantera, saltò dritto sul petto di Bengalskij e di qui gli saltò sulla testa. Emettendo gorgoglii il gatto si afferrò con le zampe grassocce ai radi capelli del presentatore e urlando selvaggiamente, con due giri, strappò quella testa con 138Ibidem, p. 207.
139F. ORLANDO, Il soprannaturale letterario, cit., p. 161.
140Ivi.
141H. C. ANDERSEN, Fiabe e storie, cit., p. 42.
tutto il collo.143
Entrambe le rappresentazioni, quella di Bulgakov, sospesa tra la meraviglia e l'orrore del pubblico, e quella di Andersen, epurata da ogni risvolto inquietante in virtù del destinatario non umano della violenza (la sventurata marionetta), terminano con un lieto fine che, nel romanzo, ristabilisce l'ordine naturale precedentemente rotto. Di fronte alla supplica degli spettatori di accordare il perdono all'ottuso presentatore, Woland acconsente magnanimo a concedergli la grazia: «ordinò a voce alta: “Rimettete a posto la testa.” Il gatto, presa la mira con grande accuratezza, rincalcò la testa sul collo e quella si sistemò esattamente al suo posto come se nessuno l'avesse mai staccata»144.
Nella fiaba, invece, l'atto di risanare la regina decapitata da parte del compagno di viaggio per mezzo del suo unguento «che non si trovava certo in farmacia» segna il passaggio dal piano del naturale a quello del soprannaturale, poiché non soltanto esso guarisce la marionetta, ma si dimostra addirittura in grado di infondere la vita nelle membra inanimate: