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IL Gli assistenti sociali in Norvegia

Notizie generali

Tra i tre paesi scandinavi, la Norvegia, con poco più di 3,7 milioni di abitanti, è il meno popolato. Del vasto territorio nazionale, solo il 3% circa è terreno coltivabile, e le altre risorse naturali sono relativamente limitate. Il rapido sviluppo economico degli ultimi decenni, che ha portato ad un tenore medio di vita piuttosto alto, è dovuto soprattutto alla maggiore utilizzazione industriale dei prodotti dell’agricoltura e delle foreste, della pesca, delle fonti di energia idroelettrica, ecc.

Il settore industriale, nel 1963, copriva il 25% circa del prodotto nazio­ nale lordo, impiegando un quarto circa della popolazione attiva. L’agricol­ tura, occupando approssimativamente il 16% degli attivi, ne copriva il 4,4% ; il settore commerciale copriva un altro quarto del prodotto lordo, impegnando appena il 14% della popolazione attiva. Tra il 1950 e il 1963, il prodotto nazionale lordo aumentò dell’84% (tenuto conto' deH’aumento dei prezzi), raggiungendo un totale di 45 miliardi di corone circa, pari a 3,8 mila miliardi di lire.

Il consumo medio annuo prò capite nel 1958-59 era pari a lire 660.000. Gli anni seguenti hanno vieto un continuo aumento dei redditi e dei consumi: nel settore industriale, i salari sono aumentati del 43% tra il 1958 e il 1964, anno in cui la retribuzione media oraria era di 700 lire circa (1).

Le voci più importanti della spesa pubblica, che assorbe un terzo circa del prodotto nazionale lordo, riguardano la difesa, la sicurezza sociale, l’educazione e le comunicazioni.

L’ordinamento amministrativo centrale è di tipo più « continentale » di quello svedese, cioè è minore la separazione tra potere politico e organi tecnici e vi è più controllo diretto da parte dei ministeri. A livello locale, però, vi è più o meno la stessa tradizione di autogoverno; infatti le amministrazioni agiscono in parte come organi governativi, in parte in modo autonomo. Oltre a ricevere forti contributi statali, i comuni si autofinanziano per mezzo di imposte locali.

Il sistema di sicurezza sociale, che si è andato sviluppando soprattutto negli anni del dopoguerra, segue in gran parte il modello svedese. E ’

obbligatoria rassicurazione contro le malattie, gli infortuni, la disoccupa­ zione, ecc. Per la vecchiaia, è prevista una pensione di base uguale per tutti, e in piià, dal 1962 in poi, un sistema di pensioni integrative garantito in parte dai contributi degli assicurati e in parte dai datori di lavoro. Vi sono inoltre contributi statali fissi per le gestanti, per i minori fino ai 16 anni, e altre forme di contributi o sussidi per casi particolari.

Il lavoro sociale

I documenti ufficiali e le inchieste sulla situazione degli assistenti sociali in Norvegia — sui quali si fonda la presente relazione — esprimono concetti in parte descrittivi e in parte programmatici di lavoro sociale. La concezione corrente, vi si dice, è ancora quella del lavoro sociale indi­ viduale, secondo la quale le autorità interessate e gli operatori si occupano, o si dovrebbero occupare, dei casi singoli ed isolati di disadattamento sociale, come un tempo ci si occupava direttamente dei casi di povertà o malattia sotto forma di beneficienza pubblica. « In breve, si può dire che il lavoro sociale consista nel tentativo di adeguare, nei modi più sicuri ed armoniosi, i rapporti tra gli individui e il loro ambiente » (2). Rispetto ad altri paesi, si osserva altrove, vi è ancora molta strada da percorrere prima di arrivare ad idee più ampie nel campo della politica e del lavoro sociale, che ormai, data la nuova situazione economica e politica creatasi negli ultimi decenni, dovrebbero essere concepiti anche in termini di pianifi­ cazione a lunga scadenza delle risorse sociali della comunità e di un sistema più moderno di amministrazione delle attività sociali (3).

Tenuto conto degli ordinamenti sociali norvegesi, questo ampliamento del concetto di lavoro sociale dovrebbe articolarsi in tre aree diverse di intervento, ognuna caratterizzata da una sua problematica e da metodi particolari :

Servizio sociale individuale, mediante il quale si assiste

l’individuo nella risoluzione dei problemi sociali che egli non è in grado di risolvere da solo o con l’aiuto dei propri fami­ liari. L’assistente sociale, con la sua capacità di stabilire dei contatti e con la sua intuizione psicologica, può stimolare e svi­ luppare la volontà dell’assistito di risolvere da sé i suoi problemi. Tramite il contatto stabilito e con l’utilizzazione delle risorse assistenziali della società, delle quali l’assistente sociale deve avere una buona conoscenza, si possono modifi­ care l’ambiente e le condizioni esterne dell’assistito in una direzione giusta.

Servizio sociale di gruppo : si distingue dal servizio sociale

individuale per il fatto di svolgersi nell’ambito di gruppi di utenti. La stessa esperienza di gruppo e i contatti stabiliti

tra i membri e con l’assistente sono qui di utilità per lo svilppo personale e sociale deH’individuo. Specialmente per coloro che vivono isolati, è molto importante stabilire un contatto e sentirsi membro di un gruppo. Il servizio sociale di gruppo ha quindi grande importanza nel campo delle atti­ vità giovanili, nel lavoro di rieducazione e nell’assistenza degli anziani.

Pianificazione e amministrazione sociale: la pianificazione

sociale consiste nell’individuare, analizzare e rendere espliciti i bisogni sociali esistenti, e nel programmare i modi più opportuni per soddisfarli adeguatamente. Le varie richieste vanno valutate secondo la loro urgenza, e le iniziative avviate vanno amministrate e seguite per stabilire in che misura servano al loro scopo. Per questo è necessaria la collaborazione tra enti ed organizzazioni pubbliche e private, e il coordina­ mento delle risorse a disposizione per ovviare a tali bisogni sociali. L’attività informativa è perciò un aspetto molto importante della pianificazione sociale (4).

Entro questo schema generale — che rappresenta una meta da raggiun­ gere limitatamente a ciò che riguarda il lavoro di gruppo e la pianificazione sociale — i documenti a disposizione distinguono sette settori specifici di attività sociale nel paese. Questa classificazione, che in seguito adotte­ remo, si riferisce nella situazione attuale a settori di lavoro individuale, e solo in misura molto modesta ad attività di gruppo o a forme di pianifi­ cazione sociale. L’elenco che segue non è soltanto un’ulteriore specificazione del servizio sociale individuale, ma piuttosto una classificazione a pari livello della precedente, elaborata però secondo criteri di « contenuto » del lavoro anziché di metodo. In tale contesto, lo scopo delle riforme in atto della politica sociale norvegese consiste, quindi, nel dare l’avvio a nuovi tipi di attività, più adatti alle nuove situazioni createsi nella società del dopoguerra, ma indirizzati entro una problematica sociale già definita e classificata:

1. Servizio sociale generico, svolto specialmente nell’ambito degli enti pubblici — soprattutto i comuni — e, in misura minore, da parte di alcune organizzazioni a carattere pri­ vato. In primo luogo, è compresa l’attività previdenziale e di assistenza organizzata localmente, cui si aggiungono i compiti più specificamente assistenziali di cui i comuni si devono occupare per legge (povertà, alcolismo, disoccupazione, fami­ glie disgregate, madri nubili, ecc.).

2. Servizio sociale con famiglie e minori, che viene svolto in gran parte tramite le apposite commissioni comunali, e inol­ tre dai consultori di assistenza familiare, dalle istituzioni di assistenza e protezione dell’infanzia, dei consultori psicologici annessi alle scuole, ecc.

3. Servizio medico-sociale, compreso il trattamento degli alcolisti. Per lo più si tratta di attività svolte nell’ambito delle istituzioni terapeutiche, specialmente da parte degli assistenti sociali degli ospedali e delle altre istituzioni simili.

4. Servizio sociale per la rieducazione, la riqualificazione e

il collocamento, specialmente per i minorati e inoltre per i

profughi e le vittime della guerra. I dati accessibili riguardano solo le attività di carattere prevalentemente sociale in questo settore, e non considerano i normali uffici di collocamento dei comuni.

5. Servizio sociale di fabbrica, aziendale, e nelle forze

armate. Per le attività nelle aziende (comprese quelle pubbli­

che), si considerano soltanto gli aspetti puramente sociali e non quelli riguardanti i rapporti interni col personale a scopi di maggiore produttività, ecc. Il lavoro sociale nelle forze armate si svolge in parte in forma di organizzazione del tempo libero, ma principalmente con lo scopo più individuale di facilitare l’adattamento dei singoli alla vita militare.

6. Servizio sociale per gli anziani, svolto in parte tramite organizzazioni private e in parte amministrato dai comuni, sia a domicilio che presso gli istituti.

7. Servizio sociale per detenuti ed ex-detenuti, presso isti­ tuti di pena o esercitato da parte di federazioni di enti privati che hanno come finalità l’assistenza e il riadattamento degli ex-detenuti.

Gli assistenti sociali. Premessa terminologica

Il termine norvegese sosialarbeider non implica rigorosamente il possesso di un diploma rilasciato dalle scuole di servizio sociale, come invece è il caso del termine svedese socionom:

« Per sosialarbeider si intende una persona che lavora con individui singoli o gruppi di individui allo scopo di chiarire la loro situazione sociale e per aiutarli a trovare la soluzione ai loro problemi sociali. Rien­ trano nella definizione anche coloro che si occupano della pianificazione e amministrazione di iniziative del genere » (5).

Tale definizione ci consente di tradurre sosialarbeider con « assistente sociale » e in questo caso la perplessità è data più dal confronto con la situazione svedese precedentemente esposta che con quella di altri paesi, come gli Stati Uniti ove il termine è unico, social worker, anche se per specificare il possesso o meno del diploma si parla di professional o rum

professional social worker.

il termine di sosialinspebtör, di sosialassistent e di kurator, che lasceremo nella lingua originale. Mentre per la Svezia era legittimo tradurre kurator con la parola assistente sociale seguita da qualche specificazione (perché, come abbiamo visto, il 94% dei kurator er è diplomato dalle scuole di servizio sociale), non ci pare opportuno usare lo stesso criterio per la Norvegia, data la scarsezza dei diplomati nei posti di lavoro sociale. Dove il contesto lo consentirà, parleremo di assistenti sociali professionali e non professionali, riferendoci alla formazione specifica come a un elemento distintivo della «professionalità».

In sostanza la situazione norvegese è assai diversa da quella svedese, danese, italiana, francese, belga, ecc., e assai simile a quella descritta per la Gran Bretagna nella IV Inchiesta internazionale promossa dalle Nazioni Unite e pubblicata nel 1965.

« En France, par exemple — leggiamo a pag. 52 del testo francese — on exige de tous les travailleurs sociaux qu’ils soient diplômés d’une école de service social, tandis qu’au Royaume-Uni la majorité des personnes affectées à certains services n’ont reçu qu’une formation en cours d’emploi organisée par leurs employeurs ou une association professionelle ».

Tuttavia esiste in Norvegia, come vedremo nel corso dello studio, una tendenza sempre più marcata a incoraggiare una specifica formazione professionale e a sviluppare le scuole di servizio sociale.

La situazione di lavoro

1 settori di lavoro

Le varie inchieste sulle quali è basata l’esposizione che segue indicavano, all’inizio del 1960, un totale di 744 operatori sociali attivi in Norvegia (6), Considerando i criteri con cui è stato fatto il censimento della categoria, bisogna tener presente i limiti di un confronto tra la situazione norvegese e quella degli assistenti sociali svedesi prima descritta. Al contrario di quanto avviene per la Svezia, questi dati includono i non diplomati, ed escludono le persone con funzioni puramente amministrative, anche se fornite di diploma.

Troviamo così che su un totale di 744 elementi elencati come attivi nel 1960, solo 164, pari al 22%, sono dei diplomati delle scuole di servizio sociale a tale data esistenti; gli altri possono avere una formazione uni­ versitaria (6,2%) o una formazione in campo sociale ricevuta all’estero

(3,1%), mentre l’l l % circa è formato da assistenti sanitari, infermiere o puericultrici, adibiti a compiti di carattere sociale; il 21,5% ha una formazione parziale, e quasi il 35% del totale non ha alcuna qualificazione

specifica per il lavoro sociale. La classificazione è quindi stata fatta esclu­ sivamente in termini di tipo di lavoro effettivamente svolto, a giudizio dei vari enti o organizzazioni interessate.

La maggior parte degli assistenti sociali si trovano occupati, come negli altri paesi scandinavi, negli enti pubblici, specialmente a livello comunale. La divisione della categoria, a seconda dei datori di lavoro, sempre nel 1960, era la seguente: Amministrazioni comunali 462 61,1% Amministrazioni provinciali 17 2,3 Enti statali 170 22,8 Enti privati 95 12,8 Totale 744 100,0%

I primi posti di lavoro, a livello comunale, furono istituiti già prima del 1860 ; nel 1940 ne esisteva un centinaio circa. Solo nel secondo dopo­ guerra, però, si è creato circa l’80% dei posti attualmente esistenti, per la maggior parte durante gli anni ’50, periodo in cui il numero totale di operatori sociali attivi si è raddoppiato. Questo sviluppo, in gran parte provocato da una più attiva politica sociale da parte dello stato e dalle riforme in corso nell’ordinamento comunale, non dimostra segni di arresto. Quindi, come avremo occasione di notare in seguito, si lamenta già una grave carenza di assistenti sociali a tutti i livelli, specialmente dove è più forte il bisogno di personale qualificato.

E’ anche da osservare un notevole dislivello nella distribuzione territo­ riale degli assistenti sociali : nella parte sud-orientale del paese, cioè nelle provincie più urbanizzate che rappresentano il 45% della popolazione totale, troviamo il 57,3% degli assistenti sociali occupati.

Può essere interessante notare che la Norvegia è uno dei rari paesi che non considerano come professione tipicamente femminile quella del­ l’assistente sociale: gli uomini, infatti, costituiscono il 63% degli assistenti sociali attivi.

Rispetto ai sette settori di lavoro prima elencati, la distribuzione degli assistenti sociali nel 1960 era la seguente (7):

1. Servizio sociale generico 328 44,1%

2. Servizio sociale con famiglie, minori, eco. 114 15,3 3. Servizio medio-sociale 99 13,3 4. Servizio sociale per la rieducazione, ecc. 73 9,8 5. Servizio sociale aziendale e nelle forze armate 71 9,6 6. Servizio sociale per gli anziani 27 3,6 7. Servizio sociale per detenuti ed ex-detenuti 32 4,3 Totale 744 100,4%

Non meno dell’87% delle persone considerate come assistenti sociali sono funzionari pubblici a vari livelli dell’amministrazione comunale, pro­ vinciale o statale. L’esame del mercato di lavoro coincide in gran parte con la descrizione degli enti pubblici interessati, e più particolarmente delle amministrazioni comunali, presso le quali sono occupati quasi i due terzi della categoria.

Secondo la legge sulle attività sociali degli enti pubblici, varata di recente, le attività sociali dei comuni devono essere coordinate da una apposita direzione sociale con un ufficio proprio, diretto da persona fornita di specifica qualifica professionale; quest’ultimo punto è un requisito neces­ sario per poter usufruire dei contributi statali previsti. Come vedremo in seguito, però, l’utilizzazione di personale qualificato nel settore sociale è ancora una méta lontana da raggiungere per gran parte dei comuni, tra l’altro perché attualmente le scuole hanno disponibilità di posti assai limitata.

Queste attività sociali discendono dalla tradizione di assistenza più o meno volontaria ai poveri ed ai malati della comunità, compito ereditato dalla chiesa al tempo della Riforma. Negli ultimi decenni, grazie al gene­ rale miglioramento del tenore di vita in tutto il paese, all’alto livello di occupazione e all’interessamento sempre più attivo dello stato in materia di pianificazione economica regionale, molti dei fenomeni più tradizionali di povertà e di « malattie sociali » sono gradualmente spariti e, con loro, gran parte dell’orientamento puramente caritativo che generalmente guidava i comuni in questo tipo di problemi. Allo stesso tempo, grazie ad iniziative legislative e alla conseguente istituzionalizzazione di varie attività assisten­ ziali e terapeutiche, che comportava un aumento di responsabilità da parte dello stato nei confronti dei malati mentali e di altri gruppi particolari, l’area di intervento dei comuni si è alquanto ristretta. E ’ tuttavia obbligato- rio per ogni amministrazione comunale avere una commissione di assistenza sociale, responsabile di quelle attività dirette in campo assistenziale che si rendono tuttora necessarie, e inoltre una commissione per la protezione dell’infanzia e un’altra per i problemi relativi agli alcolisti. Gran parte dei comuni ha inoltre una commissione per la gestione a livello locale del sistema nazionale di sicurezza sociale. A seconda della dimensione e della situazione economica dei comuni, queste commissioni hanno anche la facoltà di avviare altre iniziative in campo sociale, amministrate da una delle commissioni obbligatorie o da altri organi appositamente creati.

Le direttive statali in materia di amministrazione sociale a livello comunale sono quindi molto generiche : esse fissano un minimo obbligatorio per l’ estensione delle attività locali, ma non stabiliscono alcun criterio particolare per la realizzazione e l’amministrazione dei vari servizi e ini­

soprattutto nelle notevoli differenze esistenti tra comune e comune, in termini di situazione economica, estensione, densità di popolazione, inte­ resse per i problemi sociali, ece. (8). E’ però prevedibile che la nuova legislazione in campo sociale, e più ancora il riordinamento delle circoscri­ zioni comunali in atto da alcuni anni, contribuiranno a superare questa situazione incerta.

Da questo deriva il fatto che, nonostante le raccomandazioni da parte dello stato di affidare la direzione delle commissioni comunali e l’ammini­ strazione dei programmi sociali comunali a persone qualificate, la maggior parte dei comuni, specialmente i più piccoli, non è ancora in grado di poterlo fare. Uno studio su un campione rappresentativo di 105 comuni dimostra che solo il 20% circa aveva organizzato un apposito ufficio sociale gestito da uno o più assistenti sociali qualificati, mentre in più della metà dei casi erano gli stessi consiglieri comunali a gestire i vari programmi sociali del comune (9). In altri casi, che rappresentano circa il 30% del campione, il lavoro sociale risultava svolto normalmente, o sotto forma di lavoro straordinario, dagli impiegati comunali insieme ad altri compiti di tipo amministrativo.

L’inchiesta citata rileva un’alta correlazione tra il numero di funzio­ nari qualificati nelle amministrazioni comunali e il reddito fiscale del comune, ma in seguito tende a sottolineare piuttosto il rapporto tra il primo dato e il fattore più stabile costituito dall’entità della popolazione dei comuni. Dei comuni con meno di 3.000 abitanti, nessuno è dotato di una propria amministrazione sociale, diretta da un assistente sociale qualificato. Su 26 comuni tra i 3.000 e 6.000 abitanti, ve ne sono 8 in cui il lavoro sociale è affidato a uno dei consiglieri comunali, 10 in cui è svolto da impiegati comunali e 8 in cui vi sono operatori qualificati. Sopra i 6.000 abitanti, nessun comune affida più il lavoro ai consiglieri, e i sei comuni che superano i 12.000 abitanti, dispongono tutti di personale qualificato (10).

Questi risultati trovano conferma nei dati che si hanno sul complesso del paese per il 1960: su 732 comuni, 124 avevano un assistente sociale diplomato; di questi 124 comuni, tutti avevano una popolazione di più di 2.000 abitanti ; solo un comune con più di 12.000 abitanti si trovava privo di assistenti sociali qualificati. Il numero di assistenti sociali aumenta proporzionalmente alla dimensione del comune: dei 41 comuni con più di 12.000 abitanti, 33 ne avevano più di uno, 8 più di 5. Il più grande, Oslo, aveva un assistente sociale per ogni 2.400 abitanti (11).

Un numero molto esiguo di assistenti sociali — 17 in tutto — erano, come abbiamo già visto, occupati a livello intercomunale o provinciale. Si tratta in genere di assistenti negli ospedali gestiti dalle provincie o nei consultori psicologici delle scuole amministrate a livello intercomunale.

Esistono anche forme di collaborazione intercomunale per la gestione degli asili infantili e dei ricoveri per anziani, ma in esse è occupato solo un numero molto ristretto di assistenti sociali. Tutti questi posti di lavoro sono stati istituiti nel dopoguerra, quando si verificò un maggiore interes­ samento delle amministrazioni provinciali in materia di politica sociale e un inizio di collaborazione intercomunale per la risoluzione di compiti al di sopra delle possibilità delle singole unità.

A livello statale, figura una cifra di 170 assistenti sociali attivi, pari al 23% circa del totale della categoria. Mancano qui degli elementi interessati al lavoro sociale generale, mentre è molto rilevante il numero di addetti al lavoro sociale nelle aziende, presso le forze armate ed in altre istituzioni statali. Una trentina di essi sono occupati nel settore della rieducazione e riqualificazione dei minorati o infortunati e un numero uguale è occupato nel lavoro medico-sociale presso i vari istituti di cura gestiti dallo stato. Sono anche considerati funzionari statali coloro che operano nelle associazioni per l’aiuto agli ex-detenuti, i quali, unitamente

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