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Augusto Monti : « I miei conti con la scuola»

II 10 luglio è morto g Roma, Augu­ sto' Monti. D i lui come nomo poli­ tico, educatore, scrittore, mólto è stato . scritto in altre sedi. « Fu sem pre e tutto uomo di scuola •

ha detto V ittorio Foa commemo­ randolo su ” L’Astrolabio ” ■— , tut­

to impegnato sui problemi della form azione degli uomini, e quindi della società in cui s i raggruppano e viv o n o »: nella prospettiva di questa frase, che stringe in una visione globale il m olteplice impe­ gno di una vita [esemplare, ripor­ tiamo in questa sede pochi brani tratti dal volume : I miei conti con

la scuola - Cronaca scolastica ita­ liana del secolo XX (Ed. Einaudi,

Torino, 1965, pagg. 91-99 passim).

« Narrano che il Cardinal Mastai Ferretti prima di mettersi in viag­ gio da Perugia alla volta di Roma per il Condave da cui doveva usci­ re papa nel 1846, si prendesse ome viatico il Primato di Gioberti; è accertato che il figlio di mio padre, partendo da Chieri sulla fine del 1911 per diventare professore di liceo a Reggio Calabria, si prese come viatico un numero della

’’ Voce” fiorentina, e precisamente quello del 16 marzo 1911, numero unico dedicato alla questione meri­ dionale. Il numero cominciava con alcune pagine di Giustino Fortuna­ to intitolate Le due Italie (tratto da un discorso politico di quel grande meridionalista e umanista) e finiva con un articolo di un altro grande umanista ed economista, Luigi Einaudi. Anche questo nu­ mero della ” Voce ” era, m’affretto a dirlo, per il novizio professore di liceo niente altro che un libro scolastico, il primo nucleo di quella bibliotechina per gli studenti del Liceo Campanella che il prodotto delle scuole torinesi e delle riviste fiorentine si proponeva di istituire nella nuova sede, là in punta dello Stivale.

E anche questo punto del mio programma didattico io potei am­

piamente svolgere grazie alla A s­ sociazione per gli interessi del Mez­ zogiorno novamente costituitasi allora in Italia, cioè grazie ad al­ cuni dei suoi uomini ».

« Una gran smania — adesso si direbbe una grande carica — di

fare teneva me in quegli anni, e

con me naturalmente tutti quelli che a me assomigliavano o a cui

assomigliavo io stesso, quella sma­ nia di agire a cui forse pensava Benedetto Croce quando scriveva più tardi durante il ” ventennio ” quella sua famosa nota che egli intitolò attivismo solo perché non la poteva allora in Italia intitolare altrimenti; ma era la nostra una smania innocente un ingenuo e apostolico desiderio di far del bene, correggere errori, raddrizzar torti, far girare la ruota del, come i diceva allora, ” progresso ” ... ».

« ... ma pareva ancora a me che leggere e far leggere libri e arti­ coli di riviste non fosse fare, agire, ma ritenesse alcunché di scolastico e letterario, ond’io guardandomi intorno fra quelle macerie non an­ cora sgomberate, fra quelle barac­ che già putrescenti — almeno pa­ recchie — , discorrendo con i gio­ vani dell’Associazione smaniosi quanto me di fare, cercavo altri modi di scaricarare quella smania per il bene — naturalmente — di queirinconsueto mio prossimo.

E due cose nuove mi avevano colpito subito pochi giorni dopo il mio installamento in quella bianca baracca americana di corso Buenos Aires; una era questa: davanti alla nuova stazione di Santa Giu­ stina, e in altri punti di quella lunga città, un tavolino piantato in mezzo alla strada, sul tavolino un ombrellone da mercato di frutta, sotto l’ombrellone assiso a quel ta­ volino un omino che scriveva e scriveva, attorno all’omino gente, donne del popolo tutte quante in­

tente — mi pareva — a dettare: era lo scrivano pubblico, lo scriva­ no volante che per pochi centesimi quotidianamente sbrigava la corri­ spondenza di quelle o madri, o mo­ gli, o figlie di calabresi emigrati di là dai mari. Altra cosa: di tanto in tanto per la città una baracca alla quale vedevo affluire nelle ore in cui andavo o tornavo di scuola torme di bambini dai tre ai dieci anni circa, accompagnati da paren­ ti, o raggruppati a due o a tre, i più piccoli per mano dei più gran­ di; e durante il giorno, se mi av­ veniva di andar attorno nel tempo che avevo libero dalle lezioni, udivo venir da quelle baracche o canti­ lene di corali letture sillabate, o voci bianche di canzoncine o pre­ ghiere, i rumori insomma ben noti degli alveari scolastici. Una di quelle pullulanti ronzanti baracche stava proprio in quel bianco rione americano quasi di fronte alla di­ mora assegnatami ; chiestone infor­ mazioni al collega Cutrì vicino mio di abitazione n’ebbi in risposta che quella era la mastra, la maestra, chiamata così anche se l’inquilino della baracca e reggitore dell’an­ dirivieni e del vociare era un uomo, un maestro ; si trattava insomma di scuolette, asili, classi elementari, libere, private, incontrollate dalle autorità, abbastanza diffuse in quei tempi, secondo che mi assicurava il calabrese, mio dotto e anziano collega del ginnasio inferiore, in tutte le Calabrie, anzi in tutto il Mezzodì... ».

« ... La curiosità era, ovviamente, di sapere quante fossero nel co­ mune di Reggio quelle scuole li­ bere, quanti scolari singolarmente e complessivamente accogliessero, per venir eventualmente alla con­ clusione di sapere se in quale grado quelle incontrollate scolette adem­ piessero a certa loro funzione di ” scarico d’obbligo ” e per qual per­ centuale grazie ad esse potesse eventualmente essere ridotta la somma —• enorme — degli inadem­ pienti locali all’obbligo scolastico. Preponderante, si capisce, era in me queU’intereeise che ho chia­ mato politico. Durava in me in quel 1912 il travaglio per cui dal mac­ cheronico e sentimentale sociali­ smo de’ miei vent’anni mi avviavo passo passo verso quel neoliberali­ smo che doveva diventarmi consa­ pevole un dieci anni appresso per il mio incontro con Piero Gobetti, il giovane che avendo l’età d’esser mio scolaro sarebbe stato invece con Lombardo Radice, Salvemini, Croce, maestro mio. Verso codesto neoliberalismo io navigavo sulla navicella del liberismo — anzi ” antiprotezionismo ” — appreso a me specie da uno di quei maestri, Gaetano Salvemini e dalla schiera di collaboratori della sua ” Unità ” , Einaudi, De Viti De Marco, Giret­ ti, Luzzatto e minori. Quibus fre-

tus io non perdevo occasione per

cercare dovunque attività e inizia­ tive ” private ” con cui correggere errori e colmar manchevolezze del­ l’inviso ” intervento ” statale e bu­ rocratico: allora a Reggio in quelle

scolette della mastra io d’istinto avevo intuito — mi pareva — la soluzione in nuee nientemeno che di tutto il problema della scuola elementare e dell’analfabetismo me­ ridionale.

Le mie curiosità statistiche po­ terono essere soddisfatte grazie all’aiuto dei miei ragazzi... ».

« ... l’associazione ci aveva fatto stampare a centinaia di copie un questionario concordato con i miei consiglieri fin nei più piccoli par­ ticolari, ubicazione della scoletta, numero dei frequentatori divisi per età e per sesso, titoli di studio della mastra, retribuzione, ecc. ; avevo munito i ragazzi di quei fo­ glietti e li avevo sguinzagliati per la città in quel primo tentativo; mi fidavo di loro, indigeni ed esper­ ti dei rapporti sociali correnti in

loco, perché sapessero vincere le

previste inevitabili diffidenze pres­ so gli interrogati : l’inchiesta avrebbe dovuto essere condotta alla spicciolata, piano, piano, avendo ogni cura di far intendere che in quelle ricerche l’autorità non c’en­ trava e il fisco tanto meno, che anzi si era là per aiutarli, non per imbrogliarli... ».

« ... a fin di giugno la nostra cu­ riosa commissione d’inchiesta era in grado di comunicare alle supe­ riori autorità vuoi dell’Associazio­ ne e vuoi del provveditorato scola­ stico ” che dalla somma dei reni­ tenti aH’obbligo scolastico per quel­ l’anno risultante per il Comune di Reggio in 1.920 unità su 3.875

ob-Migrati occorreva detrarre la cifra di 664 scolari superiori agli anni 6 ” frequentanti — secondo la no­ stra scoperta — le clandestine ep- pur provvidenziali scolette locali della mastra; per modo che la per­ centuale dei renitenti per quel­ l’anno a rigore non doveva essere più per Reggio del 49,54 per cen­ to, dato ufficiale, bensì solamente del 32,41 per cento... ».

D lavoro nel Mezzogiorno

Umberto Ca s s in i s, A spetti e pro­ blemi del lavoro nel M ezzogior­ no, Ed. Giuffrè, Roma, 1965,

pagg. 115.

La struttura e la dinamica del lavoro meridionale e i problemi del lavoro nello sviluppo economico del Mezzogiorno, sono illustrati da Umberto Cassinis in una pubblica­ zione della Collana « Francesco Giordani », curata dalla SVIMEZ nell’ambito dell’attività di forma­ zione svolta dal « Centro per gli studi sullo sviluppo economico», e diretta particolarmente ai giovani del sud che partecipano ai corsi del « Centro ». In un’ampia pano­ ramica, i problemi del mercato del Mezzogiorno vengono analizzati partendo da una descrizione della dinamica dell’occupazione nel de­ cennio 1951-61, dei livelli culturali e professionali delle forze di lavoro e dei livelli delle retribuzioni, per arrivare ad un esame critico delle iniziative esistenti nel campo della

formazione professionale, con par­ ticolare riguardo alla formazione dei quadri intermedi e direttivi, e del collocamento, la cui discipli­ na si dimostra oggi inadeguata sia per i livelli tecnologici della mano-

* doperà che per la sua estrema mo­

bilità geografica e professionale. Tenendo conto della destinazione della Collana, deve essere sottoli­ neata la chiarezza e semplicità del­ l’esposizione e la ricchezza dei dati e delle informazioni che rispondono all’intento di offrire un quadro d’insieme.

T. C. O.

Stratificazione sociale

Lu c ia n o Ber g o n zin i, La stratifi­ cazione demo grafico-sociale in Italia, Ed. Feltrinelli, Milano,

1963, pagg. 121.

Lo studio di Luciano Bergon­ zini fa parte di una serie di saggi pubblicati a cura del « Centro di studi e ricerche sulla struttura eco­ nomica italiana » dell’Istituto Gian- giacomo Feltrinelli.

L’indagine riguarda i fenomeni di mobilità della popolazione ita­ liana in due intervalli (il primo si riferisce al periodo 1936-51 e il secondo al più breve intervallo 1951-60) che complessivamente ab­ bracciano quasi un quarto di secolo.

Lo studio si propone di mettere in risalto le profonde differenze che caratterizzano i fenomeni di mobilità, dall’originario movimento

di spopolamento montano all’attua­ le tendenza verso una stratificazio­ ne economica, sociale e culturale del territorio nazionale.

I singoli aspetti del processo di stratificazione vengono rilevati at­ traverso l’analisi di manifestazioni demografiche connesse a parametri economico-sociali e fisico-ambienta­ li e con riferimento alle varie ri- partizioni geografiche del Paese. L’osservazione si basa esclusiva- mente su materiale demografico ed utilizza i dati statistici esistenti, non comprendendo fra questi i ri­ sultati del decimo censimento della popolazione, che noti erano stati resi noti al momento della pubbli­ cazione dello studio.

T. C. O.

L ’emigrato nella società industriale Francesco Alberoni e Guido Ba-

GLIONI, L ’integrazione dellim m i­

grato nella società industriale, Ed. Il Mulino, Bologna, 1965, pagg. 367.

L’idea centrale che unisce i di­ versi saggi di Alberoni e Baglioni raccolti in questo volume è che per le migrazioni interne italiane lo schema tradizionale di interpre­ tazione del processo di integrazione degli immigrati basato sul concetto di « distanza culturale » debba es­ sere sostituito con un diverso mo­ dello teorico che gli autori chiama^ no della « socializzazione anticipa­ tor ia ».

Le condizioni essenziali in cui il modella dell’integrazione come fun­ zione della distanza culturale si rea­ lizza sono: l’esistenza di due cul­ ture fra cui gli scambi sono assen­ ti o estremamente ridotti, un note­ vole grado di distanza culturale, un elevato grado di etnocentrismo, inteso prevalentemente nel senso che per l’emigrato la cultura d’ori­ gine è superiore a quella ospite. Queste condizioni secondo gli auto­ ri si sono presentate nella emigra­ zione internazionale contadina, ma si presentano in misura assai mi­ nore nelle migrazioni interne con­ temporanee in Italia. Per quest’ul- time infatti, mentre si può parlare di aree culturali distinte perché la cultura moderno-urbana industriale differisce notevolmente da quella rurale-meridionale, le due culture non possono essere considerate iso­ late per i continui scambi di infor­ mazione che intercorrono fra Luna e l’altra. Inoltre nelle migrazioni interne non esisterebbe la condi­ zione di etnocentrismo, in quanto alla base della decisione di emigra­ re non c’è solamente o prevalente­ mente l’aspirazione ad incrementa­ re il proprio reddito, ma la consa­ pevolezza che la società di origine è strutturalmente inadeguata per soddisfare aspettative ed esigenze che possono essere invece persegui­ te in altra società.

Tali migrazioni sono quindi la conseguenza di un rifiuto della società contadina alla quale si so­ stituisce come punto di riferimen­ to la società industriale urbana.

In queste condizioni ha luogo negli emigranti « una vera e propria socializzazione anticipatoria nel senso che già mentre sono nella zona d’origine in parte hanno fatto proprie, non solo certe mete di A [società ospite, n.d.r.~\, ma anche certe procedure, e si sono resi con­ to che per vivere in A ed ottenere il successo dovranno adottare certe modalità di vita ».

I saggi qui raccolti, già pubbli­ cati i tempi diversi, vengono pro­ posti come il risultato di una « ri­ cerca processivai composta da di­ verse tappe consecutive, ciascuna di queste costituita da un’ispezione ed analisi dei fenomeni, una rifor­ mulazione teorica ed una verifica empirica ».

La verifica empirica del modello teorico è costituita da due ricerche, una sull’integrazione degli immi­ grati nella città di Milano, l’altra sull’esodo dall’agricoltura nella pia­ nura padano-lombarda.

Dai risultati delle ricerche, in particolare della prima, in quanto la seconda per la caratteristica metodologica della indagine rappre­ senta un contributo più limitato, l’ipotesi di fondo della teoria della socializzazione anticipatoria si ri­ tiene confermata. Sulla base del­ l’analisi degli aspetti culturali re­ lativi all’adattamento dei soggetti immigrati a Milano negli ultimi anni •—- l’esame non comprende questioni o situazioni di ordine strutturale e organizzativo connes­ se all’insediamento — gli autori sono indotti ad affermare che ci si

trova di fronte ad un’integrazione accelerata, relativamente facile, e a persone in condizione di poter adottare modalità di vita condivise nell’ambiente.

Su un altro piano si colloca l’ul­ timo saggio di Alberoni che, pro­ spettando soluzioni sul « problema sociale » deiU’integrazione dell’im- migrato e deH’integrazione della società, si sposta dall’analisi socio­ logica al campo della politica sociale.

T. C. 0 .

Pubblicazioni della OCDE sulla mano d’ opera

e sugli affari sociali nel 1965

Nella serie « Les ” relations in­ dustrielles ” et la politique de main-d’œuvre » deU’Organisation de Coopération et de Développe­ ment Economiques (OCDE), Al a in

To u r ain e e Co l l, hanno curato uno studio su Les travailleurs et

les changements techniques, (pa­

gine 187).

Il volume presenta lo stato attuale delle ricerche sugli atteggiamenti dei lavoratori nei riguardi dei cambiamenti, nell’intento di offri­ re una visione d’insieme di questo campo di studi.

« Il tema al quale è dedicato questo rapporto è uno di quelli che definiscono meglio l’orienta­ mento dominante della sociologia industriale nel corso degli anni recenti. Le osservazioni più utili,

l’insieme delle ricerche più cono­ sciute sono rivolte così chiara­ mente agli atteggiamenti dei la­ voratori nei riguardi dei cambia­ menti attinenti al loro lavoro, che si è quasi tentati di dire che la sociologia o, almeno, la psico-so­ ciologia industriale si definisce come lo studio di questi atteggia­ menti e dei comportamenti aid essi legati ». Così Alain Touraine pre­ senta lo studio, proponendolo come una introduzione concreta alla so­ ciologia industriale.

Al fine di stabilire nuovi rap­ porti fra atteggiamenti e situa­ zione di lavoro superando l’impo­ stazione di un legame diretto, quasi meccanico, fra situazione materiale di lavoro e condotta so­ ciale, Touraine definisce tre modi di analisi degli atteggiamenti dei lavoratori. Il primo si situa all’in­ terno dei comportamenti e studia le condizioni nelle quali determi­ nati orientamenti di comporta­ mento sono rafforzati dalle gratifi­ cazioni che ne derivano; ciò im­ plica un sistema di valutazione coerente degli elementi che si or­

ganizzano nell’unità di una deci­ sione. Il secondo si colloca dal punto di vista del sistema sociale rifacendosi alla nozione di adatta­ mento piuttosto che a quella di soddisfazione, come nel primo caso. Questo secondo tipo di ana­ lisi conduce allo studio delle rela­ zioni sociali nelle quali è coinvolto l’ individuo che prende una deci­ sione e considera gli effetti della patologia delle norme sociali. In

altri termini, un individuo è tanto più fortemente orientato verso un obiettivo quanto più questo corri­ sponda alle norme di gruppo alle quali riferisce la propria azione. Il terzo modo di analisi considera il rapporto fra l’attore e le proprie opere: l’individuo non può sce­ gliere se stesso come attore se sa di non poter incidere sulla situa­ zione da modificare e se ritiene che sia manovrata solamente « dal di fuori ».

« Nessuno dei tre modi di ana­ lisi, che sia diretta o no verso la soddisfazione, l’adattamento o i’alinenazione, accorda una posi­ zione privilegiata ad un particolare tipo di fattori come determinanti degli atteggiamenti verso il la­ voro. Sarebbe sbagliato credere che lo studio della soddisfazione si collochi al livello dell’individuo, quello deH’adattaimento al livello dei gruppi di lavoro e quello del­ l’alienazione sul piano di insiemi più vasti come le classi sociali. Sarebbe ancora più falso ritenere che il primo sia per essenza con­ servatore, il secondo riformista e ohe solamente il terzo metta in causa il sistema di valori e dun­ que l’organizzazione della società ». « Non si può neppure sostenere che questi tre modi di analisi siano assolutamente paralleli. Esiste solo un certo privilegio a vantaggio del concetto di alienazione relativa­ mente al fatto che è possibile pas­ sare da questa nozione a quella dell’adattamento e della soddisfa­ zione, mentre il procedimento con­

trario non è possibile. E ’ logico esaminare prima di tutto come un attore considera la situazione nel­ la quale si trova, confrontandola con le proprie esigenze, con quelle della creatività e del controllo delle proprie opere (controllo è qui con- * siderato soprattutto nel senso in­ glese, simile a “ potere ” , e non nel senso francese di “ verifica ” ), prima di valutare le esigenze del sistema sociale in se stesso, ossia del rapporto degli attori fra loro e con il loro ambiente sociale. Quanto allo studio della soddisfa­ zione, esso è legato a quello della personalità e delle sue possibilità di adattamento alle frustrazioni che le sono imposte».

L’A. ritiene le tre prospettive delineate strumenti di analisi ugualmente sensibili se il signifi­ cato del cambiamento è conside­ rato in relazione alle disposizioni dei lavoratori. Il sociologo non deve accostarsi ai problemi del cambiamento nel modo che a lui più conviene, ma deve ricercare quello che i lavoratori oggetto del suo studio scelgono e le ragioni di questa scelta.

La soddisfazione, l’adattamento e la disalienazione sono altresì considerati nella prospettiva di dif­ ferenti modi di trattamento dei problemi del lavoro. L’orientamen­ to verso la soddisfazione è legato ad una situazione nella quale i conflitti sugli obiettivi sociali della produzione sono relativamente de­ boli. Al contrario l’orientamento verso la disalienazione si presenta

quando questi conflitti sono acuti e la rigidità delle relazioni sociali molto più grande. Nel primo caso i problemi possono essere specifi­ camente trattati da delegati del personale e rappresentanti sinda­ cali nell’impresa mentre nel secon­ do essi si presentano più carichi di affettività e di intonazioni ideo­ logiche e devono essere affrontati su un piano diverso perché inve­ stono problemi generali della vita economica e sociale.

Allo schema di analisi illustrato da Touraine nell’introduzione, se­ gue la presentazione degli studi esistenti sull’argomento. Non è stato però possibile ordinare gli studi sulla traccia di tale schema per la diversità della loro impo­ stazione. La materia è stata infatti suddivisa osservando il lavoratore

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