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Assorbimento completo e impatto limitato: le ragioni del gap

Capitolo 1. Spendere i Fondi Strutturali: la questione dell’assorbimento

1.5 Il ruolo del tempo nell’esecuzione finanziaria

1.5.5 Assorbimento completo e impatto limitato: le ragioni del gap

Il tema dell’impatto dei Fondi Strutturali in Italia è stato intensamente dibattuto. In via generale, molte simulazioni macroeconomiche rivelano che i Fondi europei generano crescita57. Un risultato che, purtuttavia, non sempre la letteratura empirica sull’impatto è

riuscita a cogliere, soprattutto in Italia. Ciò indica che i Fondi Strutturali sono potenzialmente utili per la crescita, ma ci sono evidenti criticità nel processo di utilizzo dovute al fatto che: i) sono male allocati; ii) sono male gestiti; iii) sono spesi per investimenti sbagliati. (Marzinotto 2012).

Il supporto empirico a sostegno degli effetti positivi dei Fondi Strutturali non è affatto chiaro ed inequivocabile. A conferma di quanto appena detto, un breve esame della letteratura può aiutare ad esporre i limiti dei metodi di valutazione dell’impatto della politica di coesione, così diversi e contraddittori58. Ad oggi, non esiste alcuno studio di

valutazione sull’efficacia dei Fondi Strutturali considerato “ufficiale” e pienamente riconosciuto. La letteratura empirica focalizzata sulla misurazione degli effetti di crescita dei Fondi Strutturali è “piuttosto inconclusiva, anche perché la stima è contagiata da una serie di problemi metodologici e pratici” (ibid.). In sostanza, osservazioni, metodologie e modelli determinano la forma dei risultati, rendendoli ambigui e contrastanti, persino nelle valutazioni dell’impatto proposte dalla stessa Commissione (Rowe e Taylor 2005; Viesti 2013).

Ancora Marzinotto (2012) fa notare che se l’evidenza empirica è debole, ciò non necessariamente è dovuto al fatto che i Fondi strutturali non abbiano avuto la dimensione finanziaria sufficiente per generare cambiamento, quanto piuttosto perché sono stati assorbiti male dagli Stati Membri. Ciò risulta particolarmente vero in Italia, laddove – come osservato in questo lavoro - esiste una paradossale discrepanza tra il dato positivo del completo assorbimento dei fondi da una parte, che l’evidenza dei risultati reali ha mostrato inconfutabilmente, e la debolezza dell’impatto delle risorse sull’effettivo miglioramento strutturale delle regioni, insieme alla percezione del mancato utilizzo, dall’altra (Rainoldi, 2010). Per una completa rassegna dei lavori che indagano l’impatto della Politica di Coesione in Europa si rimanda ai più recenti lavori (Brasili et al, 2013;                                                                                                                

57 Si vedano per esempio le stime degli impatti macroeconomici positivi della politica regionale derivanti

dall’applicazione del modello Hermin (Bradley,Modesto e Sosvilla Riviero, 1995) e il modello Quest.

58 Il riferimento è alle tre direzioni intraprese dalle analisi econometriche sull’impatto della politica regionale

dell’Unione Europa realizzate nel corso degli anni: il primo gruppo, che rileva un impatto positivo sulla crescita e sulla convergenza; il secondo, che attribuisce l’impatto ad altri fattori, come la qualità istituzionale o l’autonomia dei governi; il terzo, che non ravvisa impatto, o ne coglie uno negativo. Per una disamina più

Brandsma et al., 2013; Prota e Viesti 2012; Marzinotto 2012; Gaffey 2012), e così anche l’analisi dei Fondi Strutturali in Italia è oggetto di interessanti studi (Reggi e Filippetti 2012; Santos 2009; Fabbris e Michielin, 2010; Uval 2010; Pupo e Aiello 2009; Loddo 2006; Coppola e Destefanis 2007; Percoco 2005).

In questa sezione ci limitiamo a segnalare come la letteratura esistente più recente appena citata suggerisca un impatto dei Fondi Strutturali in Italia indubbiamente non irrilevante ma di una certa modestia - si consideri la persistenza del divario ma anche la funzione di sostegno a investimenti, spesa pubblica, occupazione nel Mezzogiorno (Applica, Ismeri Europa e Wiiw, 2010) - la quale trova uno dei più accreditati moventi proprio nella mancanza di addizionalità che ha caratterizzato la gestione italiana.

A questo proposito Viesti (2013) arriva ad ipotizzare persino la quasi “assenza” di una politica regionale in Italia, dovuta alla debolezza di aggiuntività delle risorse comunitarie e nazionali rispetto alla spesa ordinaria. Egli spiega che, essendo la politica regionale una somma di interventi aggiuntivi in conto capitale, con lo scopo di spingere sullo sviluppo di determinati territori arretrati con una intensità maggiore rispetto ad altri più sviluppati, se viene a mancare tale spinta addizionale viene meno l’elemento costitutivo della politica regionale (Viesti 2013). Nell’analisi di Viesti (2011) l’addizionalità viene declinata in quattro possibili definizioni: “programmatica”, “concordata”, “economica” e “microeconomica”. Nel primo caso, l’addizionalità, intesa come l’impegno di investire nel Mezzogiorno il 45% della spesa totale in conto capitale a livello italiano, risulta dimezzata rispetto all’obiettivo (Viesti 2009). Nel secondo caso, ci si riferisce alla necessità di assicurare un livello adeguato di spesa ordinaria in conto capitale e, nel caso del periodo 2007-2013, di mantenere la media annua di spesa pubblica nazionale assimilabile del periodo precedente in aggiunta ai Fondi Strutturali. L’Italia, confermando le difficoltà esperite già nel 2002 e nel precedente ciclo 1999-1994, non è stata in grado di rispettare nel periodo 2007-2010, come dimostra la verifica intermedia del principio di addizionalità, effettuata nel giugno 2011, rispetto all’impegno negoziato e formalizzato nel QSN 2007- 2013 (Barca, 2011)59. La terza fa riferimento alla dimensione della spesa in conto capitale

nel Mezzogiorno rispetto alla media nazionale, pesata sia rispetto alla quota procapite, sia rispetto al Pil.

                                                                                                               

59 “Il rispetto del principio dell'addizionalità è considerato verificato se la media annua della spesa pubblica

nazionale ammissibile degli anni dal 2007 al 2010 è tale da essere coerente, ossia da non pregiudicare, il risultato finale relativo all’intero periodo 2007-2013 così come indicato, a inizio programmazione, nel calcolo dell’addizionalità ex ante” (Barca 2011).

Ciò che preme segnalare, nonostante le sfumature che differenziano tali definizioni – che rientrano all’interno della famiglia della cosiddetta addizionalità “di tipo macroeconomico” - in Italia non si è verificata l’addizionalità che era stata inizialmente prevista. Questo significa che la politica regionale italiana ha agito in modo “significativamente inferiore rispetto a quanto programmato e i fondi effettivamente aggiuntivi, sia comunitari che nazionali, sono stati in misura consistente sostitutivi della spesa ordinaria” (Ibidem.). La mancanza di aggiuntività a livello microeconomico è il prodotto dell’uso spregiudicato dei progetti coerenti e rappresenta l’altra faccia della mancata addizionalità macroeconomica. Fondi comunitari e fondi nazionali aggiuntivi per lo sviluppo regionale (leggasi FSC, ex FAS) hanno sostituito le risorse ordinarie a livello macro, e nello stesso istante, a livello micro, i Fondi europei hanno rimborsato progetti che comunque erano, o sarebbero, stati realizzati indipendentemente. Le risorse liberate ritardano l’impatto o lo neutralizzano, nel caso in cui esse non vengano reimpiegate in progetti di sviluppo regionale.

Da un punto di vista prettamente teorico, un investimento pubblico come quello realizzato attraverso i Fondi Strutturali europei ha un effetto sull’economia attraverso due canali di trasmissione: dal lato della domanda, breve periodo, mediante un incremento di consumi e investimenti; dal lato dell’offerta con un aumento la dotazione di capitale permanente, in quanto i fondi strutturali migliorano il contesto economico e sociale attraverso il rafforzamento del capitale territoriale (Rainoldi, 2010). Come già osservato, l’impatto dei fondi strutturali è racchiuso nell’addizionalità. Nel caso italiano, caratterizzato da un forte ricorso ai progetti sponda e coerenti, sono le “risorse liberate” a detenere in sé il potenziale del cambiamento strutturale. Dunque, l’impatto dei fondi strutturali si verifica solo quando le risorse liberate vengono riversate effettivamente nei territori. Quanto più si ritarda l’utilizzo di queste risorse per progetti di sviluppo o lo si diluisce dirottandole successivamente verso altri e differenti obiettivi diversi dallo sviluppo regionale, tanto più debole sarà l’impatto della politica di coesione. Viceversa l’impatto sarà tanto più positivo quanto più le risorse liberate saranno usate per finanziare interventi di sviluppo.

Se è vero che il dato dell’utilizzo dei fondi rappresenta il punto fino al quale un paese è capace di una spesa efficace ed efficiente dei suoi fondi a disposizione (EP, 2013), allo stesso tempo esso non è di per sé un indicatore né dell’efficacia della programmazione - cioè dell’impatto positivo delle risorse spese, falsato dalla mancanza di addizionalità - né

dell’efficienza dell’amministrazione, e i progetti sponda segnalano una scarsa capacità dell’amministrazione di proporre nuova progettualità.

Per concludere, l’elevato tasso di assorbimento italiano non dimostra né che siano stati raggiunti gli obiettivi prefissati né che l’amministrazione sia stata abile, dal momento che ha vistosamente abusato dell’espediente contabile dei “progetti sponda/coerenti”. Si tratta dunque di un semplice indicatore della capacità di “fare spesa” (Rainoldi, 2010), che non dice nulla se non accompagnato da un’analisi meticolosa dell’andamento temporale e della qualità della spesa. Proprio per effetto di tale fattore legato alla velocità della spesa, l’elevato tasso di assorbimento non si è tradotto in una percezione positiva della performance italiana nell’uso dei fondi, nonostante i dati dimostrino il contrario.

Se, da una parte, l’esecuzione finanziaria racconta un uso dei Fondi Strutturali pressoché completo e apparentemente positivo, dall’altra c’è uno debole impatto e una diffusa percezione negativa. In medio, è necessario trovare le variabili che spiegano questo rapporto. La qualità della spesa e il ruolo del “fattore tempo” possono essere annoverate tra esse, e raccontano il sostanziale fallimento della politica di coesione in Italia.

La rendicontazione è avvenuta nei tempi formali, entro le scadenze previste, ma l’impatto ha seguito tutt’altri tempi sostanziali (ibidem). Performance positive nella spesa non si sono tradotti in benefici immediati per le economie locali, proprio per via dei progetti coerenti, che hanno avuto l’effetto di ritardare sempre di più il potenziale impatto, fino a dissolverlo, perché attenuato spesso da nuove esigenze politiche che dirottavano le risorse altrove rispetto alla politica di sviluppo regionale. S’inceppa così il meccanismo di trasmissione degli effetti della politica di coesione sul territorio. C’è dunque una difficoltà a spendere e a trasformare la spesa in effettivo beneficio locale.

Bisogna precisare che la letteratura economica attribuisce la responsabilità della debolezza dell’impatto dei Fondi in Italia non solo al largo uso dei progetti coerenti e al ritardo di attuazione, ma ad una serie di altri fattori che in questa sede non possiamo trattare, ma che pure hanno giocato un ruolo decisivo nei risultati di 20 anni di politica regionale italiana. Tali fattori vanno dall’estrema frammentazione dei progetti finanziati (ISFOL, 2013) e degli obiettivi, fino alla forte incidenza di truffe e irregolarità e dei progetti non conclusi (Corte dei Conti 2012). Tuttavia, ai fini della nostra indagine, che si concentrerà nei successivi due capitoli sull’analisi delle cause della difficoltà italiana a spendere nell’attuale

periodo 2007-2013, si è fatto esplicito riferimento soltanto al fattore temporale e alle conseguenze storiche e attuali della scarsa rapidità dell’implementazione in Italia.

Deve essere chiaro, inoltre, che la lentezza attuativa e la regola N+2 esasperano le amministrazioni e riducono il valore aggiunto della programmazione, in alcuni casi fino a scomparire, non soltanto per il tramite dell’espediente di progetti sponda e coerenti, ma anche attraverso altri canali, per esempio indebolendo l’approccio “integrato” che caratterizzò il ciclo 2000-2006, e che doveva assicurare una integrazione strategica dei progetti ex ante, ma che invece è stata cucita su misura in modo artificioso soltanto ex post. Nella direzione opposta, invece, si può affermare che la progettazione coerente non sia stata dovuta esclusivamente alla pressione temporale della regola n+2, ma da una serie di difficoltà strutturali, una fra tutte l’incapacità di produrre nuova progettualità, che si è tradotta nei primi 7 anni della programmazione 2000-2006 alla sostanziale assenza di nuovi progetti60.

A questo proposito un caso certamente interessante è quello campano, in cui i progetti coerenti hanno sostituito quasi un terzo del Programma (30,1%) “costituendo, di fatto, una

rinuncia (a futura memoria) ad una quota nient’affatto trascurabile degli investimenti che si potevano programmare (e dai quali poteva dipendere, anche, il pieno conseguimento degli obiettivi del POR”

(NVVP Campania, 2011). Se a questa incidenza, dovuta all’esigenza tutta contabile della rendicontazione e alla difficoltà di approntare nei tempi assegnati una progettazione nuova e specifica, si somma la quota degli interventi non conclusi finanziariamente e fisicamente (oltre il 17% tenendo conto anche dei progetti “decertificati”), e si considera la frammentazione del POR in più di 30.000 interventi, ecco che risulta indubitabile la matrice della debolezza dell’impatto (ibid.).

Tabella 1.13 - POR Campania 2000-2006. Distribuzione della spesa certificata per Assi e

tipologia di Progetti

Fonte: Rapporto finale di esecuzione del POR

                                                                                                               

60 Al dicembre 2006 solo 17,5 miliardi su 45 miliardi totale erano stato impiegati per progetti nuovi, mentre il