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Capitolo 1. Spendere i Fondi Strutturali: la questione dell’assorbimento

1.5 Il ruolo del tempo nell’esecuzione finanziaria

1.5.6 Il Piano di Azione Coesione

Nei paragrafi precedenti abbiamo osservato come la lentezza nell’implementazione dei fondi strutturali possa comportare il grave e concreto rischio di perdita delle risorse, e come essa rappresenti una difficoltà strutturale del sistema di gestione dei Fondi Strutturali in Italia e nei cicli precedenti abbia condotto - attraverso il largo ricorso ai progetti coerenti – ad una scarsa qualità degli interventi e ad un rinvio dell’impatto.

C’è però un’altra conseguenza a cui la dilatazione dei tempi nell’impiego delle risorse ha portato nel presente ciclo di programmazione 2007-2013: il Piano Azione Coesione. Esso può essere considerato, alla stregua della passata esperienza di progettazione “coerente”, un ulteriore esperimento contabile senza il quale l’Italia avrebbe sicuramente perso una parte consistente delle risorse comunitarie. Il Piano di Azione Coesione, agendo sul rischio di disimpegno a fronte di una spesa lentissima, ha comportato – ferma restando la dotazione comunitaria - la riduzione di circa 12 miliardi dell’importo complessivo dei Programmi Operativi della zona Convergenza, pur tuttavia sacrificando ancora una volta sull’altare dell’assorbimento finanziario e della rendicontazione l’ingrediente dell’addizionalità e determinando un rinvio dell’impatto a data da destinarsi. Infatti, il PAC, ai cui obiettivi – individuati in 3 differenti fasi - i 12 miliardi sono stati attribuiti, non comporta più gli stringenti vincoli di spesa previsti per i Fondi Strutturali. Siamo di fronte ad una nuovo e più aggiornato stratagemma che molto ricorda la rendicontazione “coerente”.

A 5 anni dall’inizio della programmazione 2007-2013, nel dicembre 2011, l’Italia registrava un assorbimento di risorse disastrosa. Dei circa 28 miliardi di fondi strutturali , destinati dall'Ue all'Italia per gli anni 2007-2013, appena il 18% (5 miliardi) era stato speso. Il rischio di proseguire con questo ritmo sarebbe stata la perdita di gran parte dei restanti 23 miliardi. Al novembre 2011, i dati rivelavano che tra gli Stati membri solo la Romania, col 14%, aveva fatto peggio dell’Italia.

Fig. 1.11 - Capacità di spesa dei Fondi strutturali europei nei Paesi membri (novembre

2011, quota UE)

Fonte: elaborazioni RegiosS, 2013

Così, nel corso del 2011, viene avviata, di intesa con la Commissione Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013

Già all’inizio dell’anno la delibera CIPE 1/2011 fissa precisi target al 31 maggio e 31 dicembre per gli impegni e del 31 dicembre per spesa certificata. I target, attestati dal Sistema nazionale di Monitoraggio dei Fondi Strutturali, sono giuridicamente vincolanti e i Programmi Operativi che non avranno raggiunto il livello degli obiettivi prefissati dovranno essere oggetto di riprogrammazione, anche a favore di altri Programmi dello stesso obiettivo e stesso Fondo. Inoltre si stabilisce che i target vengano decisi di anno in anno dal Comitato del QSN in rapporto agli obiettivi annuali di spesa da raggiungere il 31 dicembre per evitare il disimpegno. Per il 2012, per esempio, i target al 31 maggio sono posti al 20% dell’obiettivo di fine anno, al 70% per il 31 ottobre. Per il 2013 sono fissati rispettivamente pari al 40% e 80%.

I primi risultati arrivano. L’avanzamento registrato nelle nuove date di scadenza definite dal CIPE mostra chiaramente una forte accelerazione, in particolare nell’obiettivo Convergenza dove maggiori erano i ritardi. Il FESR registra un aumento del 66% degli impegni, del 50% per il FSE, e le spese certificate al 31 ottobre crescono del 45% (FESR) e 60% (FSE) rispetto al 31 dicembre 2010.

Il percorso del 2011 avviato nel gennaio termina nell’autunno del 2011. I ritardi ancora molto rilevanti nell’attuazione di molti Programmi 2007-2013 e la pressione dell’Unione

Europea, hanno indotto il Governo italiano ad assumere un impegno di accelerazione nell’uso dei fondi con la lettera del Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione Europea e al Presidente del Consiglio Europeo del 26 ottobre 2011.

Il Piano di Azione Coesione, presentato il 15 novembre 2011 al Commissario Europeo per la Politica Regionale e concordato con la Commissione, consiste in una revisione delle scelte di investimento compiute con lo scopo di: i) accelerare gli interventi e ii) rafforzarne l’efficacia. Esso spinge a spendere i fondi disponibili per evitare che le risorse comunitarie vengano sprecate o, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di spesa, revocate; impegna quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, e anticipa alcuni princìpi della nuova programmazione 2014-2020 (Barca 2013). In breve, il PAC attua la revisione dei Programmi operativi attraverso:

∗ una rimodulazione interna dei programmi (risorse da un asse ad un altro);

∗ una riduzione mirata del cofinanziamento nazionale dai programmi operativi in ritardo, soprattutto nel Sud, a favore di programmi e/o strumenti più efficaci nell’ambito degli obiettivi strategici e prioritari individuati.

Così facendo il PAC, attraverso un percorso svolto in tre differenti fasi61, ha

ridimensionato la dotazione totale di molti Programmi Operativi determinando un aumento del tasso di cofinanziamento UE, consentito dal livello medio di cofinanziamento nazionale assai superiore in Italia a quello fissato dai regolamenti comunitari. L’effetto del PAC non è consistito in un’aumentata capacità di spendere da parte delle regioni, bensì della messa in sicurezza almeno la quota comunitaria. Di fatto, aumentando statisticamente il tasso di cofinanziamento UE dei PO, ha liberato quella parte di quota comunitaria che la Commissione non poteva pagare per via di un tasso di cofinanziamento concordato inizialmente che si attestava al 50%. Una quota particolarmente elevata che ha inciso sulla velocità di spesa.

Il Regolamento 2006 prevede per il tasso di cofinanziamento un massimale fissato al 75% per le Regioni della zona Convergenza in Italia. Con il PAC il tasso di cofinanziamento UE è passato mediamente dal 50% al 60%, e in alcuni casi al 75% (Sicilia e Campania)                                                                                                                

61 Le tre riprogrammazioni (dicembre 2011, maggio e dicembre 2012), hanno comportato la riduzione di

circa 12 miliardi di euro della quota del cofinanziamento nazionale. Le riallocazioni hanno privilegiato obbiettivi di riequilibrio strutturale e misure anticicliche. Il decremento della quota nazionale ha riguardato, quasi interamente, l’Obiettivo “Convergenza”. Per effetto delle rimodulazioni, le risorse dell’Obiettivo Convergenza al 30 giugno 2013 risultano pari a 34,1 miliardi di euro, di cui 21,6 miliardi di euro di contributi comunitari e 12,5 miliardi di euro di cofinanziamento nazionale.

(DG Regio 2014). Esso ha un effetto al contempo futuro e “retroattivo”. Da un lato, tutte le operazioni pagate dalla Regione potranno ricevere una quota maggiore di Fondi Strutturali, liberandole dalla “ghigliottina” del disimpegno. Dall’altro lato, l’effetto è anche su tutti progetti finanziati in precedenza. Le spese relative a progetti precedenti l’introduzione del PAC che sono state finanziate con risorse nazionali in base al tasso di cofinanziamento operante, sono state poi sostituite con nuova spesa comunitaria in base all’ultimo tasso di cofinanziamento maturato. Tale espediente contabile ha dato un contributo decisivo nel permettere all’Italia di passare dal 30% circa dei pagamenti al 50% nell’assorbimento della spesa dalla fine del 2011 all’inizio del 2014.

Si tratta dunque di un effetto meramente statistico dovuto ad un’operazione di “messa in sicurezza” della quota UE. Le Amministrazioni si sono viste ridurre il cofinanziamento nazionale previsto per i PO ma hanno ricevuto come contropartita la possibilità di incassare una quota maggiore di risorse UE per lo stesso ammontare di spesa certificata. Al di là delle importanti innovazioni di metodo (orientamento al risultato, trasparenza e apertura, sopralluoghi in itinere, cronoprogrammi; Barca, 2013), l’analogia con i progetti coerenti è evidente, e non attiene soltanto alla funzione di salvataggio dei Fondi, bensì anche all’impiego della somma sottratta al cofinanziamento nazionale. Essa finisce per foraggiare i “programmi paralleli”, attuati esattamente con le stesse regole comunitarie, in termini di gestione, rendicontazione e controllo. Tuttavia, del PAC ad oggi non si hanno notizie certe riguardo all’attuazione e soprattutto non si hanno certezze sulle risorse (DG Regio 2014). Esso, infatti, sta andando molto a rilento, perché il Fondo di Rotazione non ha risorse sufficienti per potere erogare anticipi alle regioni e a causa di molte persistenti difficoltà amministrative (Corte dei Conti 2012).

Con il PAC vengono tolte contabilmente risorse dai POR che vengono ridistribuite alle regioni finanziando anche alcuni progetti inizialmente previsti per la programmazione comunitaria. Tuttavia nell’ambito del PAC si prevedono spesso progetti dai tempi molto più lunghi rispetto a quelli inizialmente previsti dalla programmazione comunitaria (un esempio è il TAV Napoli-Bari la cui scadenza nella programmazione comunitaria era del 2015, con una soluzione a cavallo 2014-2020, ma nel PAC lo stesso progetto riporta la scadenza al 2022.). La realizzazione così viene allentata, ritardata, sia per via dell’incapacità di finanziamento delle opere infrastrutturali sia per i tempi lunghi. Si può dire dunque che alcuni progetti infrastrutturali vengano fatti “fuoriuscire” dalla programmazione

comunitaria e inseriti all’interno di questa “programmazione parallela” che segue lo stesso metodo di gestione e controllo dei PO.

Tali operazioni, definite di “ingegneria dei cofinanziamenti” adottate con le tre riprogrammazioni del PAC si sono rivelate utili a favorire il più veloce impiego delle risorse ma hanno avuto dei risvolti negativi analoghi a quelli segnalati per il ricorso eccessivo alla pratica delle “risorse liberate”, “in termini di affievolimento del principio di

addizionalità (ancorché comprensibile per l’attuale stato della finanza pubblica nazionale), di dilatazione temporale della spesa e di posticipazione degli effetti degli interventi” (Corte dei Conti, 2013).

Bisogna ricordare che la difesa dell’aggiuntività, fortemente pregiudicata dall’abuso dei progetti coerenti, era stata attuata, almeno sulla carta, dall’impostazione unitaria del nuovo QSN 2007-2013, il quale in via di principio esclude quasi totalmente la contaminazione di progetti esterni, finanziati con risorse ordinarie. Il margine di manovra è stato così ridotto, ma non chiuso del tutto. Con i progetti coerenti rimanevano fermi i tassi di cofinanziamento si rendicontavano progetti “vecchi”, con il Piano Azione Coesione viene ridotto il cofinanziamento nazionale e appostato su priorità più concentrate e libere dalle scadenze serrate del disimpegno.

Per concludere, non devono sfuggire le nuove sembianze dei progetti coerenti, reintrodotti sotto una nuova veste nel ciclo 2007-2013 e riconosciuti come legittimi nel marzo del 2012 a seguito dell’approvazione del documento del Comitato di Coordinamento dei Fondi (in recezione degli Orientamenti della Commissione), seguiti da una modifica del QSN 2007-2013 da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Stiamo parlando dei nuovi progetti retrospettivi. La modifica permette alle AdG di inserire nei Programmi operativi cofinanziati con i fondi comunitari i progetti inizialmente finanziati con altre risorse nazionali e stabilisce le condizioni necessarie per l’inserimento e la valutazione dell’ammissibilità. I progetti che le AdG possono inserire nel PO devono essere stati certificati alla fine del 2013 e una lista di progetti retrospettivi deve essere comunicata entro la fine del 2014.

Siamo di fronte ad una riproposizione dei progetti coerenti per favorire il volume della spesa. Dal momento che le spese sono ammissibili dal 1 gennaio 2007 e le regioni hanno effettivamente avviato la spesa nel 2010, tale espediente, precedentemente regolamentato nel QSN (progetti di prima e seconda fase) ha consentito la rendicontare per le spese già fatte, finanziate con altre fonti (per esempio il FAS). I progetti retrospettivi, non facendo parte della programmazione unitaria ma essendo finanziate con altre fonti, vengono considerati ammissibili laddove soddisfino i requisiti comunitari. Esattamente come è

successo con i progetti coerenti, anche questi daranno luogo a risorse liberate che diluiranno l’impatto.

Il “congelamento” delle risorse durante la crisi

Un’altra conseguenza della lentezza della spesa, e la concentrazione sproporzionata delle operazioni negli ultimi anni che ha caratterizzato l’attuale ciclo di Politica di Coesione, è il “congelamento” delle risorse disponibili per combattere la crisi economica. Nei primi 5 anni del ciclo 2007-2013, imperversati da una grave congiuntura economica, l’Italia ha speso poco più del 20% dei Fondi Strutturali disponibili, rinunciando ad una grossa fetta di risorse che avrebbe potuto alleviare le molte delle sofferenze socio-economiche e rilanciare l’economia. Se l’Italia avesse mantenuto nei primi 5 anni del ciclo una capacità di spesa più equilibrata, per esempio attestata ad un ipotetico tasso annuo del 10% di assorbimento, ossia poco più di 3 miliardi di euro di spesa certificata annuale, avrebbe potuto immettere nel sistema economico risorse per 15 miliardi di euro, 9 miliardi in più rispetto a quanto effettivamente speso.

Fig. 1.12 - Spesa effettuata e risorse non utilizzate - tasso di assorbimento nell’ipotesi del

10% annuo.

Fonte: elaborazioni su dati Regio 2014

A conferma dell’importanza dei Fondi Strutturali nel contesto di una delle crisi più gravi

!3000000$ !2000000$ !1000000$ 0$ 1000000$ 2000000$ 3000000$ 2007$ 2008$ 2009$ 2010$ 2011$ 2012$ Spesa$effe-uata$ Risorse$non$u5lizzate$

circostanza che le regioni italiane, nel biennio 2009-2010, abbiano deliberato un pacchetto totale di misure anticrisi di quasi 9 miliardi di euro, composto sia da Fondi Strutturali che da misure di matrice regionale (Fabbris e Michielin; DG Regio 2010). Le risorse provenienti dal FESR e dal FSE sono state utilizzate per la maggior parte delle misure anticrisi delle regioni Convergenza e tali destinazioni hanno avuto una dimensione di circa il doppio rispetto ai contributi anticrisi provenienti dai fondi discrezionali delle regioni (DG Regio, 2010). La politica di coesione ha dunque agito nell’“integrare” i piani anticrisi delle regioni finanziando “misure anticicliche” a breve termine, volte a fornire una reazione immediata alla crisi, e “misure strutturali”, più incentrate sulla crescita e l’occupazione nel medio-lungo termine, con una media del 42% del totale degli impegni FESR 2009-2010 per provvedimenti di tale genere. Tuttavia, si può affermare che le regioni del Mezzogiorno non abbiano sfruttato pienamente l’opportunità chiave rappresentata dai fondi comunitari, dimostrando una grave carenza nella prontezza strategica e nella pianificazione politica rispetto alle regioni Competitività. Se, infatti, le regioni del Centro Nord hanno destinato tutte le risorse comunitarie al rafforzamento tempestivo delle misure regionali per far fronte alla crisi, utilizzando finanche le risorse non spese del biennio 2007-2008, le regioni Convergenza non hanno reagito al massimo delle proprie possibilità pur potendo contare su una più ampia disponibilità di risorse. La stessa Commissione sottolinea che “la risposta complessiva alla crisi messa in atto dalle regioni Convergenza è stata positiva, ma non efficace come avrebbe dovuto. In qualità di destinatari principali dei fondi strutturali per l’Italia, esse avrebbero dovuto adottare scelte più determinate” per “mantenere quantomeno inalterato il livello degli investimenti, in particolare nell’attuale fase congiunturale in cui gli altri introiti (risorse proprie e contributi governativi) sono diminuiti per effetto della crisi” (ibid.).

Tabella 1.14- Impiego del FESR in risposta alla crisi