• Non ci sono risultati.

Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti

1. L A COLPEVOLEZZA

1.2. L E CAUSE DI ESCLUSIONE O DIMINUZIONE DELL ’ IMPUTABILITÀ

1.2.2 Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti

4. premeditazione – “La premeditazione può risultare incompatibile con il vizio di mente (nella specie, parziale) nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell'infermità psichica da cui è affetto l'imputato, nel senso che il proposito criminoso coincida con un'idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità” (Cassazione penale, sez. I, 04/02/2009, n. 9015);

5. onere della prova “Il giudice di merito ha il dovere di dichiarare d'ufficio la mancanza di condizioni di imputabilità soltanto quando sia evidente la prova della totale infermità di mente, mentre l'eventuale vizio parziale di mente costituisce una semplice circostanza attenuante che deve essere allegata dall'imputato” (Cassazione penale, sez. IV, 18 settembre 2013, n. 41095);

6. aggravante motivi abietti o futili “Non sussiste, sul piano astratto, alcuna incompatibilità tra il vizio parziale di mente e la circostanza aggravante di cui all'art.

61, comma 1, n. 1 c.p. in quanto i motivi abietti o futili non costituiscono in sé una costante e diretta estrinsecazione della infermità per la quale la capacità di intendere e di volere può risultare grandemente scemata. Il giudizio di compatibilità deve essere svolto tramite un apprezzamento della situazione sottoposta in concreto al giudice di merito” (Cassazione penale, sez. V, 06/12/2016, n. 13515);

7. aggravante sevizie e crudeltà “Il vizio parziale di mente esclude la configurabilità della circostanza aggravante prevista dal n. 4 dell'art. 61 c.p. quando la condotta inumana e crudele sia l'effetto della riscontrata malattia. (Nella specie, la Corte ha escluso l'aggravante in quanto il numero elevato di colpi di arma bianca, con cui l'omicida aveva colpito la vittima, era conseguente all'esplosione di rabbia tipica del vizio mentale da cui era afflitto)” (Cassazione penale, sez. I, 04/11/2011, n. 20995);

8. giudizio di comparazione “Il vizio parziale di mente, attenendo alla sfera dell'imputabilità, è una circostanza inerente alla persona del colpevole ed è pertanto soggetto al giudizio di comparazione, che ha carattere unitario” (Cassazione penale, sez. I, 27/10/2010, n. 40812).

1.2.2 Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti.

L’ipotesi certamente più frequente di causa di esclusione dell’imputabilità è quella data dall’intossicazione da sostanze alcoliche o stupefacenti.

Il codice regola diversamente il trattamento sanzionatorio a seconda che l’intossicazione sia accidentale, volontaria o colposa, preordinata a commettere un reato, abituale o cronico.

L’unica ipotesi in cui l’ubriachezza (o l’effetto degli stupefacenti) esclude totalmente la

13

punibilità è quella c.d. accidentale “derivata da caso fortuito o forza maggiore” e disciplinata dall’art. 91 c.p..

Al secondo comma della norma è invece prevista una diminuzione della pena “se l’ubriachezza non era piena, ma era tale tuttavia da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere”.

L’ubriachezza volontaria o colposa è invece regolamentata dall’art. 92 c.p. secondo cui “L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude nè diminuisce la imputabilità”.

Facendo semplicemente riferimento alla mancanza del caso fortuito o della forza maggiore (ad esempio là dove l’agente abbia assunto una bevanda alcolica nell’assoluta convinzione che sia analcolica), la disposizione trova applicazione sia nel caso in cui l’agente abbia voluto ubriacarsi, sia nell’ipotesi in cui egli si sia ubriacato per imprudenza e negligenza.

In questo caso, la ratio della norma è evidentemente quella di non concedere scusanti a chi ha deliberatamente limitato la propria capacità di intendere volere, assumendosi il rischio di porre in essere un comportamento penalmente rilevante.

Tale impostazione normativa è stata fortemente criticata da parte della dottrina sul rilievo che, comunque, l’ubriaco volontario, al momento della condotta criminosa, è sprovvisto di capacità di intendere e di volere, pertanto sarebbe difficile stabilire se egli debba rispondere a titolo di dolo o colpa.

Sul punto, la dottrina più risalente, richiamando l’istituto dell’actio libera in causa di cui all’art. 87 c.p., sostiene che al fine di accertare l’elemento psicologico del reato commesso dall’ubriaco si deve avere riguardo al momento in cui egli si pone nello stato di alterazione: se si ubriaca per negligenza, egli risponderà del reato commesso sempre a titolo colposo.

La dottrina più recente, invece, ritiene che la suddetta soluzione determinerebbe una illegittima confusione tra l’accertamento dello stato psicologico che accompagna la condizione di ubriachezza e quello che presiede la commissione del successivo reato.

Secondo tale ultimo filone ermeneutico, anche alle ipotesi di ubriachezza volontaria o colposa si dovrebbe applicare il generale principio di contemporaneità tra capacità di intendere e di volere e commissione del fatto: l’agente risponderà a titolo di dolo se, nel momento in cui ha commesso il reato, ha voluto il fatto; egli dovrà essere chiamato a rispondere a titolo di colpa se nella sua condotta potranno ravvisarsi gli estremi dell’imprudenza o della negligenza.

14

In tal senso si è pronunciata altresì la Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “La regola secondo cui l'imputabilità non è esclusa né diminuita dall'ubriachezza o dall'assunzione di sostanze stupefacenti, a meno che esse non siano conseguenza di caso fortuito o forza maggiore, non esime dal dovere di accertamento della colpevolezza attraverso l'indagine sull'atteggiamento psicologico tenuto dall'agente al momento della commissione del fatto ascrittogli” (Cassazione penale, sez. I, 11/03/2015, n.

18220).

Anche tale soluzione non si può ritenere del tutto scevra da critiche, dal momento che la “finzione di imputabilità” comunque posta dall’art. 92, comma 1, c.p. finisce col tradursi in una “finzione” dell’elemento psicologico che, solo fittiziamente (in quanto riferito ad un soggetto dallo stato psichico alterato), può inquadrarsi nelle consuete forme del dolo e della colpa.

Altra forma di ubriachezza è quella c.d. preordinata, prevista dall’art. 92, comma 2, c.p. che, riproponendo lo schema dell’actio libera in causa di cui all’art 87 c.p., stabilisce che “Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata”.

A differenza che nel primo comma, in questo caso il reato è già programmato e voluto al momento in cui si determina lo stato di ubriachezza.

L’ubriachezza abituale, ai sensi dell’art. 94 c.p., non solo non esclude o diminuisce l’imputabilità, ma comporta un aumento di pena e la possibilità di applicare la misura di sicurezza della casa di cura o della libertà vigilata.

Requisiti per configurare tale forma di alterazione sono:

a) la dedizione all’uso di bevande alcoliche;

c) lo stato frequente di ubriachezza.

Il terzo comma dell’art. 94 prevede il medesimo aggravamento di pena anche per chi abitualmente è dedito all’uso di sostanze stupefacenti.

Infine, l’ubriachezza o l’intossicazione cronica da sostanza stupefacenti si ha quando l’intossicazione comporta alterazioni patologiche permanenti, destinate a non scomparire neppure con la cessazione dell’uso delle sostanze dannose.

In tali ipotesi, equiparabili ai casi di malattia psichica, sebbene non facilmente distinguibili da quelle di ubriachezza abituale, l’art. 95 c.p. stabilisce che “si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89”.

15

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata, nel caso di assunzione di sostanze stupefacenti, si configura l’ipotesi dell’art. 95 c.p. quando il tossicodipendente si trovi in quella che viene definita come “crisi di astinenza” (fase in cui la capacità di intendere e di volere è gravemente compromessa).

Documenti correlati