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1. L A COLPEVOLEZZA

1.2. L E CAUSE DI ESCLUSIONE O DIMINUZIONE DELL ’ IMPUTABILITÀ

1.2.1. Vizio di mente

In particolare, l’infermità di mente è prevista dall’art. 88 c.p., secondo cui non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere.

Dalla lettera della norma emerge in maniera evidente come il legislatore abbia accolto una concezione dinamico-psicologica della malattia mentale, la cui rilevanza non potrà essere valutata in maniera astratta, dovendosi in concreto determinare se quella determinata alterazione mentale abbia effettivamente azzerato la capacità di intendere e di volere del soggetto agente.

A tal proposito si dovranno ricomprendere nel novero delle infermità anche quelle fisiche (ad esempio un forte stato febbrile) che abbiano determinato un vizio di mente.

Con particolare riferimento ai disturbi della personalità, a fronte di numerosi dibattiti sorti in merito alla necessità di definire l’origine dell’infermità di mente rilevante penalmente (modello - paradigma medico, piscologico o sociologico), la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato invece l’opportunità di indagare in merito all’intensità del disturbo e alla sussistenza del nesso eziologico tra il disturbo e lo stato di incapacità che ha condotto alla realizzazione del fatto criminoso.

È quanto autorevolmente sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha evidenziato come “Invero i disturbi della personalità (nevrosi e psicopatie), pure aderendo all'interpretazione espressa nella sentenza delle SS.UU. n. 9163 del 25 gennaio 2005 - 8 marzo 2005 (Presidente N. Marvulli, Relatore F. Marzano), possono sì essere apprezzati alla luce delle norme degli artt. 88 ed 89 c.p., con conseguente pronuncia di totale o parziale infermità di mente dell'imputato, a condizione però che essi siano connotati - con riferimento alla specifica capacità di intendere e di volere del soggetto agente - da puntuali qualità, globalmente in grado di incidere sulla capacità di ragionevole autodeterminazione dell'autore del fatto illecito, eliminandola in modo radicale (art. 88 cod. pen.) o riducendola grandemente (art. 89 cod. pen.). Tali caratteristiche del disturbo di personalità, la cui sussistenza deve trovare adeguato e coerente supporto giustificativo nella decisione ablativa (art. 88 cod. pen.) o riduttiva dell'imputabilità (art. 89 cod. pen.), devono essere però riscontrate e valorizzate con un finale giudizio di sintesi che va, di necessità, sviluppato e condotto unitariamente con riferimento a tre sinergici e coesistenti parametri:

1) consistenza e intensità: intese come entità concreta e forte del disturbo;

2) rilevanza e gravità: considerate come valore importante della patologia;

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3) rapporto motivante con il fatto commesso: spiegato come "correlazione psico-emotiva di corrispondenza" del disagio psichico, rispetto al concreto fatto illecito commesso.” (Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2008, n. 22440).

Secondo un’interpretazione oramai consolidata, esulano invece dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette "abnormità psichiche", come nevrosi d'ansia o reazioni a "corto circuito", che hanno natura transitoria e non sono indicative di uno stato morboso, inteso come ragionevole alterazione della capacità di intendere e di volere, sicché non in grado di incidere sull'imputabilità del soggetto che ne è portatore (In tal senso si vedano le sentenze Cassazione penale sez. VI 12 aprile 2007 n. 21867; Cassazione penale, sez. I, 16/04/2014, n. 2329).

Parimenti esclusi, per espressa previsione normativa da parte dell’art. 90 c.p., dalla categoria dei vizi di mente sono gli “stati emotivi e passionali” che, dunque, non escludono nè diminuiscono l’imputabilità.

Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato che “In tema di imputabilità, la capacità di controllo delle proprie azioni va distinta dalla capacità di intendere e di volere, in quanto capacità del soggetto di modulare e calibrare la sua condotta in funzione di elementi condizionanti di ordine etico, religioso ed educativo che, afferendo e integrandosi nel nucleo della personalità del soggetto, lo dotano sia del senso critico che di quello autocritico, e che agiscono comemodulatori dell'istintualità e dell'impulsività. Ne consegue che l'indebolimento dei freni inibitori non incide sulla capacità di intendere e di volere e quindi sull'imputabilità, laddove esso non dipenda da un vero e proprio stato patologico ovvero da "disturbi della personalità" che, pur non propriamente inquadrabili nel novero delle malattie mentali, integrino comunque una situazione di “infermità”, perché idonei, per consistenza, intensità e gravità, di incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere (sezioni Unite, 25 gennaio 2005, Raso). Ciò perché gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l'imputabilità, occorrendo a tal fine un “quid pluris” che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure di natura transeunte e non inquadrabile nell'ambito di una precisa classificazione nosografica. (Da queste premesse, è stato rigettato il ricorso avverso la sentenza di condanna per il reato di resistenza e lesioni aggravate in danno di pubblico ufficiale con cui si sosteneva che l'intensa situazione di "stress emotivo, agitazione e paura" in cui si sarebbe trovato l'imputato avrebbe fatto venire meno la consapevolezza della condotta aggressiva)” (Cassazione penale, sez. VI, 26/06/2013, n. 34089).

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Un’importante distinzione viene compiuta dal Codice penale tra il vizio totale di mente di cui all’esaminato art. 88 c.p. ed il vizio parziale di mente di cui al successivo art.

89.

Secondo tale ultima disposizione “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.”

Sia in dottrina che in giurisprudenza si affida la distinzione tra vizio totale e parziale di mente ad un criterio meramente quantitativo e non qualitativo, prendendo la legge in considerazione il “grado” dell’alterazione mentale e non la sua estensione.

In altre parole si parla di vizio parziale quando l’anomalia interessa la mente in misura meno grave e non quando riguarda un solo settore della mente stessa.

Nell’ipotesi di vizio parziale, rimanendo il soggetto agente comunque imputabile (pur beneficiando di una diminuzione della pena), si sono rese necessarie tutta una serie di valutazioni di compatibilità con gli altri elementi del reato, ed in particolare con le circostanze attenuanti ed aggravanti.

In proposito si segnalano le seguenti precisazioni della giurisprudenza in merito a:

1. dolo specifico – “Se non vi è in linea di principio alcuna incompatibilità fra il vizio parziale di mente e la sussistenza del dolo generico o del dolo eventuale, maggiormente problematica, o quantomeno necessariamente oggetto di una più approfondita verifica, è invece la compatibilità fra la seminfermità mentale ed il dolo specifico (fattispecie relativa alla contestazione del reato di corruzione di minorenne nei confronti di un soggetto affetto da vizio parziale di mente)” (Cassazione penale, sez. III, 25 ottobre 2017, n. 13996);

2. recidiva – “Non sussiste incompatibilità tra la recidiva ed il vizio parziale di mente, in quanto quest'ultimo non impedisce di rinvenire nella condotta dell'agente l'elemento soggettivo del dolo” (Cassazione penale, sez. VI, 19/04/2017, n. 27086);

3. dolo eventuale – “La capacità di intendere e volere del soggetto autore di reato, sebbene costituisca un presupposto della colpevolezza, si pone su di un piano diverso rispetto all’elemento psicologico in senso stretto, ovvero il dolo o la colpa. La reciproca autonomia concettuale che caratterizza il rapporto tra il vizio di mente, che esclude o attenua la capacità di intendere e volere, e l’elemento psicologico del reato e, segnatamente, il dolo, fa si che il vizio parziale di mente risulti compatibile con il dolo eventuale” (Cassazione penale, sez. V, 19/09/2014, n. 14548);

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