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L E FORME DEL DOLO

2. I L DOLO

2.2 L E FORME DEL DOLO

A conferma della estrema complessità del dolo, sono sorte tanto in dottrina quanto in giurisprudenza differenti classificazione con conseguenti ricadute da un punto di vista applicativo.

Quanto al differente atteggiamento del dolo con riferimento alla struttura materiale della fattispecie criminosa, si è soliti distinguere tra:

a) dolo di danno, consistente nella volontà di realizzare un fatto che comporta la completa lesione dell’interesse giuridico protetto dall’ordinamento;

b) dolo di pericolo, che si ravvisa nel caso in cui l’intento del soggetto agente sia semplicemente quello di mettere in pericolo il bene giuridico tutelato.

In proposito, è doveroso segnalare che esistono fattispecie di reati di pericolo in cui è richiesto un dolo di danno (tipico esempio è il tentativo). Viceversa, potranno esserci reati di danno che richiedono il semplicemente dolo di pericolo, come nelle fattispecie preterintenzionali.

Con riferimento, invece, allo scopo perseguito dal reo, si distingue tra:

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a) dolo generico, riscontrabile nelle ipotesi in cui il soggetto si limita a rappresentarsi e volere gli elementi oggettivi del fatto di reato senza perseguire un ulteriore scopo preciso ed ultroneo rispetto alla struttura materiale della fattispecie;

b) dolo specifico, consistente in uno scopo o in una finalità particolare cui l’agente deve tendere, pur non essendo necessario che detta finalità si realizzi effettivamente. Tipico esempio di fattispecie a dolo specifico è quella del furto, di cui all’art. 624 c.p., in cui il reo, oltre a volere l’impossessamento di un bene di proprietà altrui, persegue l’ulteriore finalità di trarre un profitto.

Tale distinzione assume un’importanza centrale, dipendendo dalla stessa la qualificazione in termini di liceità o meno di un determinato fatto oppure la modifica del titolo di reato contestabile.

A tal proposito, nelle ipotesi in cui il dolo specifico determina in maniera decisiva a qualificare in termini di illiceità un fatto di per sé lecito, ci si è posti il problema della compatibilità di tale fattispecie con il principio di offensività, dandosi di fatto rilevanza ad un mero atteggiamento interiore. Per risolvere la problematica, la Corte di Cassazione, con specifico riferimento ai delitti contro la personalità dello Stato, ha indicato la necessità di oggettivizzare il dolo specifico.

In particolare, nella celebre sentenza n. 29670 del 25 luglio 2011 la Suprema Corte ha precisato che “la consumazione anticipata nei reati a dolo specifico presuppone, perchè il fatto non si esaurisca entro una fattispecie in cui assume un rilievo esorbitante l’elemento volontà di scopo, che sussistano atti che oggettivamente rendano detta volontà idonea a realizzare lo scopo”. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al successivo focus giurisprudenziale.

Ulteriore categoria di dolo è quella, di creazione prettamente giurisprudenziale, del dolo alternativo, ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui il soggetto agente prevede come conseguenza certa o possibile della propria azione il verificarsi di due eventi alternativi senza sapere quale si verificherà in concreto. Tipico esempio è quello dei ragazzi che lanciano i sassi dal cavalcavia rappresentandosi alternativamente o il semplice danneggiamento delle auto che percorrono la strada oppure le lesioni o la morte dei passeggeri.

Quanto alla componente volontaristica del dolo, si è soliti individuare tre livelli decrescenti di intensità del dolo:

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a) dolo intenzionale, qualora il soggetto abbia di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa ovvero la causazione dell’evento. In questa forma di dolo la volontà assume un ruolo dominante, raggiungendo la sua intensità massima;

b) dolo diretto, configurabile allorquando la realizzazione del reato non è l’obiettivo che dà causa alla condotta ma rappresenta solamente un mezzo necessario affinché l’agente raggiunga lo scopo perseguito. In altre parole, pur non essendo l’evento direttamente preso di mira dal soggetto agente, esso è previsto come conseguenza certa o altamente probabile della sua condotta;

c) dolo eventuale, caratterizzato da una minore intensità dolosa rispetto alle prime due fattispecie, ricorre laddove l’evento ulteriore (come nel dolo diretto, non perseguito direttamente) è dall’agente previsto come conseguenza eventuale, possibile o probabile della propria condotta. Per la sua configurazione è altresì necessario accertare che il soggetto agente, pur di perseguire i propri scopi, abbia in qualche modo accettato il rischio della verificazione dell’evento delittuoso.

Tale distinzione tra le varie fattispecie di dolo è stata da ultimo sintetizzata nella sentenza ThyssenKrupp (Cassazione penale, Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343), nella quale si legge “Solitamente il dolo viene ritenuto intenzionale allorchè la rappresentazione del verificarsi del fatto di reato rientra nella serie di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta e l'agente persegue, appunto, intenzionalmente quale scopo finalistico della propria azione od omissione un risultato certo, probabile o solo possibile; quando cioè ha di mira proprio la realizzazione della condotta criminosa (reati di azione) ovvero la causazione dell'evento (reati di evento).

Tale forma di dolo è caratterizzata dal ruolo dominante della volontà che raggiunge l'intensità massima. L'intenzione è compatibile con la previsione dell'evento in termini non di certezza ma di possibilità. (...) Si ha dolo diretto quando la volontà non si dirige verso l'evento tipico e tuttavia l'agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente. Esso si configura tutte le volte in cui l'agente si rappresenta con certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si rende conto che la sua condotta sicuramente la integrerà. Rientra in questa forma di dolo anche il caso in cui l'evento lesivo rappresenta una conseguenza accessoria necessariamente o assai probabilmente connessa alla realizzazione volontaria del fatto principale. Questa figura di dolo è caratterizzata dal ruolo dominante della rappresentazione. In altri termini, il dolo diretto si configura quando l'agente ha compiuto volontariamente una certa azione, rappresentandosene con certezza o con alta probabilità lo sbocco in un fatto di reato, ma la rappresentazione non esercita efficacia determinante sulla volizione della condotta. (...) Il dolo eventuale designa l'area dell'imputazione soggettiva dagli incerti confini in cui l'evento non costituisce l'esito finalistico della condotta, nè è previsto

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come conseguenza certa o altamente probabile: l'agente si rappresenta un possibile risultato della sua condotta e ciononostante s'induce ad agire accettando la prospettiva che l'accadimento abbia luogo.”.

Il dolo eventuale, in particolare, è stato al centro di un annoso dibattito in relazione alla sua collocazione al confine con la figura della colpa cosciente o con previsione, configurabile laddove il soggetto si rappresenti la possibilità dell’evento lesivo ma confidi nella sua concreta non verificazione. In particolare, è stata da ultimo recepita, in maniera espressa, la c.d. Formula di Frank (dal nome del giurista tedesco che la propose), secondo cui può ritenersi sussistere il dolo eventuale quando il soggetto agente, consapevole del rischio connesso alla sua condotta, non era certo del verificarsi dell’evento, ma non vi è alcun elemento il quale deponga nel senso che dinnanzi al verificarsi certo dell’evento medesimo egli avrebbe rinunciato a tenere la sua condotta.

In altre parole, si parlerà di dolo eventuale e non di colpa cosciente qualora vi siano gli elementi per ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che il reo avrebbe continuato ad agire anche nel caso in cui fosse stato certo di produrre l’evento offensivo.

Oltre al giudizio controfattuale, che la formula di Frank comporta, nei casi in cui esso sia non facilmente esperibile, la giurisprudenza richiede per la configurabilità del dolo eventuale il riscontro di ulteriori indizi. In particolare, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella già citata sentenza ThyssenKrupp, “per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'"iter" e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank).”.

Per l’analisi dei passaggi più significativi in materia di dolo e di rapporti tra il dolo eventuale e la colpa cosciente presenti nella sentenza ThyssenKrupp e per le principali pronunce successive della stessa Corte di Cassazione su tali questioni si veda il relativo focus giurisprudenziale.

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