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2. Il mondiale di calcio come fatto sociale totale per eccellenza

2.2 L’atmosfera

Il clima che si venne a creare nel nostro paese, dall’ufficialità dell’assegnazione del mondiale all’Italia fino alla fine della rassegna iridata, fu di quelli magici. Non si parlava d’altro, in ogni discorso, ambito o settore veniva inserito sempre qualcosa legato al mondiale. Nel paese si diffuse una vera e propria febbre mondiale, come racconta Marco Bonfiglio nel suo libro La sindrome d’Italia 90’8:

“Passavi davanti all’Olimpico e potevi constatare i progressi nei lavori di copertura dello stadio.

Aprivi Topolino e dentro c’erano pubblicità della Ferrero che con la raccolta punti delle merendine ti regalava una maglia a scelta dell’Uruguay, dell’Olanda, della Germania Ovest, del Brasile e dell’Italia[..] C’era il logo d’Italia 90’ dappertutto: alle fermate della metro, nelle stazioni, sui cartelloni pubblicitari.[…] La Disney pubblicava almanacchi con le raccolte delle migliori storie della dinastia di paperi e topi dedicate al calcio. Non potevi sottrarti. Era l’evento del decennio, era il ponte di collegamento verso il nuovo millennio”.

Dalle parole di questo estratto si può riconoscere ancor di più come il mondiale d’Italia 90’ fu un vero e proprio “fatto sociale totale”, capace di coinvolgere e influenzare ogni settore della società nostrana. Ciò fu possibile naturalmente per via della risaputa grande passione degli italiani per il calcio, a maggior ragione in un periodo di massimo splendore per la Serie A e per i club nostrani. Ma allo stesso tempo fu il potere stesso di un mondiale in sé, capace di coinvolgere come pochi altri eventi al mondo, a scatenare un entusiasmo e un’attesa incredibile in tutta la popolazione della nostra penisola. Anche coloro che non amavano il calcio, infatti, non potevano sottrarsi all’onda travolgente di questo mondiale e in qualche modo ne

8 M. Bonfiglio, La sindrome d’Italia ’90. Il mondiale che ha bruciato una generazione, Roma, Fermento, 2014, p. 21.

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venivano coinvolti. Emblematiche in questo senso sono le parole di Nicola Berti, calciatore tra i protagonisti azzurri al mondiale del 19909:

“I Campionati del mondo fungono un po’ da aggregatori sociali[…]Nel nostro paese ciò accade ogni volta che c’è una manifestazione calcistica importante, perché da noi il calcio è questione di fede.

Forse la cosa più importante che ci sia dopo la Chiesa. Quando ci sono i mondiali[…] perfino chi non sa neppure come è fatto un campo da calcio si riscopre appassionato tifoso dell’Italia. Il coinvolgimento popolare generato da questo torneo è unico, perché unico è il suo fascino”

L’Italia, dunque, si sentiva la capitale del mondo, non solo calcistico, con tutti gli occhi puntati addosso dopo cinquantasei anni. Infatti come accennato qualche paragrafo fa l’ultima edizione della Coppa del Mondo di calcio in Italia si disputò nel 1934, nel paese guidato dal fascismo e da Benito Mussolini.

Quella del 90’ quindi potrebbe essere definita la prima edizione moderna italiana dei mondiali, con l’attesa che di conseguenza diventa altissima. Come sottolinea Aldo Serena, uno dei protagonisti in maglia azzurra di quel mondiale10:

“Il mondo parlava di questa manifestazione da tempo. Tutti i giornali, a mano a mano che si avvicinava l’8 giugno, dedicavano pagine e pagine all’evento sportivo più atteso dell’anno. Noi respiravamo un’atmosfera di grande festa collettiva e nazionale: eravamo proprio permeati da questo clima di euforia che aveva riunito tutta l’Italia”

Già prima dell’inizio ufficiale del mondiale l’atmosfera era di quelle bollenti e vogliose di calcio, ma soprattutto con l’inizio della rassegna iridata il clima si infiammò ancor di più. Tutte le città d’Italia sedi per le partite della Coppa del Mondo, con i loro cittadini, non vedevano l’ora di poter ammirare i più grandi campioni a livello globale in casa loro e di poter accogliere tifosi da ogni parte del mondo. Tra le 12 sedi del mondiale, però, quella in cui forse si attendeva di più questa rassegna iridata era Roma. La capitale, infatti, fu lo scenario prescelto per quasi tutte le partite dell’Italia, tranne la dolorosa semifinale contro l’Argentina giocata a Napoli. La città eterna diventò, durante quelle settimane di mondiale, il luogo delle meraviglie e in cui era visibilissima la passione di tutti gli italiani verso la propria nazionale. Come descritto da tanti protagonisti che vissero quel mondiale, non c’era una strada senza un tricolore, una stazione senza il logo della Coppa del Mondo o un negozio senza un vessillo azzurro. Il culmine poi si verificava i giorni

9 M. Bordiga, Italia ’90. Il sogno mancato, Milano, Leone Editore, 2018, p. 151-152.

10Ibidem, p. 149.

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delle partite dell’Italia, con il lungo viale che porta allo stadio Olimpico sempre stracolmo di persone che andavano verso l’impianto, rigorosamente con una maglietta azzurra e una bandiera tricolore in mano. Lo stadio era una bolgia, già nelle fasi del riscaldamento prepartita o della lettura delle formazioni, per poi esplodere al momento dell’inno nazionale e per ogni gol realizzato dagli azzurri. Emblematiche sono le parole di Beppe Bergomi, in merito alla straordinaria atmosfera dell’Olimpico11:

“In particolare ricordo che nonostante non fosse consuetudine nei primi anni Novanta, una volta arrivati allo stadio, uscire in campo per il riscaldamento prepartita[…], in sette o otto volevamo comunque scendere sul terreno di gioco a riscaldarci per respirare dal vivo la meravigliosa atmosfera che elettrizzava l’Olimpico”.

Insomma il clima allo stadio romano era di grande sostegno per i calciatori e si era creata un’empatia incredibile, tra giocatori e pubblico. Ma in generale, non solo all’Olimpico, in tutte le città italiane i momenti delle partite della nazionale diventarono attimi di pura sacralità. Come sottolineano le parole di Franco Baresi, altro pilastro difensivo dell’Italia12:

“Quando arrivavamo allo stadio, trovavamo un’atmosfera incredibile: l’Olimpico era una pentola a pressione pronta a scoppiare. Tra l’altro ci raccontavano che durante le partite della nazionale nelle città italiane non volava una mosca, c’era un silenzio tombale in giro: tutti eravamo incollati al televisore. Le bandiere tricolori troneggiavano su tutti i balconi[…]”

Mai come in quella occasione, un mondiale aveva creato un senso di appartenenza verso la nazione e un amore sconfinato per la patria da parte di tutti gli italiani, nessuno escluso. Non c’era neanche una persona che in quelle settimane rinnegava la propria italianità, tutte le problematiche e le contraddizioni del nostro paese sembravano dimenticate in quei giorni. L’unico pensiero fisso era godersi lo spettacolo di quell’evento, emozionarsi e gioire assieme alle persone più care tra parenti o amici.

In realtà poi non per tutti, nella nostra penisola, fu così facile dimenticare tutte le contraddizioni del nostro paese e le problematiche che il mondiale stesso creò in Italia. Esisteva infatti un gruppo di dissidenti, per lo più intellettuali, che si

11 Ibidem, p. 34.

12 Ibidem, p. 147.

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aggregavano in Toscana a Capalbio, durante i giorni del mondiale. Essi erano completamente contrari all’organizzazione in Italia della rassegna iridata calcistica del 1990, secondo loro emblema degli sperperi e della cattiva gestione del paese da parte del governo. Tra loro c’erano nomi e personalità eccellenti come il regista Nanni Moretti, il critico d’arte Federico Zeri e il professore Alberto Asor Rosa.

Insomma una serie di esponenti della sinistra d’elitè, che si opponevano alla decisione dell’Italia nell’ospitare l’edizione del 1990 dei mondiali di calcio.

È pur vero però che questo movimento contrario, rappresentava solo una piccolissima percentuale di popolazione italiana, che invece nella sua maggioranza aveva tutt’altra opinione sui mondiali di casa del ’90. Riprendendo alcune dichiarazioni del capitano Bergomi, si capisce per bene cosa significò quel mondiale per tutti gli italiani13:

“Normalmente, ammettiamolo, l’italiano non è che abbia un grande spirito nazionalista.[…] In Italia facciamo fatica a trovare questa identità, questo senso di appartenenza…che invece, in occasione di Italia 90’, magicamente ci ha uniti e ha risvegliato il nostro spirito patriottico. L’entusiasmo con il quale il popolo italiano ha vissuto il mese dei Mondiali è stato travolgente. Ricordo il mare di bandiere tricolori che sventolavano all’Olimpico prima di ogni partita e le piazze italiane stracolme di tifosi festanti”.

La rassegna iridata d’Italia 90’, dunque, fu totalmente una festa di colori e popoli, un turbinio di emozioni, per gli italiani mai sperimentati in precedenza.

Tutto sembrava un sogno perfetto e di conseguenza anche per la nazionale italiana non poteva che andare tutto nel migliore dei modi. In realtà poi, come noto, la corsa degli azzurri si interruppe in semifinale e la delusione da smaltire fu immensa. Un colpo al cuore per milioni di italiani, che secondo alcuni sociologi fu un vero e proprio trauma per le giovani generazioni degli anni Novanta. Un dispiacere che condizionerà il futuro di molti ragazzi, proprio in termini mentali e psicologici.

Dunque un mondiale è capace anche di avere delle implicazioni e delle influenze sulla sfera psicologica delle persone, ciò per esempio è sostenuto da Marco Bonfiglio. Lo scrittore romano, infatti, intitola un suo libro: La sindrome di Italia

’90. Il mondiale che bruciò una generazione. In questo suo volume parla di un disturbo che ha coinvolto un’intera generazione di ragazzi, nati attorno al 1980 e che all’età di dieci anni assistettero alla sconfitta dell’Italia ai rigori in semifinale contro

13 Ibidem, p.150.

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l’Argentina al mondiale in casa. Nel periodo decisivo per la propria formazione, spiega l’autore, questi ragazzi subirono veramente una grandissima delusione, che secondo il suo pensiero ha condizionato la loro sicurezza nel poter ottenere successi per il futuro. Naturalmente è bene sottolineare come una delusione calcistica non possa essere paragonata ad altre tragedie sperimentabili durante la vita, però uno strascico, anche minimo, di quello che successe quella sera al San Paolo, per la generazione nascente di allora ci fu e se lo porta ancora dietro. Infatti il carico di aspettative che si creò per tutti gli italiani, in occasione del mondiale del 1990, fu crescente sempre di più giorno dopo giorno e nessuno avrebbe mai voluto vivere un epilogo del genere. La sconfitta dell’Italia ai rigori contro l’Argentina in semifinale, interruppe bruscamente il sogno di ogni italiano e non fu facile da smaltire per nessuno.

Nonostante ciò, però, il ricordo di quelle giornate mondiali, anche nella mente dei giovani dell’epoca, rimane per lo più positivo e difficile da toglier via dalla testa.

Come accennato prima, Italia ’90 fu un evento coinvolgente a tutti i livelli, parte ormai della storia del nostro paese. Un’occasione per osservare e analizzare da vicino tanti aspetti dell’Italia e del suo popolo. Quasi un vero e proprio laboratorio per sociologi, antropologi, storici o studiosi in generale, per trarre conclusioni e riflessioni su quella che era l’Italia del tempo e sul futuro che si apprestava a vivere.