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5. Interviste a testimoni e narratori d’Italia ‘90

5.4 Bruno Pizzul

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Quanto, secondo lei, si possono inserire all’interno della telecronaca elementi della politica, della cultura, dell’economia o di qualsiasi ambito societario, così da fa emergere il carattere di “fatto sociale totale” dello sport?

“È possibile farlo, ma non è augurabile realizzarlo in continuazione e forzando queste divagazioni politiche, storiche o sociali. Nel momento in cui capitano delle situazioni di grande impatto emotivo o sociale legate a squadre, protagonisti in campo o a specifiche competizioni, è inevitabile che anche chi fa la cronaca sportiva dedichi qualche momento del suo racconto a queste vicende. Allo stesso tempo però tutto ciò non deve diventare una forzatura, ma solo un arricchimento da inserire in qualche occasione. Con ciò voglio dire soprattutto che la storia dell’evento agonistico in corso di svolgimento è sufficiente a consentire a chi la racconta di esercitare la propria capacità affabulatoria, senza dover sconfinare sempre in altri ambiti”.

Il racconto dello sport legato alle telecronache è cambiato moltissimo nel tempo.

Quali sono secondo lei le differenze principali tra lo stile di telecronaca moderno e quello passato?

“Le differenze fondamentali e principali riguardano non tanto il linguaggio classico, cioè delle parole, bensì maggiormente quello delle immagini. All’epoca, soprattutto quando cominciai io e ancora fino ad Italia ’90, c’era un uso abbastanza limitato di telecamere a disposizione dei registi, che quindi in qualche modo erano quasi costretti a riprendere la partita in campo largo dall’alto. Questo faceva sì come si concentrassero sullo svolgimento della partita nella coralità della manovra e di conseguenza anche il racconto del telecronista seguiva questa dinamica. Oggigiorno invece i registi hanno a disposizione un numero spropositato di telecamere e, vista la loro formazione culturale cinematografica, hanno una tendenza a confezionare una good television. Ovvero una serie di immagini spettacolari, una specie di mosaico con tanti piccoli tasselli, da alternare continuamente durante la trasmissione della partita. C’è la ripresa in primo piano che si alterna a quella in campo lungo, la bella ragazza in tribuna, il labiale, la luna piena ecc. Quindi il racconto per immagini della

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partita è cambiato moltissimo rispetto al passato, provocando di conseguenza cambiamenti anche nel racconto per parole del match. Il telecronista infatti si trova a dover seguire questo ritmo così sincopato, senza poter realizzare una cronaca un pochino raccontata. Adesso deve essere tutto secco, urlato, molto riferito a ciò che si vede e siccome ciò che si vede è così frammentato anche il linguaggio deve adattarsi a questo”.

Qual è la sua valutazione sullo stile contemporaneo di telecronaca, preferisce quello legato alla sua epoca o apprezza anche quello odierno?

“Direi che anagraficamente sono legittimato a dire che preferisco uno stile più misurato, quindi legato ai miei tempi. Tuttavia riconosco come i ragazzi e tutti i cronisti che si esercitano quest’oggi, abbiano una base di preparazione notevolissima e naturalmente non fanno altro che seguire quella che è la moda delle telecronache attuali, molto urlate, enfatiche e spesso sopra le righe. Qualche volta, però, si ha la sensazione che in questo modo diventi più importante il commento e quello che riguarda l’evento dal di fuori, cioè la cornice, piuttosto che la partita sul campo.

Devo dire però che l’evoluzione internazionale delle telecronache, negli ultimi tempi, si sta orientando verso un ritorno più composto e controllato nel raccontare la partita”.

Come definirebbe il suo stile di telecronaca e quali sono i telecronisti da cui ha preso maggiormente ispirazione?

“Devo essere sincero e dire che non ho mai pensato al come si potrebbe definire il mio stile di telecronaca, quindi non saprei bene come rispondere. Per quanto riguarda invece alle ispirazioni da colleghi del passato, inevitabilmente cito Carosio e Martellini. Per me sono stati dei grandi modelli di riferimento, seppur io ritengo come sia di fondamentale importanza, per chi cerca di fare questo tipo di lavoro, essere e restare se stessi. Sicuramente cercando sempre di migliorare la propria dizione, il proprio vocabolario o le capacità narrative, ma senza imitare mai

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pedissequamente un altro. Anche perché lo spettatore lo intuisce subito se il commento non è originale, ma qualcosa di imparaticcio o posticcio”.

Come si raccontano le partite della propria nazionale e quali sensazioni si provano?

“In primo luogo ci tengo a dire, senza mai nasconderlo, come io mi sia divertito nello svolgere il mestiere di telecronista soprattutto agli inizi, fin quando non facevo le telecronache della nazionale italiana. All’epoca infatti, essendo stato individuato come il futuro telecronista della nazionale in occasione di mondiali ed europei, avevo una specie di diritto di scelta delle migliori partite in cui non fosse impegnata l’Italia.

Questo mi diede l’occasione di vedere e commentare una serie di partite bellissime.

Certamente è chiaro poi come commentare la nazionale sia stato un grande onore e il modo in cui si fa telecronaca cambia un po’. Ci sono da considerare gli aspetti della passione popolare, del tifo, del coinvolgimento emotivo legato al risultato e tanto altro. Entrano in gioco una serie di forme di coinvolgimento varie, da saper gestire e che in altre occasioni non si provano. La realizzazione di una telecronaca di una partita della propria nazionale è quindi un qualcosa di unico nel suo genere, però ripeto come mi sia divertito moltissimo anche, anzi soprattutto, a commentare partite in cui non era coinvolta la nazionale italiana”.

Giungendo ora al mondiale italiano del 1990, analizzato in profondità all’interno della tesi, come fu narrare quella manifestazione e quali furono le storie più belle che si trovò a raccontare?

“Quel mondiale è stato davvero un cumulo di emozioni, d’altronde non a caso viene da tutti ricordato come il mondiale delle notti magiche. Fu emozionante raccontare e vivere il momento straordinario che visse Schillaci per esempio, protagonista inatteso di quella rassegna iridata e della nazionale di Vicini. Ebbe davvero uno di quei momenti magici che possono capitare nella vita di ciascuno, appena toccava il pallone segnava. Inoltre la sua storia personale, anche per le sue origini, per la sua infanzia e il suo arrivo nel mondo del calcio, è del tutto particolare. Quindi fu molto

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bello vivere da vicino e raccontare le sue vicende al mondiale italiano, così come fu un onore straordinario narrare la bellezze dei gesti tecnici di Roberto Baggio. Le sue giocate e soprattutto il gol con la Cecoslovacchia restano momenti indimenticabili e impressi nella mia mente. Per quanto riguarda invece ricordi più concreti del mondiale del 1990, ci sono varie cose da poter citare. Un qualcosa che mi ricordo benissimo fu quello legato alle poche presenze turistiche che ci furono in Italia durante il periodo della competizione. Molti turisti infatti avevano paura di incontrare le varie tifoserie calcistiche, notoriamente poco civili ed educate, che arrivavano nelle nostre città per seguire le proprie nazionali. Questo accadimento fu abbastanza singolare secondo me e mi è rimasto davvero impresso nella mente. Poi ricordo molto bene le varie proibizioni presenti durante il mondiale del 1990, per esempio il divieto di vendita di alcolici nei giorni delle partite. Noi stessi che dovevamo andare ai ristoranti a mangiare, risentivamo di questa regola perchè non potevano darci il vino da bere. Tuttavia molto spesso quando ero in qualche ristorante più volte mi dicevano: “Dottor Pizzul la cercano al telefono”. Così andavo dall’altra parte del locale, dove in realtà non c’era nessun telefono ma un bicchiere di vino. Cito questo episodio per far notare come spesso la costrizione in cui eravamo stretti, durante quel mondiale, ci dava un po’ di fastidio”.

Il racconto sportivo odierno, tramite la telecronaca, è caratterizzato sempre più dalla presenza di seconde voci, che affiancano il telecronista durante la narrazione. Ad Italia ’90 per esempio lei si trovò a collaborare con Sandro Mazzola oppure in altre competizioni con differenti grandi ex. calciatori o esperti. Secondo lei quanto può arricchire la telecronaca di una partita la voce di un commentatore tecnico e quali tra le due modalità di telecronaca preferisce?

“Per motivi anagrafici dico che preferivo fare la telecronaca da solo, anche se questo naturalmente non significa che io abbia avuto qualche difficoltà a lavorare con Mazzola ad Italia ’90 o con tanti altri. Mi sono sempre trovato bene con tutti coloro che mi hanno affiancato nelle telecronache nel corso della carriera, formando anche solidi rapporti di amicizia fuori dal lavoro. Anzi a molti dei quali chiedo tutt’ora

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scusa per il fumo passivo che dovevano subire durante le partite, visto che io allora ero un robusto fumatore. Quando infatti mi chiedevano a cosa servisse la seconda voce, molto poco cortesemente, dicevo fosse utilissima, così da potermi dare il tempo per accendere una sigaretta mentre lui parlava. Questa però era soprattutto una battuta, niente di più. Ripeto che per me si può fare benissimo la telecronaca ad una voce, seppur non si possa nascondere come il commentatore tecnico possa portare un importante contributo di esperienza personale di calcio vissuto e sofferto. Noto che all’estero, però, si sta facendo un po’marcia indietro sulle seconde voci. Ad esempio la televisione tedesca utilizza ancora i commentatori sportivi, ma in maniera diversa rispetto al solito. Prima dell’inizio della partita c’è infatti un gruppo di lavoro con giornalisti e commentatori tecnici, ex. calciatori, ex. allenatori o esperti vari, poi dall’inizio del match fino alla fine del primo tempo c’è il commento di un solo telecronista. Successivamente tra il primo e secondo tempo rientra in azione il gruppo di lavoro prima descritto, il secondo tempo ancora ad una voce e poi alla fine il commento con gli esperti. Ecco credo che questa possa essere una formula vincente e una possibile soluzione per il futuro”.