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5. Interviste a testimoni e narratori d’Italia ‘90

5.1 Bruno Gentili

Giornalista Rai di lungo corso, Bruno Gentili è stato uno dei principali radiocronisti italiani dagli anni Ottanta in poi, nonché telecronista della nazionale per un breve periodo della sua carriera giornalistica. Debutta in radio nel 1978 al fianco di Enrico Ameri e Sandro Ciotti, per poi diventare nel 1996 una delle principali voci della celebre trasmissione radiofonica “Tutto il calcio minuto per minuto”. Insieme a Riccardo Cucchi inizia a commentare in radio anche le gare della nazionale, vivendo da vicino diverse manifestazioni tra cui il mondiale tedesco del 2006. Nel 2007 realizza la sua ultima radiocronaca in Rai, per diventare poi vice direttore di Rai Sport e partecipare, in qualità di opinionista, a differenti trasmissioni della tv di Stato. Nella stagione 2008-2009 per esempio affianca Enrico Varriale nel programma Stadio Sprint su Rai 2 oppure partecipa a “90° minuto Champions”

condotto da Paola Ferrari. Nel 2010 comincia la sua breve parentesi da telecronista della nazionale, succedendo quindi a Marco Civoli e divenendo il terzo radiocronista Rai della storia a diventare poi telecronista della nazionale. In questo periodo ha l’occasione di raccontare i match dell’Italia all’europeo del 2012, abbandonando poi il ruolo di telecronista nel novembre del 2012. Torna così ad essere vice direttore di Rai Sport nel 2016, in occasione degli europei in Francia, durante i quali conduce una trasmissione su Rai 1 dedicata alla manifestazione con Andrea Fusco. Successivamente dal 2 Agosto al 27 novembre 2018 ricopre la carica di direttore di Rai Sport, diventando successivamente uno degli opinionisti più autorevoli di Rai Sport. Tra le ultime a cui ha partecipato è possibile segnalare Notti Europee, trasmissione in onda nell’estate del 2021 dedicata agli europei di calcio.

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All’interno della tesi si cerca di dimostrare come lo sport si possa definire un “fatto sociale totale”, tramite i suoi eventi capaci di intrecciarsi spesso con la cultura, la politica, l’economia, la storia e altri ambiti societari. È d’accordo con quanto appena affermato? Quanto secondo lei lo sport è integrato nella nostra società o quotidianità e quindi merita di essere considerato parte integrante del bagaglio culturale di una nazione?

“Lo sport è un'eccellenza e in quanto tale costituisce bagaglio culturale di ogni paese.

Rappresenta infatti un fattore di crescita indiscutibile sotto molti aspetti: sociale, economico, occupazionale. I suoi momenti di coesione sono molteplici e forse soltanto la musica, nelle sue varie espressioni, riesce ad aggregare e a coinvolgere come lo sport. Un fatto di costume, un evento mediatico ma anche un ingranaggio insostituibile nel mondo produttivo. La sua evoluzione, tecnica-letteraria-comunicativa, ha negli anni esercitato e continua ad esercitare un'influenza costante sui cambiamenti della nostra società che usa lo sport come metafora, come chiave d'ingresso per l'integrazione, per l'inclusione, per i rapporti interpersonali.

Un linguaggio universale, un "esperanto", che aiuta, e non poco, nelle relazioni sociali. Con il suo alto senso del collettivo, dello "spirito di squadra" (lo spogliatoio come condivisione), educa all'inserimento, soprattutto in una società in cui regna l'individualismo.

Lo sport fa la storia o quanto meno, a volte, la indirizza o la reindirizza.

Innumerevoli gli esempi: i quattro ori di Jesse Owens a Berlino 1936 che spazzarono via l'utopia della superiorità della razza ariana davanti ad un attonito Fuhrer; la vittoria di Gino Bartali nel '48 al Tour che - si disse - spense i moti di un'insurrezione dopo l'attentato a Togliatti; i pugni chiusi nei guanti neri di Tommie Smith e John Carlos a Mexico '68 a simboleggiare il rispetto dei diritti degli afroamericani; il boicottaggio USA alle Olimpiadi 1980 per protestare contro l'invasione sovietica in Afghanistan; le due Coree sotto un'unica bandiera a Pyeong Chang, ai Giochi Invernali 2018; fino al recente boicottaggio di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia a Pechino 2022 come forma di condanna per le presunte violazioni cinesi dei diritti umani. Le Olimpiadi, del resto, più d'ogni altra manifestazione, sono sempre state terreno di scontro tra vere e proprie ideologie per il palcoscenico che offrono a tutte

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le latitudini e per l'eco mediatica che l'evento a livello globale garantisce. Chi ha qualcosa da urlare al mondo insomma ogni quattro anni lo fa, a dimostrazione dell'influenza reciproca tra sport e politica”.

Da giornalista e narratore di sport qual è, quali sono secondo lei i mezzi e le forme migliori per narrare gli eventi sportivi, allargando il racconto puramente sportivo ad aspetti culturali, politici, economici ecc.?

“Non c'è un mezzo che renda più di altri appetibile la narrazione sportiva. La radio accende la fantasia, l'immaginazione, nobilita la parola, un po' come la letteratura che in più ci lascia il gusto di assaporare e metabolizzare la lettura; la TV privilegia l'immagine; lo streaming l'immediatezza e la comodità d'uso. Un fatto è certo: negli ultimi anni la produzione di argomento sportivo è aumentata in modo considerevole, lo sport ha trovato espressione in svariate forme. La letteratura, ad esempio, ha subìto una costante metamorfosi con nuove modalità di scrittura affrancandosi definitivamente dalla poesia e dalla prosa, e affiancandosi invece alla narrativa. Lo

"storytelling", forestierismo anglosassone che altro non è che l' "arte del narrare", oggi va di gran moda specie nei canali monotematici. In realtà ha avuto illustri predecessori che hanno fatto rivivere le stesse emozioni con mezzi più poveri ma ugualmente efficaci. Basti pensare ai dischi, in romantico vinile, di Sandro Ciotti sugli scudetti di Inter, Cagliari, Juventus; e sempre su disco i resoconti dettagliati , appassionati di Claudio Ferretti sul Giro d'Italia; e ancora il Muhammad Alì di Gianni Minà, le testimonianze audio di Aldo Giordani sulle imprese nel basket di Milano e Varese. Norman Mailer, tanto per citare un nome a caso, fece nel 1971 un reportage molto particolareggiato della storica sfida Joe Frazier-Alì e persino un certo Giacomo Leopardi nel 1821 si cimentò nel racconto sportivo decantando a suo modo una partita di "palla col bracciale", una sorta di tennis giocato con una striscia di cuoio attorno al polso. Come si può vedere non è stato inventato nulla. Cambiano gli strumenti sempre più sofisticati, le scenografie, l'ambientazione, le luci ma il filo conduttore è lo stesso. Anche se oggi si tende a privilegiare la figura del narratore che indulge spesso a pause e gesti teatrali per catturare maggiore attenzione. Cosa che non accadeva invece in un format indovinato e vincente come quello di "Sfide",

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che a partire dal '98 ha davvero aperto nuovi orizzonti sul modo di raccontare lo sport in televisione dando forza e peso unicamente alle immagini parlanti”.

L’evento sportivo analizzato all’interno della tesi è il mondiale di calcio italiano del 1990, cercando di mostrare come quella manifestazione abbia avuto un impatto notevole su vari ambiti della società italiana e dunque come sia stata un vero e proprio “fatto sociale totale”. Vivendolo in prima persona da giornalista, quanto secondo lei quel mondiale ha condizionato e influenzato ambiti differenti della società italiana del tempo? Quali sono stati poi i suoi ricordi principali di quel mondiale?

“I Mondiali del ‘90 sono stati i Mondiali dello spreco e del rimpianto. Un' opportunità sfruttata male prima sul piano degli investimenti e poi sul campo.

Un'edizione caratterizzata da un'impalcatura tecnologica sicuramente all'avanguardia con mezzi e strumenti informatici di prim'ordine ma non sostenuta da un' impiantistica all'altezza. Ritardi nei lavori, preventivi sballati, spese ingiustificate fecero crescere a dismisura i costi: dai 250 miliardi previsti ai 1250 miliardi finali. Senza considerare gli oltre 7.000 miliardi per le opere pubbliche che mandarono in tilt i bilanci del Paese.

Notti buie per noi contribuenti e poco magiche se non per quella splendida parentesi che seppe regalarci l'Italia di Vicini almeno fino a quel 3 luglio quando l'Argentina di Maradona mandò in fumo le nostre legittime ambizioni. Una Nazionale quella di Vicini, ispirata da Baggio e Schillaci, che poteva permettersi il lusso di mandare in panchina gente come Ancelotti, Vierchowod, Mancini, Ferrara, Berti. E il ricordo, il mio ricordo, non può non essere venato di amara nostalgia. Quello che poteva essere e non è stato”.

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