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Il giardino diventa luminoso. In silenzio si alza il benevolo Eos. Dal silenzioso e oscuro palazzo l’ombra copre il refrigerio del giardino sonnecchiante.

Eos. La notte è passata. È la mia ora. Vado incontro al benamato chiarore e

me ne andrò. (Comincia a risplendere forte, brilla con un sorriso allegro e

aspetta.)

Ore (volando via). Qui c’è un oriundo del regno di Ade, l’intera casa è

incantata da magie di mistero e silenzio. Tutto intorno è tacito, e anche il vento corre senza smuovere la tenda della porta.

Antim si avvicina al gineceo con dei fiori per il sacrificio.

Antim. Mia padrona, alzati, scaccia da te gli incantesimi del sonno

mattutino. È già tardi, nonostante taccia misteriosa tutta la casa, è già tardi e io ti ho portato dei fiori.

Serpente. Ma tu non hai paura?

Antim. Sovrana Laodamia, nell’ora esatta che tu hai comandato, vedi,

sono venuto al tuo gineceo e ti ho portato tutti i fiori che tu mi hai comandato di portare.

Nei cespugli qualcuno ride piano e il vecchio fa un sobbalzo a causa del refrigerio mattutino. Si sente un rumore sonoro di acqua nello stagno.

Questi fiori ti servono per il sacrificio, gli dei sono favorevoli e ti portano questi fiori freschi e profumati.

Serpente. La sovrana tace. Non serviranno i tuoi fiori alla cara Laodamia!

Antim. A quest’ora Laodamia esce sempre dalla sua alcova e va in

giardino per godere del refrigerio mattutino, del profumo di rosa e del tenero frinire delle cicale. Oggi nel suo gineceo c’è così tanto silenzio e tutti in casa stanno zitti. Ma che significa? Ho paura che sia successo qualcosa.

Satiro (sporgendo la testa arruffata dal cespuglio). Amico, la porta è

leggermente aperta. Se fossi in te io guarderei dalla fessura cosa fa Laodamia là dentro.

Antim (dando un’occhiata alla porta). Laodamia! Sovrana! Sì, ella non sente.

Santo cielo!

Satiro. Amico, cosa fa là dentro la tua padrona?

Antim. Quello che ho visto è terribile da raccontare.

Satiro. Allora, dimmi cos’hai visto. Avrei guardato anche io stesso, ma

sento che là c’è qualcuno col quale è meglio che non mi incontri.

Antim. Esatto! Come posso dirti, tu non sei dei nostri. Laodamia, dopo

aver dimenticato ogni vergogna, abbraccia di nascosto nel suo giaciglio un ospite che tiene molto stretto. Nuda si accosta a lui e non sente niente, vedi tu stesso come bacia e accarezza.

Satiro. Ma tu conosci chi è con lei?

Antim. Non si vede, è buio. Ma ora capisco la celebre verità! Ecco perché

Laodamia non vuole un nuovo marito! È evidente che tutte le donne sono uguali. Anche la sovrana stessa! Nonostante gli venga dato di portare la corona cucita d’oro!

Satiro. E adesso cos’hai intenzione di fare? Entra nella stanza di

Laodamia, caccia il suo amante; Laodamia ti abbraccerà stretta proprio come fa con lui se solo tu non racconterai a nessuno quello che hai visto.

Antim. Ma che dici! Che scemenze! È forse possibile? Sono troppo vecchio

per questi affari e la sovrana sarebbe molto disgustata.

Satiro. Io sono più vecchio di te ma se fossi al tuo posto avrei già

tempestato di baci la bellissima Laodamia.

Antim. Io sono fedele ai miei padroni. Devo correre al più presto da

Acasto e raccontargli di questo empio e vergognoso affare, veloce, prima che altri lo vengano a sapere e lo possano spifferare. Io sono così fedele, ma gli altri<

Entra Acasto. Il satiro si nasconde.

Acasto. Con chi stai parlando, Antim? E dov’è Laodamia?

Antim. Povero me, mio padrone! Ti sono fedele come un cane, e quale

dolorosa nuova sono costretto a raccontarti! Sbrigati, padrone, prima che altri lo sappiano; corri veloce nel palazzo, da Laodamia, prima che puoi, prima che lui, ospite notturno, faccia in tempo a fuggire.

Acasto si avvicina al palazzo. Dà una sbirciata alla porta. Ride.

Acasto. È così, Laodamia, che tu mantieni la fedeltà! Ti sei consolata

velocemente. Siete tutte uguali. Inclini alle carezze dell’uomo. Cosa facciamo adesso? L’importante è che nessuno sappia.

Antim. Io di certo non spiffero.

Acasto. Bisogna cacciare al più presto questo insolente. (Si avvicina alla porta. La vuole aprire.)

La porta si spalanca. Esce Protesilao come uno spettro nebbioso. Acasto retrocede atterrito. Antim scappa urlando, si nasconde dietro ai cespugli e ascolta da là.

Protesilao, ma tu sei vivo? Erano falsi i racconti sulla tua morte?

Protesilao. Sono uscito dal regno di Ade; egli ha avuto pietà del mio

amore e dei lamenti di Laodamia e mi ha permesso di raggiungere la mia amata.

Acasto. Così tu sei: morto!

Protesilao. Acasto, non avere paura di me.

Acasto. I forestieri che provengono dal Lete hanno un aspetto terribile ma

io sono un guerriero e un re. Non ho paura delle pallide ombre. Perché sei qui? Perché stendi il braccio dall’oscurità dell’Ade verso quelli che ancora a lungo saranno in mezzo ai vivi? Tu l’hai avuta fino al matrimonio e vuoi possederla anche dopo la morte, insaziabile!

Protesilao. Ella è mia. Ella è legata a me da vincoli indissolubili di amore e

fedeltà. Chiedile quali siano i suoi sogni. Le mie carezze, i miei baci. Chiedile in cosa trovi conforto. Per lunghe notti ella ardeva, sciogliendosi come cera.

Acasto. Ma cosa stai dicendo! I tuoi discorsi sono contrari agli dei e

blasfemi. Laodamia è la fidanzata di Protagora, tu ormai sei un prigioniero dell’Ade. Il tuo ritorno a noi non serve agli uomini e li spaventa.

Protesilao. Vecchio, forse tu ancora non conosci le leggi della morte

implacabile? O forse ti è ignoto il potere di quelli che hanno già usufruito del proprio tempo?

Acasto. Dicono che la vita sia più forte. Vedi, tu sei morto e noi facciamo

come vogliamo senza chiedere se a te faccia piacere oppure no. Daremo a un altro la tua Laodamia, e con lei anche il tuo regno. Ciò che è stato è stato. L’ombra rimarrà ombra. E già tu sei come uno spettro leggero, già i tuoi vestiti si intrecciano con la nebbia e attraverso te io posso distinguere i contorni degli alberi.

Protesilao. Acasto, morirai anche tu. Il cammino della morte è inevitabile e

tutti lo attraversano, e la mia Laodamia insieme a me. Per sempre ci hanno legato le promesse d’amore e non possiamo distruggere la nostra immutabile unione.

Acasto. Chi sei tu per stendere su di noi dalla tua bara il tuo devastante

potere? C’è un altro potere su di noi, sappilo, blasfemo, è la volontà di vivere ad attirarci sulle strade della vita.

Protesilao. Vattene, vecchio, non disturbare me e la mia Laodamia mentre

dormiamo abbracciandoci l’un l’altro teneramente.

Acasto. Credi forse di far bene? Mettiti tu stesso nei panni di Laodamia,

stai turbando la povera fanciulla con ingannevoli fantasie. Filace ha bisogno di un re e Laodamia di un marito. Invece tu adesso non hai nessun tipo di necessità, se non abbracciarti con la tua cara nel tempo libero, ma noi vivi dobbiamo pensare alla casa e alla città.

Ermes arriva da oriente e si rivolge a Protesilao.

Ermes. Protesilao, è arrivato il tempo di andare. Si avvicina l’ora nella

quale sulla terra sorge il dio dai riccioli dorati.

Protesilao. Caro compagno di un cammino difficile e lontano, come sei

Ermes. È ora. Il lasso di tempo che Ade ti ha concesso è trascorso. È lungo

il nostro cammino verso le tre pareti d’oscurità con le quali l’invisibile ha recintato il proprio silenzioso regno.

Protesilao. Oh Ermes, rallenta ancora un poco. Concedimi di restare nel

dolce refrigerio antelucano e di guardare ancora una volta la mia Laodamia illuminata di nuovo dal primo splendore del giorno.

Ermes. Andiamo. Si è compiuto il nostro tempo. Se tu rallenti ancora per

sempre resterai senza dimora e come un’ ombra angosciata vagherai qui, spaventando cani sensibili e irragionevoli bambini.

Ore (sorvolando). Elio! Elio!

Il sole che sorge non è visibile dal palazzo ma i suoi ridenti raggi lo illuminano insieme al giardino e scintillano sulla rugiada del mattino. Protesilao e Ermes

scompaiono fondendosi con le nitide ombre del giorno.

Acasto. Gli dei grandi e piccoli creano meravigliosi e terribili atti sotto il

manto delle ombre notturne. Ma ecco che si innalza il raggio argenteo, il dio che colpisce da lontano. Lui vuole regnare solo adesso sulla terra e nel cielo e, benevolo nei confronti di coloro che lo adorano, dà la caccia ai timori di mezzanotte, quelli dei demoni malvagi e dei vaganti per le strade dei morti. E adesso io sono pronto con la forza del chiaro dio a cacciare lo sgradito forestiero e a maledire le sue tracce in modo che molte notti trascorrano per noi in tranquillità. Antim!

Antim timoroso striscia fuori dal cespuglio. Si mette in piedi. In silenzio si guarda intorno pavidamente.

Non aver paura, Antim, l’ospite se né andato e noi faremo sì che non torni mai più.

Riunisci in fretta tutti gli schiavi e le schiave, che si accendano fuochi di purificazione qui davanti alla soglia. Che il letto nel quale ha dormito il terribile ospite di mezzanotte bruci sulle fiamme del fuoco e che la casa venga pulita di nuovo.

Antim esce con agilità. Si sentono voci e un rumore crescente. Acasto spalanca la porta del palazzo e si ferma sulla soglia.

Laggiù ce n’è anche un altro! Chi c’è ancora? Chi abbraccerà ancora la folle Laodamia? Quale altra afflizione, quale vergogna ella prepara a me e alla città? (Entra nel palazzo.)

Nel frattempo gli schiavi in fretta dispongono il fuoco. Arde lento. Le sue fiamme sono pallide nei ridenti raggi del sole nascente. Dal palazzo si sente un rumore, le

strilla adirate di Acasto e gli urli imploranti di Laodamia.

Laodamia. Non toccare, non toccare il mio amato!

Acasto porta fuori dalla casa la statua di Protesilao. Laodamia gli corre dietro. Si aggrappa alla mano di Acasto e urla.

Non te lo darò, non te lo darò! Lascialo, lasciamelo! Ignora la sua immobilità di adesso, solo il giorno diventa di cera, la notte viene di nuovo ad accarezzarmi e a sussurrarmi parole di tenero amore.

Acasto (con sdegno grida). Schiavi, cosa state guardando! Se questa invasata

si aggrappa alla mia mano non ce la posso fare. Toglietele il simulacro di cera!

Laodamia. Schiavi, non osate! Non ve lo darò, non vi darò il mio amato!

Antim, dopo aver preso Laodamia da dietro, la trascina sulla soglia della casa. La statua è nelle mani di Acasto. Nel frattempo le voci e il rumore richiamano l’attenzione e iniziano ad arrivare, da soli o in coppia, gli amici di Laodamia con

semplici abiti da casa.

Povera me! Mi hanno preso il mio amato!

Amici. Che succede qui? Cos’hanno preso a Laodamia?

Circondano Laodamia e Acasto. Mentre pronunciano gli ultimi discorsi guardano la statua, abbracciano Laodamia. Parlano piano con delle nuove arrivate.

Acasto. Oh Laodamia, adesso ho capito la ragione della tua caparbietà.

Amici. Questa è la statua che ha modellato Lisippo. È fatta proprio con

maestria! La cera è proprio viva. Le manca solo il respiro.

Acasto. Non so da chi sia stato fatto questo simulacro ma ho visto quanto

sia vivo, tanto da poter essere abbracciato dalla sua Laodamia.

Amici. Infelice Laodamia! Un simulacro indifferente ti consolava e te

l’hanno tolto.

Acasto. Ma come non toglierglielo! Non voglio che essa si tormenti così.

Lei è la sovrana, si deve sposare, invece eccola che si strugge!

Amici. Infelice Laodamia, non riesce a dimenticare Protesilao!

Acasto. Così ecco i riti di purificazione! Questi sono incantesimi criminosi

e blasfemi. Sono stati pensati da qualcuno che aveva intenzione di distruggere la volontà degli dei, di violare la barriera tra vita e morte, di diffondere il potere dei morti sul mondo dei vivi.

Laodamia ha richiamato a sé il morto ospite dall’oscuro regno dell’Ade, ecco perché possiede questo simulacro! Capirete adesso perché bisogna bruciarlo.

Amici. Ci comandi terribili azioni, Acasto.

Il fuoco brucia nel cortile.

Acasto. Guardate da soli ecco, non è più come cera ma ella lo ha

abbracciato, illusa da qualche demone ignoto, nemico della vita, lo ha abbracciato e le mani di cera si sono aperte per blasfemi e terribili abbracci.

I servitori portano fuori dal palazzo ghirlande, cimbali, tirsi, tamburi, vestiti e li dispongono sul fuoco che comincia a bruciare ardentemente.

Laodamia (sussurra). Amata cera.

Acasto. E questo simulacro di cera, così meravigliosamente modellato, è

ciò che ti ha permesso di predire il futuro, blasfema! È arrivato il momento, è arrivato il momento di distruggere questo malvagio incantesimo!

Le ghirlande e i vestiti bruciano. Acasto porta la statua presso il fuoco. Laodamia, che fino a questo momento era stata in piedi immobile presso la soglia, trattenuta

dalle amiche e dalle schiave, all’improvviso si dimena contro Acasto. Prende la mano della statua e oppone resistenza al padre e ai servitori che di nuovo riescono

ad allontanare da lei il caro simulacro.

Laodamia. Non vi restituirò il mio caro! In questa cera c’è la mia anima,

Amiche (piangono ed esclamano). Povera Laodamia! Come ci dispiace per

te! Ma noi non ti possiamo aiutare. Non puoi, non puoi avere la meglio, cara, su di loro! Ti hanno privato del tuo conforto. Obbedisci Laodamia, cara, non litigare invano con loro!

Qualcuno dei servitori urta forte Laodamia. Ella vacilla. Le amiche la sostengono. La statua si rompe. Acasto in fretta la butta nel fuoco.

Acasto. Brucia, brucia maledetto simulacro!

Laodamia. Oh, irragionevole Laodamia! Solo tre ore sono riuscita a

ottenere con le mie suppliche!

Il fuoco arde. La cera si scioglie. In fretta entra Lisippo.

Lisippo. Sono arrivato tardi. La folle azione è stata realizzata. Il caro volto

del mio amico è stato bruciato.

Laodamia. Caro giovane, piangi anche tu. Hanno preso il mio amico.

L’hanno bruciato. Gli uomini hanno eretto il potere sul nostro amore!

Lisippo (presso il fuoco). Loro possono tutto.

Laodamia. L’hanno bruciato. Ma io lo seguo. Fuoco, brucia con una dolce

pena il mio corpo terreno e scuro, io vado dietro al mio caro verso le ampie porte del palazzo di Ade! (Si lancia nel fuoco.)

Acasto. Trattenetela, trattenete questa folle!

Amiche. Cara sovrana, cosa ti è venuto in mente!

Le amiche e le schiave trattengono Laodamia. Ella si libera. Ma all’improvviso si indebolisce come cera sul fuoco. Senza forze si abbandona alle care amiche ed esse

Laodamia. Come scioglie la cera.

Amiche. Laodamia, cara, cos’hai? Il tuo volto è pallido, i tuoi occhi non

guardano e tu sussurri piano.

Laodamia. Come scioglie la cera.

Acasto. Consolatela, consolatela care amiche, è stata pesante per lei la sua

definitiva separazione dal suo caro. Ma ecco che brucia il maledetto e incantato simulacro; voi consolate la mia Laodamia.

Laodamia cade.

Amiche. Aiutate la sovrana, è greve per lei! Sorreggetela, sta cadendo. È

diventata tutta gialla come cera. Le labbra, diventate come cera, fanno paura quando si muovono ed ella sussurra piano.

Laodamia. Dov’è il mio simulacro? Dov’è la mia ghirlanda?

Amiche. È tutto nel fuoco.

Laodamia. Il mio caro!

Amiche. La sovrana muore. Il suo corpo è immobile ed esanime.

Attenzione, attenzione, mettiamola sull’erba, più lontano dal fuoco. La sovrana muore. Cara Laodamia, cosa stai sussurrando? Cosa ci stai dicendo nella tua ultima ora?

Laodamia. Come scioglie la cera.

Laodamia è morta sulla soglia della casa non del tutto costruita. Acasto piange in silenzio. Le amiche, tra gli urli, circondano il corpo.

Amiche. È morta, è morta Laodamia. Oh, morte sorprendente! Piangete,

piangete la povera Laodamia ma col pianto fonderete anche una grande felicità; esaltate, esaltate la divina incantatrice, la fatale Afrodite!

Gloria, gloria a te, Afrodite! Tu, divina, trionfi sulla morte e nel tuo ardente respiro si scioglie la vita terrena, proprio come si scioglie la cera.

I ridenti raggi del sole sorgente sulla terra inondano tutta la scena. Le fiamme del fuoco ardono salendo verso l’alto, è tutto rischiarato ma pallido. Con una tenda

rischiarata dall’oriente si chiude la scena, una tenda pulita e bianca, la morte luminosa.

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