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Tradizione e Perversione nel teatro di Fedor Sologub

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Academic year: 2021

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IL DONO DELLE API SAGGE

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IL DONO DELLE API SAGGE

Tragedia in cinque atti

Dall’autore

È stato l’articolo di F. F. Zelinskij «Antičnaja Lenora» a darmi l’idea di scrivere questa tragedia. Con lo stesso tema c’è la tragedia di I. F. Annenskij «Laodamia» (raccolta «Severnaja reč’». SPB., 1906).

PERSONAGGI

LAODAMIA, moglie del re Protesilao.

MOIRA AFRODITE, dea che muove i mondi e sconvolge i cuori. ADE, dio del mondo sotterraneo.

PERSEFONE, dea sua consorte. ERMES, dio.

PROTESILAO, re della città di Filace, in Tessaglia. ACASTO, padre di Laodamia, re di Iolco.

LISIPPO, ragazzo-scultore. NISSA, schiava.

ANTIM, schiavo. MESSAGGERO. SATIRO.

EOS, l’aurora purpurea. LETE, fiume dell’Ade. NINFA del fiume Lete. SERPENTE.

ECO.

CORO che dà voce alla moltitudine e alla natura. AMICHE della sovrana, mogli dei dignitari. MOGLI E FANCIULLE.

POPOLO.

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OMBRE DEI MORTI. ORE che sorvolano attimi. DEI DEL SOTTOSUOLO.

VOCE delle onde, dei giunchi e dei fiori nel regno di Ade.

ATTO PRIMO

Nel regno di Ade, presso l’oscura ma ampia porta, sciabordano pesanti le onde del Lete.

Fruscia il giunco e il suo fruscio qualche volta dà vita a parole e altre volte giungono misteriosi discorsi. Un posto triste, privo del cielo limpido e dell’orizzonte lucente. Tutto è nebbioso e offuscato, tutto sembra piatto e

immobile, come un’ombra su uno schermo.

C’è una luce grigio cenere; di tanto in tanto su coloro che parlano si accendono dei vividi raggi viola, un immota e fioca luce di un freddo lampo stregato. Dalla chiatta di Caronte, sulla riva del Lete, esce un pallido sciame di nuovi morti. Incontrano le ombre degli antenati. Gli uni e gli altri si muovono lenti e i

movimenti sembrano scomposti in una serie di statiche posizioni.

Ombre degli antenati. Salve a voi, care ombre. Nel mondo degli atti finiti

c’è posto anche per voi, e la vostra parte di conforto vi attende.

Nuovi arrivati. Dopo aver superato mortali e penosi tormenti, dopo aver

abbandonato la triste terra noi, sulla chiatta del taciturno Caronte, abbiamo nutrito la speranza di trovare su queste sponde, al di là delle oscure e fragorose onde del Lete, l’eterno oblio del dolore.

Fragorose onde del Lete. Oblio, oblio, nelle nostre onde bevete l’eterno

oblio. Noi, sciabordando sulle sponde dell’Ade, solo una cosa, una sola cantiamo: il nostro fragoroso discorso è sull’oblio, sull’eterno oblio.

(4)

Si fa più buio.

Nuovi arrivati. Come dimenticare? Sentiamo echeggiare i grevi lamenti

provenienti dall’oscura profondità che ci viene incontro. È possibile che anche qui, come sulla terra, regni l’afflizione?

Fruscio dei giunchi sulle sponde del Lete. Noi ridiamo, strepitiamo,

parliamo d’oblio, d’oblio, d’eterno oblio.

Nuovi arrivati. Noi sentiamo urla e lamenti che presagiscono il dolore.

Cosa ci darà Ade in cambio delle nostre perdute felicità procurateci da effimere emozioni? Come potranno confortarci i suoi ampi e freschi ricetti?

Ombre degli antenati. Persefone prova angoscia nel palazzo dalle molte

colonne del proprio consorte, il re Ade; prova angoscia e piange e non vuole consolarsi. Sente la mancanza di ciò che non ritorna, di ciò che non è più possibile e per lei non c’è conforto. Una fugace repressione del dolore gli è concessa soltanto dalla breve e dolce felicità delle parentesi primaverili.

Fiori sulle sponde del Lete. Noi fioriamo, sfioriamo, andiamo di nuovo in

fiore, di nuovo, sempre; i fiori sono eterni, privi di nascita e il nostro aroma è debole, umido, il nostro aroma è morto. Oblio, oblio, eterno oblio.

Baluginano lampi.

Ombre degli antenati. Dall’aureo autunno al rinverdire della primavera

Persefone, priva di colpa, prova angoscia, prova angoscia e piange fino a quando non arriverà all’Ade la gradevole notizia del risveglio della madre Demetra1 e della dolce e violenta sommossa di Dioniso.2

1 Demetra è la madre di Persefone e la dea materna della terra; quando Ade, con l’appoggio di Zeus, rapisce

Persefone e la porta negli inferi, Demetra la cerca ininterrottamente per giorni, senza né mangiare né bere ma soprattutto senza compiere il suo compito di dea della terra. La ricerca termina quando viene stipulato un compromesso: Persefone deve dividere l’anno tra gli inferi e sua madre. Da questo deriva la sterilità del suolo nei mesi invernali, mesi nei quali Persefone e Demetra sono costrette alla separazione.

2 In questo contesto Sologub sottolinea l’aspetto liberatore di Dioniso e dei suoi riti orgiastici. È

probabilmente associato a Demetra poiché Zagreo, reincarnazione del dio, simboleggia, come il mito di Persefone, l’alternarsi delle stagioni.

(5)

Lete. E i nomi più dolci affogano nelle mie onde fragorose, affogano

nell’oblio, nell’oblio, nell’eterno oblio. Il nome più dolce sarà dimenticato, il sembiante più desiderato si tufferà nell’oblio, nell’oblio, nell’eterno oblio.

Fulmini passeggeri.

Ombre degli antenati. Gli urli delle Menadi scendono fino a noi e

addormentano il dolore di Persefone, in quel momento i gemiti sulle sue labbra si arrestano. Ermes le porta bianche e tenere primule appena sbocciate ed ella si abbandona a un dolce pianto e a un riso tenero e sonoro, e dopo poco gioisce della sua gioia. Ma con un volo leggero sfrecciano veloci le ridenti Ore che consolano i riccioli d’oro di Febo3; ed

Ermes porta a Persefone i dorati fiori autunnali, rigogliosi ma ricurvi e tristi. E di nuovo Persefone proverà angoscia e i brevi attimi confortanti affogheranno nell’oscuro fragore del Lete.

Si fa ancora più buio.

Ninfa nei giunchi del Lete. Io mi tuffo, io scintillo nella cupa profondità

con sorrisi fluttuanti e perlati. Un fruscio eterno e infinito sopra di me. Onde colme di mortalità. Perla opaca; erano lacrime. Non so. Scintillo.

Nuovi arrivati. Quanti anni sono volati e ancora Persefone non vuole

consolarsi! Oh, sommi dei! Forse l’eternità non fiacca la vostra smisurata tristezza?

L’oscurità si infittisce.

3 Febo, letteralmente “splendente”, “lucente”, è uno degli appellativi di Apollo, dio della medicina, della

musica e della profezia. Spesso però, sia per la sua bellezza che per errore viene confuso con Elio, dio del sole. Anche in questo caso il dio a cui si fa riferimento è Elio e si intuisce sia dal contesto, poiché passano i soli e quindi i giorni, ma anche dal fatto che Apollo viene sempre raffigurato con i riccioli neri mentre qui si

(6)

Ombre degli antenati. Vi accorgerete, voi che entrate nel grande regno di

Ade, dio degli inferi, che siete nel mondo dove tutto è immutabile per sempre, sia felicità sia tristezza.

Nuovi arrivati. Per sempre, parole agghiaccianti.

Fruscio dei giunchi. Fino a quando non si frantumerà l’incantesimo della

grande dea, colei che livella le montagne e le valli e che mitiga dell’Ade le tenebre. Fino a quando non arriverà l’ultimo a innalzare un ponte indistruttibile.

Fulmini sporadici.

Lontano urlo di Prometeo. Spezzerò le catene e tu perirai, malvagio. Nuovi arrivati. A chi appartiene l’urlo che arriva fino a noi? Non è forse la

voce di un dio che soffre?

Fruscio dei giunchi. Prometeo in catene minaccia gli dei del luminoso

Olimpo.

Serpente. Gli dei tremano, ma ridono.

Le ombre dei morti si allontanano. La scena è sommersa in una fitta oscurità. Si sente il tranquillo sciabordio del Lete. Un fulmine improvviso squarcia l’oscurità e

si apre una tenda nera mostrando il tetro palazzo di Ade. Sul trono sta il re e vicino a lui Persefone. Il volto di Ade è cupo e tenebroso, tutta la sua persona è avvolta nella nebbia e resa a malapena visibile. Un desco apparecchiato. Gli dei

degli inferi taciti stanno davanti ai sovrani.

Ade. Provi angoscia e piangi, cara consorte! Piangi, senza aver ancora

prosciugato i tuoi occhi. Forse le tue lacrime sono dolci? Per me, che ho conosciuto la fine di qualsiasi sofferenza e di qualsiasi felicità e che ho consolidato la mia potenza grazie a queste conoscenze, per me, dio da lungo tempo, i lamenti di dolore sono dilettevoli, ma i tuoi, amata consorte, mi addolorano. Cosa può essere paragonato al dolore di una dea?

(7)

Persefone. Soltanto l’inferno è colmo dei miei lamenti, il lanciatore di

dardi dai riccioli d’oro non è afflitto. Soltanto l’inferno, illuminato da costellazioni infelici di fulmini immobili nati dall’eterno attrito dei tavoli d’ambra, soltanto l’inferno ascolta i miei gemiti.

Ade. Oh Persefone! Tu che insieme a me eserciti il potere su tutti coloro

che furono, che vissero, che passarono all’eterno «no» della vita, immutabile per sempre, di cosa ti puoi angosciare? La tua angoscia non mi è chiara, i tuoi desideri sono rivolti a emozioni false e mutevoli, ad affrettate conclusioni sul baratro del deserto terreno.

Persefone. Qui, nel mondo morto di morto catrame mi passano davanti

povere ombre e non vedo neanche un volto a me caro, chi posso incontrare? A chi posso rivolgere un saluto e il soave «sì» della vita? A chi posso dire: amato, caro, vieni a me ora, scendi verso di me?

Ade. Chiama chi vuoi dell’innumerevole popolazione del mio regno, fallo

risalire a te, consolati come desideri.

Persefone. Posso io consolarmi con spettri e povere ombre? È forse a

questo che serve la mia grandezza di dea?

Ade. Allora, se vuoi, chiama chi desideri dal luminoso mondo di Zeus,

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Persefone. Ahimè! Il mio cuore inquieto è coperto da un oscuro dolore,

solo i morti, solo i morti arrivano a noi dalla cortina del caro Zeus, dai campi dorati custoditi dalla mia travagliata madre.

Serpente. Anche Lui scenderà qui.

Persefone. E se Lui scende, ospite atteso, Lui scende senza il dolce miele

dell’Imetto4 – solo cera – le Sue bianche mani e il Suo dolore negli occhi

offuscati.

Serpente. Berrò la luce degli occhi.

Ade. Tutti arrivano a noi e nessuno trova la via del ritorno.

Sommesso fruscio dei giunchi. Si ribellerà, resusciterà.

Ade. In base al bene e al male vengono valutate e suddivise le azioni

umane, il bene e il male aprono molte strade diverse. Ma tutte le strade terrestri arrivano nel nostro luogo eterno. Ogni vicenda umana incontra il proprio irremovibile no ed è attratta verso le sponde del Lete. Chiunque un giorno abbia risposto al primo tentatore: «Sì, voglio vivere!», finisce poi il suo viaggio presso la colonna che si trova all’entrata del mio palazzo e sulla quale ho scritto l’eterna frase: «senza ritorno».

Eco. Senza ritorno.

Sommesso fruscio dei giunchi (come una risonanza dell’eco). Ritorno.

4 Massiccio montuoso della Grecia, a sudest di Atene, caro a Zeus perché le sue api avevano nutrito il

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Lontano urlo di Prometeo. Spezzerò le catene, perirai, perirai malvagio!

Accenderò fuochi che tu non potrai spegnere.

Persefone. Tutti giungono a noi< Come a casa, giungono tutti< Ma mi

nascondi forse la dolorosa verità? Tutti giungono ma senza volere.

Eco. Ma senza volere.

Sommesso fruscio dei giunchi (come una risonanza dell’eco). Volere.

Ade. Dalle sponde dove sciaborda il Lete sento un rauco e profetico grido:

i corvi dell’Ade gracchiano prevedendo l’arrivo di molti eroi e guerrieri caduti nelle gloriose battaglie in onore della bellissima Elena.

Persefone. In onore del misero fantasma della bellezza, della volubile e

terrena apparenza di una donna dal fascino divino. Oh, felicità della sconsideratezza umana! Oh felici! Oh irragionevoli! Vi siete rivolti a lei, ma un vento veloce ha portato via lontano, in un altro paese, sia il ladro che il tesoro. E il tesoro non serve a rallegrare il ladro.

Ade. Colui che ardentemente brama crea da solo il proprio scopo. La

freccia ferisce infiggendosi anche nel caso in cui l’occhio sbagli a prendere la mira.

Persefone. A causa di un fantasma e di una pallida ombra gli uomini,

pieni di valore e di forza, sono diventati fantasmi e sono scesi nell’eterno rifugio. Oh, infausta razza degli uomini! Oh, folle caparbietà delle Moire! Senza aver mitigato la cattiveria sugli uomini l’hai estesa anche agli dei, tu, terribile ombra! Ananke regnante sugli dei, perché, perché per sempre hai rattristato il mio cuore col dolore?

(10)

Ade. Renditi conto Persefone di quanto i tuoi pensieri e i tuoi desideri

siano contrastanti.

Persefone. Oh sì! Altrimenti come potrei non trovargli un compimento?

Ahimè! Le affermazioni terrene sono gettate nell’incerto mare della mutevolezza.

Ade. Adesso, Persefone, d’altronde come prima, come si addice al

costume d’ospitalità di un palazzo reale, offriremo ai prodi forestieri di condividere il nostro desco.

Persefone. Mi alzerò dal mio tetro e sfarzoso letto, mi toglierò il mio

pesante diadema e la mia porpora reale, andrò loro incontro, laverò le gambe stanche degli eroi infelici, porterò omaggio al tormento eterno, conseguenza di un’alta aspirazione con uno scopo illusorio e irraggiungibile. Volevano, hanno osato.

Ade. Tu sei una dea e una sovrana. Per cosa il tuo lavoro e la tua

umiliazione? Per loro è già un grande onore che tu gli rivolga il tuo sguardo divino e che ti possano consolare con parole terrene e rozze. Non puoi piegarti di fronte a loro.

Persefone. Consolare! Ahimè! Essi raccontano soltanto, ricordano,

ripercorrono. Sono morti, proprio come il mio eterno cuore addolorato; la dolce ebbrezza di un presagio non emoziona il loro sangue. Sono morti, e le loro parole sono pallide ombre di azioni compiute e incompiute.

Nuovi arrivati (entrando nel palazzo). Buongiorno a te, eminente possessore

e signore del nostro Ade. Da ora e per sempre noi siamo in vostro potere. Salve anche a te, ospitale dea, afflitta sovrana Persefone.

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Ade. Voi che avete superato fatiche, che avete compiuto atti eroici,

adempiuto ai gravi precetti della vita, desiderato, raggiunto o rifiutato e che avete attraversato le fragorose onde del Lete, avvicinatevi, prendete posto alla nostra tavola reale, condividete con noi il nostro desco santo e divino.

Le ombre dei nuovi arrivati hanno preso posto al tavolo reale. Protesilao si trova di fronte a Persefone. Un giubilo di morti.

Persefone (a Protesilao). Caro ospite, confidaci chi sei, da dove vieni e il

perché della tua tristezza.

Protesilao. Io sono Protesilao, figlio di Ificlo, re di Filace. Attraverso

l’oscuro Lete ho trasportato la tristezza per la mia cara Laodamia. All’appello del valoroso re Agamennone accorsi con il mio esercito alle mura della lontana Troia.

Persefone. Perché?

Protesilao. Avevamo deciso di vendicarci dell’audace ladro della bella

Elena e di riportarla alla sua casa e a suo marito, il re Menelao.

Persefone. Caro ospite, il vostro cuore ardeva di un desiderio vano e i

vostri valorosi eserciti anelavano a un fantasma. Il ladro non manterrà la preda ottenuta, però non ritornerà, mai ritornerà ciò che è stato rapito.

Protesilao. L’immensa sorte è celata a coloro che vivono sulla terra. Ma il

dovere di re e di guerriero mi comandò di andare là dove anche tutto l’esercito acheo si era precipitato.

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Dopo aver lasciato la mia casa non del tutto costruita, dopo essermi separato dal mio caro amico Lisippo e aver abbandonato, dopo la prima notte di nozze, la mia amata moglie Laodamia, affidai la mia vita al vento, al mare e alla sorte delle battaglie.

Persefone. E tu hai visto le mura di Troia? Hai sconfitto il nemico con un

colpo risolutivo?

Protesilao. Oh, sovrana! Adescato da un forte invito alla gloria, dalla nave

per primo uscii sulla riva e fui ucciso per primo da un dardo. E non vedrò la mia Laodamia.

Persefone. Caro eroe, consolati con le bevande e le prelibatezze del mondo

sotterraneo.

Protesilao. La separazione dalla cara Laodamia rattrista il mio cuore, ma

tu, grande sovrana del mondo nel quale tutti scenderanno dopo aver goduto della luce solare, dimmi per quale motivo il tuo sguardo è afflitto dal dolore.

Persefone. Caro ospite proveniente da una cara terra, ti apro la tristezza

del mio cuore: sono afflitta e provo angoscia per i dardi dorati e per l’amato, l’oggetto del mio desiderio. Non mi rallegra né il potere su questo vasto mondo, né le varie consolazioni che mi si presentano sempre davanti agli occhi attraverso coloro che, dai dolci attimi della vita, arrivano all’eternità immutabile. Niente mi fa felice.

Protesilao. Gloriosa sovrana, consorte del grande e potente signore nelle

cui mani siamo tutti noi che abbiamo compiuto in vita atti eroici e fatiche, forse questo ti rattrista? Forse in questo ti senti offesa o in difetto?

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Tu che ricevi sempre, che mantieni tutto e che mai restituisci, tu, spaventosa come le Moire che il mondo sostengono, forse per questo provi angoscia?

Persefone. Guarda davanti a te, cosa vedi?

Protesilao. Vedo abbondante e dolce cibo, visioni, profumi e molte varietà

di vino che emanano aromi invitanti per labbra assetate.

Persefone. Caro ospite, devi sapere una delle tante verità tra quelle che si

schiudono dietro le cortine dell’entusiasmo grazie alla forza rivelatrice del contraddittorio mondo dell’Ironia5, devi sapere la verità: il vino e le

prelibatezze sul mio tavolo sono morti.

Protesilao. Sovrana, come posso comprenderti? Avresti forse voluto

lacerare la carne e bere il sangue vivo di un corpo caldo? Gli uomini primitivi e i grandi dei non sono forse i soli a provare ingordigia?

Persefone. Sorridi, caro ospite, e rinuncia a comprendermi. Forse non ti è

dato di capirmi? O è così lesta la morte nell’appropriarsi del ricordo dei dolci tremori di vita? Ma anche tu hai assaggiato il nettare della rugiada reale con ambrosia di frutti maturi.

Gradualmente diventa buio e verso la fine dell’atto l’Ade si avvolge nell’oscurità. Una voce sorda risuona e tutta la scena sembra un sogno che scompare

nell’oscurità.

Protesilao. Mai potrò dimenticare. Oh, cara Laodamia.

Serpente. Non c’è oblio? Non c’è oblio. Eco. Oblio.

Persefone. Oh, vino vivo della vita umana spillato in abbondanza!

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Ombre dei morti. Abbiamo sofferto.

Persefone. Oh cibo vivo della carne umana!

Ombre dei morti. Abbiamo voluto.

Persefone. Oh, corpo terreno trafitto dal sole.

Ombre dei morti. Abbiamo amato.

Persefone. Moire crudeli, quale tessuto mi intessete?

Ombre dei morti. Abbiamo concluso l’intero nostro cammino. Non ci

aspettiamo né felicità né tristezza.

Persefone. Oh, colui dai riccioli d’oro nato dalle api sagge! Le api dorate

ronzano come i tuoi dardi dorati. E nella fioritura della terra il dolce miele emana aromi per le api.

Protesilao. Sospirando per il lanciatore di dardi dai riccioli dorati e per le

api dorate ed estasiate dalla sua saggezza luminosa, tu, grande sovrana, hai dimenticato il dono delle api sagge liquefatto dal fuoco: la cera. Come la cera, le maschere si sciolgono. Persefone, ne vedi forse il Volto?

Tre nere cortine di oscurità chiudono l’ade, ciò significa la fine del primo atto.

ATTO SECONDO

Nel palazzo reale della città tessalica di Filace, ancora non del tutto costruito, la sovrana Laodamia prova angoscia per la separazione dal marito, il re Protesilao, non essendo ancora a conoscenza della sua morte. È mattina presto. La sovrana si

è appena destata e non è ancora vestita. La schiava Nissa sposta le trecce di Laodamia e dice parole di conforto simulando con la voce un tono amorevole.

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Nissa. Non piangere padrona, non piangere cara. Guarda dalla finestra

che platani freschi e verdi! Che cielo chiaro! I fiori fanno bella mostra di sé davanti al palazzo reale! Ascolta le cicale che stridono sonore scomparendo nell’erba, il ronzio lento e regolare delle api dorate, eterne lavoratrici che raccolgono il dolce miele e la tenera cera.

Laodamia (guarda con sguardo offuscato e dice, lamentandosi). Mi sono

piombate addosso api nere di tristezza, mi hanno circondato, hanno punto il mio cuore e lo hanno riempito con favi di miele amaro, malvagie. Così il mio cuore si scioglie proprio come si scioglie la cera.

Nissa. Su cara sovrana, siediti tranquilla almeno un poco. Così mi fai

soffrire. Non mi impedire di intrecciarti i neri capelli e di ornarteli con fiori bagnati dalla rugiada del mattino, così dolcemente profumati; e poi coprirò la tua testa con la corona d’oro, che tanto si intona al rosso porpora.

Laodamia. Provo angoscia per il mio caro e valoroso Protesilao. Il mio

povero cuore è colmo di amari tormenti: un miele amaro di api malvagie! E i miei pensieri sono neri, gli uccelli profetici volteggiano e gridano e predicono sbattendo le nere ali. E io, sciagurata, come posso non piangere, una moglie sola, abbandonata!

Nissa. Consolati cara padrona, il distacco precede l’incontro, le lacrime

precedono il riso, l’afflizione precede la felicità, è così che ha stabilito la sorte ed è così che accade sempre nella vita, in quella dei liberi e in quella dei sottomessi.

Laodamia. A cosa mi serve la mia infelice libertà? Anche il mio essere una

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Che consolazione posso trovarvi? Il mio amore è lontano e io sono sola. Oh, perché non l’ho seguito!

Nissa. Questo è il costume, padrona, le donne non vanno a combattere.

Dicono che esista un regno di amazzoni dove lo fanno, così come avveniva presso i barbari, ma da noi le guerriere verrebbero derise.

Laodamia. Cattiva sorte hanno le mogli: rimanere a casa, angosciarsi,

affliggersi e confidare al vento parole di dolore.

Nissa. E alle amiche, padrona.

Laodamia. Vento, vento passeggero, caro ospite, desiderato ovunque,

porta al mio amato Protesilao i miei amari sospiri e le mie tenere parole!

Nissa (mette a Laodamia il diadema e dice). Così è sempre stato e così sempre

sarà, le guerre si disputano lontano e le mogli mandano avanti la casa con l’aiuto di servi e governanti. Tutto ciò fino a quando non ritorna l’amato dalla spedizione e con esso la felicità.

Laodamia. E se lo feriscono? Lui è il più coraggioso, si lancia nelle

battaglie più violente.

Nissa. (dopo essersi inginocchiata di fronte alla sovrana, le mette le scarpe e dice).

I guerrieri difendono il proprio re, inoltre a difesa di tutto il suo corpo c’è un’armatura resistente, un elmo brillante, uno scudo massiccio, una corazza e dei gambali.

Laodamia. Ma se un nemico efferato lancia contro il suo scudo un colpo

violento frantumandolo insieme alla corazza, e taglia con la propria barbara spada o trafigge con la terribile lancia il corpo del mio caro Protesilao?

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O se una freccia maligna, dopo aver scelto tra le armature un punto per caso indifeso, con strilli acuti, infigge la propria malvagia lama tagliente nel corpo del mio amato Protesilao?

Nissa. Le ferite sono l’onore dell’eroe.

Laodamia. Oh Protesilao! Le ferite sul tuo corpo sono ferite nel mio cuore.

Forse non è per questo che è afflitto il mio cuore? Il mio povero cuore!

Nissa (mettendo a Laodamia il chitone purpureo, dice). La sorte ha dato a

ognuno la propria parte di tristezza. Non bisogna però abbandonarsi al dolore. Sei una sovrana. Ecco che arrivano le tue amiche, le rispettabili mogli dei dignitari di Filace, consolati con loro come ti si addice: cantando, giocando, imbastendo discussioni intelligenti e usufruendo di un desco abbondante.

Laodamia. Il mio amato sopporta fatiche e privazioni e tu mi hai vestita,

così svelta che neanche ho potuto rendermene conto, con la porpora ricamata d’oro, il diadema dorato e i sandali riccamente adornati. Povera me, una moglie sola, abbandonata! Devo rivestirmi con gli abiti del dolore, levami, su levami tutta questa roba che adorna e brilla.

Nissa. Oh, cara sovrana, con la tristezza non attiri forse sul re la nostra

disgrazia? Come puoi toglierti la corona? Tu sei la sua consorte e gli dei vi hanno uniti per sempre. Tu hai la corona e lui ha l’elmo. Se il dolore ti toglie di dosso la corona devi temere che colei eternamente in attesa, invidiosa e oscura, levi l’elmo dalla sua fronte.

Laodamia. Dici proprio la verità, Nissa. Come sono stolta! La tristezza ha

annebbiato i miei pensieri. È proprio vero che noi, al principio di questo alto cammino reale, non togliamo mai, non dobbiamo togliere questo serpente d’oro arrotolato sulla testa.

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Nissa. Sì sovrana, non si può togliere. Ma questo non è un serpente, è la

corona che rappresenta le mura di difesa. Un re incoronato protegge la propria città.

Laodamia. Se così è, non mi leverò l’anello dorato dal capo, neanche

sfiorerò questo squamoso serpente di difesa. Stringi, brucia la mia testa, l’oro forgiato dal maglio in segno di un alto cammino, seducente serpente del potere, tormenta mio malgrado, bevi il mio sangue, bevi la luce dei miei occhi! Porta via questa porpora, è rossa, insanguinata. Il sangue, il sangue tinge le porpore reali.

Nissa. Il re è forte ed è difeso dalla corazza. Se non ucciderà non potrà

indossare la corona. Così è da tempi immemorabili, sovrana, e nei secoli avvenire non sarà altrimenti.

Laodamia (si toglie il chitone purpureo). Non voglio del sangue. Porta via la

porpora. Indosserò il chitone di lana.

Nissa. Il corpo è così tenero, la pelle così sottile, non credi che questo che

indosserai sia un vestito rozzo, sovrana?

Laodamia. Il mio amato sopporta fatiche e stanchezza, che ricadano anche

sulle mie spalle. Porta via anche questi sandali.

Inginocchiandosi, si toglie i sandali. Nissa. Lascia almeno quelli, padrona.

Laodamia. No, gettali, gettali nel fuoco. Non imboccherò la strada della

serenità fino a che, dai paesi lontani, non ritornerà il mio amato. Protesilao dal lontano oriente mi porterà vestiti reali e scarpe riccamente adornate. Ma oggi stringerò i piedi nudi alla terra e sentirò sotto di essi il fremito causato dal lontano fragore dei carri.

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Nissa (mettendo a Laodamia il chitone di lana). Bene, sovrana, farò quello che

desideri. Voi, potenti e liberi, in segno di dolore potete prendere anche l’aspetto di uno schiavo; e, in questo modo, rimarrebbe una sola testimonianza del vostro potere: il diadema d’oro, o altrimenti i lampi passeggeri dello sguardo abbassato. Invece noi, che portiamo la sorte leggera degli schiavi, in quale modo possiamo mostrare il nostro dolore? Dovremmo incenerire il nostro stesso corpo nel fuoco?

Laodamia. Io monterei sul fuoco e getterei il mio corpo incenerito sulla

grave terra. Come un’ombra leggera, depurata dalle fiamme, sfiorerei il mio amato, lo abbraccerei, mi stringerei a lui.

Nissa. Dicono che ci siano delle vecchie fattucchiere macedoni che

possono compiere questi atti spaventosi.

Laodamia. Come sono ardenti i baci del mio amato! Come sono ardenti e

dolci! E che tenerezza le sue carezze! Oh, magari la sorte avesse lasciato agli altri eroi le battaglie e la gloria, ma al mio Protesilao solo l’amore.

Nissa. Come non compatirti, cara padrona! Hai passato solo una notte nei

suoi abbracci e appena trascorso il dolce idillio di nozze il re Protesilao ti ha subito dovuto abbandonare; si è affrettato per non essere l’ultimo sul campo di battaglia.

Laodamia. Mi vergogno Nissa ma ti dirò una cosa: prima delle nozze,

senza aver ancora compiuto il sacrificio, sono andata dal mio amato, nella sua casa non del tutto costruita, per accelerare in segreto la mia felicità. Ero gelosa di Protesilao per via del giovane e mellifluo Lisippo, che ha scolpito nella cera così tante ammirevoli statue.

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Nissa. Non ti addolorare per questo, cara sovrana. Anche se hai attratto su

di te la collera di Era ti sei però meritata la benevolenza di Afrodite e sarà proprio Afrodite a consolarti nella tristezza e a difenderti dalla dea vendicativa.

Laodamia. Ho paura che anche Afrodite non abbia pietà di me e che si

adirino con noi entrambe le grandi e impietose dee. Prima del rito nuziale io, illecita, ho conosciuto la dolce felicità dell’amore e ho fatto adirare Era, ma la terrena Afrodite si è adirata con Protesilao per la sua passata attrazione verso gli occhi neri e la bellezza dell’amico Lisippo. Povera me, moglie per una notte, passeggera, abbandonata, inconsolabile.

Nissa. Padrona, a Filace dicono che Lisippo abbia forgiato dalla cera una

statua del re Protesilao. È meravigliosamente simile al re, sembra vivo. Dicono che a guardarla faccia quasi paura. Non vuoi forse ordinarmi, padrona, di dire a Lisippo di mostrarti la statua? Magari sarà anche disposto a donartela. Saresti confortata guardando la raffigurazione del tuo amato.

Laodamia rimane a lungo in silenzio.

Scusa, cara sovrana.

Laodamia. Ti ringrazio Nissa. Sì, vai da Lisippo, digli che la sovrana vuole

(21)

Arrivano le amiche della sovrana Laodamia, le mogli dei dignitari di Filace. Nissa esce.

Amiche. Salve, cara sovrana, padrona Laodamia. Ci siamo alzate presto

questa mattina, ci siamo vestite con premura, siamo scese presso il serbatoio d’acqua sotto il quale c’è un giovane satiro seduto e che ride allegro, scolpito da Lisippo, e siamo venute a te con fiori profumati; vedi, intorno a questa rosa ancora vola e ronza un’ape dorata. Siamo venute con discorsi consolatori e allegre canzoni.

Laodamia. Salve a voi, preziose amiche! Quanti fiori avete portato per me,

inconsolabile!

Amiche. Ma che succede? Indossi vestiti poveri e solo il diadema, alto

segno di potere, si trova sui tuoi riccioli neri, Laodamia. Forse siamo arrivate troppo presto impedendoti di indossare vestiti appropriati a una sovrana?

Laodamia. Sono felice che siate venute da me, mie care amiche.

Abbracciatemi, baciatemi.

Amiche (baciando Laodamia). Per quale motivo sei così triste, guardi

intorno in maniera malinconica e parli piano? Dov’è la tua porpora cucita d’oro, e dove sono i tuoi sandali riccamente adornati? Perché questi umili indumenti? Le regine non li indossano soltanto nei giorni di dolore e di tristezza?

Laodamia. Il mio amato è lontano, il mio Protesilao.

Amiche. Non essere triste, cara sovrana, non ti addolorare, non offuscare

il tuo sguardo limpido con lacrime affrettate, non impacciare il tuo petto sublime con profondi sospiri.

(22)

Trascorrerà anche questo greve momento di distacco dal tuo amato consorte, egli tornerà, glorioso e sereno, tu abbraccerai felice l’eroe mentre noi vi glorificheremo a voce alta e con allegria diremo: «Ecco Laodamia, nostra sovrana e moglie del re Protesilao, copertosi di grande gloria nella guerra contro i troiani».

Laodamia. Care amiche mie, vi ringrazio per le vostre parole di conforto,

arrivano direttamente dal cuore. Ma non so se potrete consolarmi, mie care. Ho sete di conforto. Noi, povere donne, come i bambini vorremmo essere confortate e accarezzate. Ma chi e in che modo può consolarmi? Quale terribile sogno mi ha svegliata questa notte!

Amiche. Raccontaci cara Laodamia, racconta il tuo sogno. Amiamo

ascoltare storie di sogni e amiamo riflettere su ciò che c’è di bene o di male.

Laodamia. Ascoltate care, vi racconterò il mio sogno ma non c’è molto da

riflettere. Ahimè, è ben chiaro il suo terribile significato!

Amiche. I vecchi dicono che anche le acque limpide sono profonde.

Laodamia. Questa notte ho visto in sogno il mio Protesilao. I suoi occhi

erano scuri e il suo viso era coperto dalle tenebre. Povera me! Mi ha abbandonata, inconsolabile.

Piange. Le amiche, dopo averla circondata, l’accarezzano.

Amiche. Laodamia, cara, non piangere; finisci di raccontare il tuo sogno.

Cosa ti ha detto il re Protesilao?

Laodamia. Ho visto venire verso di me il mio Protesilao con vestiti

(23)

«Scusa, Laodamia - mi disse- l’inevitabile mi attrae verso il regno di Ade. Afrodite, un tempo da me ingiurata -mi disse Protesilao- ha diretto la lancia del nemico nel mio petto e mi ha messo nelle mani dell’inevitabile». Così mi diceva il mio Protesilao, dilaniando con un insopportabile dolore il mio povero cuore.

Amiche. E tu, cara sovrana, cosa gli hai risposto?

Laodamia. Versando lacrime amare io gli dissi: «Oh Protesilao, noi

staremo insieme, sempre insieme - dissi io- sarò con te ovunque, ovunque Protesilao, perfino all’inferno - così dissi io- la tua Laodamia ti seguirà». E in fretta mi avvicinai a lui per abbracciarlo, ma lui non c’era già più e solo la cara sua voce risuonava da lontano: «Scusa, Laodamia», lo sentii e mi svegliai, versando lacrime ardenti. Api dorate ronzavano dietro la mia finestra, ronzavano, e le frecce dorate di Febo dai chiari riccioli caddero sulla mia spalla e le api scure e maligne mi pungevano il cuore ed esso doleva per la pena, favi di miele amaro, e io piangevo, piangevo in maniera inconsolabile.

Amiche. Adesso però non piangere cara, altrimenti anche noi,

guardandoti, inizieremo a farlo senza sapere ancora nulla, e a quel punto come potremo confortarti? È probabile che non ci siano motivi per piangere. Forse questo sogno ti è stato destato da demoni meschini e malvagi della tua casa non ancora del tutto costruita. Capitano, dicono i vecchi, questi sogni che non possono neanche avverarsi, i demoni avversi vogliono solo confondere l’uomo e rattristarlo, ma non hanno le forze per realizzare le loro oscure minacce.

(24)

Laodamia. Ah, care! Io ho sentito la voce del mio Protesilao. È forse

possibile che io non lo riconosca? È stato proprio lui a venire da me, ad accomiatarsi. Perché l’ha fatto? Quando il suo corpo immobile era sdraiato sull’ umida sabbia, perché è venuto da me come un’ombra leggera, come un fantasma notturno? Perché mi ha detto - scusa Laodamia? Forse lui è, lui< Forse, mi ha dimenticata per un’altra che gli è piaciuta di più?

Amiche. Oh, cara Laodamia, come può un giovane marito dimenticare

così presto la propria moglie con la quale ha trascorso una sola notte.

Laodamia. Una notte! Ahimè!

Amiche. E con chi potrebbe sostituirti? Sei bella come un’abitante del

luminoso Olimpo ed è un bene che Paride non abbia colpito Filace.

Laodamia. Laggiù, nel lontano oriente, forse fioriscono rose più soffici e

più profumate delle nostre. Bellezze vestite meravigliosamente, con diademi di diamanti, monili di perle e braccialetti dorati, lo hanno sedotto con i loro maliziosi sorrisi, con i loro discorsi invocanti, con il loro corpo bruno meraviglioso e selvaggio. Mi ha dimenticata, dimenticata, lasciata qua e lui stesso si gode l’amore in un paese ameno e lontano. Malvagie coloro che ci hanno separato! Le loro carezze sono senza vergogna, i loro occhi di una tenerezza illusoria. A causa di una peccatrice i guerrieri hanno lasciato il paese natale, hanno inseguito donne sfuggenti e maliarde straniere li hanno sedotti.

Amiche. Non pensare così, cara Laodamia, Protesilao non ti dimenticherà

per una bellezza d’oltremare. Gli elleni non amano i visi barbari e i loro costumi non gli si confanno.

(25)

Laodamia. Ah, care, io stessa non credo a quello che dico. Il mio Protesilao

non mi dimenticherà, non mi sostituirà. Ma forse lei, dolce fattucchiera, che di notte predice in segreto sotto la luna, l’ha condotto nel proprio prato oscuro, l’ha costretto nel suo cerchio magico, l’ha avvelenato con l’erba della mezzanotte e l’ha sedotto con la sua gaiezza incantata< Povera me, moglie abbandonata, inconsolabile!

Amiche. Consolati, nostra cara sovrana, trova tu stessa qualcosa per i tuoi

dolori che non esistono, sei tu che laceri il tuo cuore con un tormento infondato.

Laodamia. Per quale motivo, per che cosa sono andati per un così lontano

e difficile viaggio! Per glorificare ed esaltare una meretrice, per dare corpo a un fantasma, per abbeverare un’ombra fugace col miele della vita: oh, folli!

Amiche. La gloria segue l’alta follia.

Laodamia. Per che cosa, per cosa una gloria bagnata col sangue? Ho

bisogno di amore.

Nel palazzo entrano veloci, con fragore e con pianti, donne, fanciulle, bambini, vecchi, dignitari, popolo e con loro Nissa.

Mogli e fanciulle. Sovrana Laodamia! È arrivato un messaggero mandato

dai capi del nostro esercito e ha portato a te, sovrana, e al popolo delle notizie. I suoi vestiti sono coperti di polvere, è spossato da una grande stanchezza e il suo sguardo offuscato è infelice. Temiamo che annunci molte cose tristi a te, sovrana, e a noi.

(26)

Laodamia. Hanno ucciso il mio Protesilao! Il mio cuore lo sentiva!

Messaggero (entra e si rivolge alla sovrana). Sovrana Laodamia, sono stato

mandato subito dai comandanti ad annunciare a te e alla città un grande dolore.

Laodamia. Hanno ucciso il mio Protesilao!

Messaggero. Sovrana, tu sai che a lungo abbiamo sostato ad Avlida e non

c’era vento. E sai della morte di Ifigenia e di come lasciammo Avlida.6 Il

viaggio fu difficile, ci furono grandi discordie tra i comandanti e il mare era tempestoso. Ma tutte le barche arrivarono alla costa troiana. In quel momento ci ricordammo delle parole del profeta.

Laodamia. Atroce messaggero, non mi far penare con un lungo racconto.

Che ne è del mio Protesilao? Dimmi che è vivo.

Messaggero. Sovrana, il compito del messaggero è quello di raccontare

con ordine tutto quello che gli è stato comandato di riferire e tutto quello che lui stesso ha visto.

Laodamia. Non ti permetterò di dire neanche una parola prima di avermi

annunciato se è vivo Protesilao.

Messaggero. Sappi, sovrana, che il re Protesilao è stato ucciso. Per primo è

uscito dalla barca sulla riva della terra nemica e la profezia si è realizzata: il re Protesilao per primo è caduto, colpito dalla lancia di un danao7.

Mogli e fanciulle. Oh che afflizione, che grande afflizione! Povera

Laodamia, piangi, piangi, alza un urlo fino al cielo, esaspera la nera afflizione con urli e sospiri, confortati con le lacrime stesse delle dee vendicative.

6 La leggenda racconta che la flotta achea fosse trattenuta ad Aulide a causa dell’ira di Artemide nei confronti

di Agamennone, padre di Ifigenia. L’indovino Calcante, interrogato, rispose che la collera della dea poteva essere placata soltanto se Agamennone acconsentiva a sacrificarle la figlia; da prima egli si oppose ma in seguito, spinto soprattutto da Menelao e da Ulisse, cedette.

7 Abitante dell’Argolide, dal nome del mitico re Danao, re di Libia. Questo termine si utilizza per indicare

genericamente i greci, ma nell’Iliade di Omero, come anche in questo caso, ci si riferisce agli achei, chiamati, nel suddetto libro, con tre differenti nomi usati come sinonimi: Argivi, Danai e, come sopra, Achei.

(27)

Laodamia. Per primo è caduto! Così, malvagia, ti sei affrettata a dare la

morte al mio caro, con una fretta inesorabile mi hai dato il colpo. Vai, malvagio messaggero, non ti voglio né vedere né sentire. Vai, vai, dì agli altri della battaglia, dell’eroismo, del coraggio dei caduti e della gloria dei vinti: il mio Protesilao è stato ucciso.

Messaggero. Sovrana, il re Protesilao è stato ucciso ma il nostro esercito si

è avvicinato alle mura di Troia.

Laodamia. Messaggero e popolo, da qui andate alla piazza della città; tu,

messaggero, dì al popolo tutto quello che serve, tutto quello che sai mentre io rimarrò sola con la mia afflizione.

Amiche. Oh povera sovrana! Quale amaro dolore ti ha dato lo spietato

destino! Sapremo dal messaggero dei nostri mariti e dei nostri figli e poi verremo qui a consolarti o a piangere con te.

Il messaggero, le donne e il popolo escono.

Nissa. Ma non cacciare me, padrona, non devo avere notizie di nessuno,

mi siederò vicino a te stesa sul letto e ti farò aria col ventaglio.

Laodamia. Oh, quale dolore! Non sono forse la più infelice delle mogli?

Ho appena avuto il tempo di abbracciare mio marito e lui non è più qui; vendicative, malvagie forze estranee all’uomo avete dato la morte alla mia felicità. Oh, malvagia famiglia dei supremi!

Nissa. Gli dei richiedono obbedienza agli uomini come i signori agli

schiavi.

Laodamia. Un illusione ha sedotto il mio Protesilao, essa l’ha attratto

attraverso un fantasma, nel regno delle ombre è stato attirato da un leggero fantasma.

(28)

Con tal foga e tale impeto strappammo il tenero fiore, tra carezze infantili e il colpo di un danao ci siamo dilettati col suo effimero afrore; e adesso dove sei, nostra felicità? Ahimè, moglie abbandonata e inconsolabile! Voi, dei, siete ingiusti! Forse i vostri palazzi sono del tutto inaccessibili? Altrimenti tremate, che le maledizioni come cenere ardente cadano sulle vostre teste! Il marito si rialzerà dalle terrene spoglie e risponderà con frecce alle frecce, con colpi ai colpi.

Nissa. Con colpi ai colpi!

Si fa buio e i contorni delle cose non sono netti. Il letto di Laodamia è avvolto in una fiacca oscurità. Nissa silenziosa si allontana e Laodamia piano piano scompare nella foschia. Appare Afrodite con le sembianze di una vecchietta e con

le fattezze e i vestiti della schiava Nissa, si rivolge a Lisippo, che è rimasto fuori dietro la porta.

Afrodite. Vieni qua da me, Lisippo; perché esiti sulla soglia? Mi hai già

promesso che avresti dato questa statua alla povera Laodamia. Non ti dispiacere per questa cera mirabilmente scolpita, Laodamia soffre, consolala con un meraviglioso regalo.

Entra Lisippo. Porta la statua avvolta in un panno tenendone il corpo di traverso. Afrodite la sostiene. Pongono il simulacro coperto presso la soglia.

Lisippo. Furba vecchietta, dove mi hai condotto? Fino a oggi non sono

riuscito a capire perché tu voglia che dia la statua del mio amico Protesilao a Laodamia. Per me stesso ho forgiato dalla cera l’immagine del mio caro rievocando le amate caratteristiche con la tenera memoria.

(29)

Forse proprio a lei che ha incantato il mio amico, avida di felicità, devo dare ciò che, con grande gioia ormai disciolta nella tristezza, ha agitato il mio cuore!

Afrodite. Caro ragazzo, la nostra discussione è già finita. A Laodamia

deve andare il meraviglioso dono delle api sagge, a Laodamia, questo io voglio.

Lisippo. Purtroppo hai avvelenato il mio cuore, la tristezza che provo per

il mio amico l’hai disciolta nel dispiacere nei confronti della moglie di Protesilao. Perfida, chi sei tu?

Afrodite. Io sono colei che chiama senza posa.

Le sembianze illuminate diventano quelle di una dea meravigliosa e sotto l’aspetto di vecchia si intravede un’ immensa bellezza divina. E Lisippo, palpitando per

l’improvviso entusiasmo, si inginocchia ai piedi della dea.

Lisippo. Ti riconosco, ti riconosco somma dea! Nonostante tu avessi preso

l’aspetto di una vecchia schiava adesso ti riconosco, meravigliosa Afrodite nata dalla schiuma del mare, incantatrice celeste.

Afrodite. Ho preso un aspetto a me estraneo ma tu, caro ragazzo, hai

esaudito il mio volere nonostante mi sia presentata a te come una schiava.

Lisippo. Mi lodano per le mie sculture sia a Filace che nei dintorni di essa,

ma ancora in nessuna occasione sono riuscito a modellare una statua così bella come questa e a colorarla con cotanta maestria. Finii il mio confortante lavoro e io stesso mi spaventai per la somiglianza col mio caro Protesilao. Ma adesso ho capito, meravigliosa incantatrice, che in questo c’è un tuo incantesimo.

Afrodite. È così, caro ragazzo, l’uomo crea ma solo gli dei possono

(30)

Lisippo. A Filace dicono che il re è stato colpito dalla tua collera.

Afrodite. Ha rotto le prime carezze matrimoniali e i santi abbracci

attirando su di sé la mia collera.

Lisippo. Ma adesso, dea, cos’hai escogitato? Il re è già morto, o forse tu

vuoi colpire anche la sovrana con un nuovo castigo attraverso gli incanti di questa immagine meravigliosa?

Afrodite. Non ho escogitato né vendetta né ricompensa. Noi dei

conosciamo bramosie diverse, inaccessibili ai mortali, e abbiamo alti fini, più alti dell’uomo, più alti di un dio, in quel dominio dove regna la suprema Moira Ananke. Innalzerò colui che vi ha lasciato, porterò sulla morte i miei incantesimi, col mio fascino romperò la prigionia di Protesilao e il potere invisibile del dio.

Lisippo. Lui, amico mio, inebriato da un grande amore, adesso riposa nei

possedimenti di Zagreo silenzioso8.

Afrodite. Romperò, io romperò le catene della morte. Grazie a me si

muovono i mondi.

Lisippo. Dea, i monaci dicono che i mondi non sei tu a muoverli, li muove

la grande madre delle Moire, Ananke sovrana.

Afrodite. È divertente quando i ragazzi discutono sugli dei e ne danno

giudizi. Io sono l’amore, io sono colei che può essere fatale, io sono la Moira Afrodite. L’antico e desertico Caos era tristemente afflitto e non c’era nessuna essenza nel mondo e le eterne madri, incatenate da sogni di ghiaccio, erano tristi nella loro tomba prima del tempo. Ma nel freddo cuore del Caos, al quale i saggi danno il nome di Logos, sono nata io.

8 Fu in origine una divinità agraria e ctonia di probabile derivazione cretese. Il suo mito fu al centro della

religione orfica nella quale è considerato avatar di Dioniso. Zagreo è figlio di Zeus e Persefone, colpito dall’ira di Era che lo perseguitava per ucciderlo non riuscì a salvarsi; Zeus riuscì a difendere solo il cuore del figlio e per renderlo immortale lo fece rivivere in Dioniso.

(31)

E morendo egli di una morte senza forza, una maschera distorta e folle si sgretolò, e gli eterni si destarono e accesero innumerevoli preghiere della volontà e dell’aspirazione. E tutto quello che era opera divina e umana, tutto dal Mio santo ventre discese, tutto è nato per Me, tutto in Me respira soltanto, tutti sono spinti da Me e verso di Me. Soltanto io, soltanto io: amami, caro giovane, in ogni incantamento terreno apri i Miei confini, in ogni soave magia della vita riconoscerai il Mio appello. Amami.

Laodamia esce dall’oscurità che avvolge il suo giaciglio e a voce bassa dice.

Laodamia. Sei arrivato Lisippo? Ti aspettavo. Esci, Nissa.

Afrodite prende di nuovo l’apparenza di una vecchia. Borbotta qualcosa ed esce.

Lisippo, dicono a Filace che tu riesca a rendere vive anche le morte fattezze: sei un mago, caro scultore! Oh, se solo tu mi avessi presa come cera, come morbida cera e dalla cera, dalla morbida cera tu avessi modellato un'Altra!

Lisippo. Sovrana, io adesso ti ho portato un regalo, anche se non grazie

alla mia volontà. Per me ho scolpito la statua ma la meravigliosa motrice dei mondi mi ha comandato di darla a te.

Toglie il velo dalla statua e si vede la raffigurazione di Protesilao,

meravigliosamente scolpita nella cera e colorata con maestria. Laodamia guarda in silenzio. Si mette a piangere.

Laodamia, piangi?

Laodamia. Che paura! È proprio lui.

(32)

Laodamia. Ma se è così simile, oh Lisippo, come fa a non proferire parola?

E se cominciasse a parlare?

Lisippo. Ti lascio il tuo Protesilao e io me ne vado. Consolati, sovrana,

guarda questi lineamenti tanto amati.

Lisippo esce.

Laodamia. Ahimè, deboli mani dell’uomo, arte senza forza di un creatore

terreno! Questa cera è un caro dono, così spaventosamente è simile al mio Protesilao. Ma il mio Protesilao possiede soavi discorsi, tu, caro simulacro, stai in silenzio. Il mio Protesilao possiede uno sguardo ardente, mentre tu, caro simulacro, fissi ma non vedi. Non vedi, non senti. Ma forse! Oh folle speranza! Supplico, supplico il dio invisibile perché tu, caro simulacro, possa aiutarmi. O sono folle o un demone buono mi ha infuso speranza; c’è un incantesimo in te, oh caro dono delle api sagge?

Entra Afrodite con l’aspetto di una vecchia. Laodamia la prende per Nissa.

Avvicinati a me, guarda questo simulacro a me caro.

Afrodite. È Protesilao.

Laodamia. Lisippo l’ha forgiato dalla cera. Guarda come ha scolpito con

maestria questo dolce simulacro.

Afrodite. La cera è di tutti, questo dono consolatore è per te, il tuo

Protesilao. Per lunghe notti sarà tuo. E godrai, godrai delle carezze e della beatitudine. Per lunghe notti lui sarà nei tuoi abbracci, come fosse vivo, e come fosse vivo tu lo accarezzerai.

(33)

Laodamia. La cera si scioglie.

Afrodite. E insieme alla cera, nel beato entusiasmo dell’oblio, si scioglierà

il tuo corpo e l’illibata Psiche giungerà agli abbracci del Marito Divino.9

Laodamia. Protesilao è nel mondo dei morti, nel regno di Ade.

Afrodite. Nel regno di Ade c’è solo l’ombra di Protesilao, ma colui che ha i

riccioli d’oro correggerà il divino percorso e gli onesti, anche tu con loro, gli andranno incontro.

Laodamia. Confortante, confortante il tuo dolce discorso. Ti avevo preso

per Nissa, ma i suoi discorsi sono amari e sommessi quando il tuo è miele dell’Imetto e il tuo dono è la dolce cera; ma chi sei tu?

Afrodite. Colei che possiede i mondi, la prima delle Moire supreme, io ti

ho destinata, Laodamia, al grande entusiasmo dell’amore vincente sulla Morte. Ti farò ardere, ardere nelle beate fiamme della sofferenza e dell’Amore.

Laodamia. Tutta la mia anima è in questa cera. E la mia anima ti

appartiene, Protesilao.

ATTO TERZO

Giardino davanti al palazzo di Laodamia. Si fa sera. Acasto entra nel palazzo. Si ferma sulla soglia

.

Acasto. Vieni verso di me, Laodamia e ascolta le mie parole di conforto.

(34)

Entra Laodamia con un abito triste e povero, scalza. Il suo viso è pallido, è spossata dall’afflizione e dalla passione, sulle sue labbra c’è uno strano sorriso e i

suoi occhi guardano come se non vedessero le cose.

Cara figlia mia, Laodamia, sarà breve il tuo dolore. È arrivato il tempo per te di consolarsi, e per me di renderti felice di nuovo. Sono proprio venuto per annunciarti questa grande felicità.

Laodamia. Per me non c’è ancora felicità sulla terra. Il sanguinario

Omeste10 si è impadronito della mia felicità, ha sottratto la luce dai miei

occhi per il suo sollazzo. Fino a quando dall’Ade non tornerà il mio Protesilao non ci sarà per me felicità sulla terra. Ma i sommi dei del sotterraneo sono implacabili, implacabili e ogni divinità sarà per sempre ostile all’illecita felicità umana, all’insolente loro raggiungimento della gioia. Non saremo felici fino a quando sul mondo regnerà la suprema e violenta famiglia.

Acasto. Non dire della divinità queste empie parole. Ogni giorno Elio

sorge nel suo solenne e alto cammino, ogni giorno elargisce sulla nostra terra nuove felicità. Ho trovato per te un nuovo marito, mia bellezza.

Laodamia. Perché?

Acasto. È possibile che tu non capisca come sia nostro dovere domare l’ira

dell’offesa Era nei tuoi confronti?

Laodamia. Non ha pietà quella violenta. Da lei non mi serve proprio

niente. Non comincerò a pregarla inginocchiandomi al mio caro simulacro.

10 Epiteto di Dioniso. La fonte è probabilmente Plutarco, Temistocle 13. Omestès significa letteralmente “colui

(35)

Acasto. Non hai figli, la casa di Protesilao è rimasta incompleta, niente ti

lega alla scultura dell’eroico re. Ti darò in moglie a Protagora.

Laodamia. Papà, perché hai escogitato tutto questo?

Acasto. Protagora è rispettabile, un uomo esperto e giudizioso, finirà di

costruire la casa di Protesilao e regnerà su Filace perché è benvoluto dagli dei, dai più anziani e dal popolo.

Laodamia. Avreste dovuto chiedermelo!

Acasto. Domani ci saranno le nozze. Questa è la mia volontà, e tu, cara

figlia mia, dovresti sapere bene come ci si comporta di fronte alla mia volontà: ad essa bisogna sottomettersi, che lo si voglia o no.

Laodamia. So, padre, quanto sia inflessibile la tua volontà. Ma tu conosci

forse la forza del mio amore? Il mio amore è più forte di qualsiasi forza terrena. Non sarò la moglie di Protagora, non posso essere la moglie di nessuno, non voglio essere la moglie di nessuno.

Acasto. Laodamia, la tua caparbietà mi meraviglia. Ma d’altronde le

donne sono tutte così. Vogliono che tu parli con loro a lungo e poi ti provocano con la forza. E a quel punto sono soddisfatte di se stesse. Dimmi, perché non vuoi essere la moglie di Protagora?

Laodamia. Amo Protesilao, il mio Protesilao.

Acasto. Il tuo Protesilao non fa parte del mondo dei vivi.

Laodamia. Amo Protesilao.

(36)

Laodamia. No? Chi può esserne certo! C’è, non c’è, non è forse lo stesso?

Io lo voglio.

Acasto. Vedo che non potrò farti cambiare idea. Me ne vado ma tu

preparati alle nozze. Se non andrai da sola, ti farò trascinare con la forza.

Laodamia. Aspetta, padre. Ti stai sbagliando. Come posso persuaderti? Va

bene, non ce né bisogno. Che si realizzi la tua volontà. La mia volontà è solo la mia volontà. Oppure pensi che la mia volontà non valga niente? Ma che< Dammi solo tre giorni, che venga celebrato un rito segreto e che vengano portate le ultime vittime sacrificali e io implorerò clemenza all’oscuro Zagreo.

Acasto. Tre giorni, così sia, indugerò ancora. Ma dopo ci saranno le nozze.

L’agorà già con le fragorose voci della maggioranza innalzava la tua scelta da me annunciata e alla domanda dei più vecchi «diventerà re il secondo consorte della sovrana Laodamia, il rispettabile Protagora?», con un grido tonante proclamava «sì».

Laodamia (sorridendo triste). Gli dei mi hanno sottratto il mio caro, gli

uomini conducono a me un altro, ma io? Con l’invincibile forza dell’incantatrice divina, Ade e Persefone implorerò con dolci preghiere. E il mio caro si ribellerà. (Esce).

Arrivano, vestite a festa, le mogli dei dignitari di Filace, amiche di Laodamia, insieme a una folla felice e rumorosa. Si rivolgono ad Acasto.

Amiche. Rallegrati, caro re Acasto. Tua figlia, la nostra amata sovrana,

dopo un breve dolore di vedovanza assapora di nuovo la fortuna della gioia matrimoniale.

(37)

A lungo ha pianto la povera Laodamia, per giorni interi i suoi grevi lamenti e i suoi urli penetranti ci hanno tormentato con una grande tristezza e molti di noi hanno versato lacrime guardando la sofferenza della sovrana. E solo con l’arrivo della notte la cara Laodamia si quietava e sorrideva attraverso le lacrime attendendo un sogno consolatore, come fosse il caro suo consorte, ma al mattino di nuovo si alzava povera e stanca, di certo il sonno non serrava i suoi occhi e di nuovo singhiozzava inconsolabile. Ma tu hai pensato al modo per consolare Laodamia e per dare a noi un re, presto esulteremo in una festa gioiosa. È necessario onorare i morti con la tristezza ma i luminosi dei non amano i lunghi singhiozzi. Le dolci consolazioni delle notti matrimoniali sono in accordo con gli dei dell’Olimpo.

Acasto. Quante belle parole dite, mie care, ma eccomi con una nuova

ridicola afflizione: ella non si rallegra della notizia sulle nozze, piange, non si asciuga gli occhi e non vuole consolarsi. Temo che andrà trascinata all’altare con la forza. Ma provate a conversare con lei. Parlate a quell’irragionevole.

Amiche. Non ti rattristare per questo, nobile Acasto, noi le diremo tutte le

parole di conforto che conosciamo. Non potrebbe non piangere il suo primo amore. E il secondo marito l’amerà con ancor più intensità proprio per questo, dirà che è capace di affezionarsi e che Laodamia si angoscerà in quel modo anche per lui se dovesse morire prima di lei.

Acasto esce. Una delle amiche si avvicina alla porta. Chiama.

Amica. Cara Laodamia, vieni da noi, parla con noi. Lascia il buio e noioso

gineceo.

Laodamia. Sono triste.

(38)

Si crea il silenzio ed esse guardano con curiosità la porta. Esce Laodamia con vestiti tristi e poveri, scalza, chinando lo sguardo incerto, evitando di guardare le

care amiche. Esse fanno largo ed ella silenziosa entra nel cerchio, variopinto e festoso, formato dalle amiche. Ascolta i loro discorsi. Tace. Le amiche la consolano.

Le dicono parole affettuose.

Amiche. Non piangere, cara Laodamia, non piangere. Hai pianto

abbastanza. Colui che raccoglie le lacrime ha già riempito più di una profonda tazza e con essa ha già irrigato non pochi fiori nei campi di nebbia che si trovano nei possedimenti di Ade. Non riavrai il tuo defunto eroe con singhiozzi e urli che servono solo a tormentare il tuo cuore; con le lacrime privi di luce i tuoi occhi neri e bagni con acqua amara le tue care guance.

Laodamia. Come posso non piangere il mio Protesilao!

Amiche. Incoronato da eterna gloria egli è morto della morte dell’eroe. Fra

molti secoli non si cancellerà dalla memoria dei posteri il suo nome glorioso. Sei rattristata a causa sua?

Laodamia. Vuota gloria, spettro della vita, dolce favola per ragazzi

violenti che amano le risse, ma a cosa mi serve?

Amiche. Protesilao non sentirà i tuoi lamenti. Ma se qualche piccolo dio

sconosciuto e monello porterà attraverso le onde del Lete i tuoi sospiri di siringa, Protesilao sorriderà di essi, poiché adesso abita nel regno delle calme ombre e degli atti compiuti.

(39)

Amiche. Pensa, Laodamia, a quale felicità ti sospingono gli dei in cambio

di una perdita. Il nuovo marito ti consolerà, inconsolabile, e grazie a te diventerà il nostro re; che onore potrai ricevere dal re e dal popolo!

Laodamia (sorridendo). Care amiche, sono davvero saggi i vostri discorsi,

soave è il vostro conforto e non si possono rifiutare i vostri consigli. Così, care, dimenticherò tutto il mio dolore, getterò tutto quello che è stato mio, diventerò del tutto diversa. E non ci sarà più una Laodamia che si lamenta per l’eroe Protesilao, ci sarà una sovrana che dirigerà la casa e l’economia del ragionevole Protagora.

Amiche. È giusta la tua decisione, cara sovrana, e le tue parole ci

rallegrano. E se tu stessa hai deciso così allora le nozze sono vicine. Leva adesso quel vestito a lutto e indossa un abito buono.

Laodamia. Adesso aspetto la notte. Oh, con impazienza aspetto la notte! E

quando essa si avvicinerà voglio ripulirmi dai riti segreti e consolatori di funerei sospiri. Voglio un entusiasmo che rapisce l’anima.

Amiche. E noi saremo con te, cara sovrana, e faremo tutto quello che

desideri.

Si fa notte. Diventa freddo.

Laodamia. Tu, notte, più dolce e più felice del giorno. Io non so quando

ma con te arriverà colei che affascina, colei che temono i bambini sciocchi, colei della quale il nome non menziono; forse già da molto si sono addormentate le api rumorose e l’ultima polvere baluginante si è stesa sulla strada di montagna, con chiari spruzzi volava sotto lo zoccolo del meraviglioso cavallo e sotto le ruote del cocchio che corre veloce, sul quale il dio separatore e ridente sfrecciava lontano con i suoi riccioli d’oro.

(40)

Il cielo diventa blu. Si accendono le stelle.

Ed essa, consolatrice, è arrivata, colei che vaga a briglia sciolta; è silenziosa? Tacita? Sì? No? Silenziosa, silenziosa, si è accostata, ride, si è tolta gli abiti leggeri e si precipita nella danza incantata e con un urlo impetuoso desta l’estasi notturna di coloro che aspettano. (Si allontana

verso casa.)

Le amiche vanno dietro di lei. Entrano nel palazzo una dietro l’altra, con movimenti monotoni e abituali: si appoggiano con una mano allo stipite della porta e con l’altra si tolgono i sandali. Alcune donne hanno rallentato sulla soglia. Conversano tra loro. Non staccano gli occhi dalla porta, si avvicinano, appoggiano

le mani sulle spalle delle amiche.

Una. Cosa fa laggiù Laodamia?

Un’altra. La pesante tenda è per metà aperta e dietro di essa si vede il

chiosco coperto di verde.

Terza. Il simulacro di cera, incoronato d’edera, si trova là.

Quarta. Dicci chi rappresenta questo simulacro di cera poiché il contorno

del viso sotto la copertura d’edera è difficile da riconoscere, chi è? Non raffigura forse Dioniso?

Si tolgono i sandali, entrano nel palazzo. Nel giardino c’è solo Nissa. Nel palazzo si accendono i fuochi. Si sente un canto, rumore di danze, suoni di flauti, di cetre, di cimbali, di tamburello. L’orizzonte si scurisce e si annebbia. Cala lentamente la

(41)

Laodamia (in casa) Strofa I

Una notte dietro l’altra è volata. Siano state tante o poche, Un dio, un amico ho cercato L’ho trovato e l’ho abbracciato,

Dolce cera delle alte spalle. Dai soavi baci, Dagli incanti notturni Dovrei forse i miei sogni sviare?

Coro delle amiche Antistrofa I

Le Ore leste volano,

Le ombre si offuscano, le ombre si sciolgono, Strani sguardi scintillano,

Gli dei l’arcano compiono, Ed accenti misteriosi Ho udito con turbamento. Con chi ha giaciuto la sovrana? Con chi si deve di nuovo coricare?

Strofa II

La nostra sovrana un ospite attende, Attende ella.

Ecco un calice ricolmo Di un vino dalla dolce schiuma.

Verso lieti struggimenti Lui sta di fronte alla sovrana, L’incantesimo di mezzanotte

(42)

L’ospite notturno si affaccia silente Alla soglia.

Lancia un’occhiata alle sue lacrime. Chi è? Un eroe o un dio? O con forza d’incantamento L’immobile cera riprende vita E negli amplessi della sovrana

Cadrà?

Nissa. I miei flauti cantano per gli ospiti, i cimbali risuonano, in segreto

ella si è unita in matrimonio con il ribelle Zagreo.

Dalla nebbia notturna escono, da destra e da sinistra, delle streghe vestite con abiti grigio chiaro, scalze. Nel giardino si uniscono in un girotondo, cantano e

danzano, all’inizio lentamente e poi accelerando il ritmo. Streghe notturne

Noi prediciamo il futuro ai crocevia. La nebbia laggiù si sparge come fumo. Tutto è fluttuante e tutto ci è manifesto Che dalla divina è per sempre stabilito. Sappiamo e non sappiamo cosa il giorno ci rivela,

Diviniamo e vediamo solo un’ombra. Ma quando sorge colei che il futuro divina, E che nella mezzanotte nebbiosa non dorme, Noi corriamo veloci e gioiose tra le tombe oscure,

noi conosciamo l’estasi di forze ignote.

Alcune delle amiche escono nel giardino. Le streghe notturne disfano il proprio cerchio, chi entra nel palazzo e chi esce da esso. Si mescolano con le amiche,

cantano e danzano insieme. Coro di amiche e streghe notturne

Strofa III

I morti scendono all’Ade. Gli accoglie Persefone.

(43)

Esco a mezzanotte e un bivio prendo, Chiamo, chiamo: Persefone!

Tu, sovrana dal cupo volto, Piangi, avvicinando a noi il tuo cuore.

Noi siamo notturne

E sul sacramento solenne imploriamo: Concedi a Laodamia,

Concedi a Protesilao.

Antistrofa III

Ciò che è stato non può ritornare Ma è triste Persefone.

Il futuro dalla cera ho potuto profetare, chiamando piano: Persefone! Tu sei il limite dei desideri terreni, Piangi e il tuo cuore si sta raggelando.

Noi siamo notturne

E nell’ora dell’incanto imploriamo: Concedi a Laodamia

Di Zagreo abbracciare.

Nissa. Gli ardenti occhi delle menadi, con l’estasi delle loro danze e dei

loro canti hanno ubriacato l’ospite. Che faccio qua da sola? Vado, mi mescolerò al folle cerchio; oh, se si potesse morire in una corsa libera e leggera!

Nissa entra nel palazzo. Coro nel palazzo

Strofa IV

Sulla soglia dell’Ade lo stesso Zagreo È incatenato da un sortilegio. Ma è possibile forse incatenare un dio?

(44)

Della cetra la magia Glorifica il dio, Dioniso, Zagreo!

Coro nel giardino Antistrofa IV

Dioniso è risorto!

Eccolo che sta in piedi sulla soglia. Sentiamo la voce del dio. Il vapore appena percettibile sale

Fino al cielo. Con melodie di canzoni

Glorifichiamo il dio: Dioniso è risorto!

Le mogli danzanti con una folla rumorosa escono correndo in giardino. Tra loro c’è Laodamia. Creano un girotondo unendosi in un ampio cerchio.

Coro Strofa V

Il cerchio formate, poi disfate, Mettetevi nel cerchio, sorelle,

Intrecciate, intrecciate Un cerchio di belle mani!

Qualcuno è morto oppure è risuscitato, Ha preso a risplendere oppure si è offuscato,

Magari il giubilo è cresciuto

Con un urlo il cuore si è forse addolorato, Le consolazioni saranno rinviate.

Gli dei su tutti oscillano

Con una impetuosa canzone di conforto, Animano le gambe alla danza Con un urlo di menade sfrecciante.

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