Giardino davanti al palazzo di Laodamia. Si fa sera. Acasto entra nel palazzo. Si ferma sulla soglia
.
Acasto. Vieni verso di me, Laodamia e ascolta le mie parole di conforto.
Entra Laodamia con un abito triste e povero, scalza. Il suo viso è pallido, è spossata dall’afflizione e dalla passione, sulle sue labbra c’è uno strano sorriso e i
suoi occhi guardano come se non vedessero le cose.
Cara figlia mia, Laodamia, sarà breve il tuo dolore. È arrivato il tempo per te di consolarsi, e per me di renderti felice di nuovo. Sono proprio venuto per annunciarti questa grande felicità.
Laodamia. Per me non c’è ancora felicità sulla terra. Il sanguinario
Omeste10 si è impadronito della mia felicità, ha sottratto la luce dai miei
occhi per il suo sollazzo. Fino a quando dall’Ade non tornerà il mio Protesilao non ci sarà per me felicità sulla terra. Ma i sommi dei del sotterraneo sono implacabili, implacabili e ogni divinità sarà per sempre ostile all’illecita felicità umana, all’insolente loro raggiungimento della gioia. Non saremo felici fino a quando sul mondo regnerà la suprema e violenta famiglia.
Acasto. Non dire della divinità queste empie parole. Ogni giorno Elio
sorge nel suo solenne e alto cammino, ogni giorno elargisce sulla nostra terra nuove felicità. Ho trovato per te un nuovo marito, mia bellezza.
Laodamia. Perché?
Acasto. È possibile che tu non capisca come sia nostro dovere domare l’ira
dell’offesa Era nei tuoi confronti?
Laodamia. Non ha pietà quella violenta. Da lei non mi serve proprio
niente. Non comincerò a pregarla inginocchiandomi al mio caro simulacro.
10 Epiteto di Dioniso. La fonte è probabilmente Plutarco, Temistocle 13. Omestès significa letteralmente “colui
Acasto. Non hai figli, la casa di Protesilao è rimasta incompleta, niente ti
lega alla scultura dell’eroico re. Ti darò in moglie a Protagora.
Laodamia. Papà, perché hai escogitato tutto questo?
Acasto. Protagora è rispettabile, un uomo esperto e giudizioso, finirà di
costruire la casa di Protesilao e regnerà su Filace perché è benvoluto dagli dei, dai più anziani e dal popolo.
Laodamia. Avreste dovuto chiedermelo!
Acasto. Domani ci saranno le nozze. Questa è la mia volontà, e tu, cara
figlia mia, dovresti sapere bene come ci si comporta di fronte alla mia volontà: ad essa bisogna sottomettersi, che lo si voglia o no.
Laodamia. So, padre, quanto sia inflessibile la tua volontà. Ma tu conosci
forse la forza del mio amore? Il mio amore è più forte di qualsiasi forza terrena. Non sarò la moglie di Protagora, non posso essere la moglie di nessuno, non voglio essere la moglie di nessuno.
Acasto. Laodamia, la tua caparbietà mi meraviglia. Ma d’altronde le
donne sono tutte così. Vogliono che tu parli con loro a lungo e poi ti provocano con la forza. E a quel punto sono soddisfatte di se stesse. Dimmi, perché non vuoi essere la moglie di Protagora?
Laodamia. Amo Protesilao, il mio Protesilao.
Acasto. Il tuo Protesilao non fa parte del mondo dei vivi.
Laodamia. Amo Protesilao.
Laodamia. No? Chi può esserne certo! C’è, non c’è, non è forse lo stesso?
Io lo voglio.
Acasto. Vedo che non potrò farti cambiare idea. Me ne vado ma tu
preparati alle nozze. Se non andrai da sola, ti farò trascinare con la forza.
Laodamia. Aspetta, padre. Ti stai sbagliando. Come posso persuaderti? Va
bene, non ce né bisogno. Che si realizzi la tua volontà. La mia volontà è solo la mia volontà. Oppure pensi che la mia volontà non valga niente? Ma che< Dammi solo tre giorni, che venga celebrato un rito segreto e che vengano portate le ultime vittime sacrificali e io implorerò clemenza all’oscuro Zagreo.
Acasto. Tre giorni, così sia, indugerò ancora. Ma dopo ci saranno le nozze.
L’agorà già con le fragorose voci della maggioranza innalzava la tua scelta da me annunciata e alla domanda dei più vecchi «diventerà re il secondo consorte della sovrana Laodamia, il rispettabile Protagora?», con un grido tonante proclamava «sì».
Laodamia (sorridendo triste). Gli dei mi hanno sottratto il mio caro, gli
uomini conducono a me un altro, ma io? Con l’invincibile forza dell’incantatrice divina, Ade e Persefone implorerò con dolci preghiere. E il mio caro si ribellerà. (Esce).
Arrivano, vestite a festa, le mogli dei dignitari di Filace, amiche di Laodamia, insieme a una folla felice e rumorosa. Si rivolgono ad Acasto.
Amiche. Rallegrati, caro re Acasto. Tua figlia, la nostra amata sovrana,
dopo un breve dolore di vedovanza assapora di nuovo la fortuna della gioia matrimoniale.
A lungo ha pianto la povera Laodamia, per giorni interi i suoi grevi lamenti e i suoi urli penetranti ci hanno tormentato con una grande tristezza e molti di noi hanno versato lacrime guardando la sofferenza della sovrana. E solo con l’arrivo della notte la cara Laodamia si quietava e sorrideva attraverso le lacrime attendendo un sogno consolatore, come fosse il caro suo consorte, ma al mattino di nuovo si alzava povera e stanca, di certo il sonno non serrava i suoi occhi e di nuovo singhiozzava inconsolabile. Ma tu hai pensato al modo per consolare Laodamia e per dare a noi un re, presto esulteremo in una festa gioiosa. È necessario onorare i morti con la tristezza ma i luminosi dei non amano i lunghi singhiozzi. Le dolci consolazioni delle notti matrimoniali sono in accordo con gli dei dell’Olimpo.
Acasto. Quante belle parole dite, mie care, ma eccomi con una nuova
ridicola afflizione: ella non si rallegra della notizia sulle nozze, piange, non si asciuga gli occhi e non vuole consolarsi. Temo che andrà trascinata all’altare con la forza. Ma provate a conversare con lei. Parlate a quell’irragionevole.
Amiche. Non ti rattristare per questo, nobile Acasto, noi le diremo tutte le
parole di conforto che conosciamo. Non potrebbe non piangere il suo primo amore. E il secondo marito l’amerà con ancor più intensità proprio per questo, dirà che è capace di affezionarsi e che Laodamia si angoscerà in quel modo anche per lui se dovesse morire prima di lei.
Acasto esce. Una delle amiche si avvicina alla porta. Chiama.
Amica. Cara Laodamia, vieni da noi, parla con noi. Lascia il buio e noioso
gineceo.
Laodamia. Sono triste.
Si crea il silenzio ed esse guardano con curiosità la porta. Esce Laodamia con vestiti tristi e poveri, scalza, chinando lo sguardo incerto, evitando di guardare le
care amiche. Esse fanno largo ed ella silenziosa entra nel cerchio, variopinto e festoso, formato dalle amiche. Ascolta i loro discorsi. Tace. Le amiche la consolano.
Le dicono parole affettuose.
Amiche. Non piangere, cara Laodamia, non piangere. Hai pianto
abbastanza. Colui che raccoglie le lacrime ha già riempito più di una profonda tazza e con essa ha già irrigato non pochi fiori nei campi di nebbia che si trovano nei possedimenti di Ade. Non riavrai il tuo defunto eroe con singhiozzi e urli che servono solo a tormentare il tuo cuore; con le lacrime privi di luce i tuoi occhi neri e bagni con acqua amara le tue care guance.
Laodamia. Come posso non piangere il mio Protesilao!
Amiche. Incoronato da eterna gloria egli è morto della morte dell’eroe. Fra
molti secoli non si cancellerà dalla memoria dei posteri il suo nome glorioso. Sei rattristata a causa sua?
Laodamia. Vuota gloria, spettro della vita, dolce favola per ragazzi
violenti che amano le risse, ma a cosa mi serve?
Amiche. Protesilao non sentirà i tuoi lamenti. Ma se qualche piccolo dio
sconosciuto e monello porterà attraverso le onde del Lete i tuoi sospiri di siringa, Protesilao sorriderà di essi, poiché adesso abita nel regno delle calme ombre e degli atti compiuti.
Amiche. Pensa, Laodamia, a quale felicità ti sospingono gli dei in cambio
di una perdita. Il nuovo marito ti consolerà, inconsolabile, e grazie a te diventerà il nostro re; che onore potrai ricevere dal re e dal popolo!
Laodamia (sorridendo). Care amiche, sono davvero saggi i vostri discorsi,
soave è il vostro conforto e non si possono rifiutare i vostri consigli. Così, care, dimenticherò tutto il mio dolore, getterò tutto quello che è stato mio, diventerò del tutto diversa. E non ci sarà più una Laodamia che si lamenta per l’eroe Protesilao, ci sarà una sovrana che dirigerà la casa e l’economia del ragionevole Protagora.
Amiche. È giusta la tua decisione, cara sovrana, e le tue parole ci
rallegrano. E se tu stessa hai deciso così allora le nozze sono vicine. Leva adesso quel vestito a lutto e indossa un abito buono.
Laodamia. Adesso aspetto la notte. Oh, con impazienza aspetto la notte! E
quando essa si avvicinerà voglio ripulirmi dai riti segreti e consolatori di funerei sospiri. Voglio un entusiasmo che rapisce l’anima.
Amiche. E noi saremo con te, cara sovrana, e faremo tutto quello che
desideri.
Si fa notte. Diventa freddo.
Laodamia. Tu, notte, più dolce e più felice del giorno. Io non so quando
ma con te arriverà colei che affascina, colei che temono i bambini sciocchi, colei della quale il nome non menziono; forse già da molto si sono addormentate le api rumorose e l’ultima polvere baluginante si è stesa sulla strada di montagna, con chiari spruzzi volava sotto lo zoccolo del meraviglioso cavallo e sotto le ruote del cocchio che corre veloce, sul quale il dio separatore e ridente sfrecciava lontano con i suoi riccioli d’oro.
Il cielo diventa blu. Si accendono le stelle.
Ed essa, consolatrice, è arrivata, colei che vaga a briglia sciolta; è silenziosa? Tacita? Sì? No? Silenziosa, silenziosa, si è accostata, ride, si è tolta gli abiti leggeri e si precipita nella danza incantata e con un urlo impetuoso desta l’estasi notturna di coloro che aspettano. (Si allontana
verso casa.)
Le amiche vanno dietro di lei. Entrano nel palazzo una dietro l’altra, con movimenti monotoni e abituali: si appoggiano con una mano allo stipite della porta e con l’altra si tolgono i sandali. Alcune donne hanno rallentato sulla soglia. Conversano tra loro. Non staccano gli occhi dalla porta, si avvicinano, appoggiano
le mani sulle spalle delle amiche.
Una. Cosa fa laggiù Laodamia?
Un’altra. La pesante tenda è per metà aperta e dietro di essa si vede il
chiosco coperto di verde.
Terza. Il simulacro di cera, incoronato d’edera, si trova là.
Quarta. Dicci chi rappresenta questo simulacro di cera poiché il contorno
del viso sotto la copertura d’edera è difficile da riconoscere, chi è? Non raffigura forse Dioniso?
Si tolgono i sandali, entrano nel palazzo. Nel giardino c’è solo Nissa. Nel palazzo si accendono i fuochi. Si sente un canto, rumore di danze, suoni di flauti, di cetre, di cimbali, di tamburello. L’orizzonte si scurisce e si annebbia. Cala lentamente la
Laodamia (in casa) Strofa I
Una notte dietro l’altra è volata. Siano state tante o poche, Un dio, un amico ho cercato L’ho trovato e l’ho abbracciato,
Dolce cera delle alte spalle. Dai soavi baci, Dagli incanti notturni Dovrei forse i miei sogni sviare?
Coro delle amiche Antistrofa I
Le Ore leste volano,
Le ombre si offuscano, le ombre si sciolgono, Strani sguardi scintillano,
Gli dei l’arcano compiono, Ed accenti misteriosi Ho udito con turbamento. Con chi ha giaciuto la sovrana? Con chi si deve di nuovo coricare?
Strofa II
La nostra sovrana un ospite attende, Attende ella.
Ecco un calice ricolmo Di un vino dalla dolce schiuma.
Verso lieti struggimenti Lui sta di fronte alla sovrana, L’incantesimo di mezzanotte
L’ospite notturno si affaccia silente Alla soglia.
Lancia un’occhiata alle sue lacrime. Chi è? Un eroe o un dio? O con forza d’incantamento L’immobile cera riprende vita E negli amplessi della sovrana
Cadrà?
Nissa. I miei flauti cantano per gli ospiti, i cimbali risuonano, in segreto
ella si è unita in matrimonio con il ribelle Zagreo.
Dalla nebbia notturna escono, da destra e da sinistra, delle streghe vestite con abiti grigio chiaro, scalze. Nel giardino si uniscono in un girotondo, cantano e
danzano, all’inizio lentamente e poi accelerando il ritmo. Streghe notturne
Noi prediciamo il futuro ai crocevia. La nebbia laggiù si sparge come fumo. Tutto è fluttuante e tutto ci è manifesto Che dalla divina è per sempre stabilito. Sappiamo e non sappiamo cosa il giorno ci rivela,
Diviniamo e vediamo solo un’ombra. Ma quando sorge colei che il futuro divina, E che nella mezzanotte nebbiosa non dorme, Noi corriamo veloci e gioiose tra le tombe oscure,
noi conosciamo l’estasi di forze ignote.
Alcune delle amiche escono nel giardino. Le streghe notturne disfano il proprio cerchio, chi entra nel palazzo e chi esce da esso. Si mescolano con le amiche,
cantano e danzano insieme. Coro di amiche e streghe notturne
Strofa III
I morti scendono all’Ade. Gli accoglie Persefone.
Esco a mezzanotte e un bivio prendo, Chiamo, chiamo: Persefone!
Tu, sovrana dal cupo volto, Piangi, avvicinando a noi il tuo cuore.
Noi siamo notturne
E sul sacramento solenne imploriamo: Concedi a Laodamia,
Concedi a Protesilao.
Antistrofa III
Ciò che è stato non può ritornare Ma è triste Persefone.
Il futuro dalla cera ho potuto profetare, chiamando piano: Persefone! Tu sei il limite dei desideri terreni, Piangi e il tuo cuore si sta raggelando.
Noi siamo notturne
E nell’ora dell’incanto imploriamo: Concedi a Laodamia
Di Zagreo abbracciare.
Nissa. Gli ardenti occhi delle menadi, con l’estasi delle loro danze e dei
loro canti hanno ubriacato l’ospite. Che faccio qua da sola? Vado, mi mescolerò al folle cerchio; oh, se si potesse morire in una corsa libera e leggera!
Nissa entra nel palazzo. Coro nel palazzo
Strofa IV
Sulla soglia dell’Ade lo stesso Zagreo È incatenato da un sortilegio. Ma è possibile forse incatenare un dio?
Della cetra la magia Glorifica il dio, Dioniso, Zagreo!
Coro nel giardino Antistrofa IV
Dioniso è risorto!
Eccolo che sta in piedi sulla soglia. Sentiamo la voce del dio. Il vapore appena percettibile sale
Fino al cielo. Con melodie di canzoni
Glorifichiamo il dio: Dioniso è risorto!
Le mogli danzanti con una folla rumorosa escono correndo in giardino. Tra loro c’è Laodamia. Creano un girotondo unendosi in un ampio cerchio.
Coro Strofa V
Il cerchio formate, poi disfate, Mettetevi nel cerchio, sorelle,
Intrecciate, intrecciate Un cerchio di belle mani!
Qualcuno è morto oppure è risuscitato, Ha preso a risplendere oppure si è offuscato,
Magari il giubilo è cresciuto
Con un urlo il cuore si è forse addolorato, Le consolazioni saranno rinviate.
Gli dei su tutti oscillano
Con una impetuosa canzone di conforto, Animano le gambe alla danza Con un urlo di menade sfrecciante.
Il girotondo si separa in due punti; le danzanti si muovono con due nastri dalla forma di serpente dai quali una corre via intorno al palazzo, poi un’altra si
nasconde nel campo immerso nella nebbia e di nuovo corre via. Antistrofa V
Trionfante sulla paura
È la struggente furia di un tormento, Oh, anche solo un improvviso movimento
Il cerchio si rompe!
Il mondo diurno annega nell’estasi, Il tuo palazzo è incantato. L’amato caccia le ombre malvage,
Egli arriva e attira gli sguardi, bussa piano sulla soglia. Silenzioso, mite e rivoltoso, Dopo aver vinto morte e Ade, Egli addolcisce con un canto affettuoso
Gli urli furiosi delle menadi.
Il girotondo si unisce in un unico cerchio che gira veloce. Epodo
Le mani leggere intrecciate, Care mie sorelle formate
Un cerchio compatto. Veloci, veloci le gambe vanno,
Demoni e dei sono con noi. Sorelle, sorelle! Non spezzate
Le mani legate strette.
Le streghe notturne formano un girotondo esterno. Cantano cantilenando e, come sottofondo al loro canto, parte una danza più lenta delle amiche, chiuse nel loro
cerchio.
Coro delle streghe notturne
Noi abbiamo predetto Sulla tomba
Noi preparammo Pozioni maligne. Noi convocammo Dalle tenebre eterne,
Noi convocammo E aspettammo Gli ospiti d’oltretomba,
E con un riso incerto Ridemmo Assieme a loro.
Entrambi i cerchi si muovono adagio, quello più esterno e quello più interno; si sente una triste melodia. La notte si fa sempre più scura.
Coro Strofa VI
Piangete mogli! Piangete fanciulle! Noi vedemmo la tomba
Di Dioniso.
La morte di un dio hanno innalzato Fino a noi le voci della notte. Col succo della vita sono maturate
Le erbe,
Del succo della vita erano colme Le vene della belva,
Col veleno della vita respira il vento, Col veleno della vita si sono imbevute
Le frecce del serpente dorato, Solo lui, fonte di vita,
Dopo aver colorato il campo in maniera variopinta, Dopo aver inebriato la belva,
Dopo aver agitato il mare, Dopo aver avvelenato le frecce,
Lui stesso col proprio veleno inebriante, Morto riposa.
La luce proveniente dal palazzo è sempre più chiara, ma la notte è sempre più scura. All’improvviso partono con una danza impetuosa. I vestiti ondeggiano mettendo a nudo le spalle e le gambe, quasi cadendo da essi. Il tamburo è forte. Il canto risuona come un’estasi sorprendente. Verso la fine dell’antistrofa il cerchio
si disfa. Nelle mani dei danzanti compaiono dei rami strappati dagli alberi. Coro delle amiche
Antistrofa VI
Ridete, mogli! Ridete, fanciulle! Noi vedemmo l’insurrezione
Di Dioniso.
Felicità, felicità ci è stata annunciata Dalle voci notturne.
La felicità della vita imbeve Le erbe,
La saggezza della vita illumina L’uomo,
Il vento veloce è diventato anima, Il dolce miele dall’Imetto lo portano
Le frecce del dorato Febo; Dioniso, fonte di vita, Che dona ai semi la volontà,
Che solleva la bestia, Che doma il mare, Che dona il miele e la cera;
Si è inebriato con l’uva, Con l’esilarante e dolce succo,
E canta.
Il giardino è colmo di donne che danzano, di amiche di Laodamia e altri. I loro movimenti sfrenati stracciano i tessuti degli abiti. Corpi nudi, olivastri o scuri a
tutti loro sembrano bianchi. Spunta la luna. La sua luce spesso è offuscata dalle nuvole così che un attimo si fa più chiaro e un attimo del tutto scuro. Si vedono i
movimenti dei rami nelle mani delle donne. Coro
Strofa VII
Agli incantesimi lunari obbedienti, A correre inizieremo,
volteggeremo
E nella follia tempestosa e violenta Denudato senza tema
Il corpo ardente, Lo sottoporremo ai fendenti.
Correndo a perdifiato getteremo richiami E volteggeremo,
Agli incantesimi lunari obbedienti.
I movimenti delle mani che stringono i rami si fanno sempre più frequenti. Si sentono i colpi delle frasche sul corpo nudo, le grida, gli strilli e i lamenti per
l’improvviso dolore. Antistrofa VII
Della premura di mezzanotte è il momento Correremo a perdifiato
E volteggeremo E nel frenetico rapimento
Il corpo ardente Senza tema denuderemo,
Il libero tormento Non temeremo, Correremo, correremo
Della premura di mezzanotte è il momento.
Il girotondo si fa più stretto. Gli abbracci e i baci si alternano con sfrenati colpi di rami.
Strofa VIII
Il dolore è improvviso e pungente. I baci l’un l’altra si consumano.
Provo, sorella, una dolce pena. Lamenti e strilli dal pungente dolore,
Sgorga il sangue;
Non temeremo l’improvviso dolore! Tutto è nella mia folle volontà,
Lacrime e amore e sangue.
Per un breve periodo il girotondo si unisce all’ampio cerchio di donne, le quali corrono a perdifiato una dietro l’altra colpendosi a vicenda con i rami. Sono tutte
nude tranne due che si allontanano da una parte. Antistrofa VIII
Colpi acuti e fragorosi,
Strillo delle menadi e fischi pungenti. Estasi e sangue e incantesimo e patimenti.