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CHE ATTRAVERSA LA NOSTRA VICENDA STORICA ED ECONOMICA DALL’UNITÀ A OGGI di Marco Santillo (*)

Abstract: L’istruzione, in specie quella di taglio tecnico e professionale, ha storicamente rappresentato per le società industrializzate un fattore strategico nel cammino verso lo sviluppo economico. Recentemente, nel corso della presentazione alle Camere del Programma nazionale di ripresa e resilienza (collegato al piano Next Generation EU) Mario Draghi ha posto la scuola come uno dei pilastri su cui poggerà la sua azione di governo nei prossimi mesi, soffermandosi in particolare sulla opportunità di un potenziamento dell’istruzione tecnica e professionale. Ha fatto riferimento, il Presidente Draghi, in sintonia con quanto già accade in Paesi come la Francia e la Germania, al ruolo che dovrebbero giocare gli istituti tecnici superiori (Its), in quanto peculiari percorsi post diploma in grado, più di altri, di avvicinare la scuola al mondo dell’impresa e del lavoro. La lungimirante visione prospettica del Pnrr offre agli studiosi l’occasione per riannodare i fili di una vicenda che attraversa la storia economica e sociale italiana perlomeno a partire dall’unificazione. Infatti, ieri come oggi c’era negli osservatori più sensibili la consapevolezza che i ritardi nel sistema della pubblica istruzione rappresentavano un decisivo fattore di arretratezza del nostro sistema socio-economico. Troppe volte si è discusso sul tema, ma vuoi per mancanza di risorse vuoi per scarsa o altalenante sensibilità al tema da parte dei decisori pubblici, i risultati non hanno risposto alle attese, per cui oggi le copiose risorse del Pnrr offrono al nostro Paese un’imperdibile opportunità per recuperare gli atavici ritardi nei confronti dei nostri maggiori partner internazionali.

Education, especially technical and professional, has historically represented a strategic factor for industrialized societies on the path towards economic development. Recently, during the presentation to the Chambers of the National Recovery and Resilience Program (linked to the Next Generation EU plan) Mario Draghi placed the school as one of the pillars on which his government action will rest in the coming months, focusing on the opportunity a strengthening of technical and professional education. President Draghi referred, in harmony with what is already happening in countries such as France and Germany, to the role that the Higher Technical Institutes (ITS) should play, as they are peculiar post-diploma courses capable, more than others, bringing the school closer to the world of business and work. The far-sighted prospective vision of the PNRR offers scholars the opportunity to re-tie the threads of a story that runs through the Italian economic and social history at least starting from unification. In fact, yesterday as today there was in the most sensitive observers the awareness that the delays in the public education system represented a decisive factor in the backwardness of our socio-economic system. The issue has been discussed too many times, but either due to lack of resources or due to lack of or fluctuating sensitivity to the issue on the part of public decision-makers, the results have not responded to expectations, so today the great resources of the PNRR offer our country a unmissable opportunity to recover the atavistic delays towards our major international partners.

Sommario: 1. Premessa. – 2. I recenti interventi riformistici per l’istruzione tecnica e professionale. – 3. Una storia che viene da lontano. – 4. Conclusioni.

1. Premessa

L’istruzione, in particolare quella di taglio tecnico e professionale, ha rappresentato per le società industrializzate, o in via di industrializzazione, un fattore strategico nel cammino verso lo sviluppo economico, in specie per quegli Stati che aspiravano a raggiungere più elevati livelli di competitività nel contesto economico internazionale. La conoscenza, la tecnologia e il capitale umano rappresentano forme di ricchezza immateriale che la modernità ha veicolato attraverso la scuola, ed a tal fine i sistemi scolastici sono stati chiamati ad assolvere compiti sempre più complessi ed impegnativi, onde fornire quello stock di forza lavoro esperenziata che rispondesse alle esigenze delle società industrializzate (1).

Negli anni ’50 Solow nel suo innovativo modello di sviluppo economico descriveva come l’accumulazione di ca-pitale, la crescita della forza lavoro e il progresso tecnologico influenzassero il livello del prodotto aggregato di

(*) M. Santillo è docente di Storia economica e di Economia dei settori produttivi all’Università degli studi di Salerno.

(1) Becker concepisce il capitale umano in termini di capacità produttiva di una persona, migliorabile attraverso l’istruzione, intesa come processo di accumulazione di conoscenze, abilità e competenze. Il modello di Becker, frutto di un approccio neoclassico, descrive la scelta individuale di investire in istruzione come un processo razionale in cui ogni persona confronta costi e benefici associati a tale scelta, in un’ottica di lungo periodo, G.S. Becker, Human Capital: a theoretical and empirical analysis, whit special reference to education, Chicago, University of Chicago Press, 1993. V. anche D. Acemoglu, Reward structures and the allocation of talent, in European Economic Review, 1995, 17-33.

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un’economia e la sua crescita nel tempo (2). Pioneristico, per volti versi, il modello di Solow, che peraltro ha conosciuto una significativa evoluzione a metà degli anni ’80 con l’affermazione della teoria della “crescita endogena”, in base alla quale la crescita economica sarebbe la risultante di una cross fertilization tra conoscenza, talento e capacità inno-vativa. Tra gli economisti rientranti in questo filone teorico, spicca il Romer (3), cui va tra le altre cose riconosciuto il merito di essere andato oltre il concetto di “qualità del lavoro” per introdurre quello di “qualità del capitale umano”, a dire che il capitale umano che ha un impatto positivo sulla crescita economica è solo quello impiegato nell’attività di Ricerca&Sviluppo. A complicare il quadro teorico, i problemi legati alla misurazione del capitale umano e all’indivi-duazione di un rapporto ottimale tra capitale umano e capitale fisico. Se al primo problema è stata data risposta a suo tempo da Siglitz (4), che a tal fine partiva dalla contrapposizione tra la teoria dello screening (attinente alla domanda di forza lavoro da parte delle imprese) e la teoria del capitale umano (attinente all’offerta di forza lavoro sul mercato), il secondo problema era stato affrontato già a metà degli anni ’60 da Selowshy, che arrivava alla conclusione che il capitale umano, in certe condizioni di contesto, cresceva più rapidamente di quello fisico (5).

Vasta, richiamandosi al National system of innovation, ha sottolineato come lo sviluppo economico delle società contemporanee sia frutto dell’azione sinergica di tre fattori, ovvero della dotazione di capitale umano, del sistema della ricerca scientifica e tecnologica vigente in uno Stato, delle policy pubbliche rivolte alla tutela e alla promozione delle attività innovative (6). Tuttavia, argomenta Checchi, non è dimostrabile (o almeno non è facilmente dimostrabile) che la conoscenza acquisita attraverso l’istruzione renda gli individui più produttivi, anche tenendo presenti i sistemi on the job training (7). A tal proposito, partendo dalla storica distinzione tra istruzione generalista e istruzione tecnico-pro-fessionale, Bertocchi e Spagat hanno ribaltato la prospettiva esegetica tradizionale, ponendo in contrapposizione la

“teoria funzionalista” (basata sull’assunto che sarebbe stato proprio l’avanzamento tecnologico a imporre la messa in opera di sistemi scolastici orientati all’innovazione) e la “teoria del conflitto” (secondo cui le scelte di politica dell’istru-zione sarebbero mirate ad imporre o consolidare la posidell’istru-zione sociale delle classi dominanti) (8).

Quello dell’istruzione, o meglio quello della ricerca di un ottimale sistema formativo, è dunque un problema ricco di sfaccettature e di implicazioni, che peraltro nella sua dimensione storica apre un fertile terreno di confronto con le scienze sociali e la dottrina politica, ed in tal senso si pone come un “filo rosso” che attraversa la storia del nostro sistema socio-economico dall’unificazione ai giorni nostri.

2. I recenti interventi riformistici per l’istruzione tecnica e professionale

Nel contesto delle Dichiarazioni programmatiche rese da Mario Draghi al Senato nel mese di febbraio del 2021 è stato dedicato ampio spazio alle misure per l’istruzione e la ricerca, a dimostrazione del pieno riconoscimento del loro ruolo strategico ai fini della ripartenza della nostra economia dopo le perturbazioni innescate dalla recente crisi pande-mica.

“Siamo chiamati a disegnare un percorso educativo – ha affermato Draghi – che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con in-nesti di nuove materie e metodologie, [ed in questa prospettiva] particolare attenzione va riservata [all’istruzione tecnica e professionale]” (9).

Infatti, continua Draghi nel suo discorso programmatico (nel paragrafo intitolato Priorità per ripartire), non si può tacere che in Paesi nostri partner storici, come la Francia e la Germania, la branca dell’istruzione tecnica e professionale ha rappresentato, e rappresenta ancor oggi, un vero e proprio “pilastro” del sistema educativo, mentre in Italia non le è stata assegnata la medesima attenzione. È stato stimato in circa 3 milioni, per i prossimi anni, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici e professionali nell’area digitale e ambientale, ed in risposta a tale domanda il Programma nazionale

(2) R. Solow, Technical change and the aggregate production function, in Review of Economics and Statistics, 1957, 3, 312-330.

(3) P.M. Romer, Endogenous technological change, in The Journal of Political Economy, 1990, 5, 71-102. Più recentemente Romer ha ribadito la necessità di andare oltre i modelli di crescita standard, integrando i tradizionali fattori della produzione (terra, lavoro e capitale fisico) con un quarto fattore, ovvero la tecnologia, Intervista a Paul Romer, in A. Kling, N. Schulz, Economia 2.0: il software della crescita, Torino, Ibl Libri, 2011. Sul tema, v. anche M. Abramovitz, Catching up, forging ahead and falling behind, in Journal of Economic History, 1986, 2, 385-406.

(4) J. Stiglitz, The theory of screening, education, and the distribution of income, in American Economic Review, 1975, 3, 283-300.

(5) M. Selowsky, Education and economic growth: some international comparisons, Cambridge, Center for International Affairs, Harvard University, 1967.

(6) M. Vasta, Capitale umano e ricerca scientifica e tecnologica, in Storia d’Italia, Annali, 15: L’industria, a cura di F. Amatori et al., Torino, Einaudi, 1999, 1043-1045. V., sull’argomento, R.R. Nelson (ed.), National Innovation System. A comparative analysis, Oxford, Oxford University Press, 1993, 3-21; C. Edquist (edited by), Systems of Innovation Approach. Their emergence and characteristics, in Systems of Innovation Technologies, Institutions and Organizations, London, Routledge, 1997, 1-35.

(7) D. Checchi, La diseguaglianza. Istruzione e mercato del lavoro, Roma-Bari, Laterza, 1997, 133.

(8) G. Bertocchi, M. Spagat, Il ruolo dei licei e delle scuole tecnico-professionali tra progresso tecnologico, conflitto sociale e sviluppo economico, in N. Rossi (a cura di), L’istruzione in Italia: solo un pezzo di carta? Il sistema scolastico come fattore centrale per lo sviluppo:

alcune concrete proposte di intervento, Bologna, il Mulino, 1997, 423-425.

(9) Presidenza del Consiglio dei ministri, Dichiarazioni programmatiche del Presidente Draghi del 17 febbraio 2021.

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di ripresa e resilienza (Pnrr) assegnerà circa 1,5 miliardi di euro agli istituti tecnici e professionali. Si tratta di un cospicuo finanziamento che moltiplica in modo esponenziale (di quasi 20 volte) il finanziamento riservato a questa branca di istruzione negli anni pre-pandemia: un notevole flusso di risorse che rischia però di iscriversi nel lungo elenco delle “occasioni mancate”, se non sarà accompagnato da un piano di riordinamento generale dell’organizzazione di questo ramo di istruzione (10).

Quanto affermato da Draghi dovrà trovare attuazione (al momento solo potenziale, ma d’altra parte tutte le “Linee guida del Pnrr” sono, ad oggi, ancora work in progress) nell’ambito della “Missione 4” (Istruzione e ricerca) del Pnrr, che prevede nel suo complesso risorse per 30,88 miliardi (ripartite tra i 19,44 miliardi destinati al Potenziamento dell’of-ferta dei servizi di istruzione e gli 11,44 miliardi destinati all’obiettivo sinteticamente denominato Dalla ricerca all’im-presa).

Questi cospicui stanziamenti trovano la loro ragion d’essere nella considerazione che la formazione – in specie quella tecnica e professionale – sia la via maestra per realizzare sinergicamente altri obiettivi strutturali del programma di ripartenza, ovvero l’aumento della produttività e l’allineamento del nostro sistema industriale alle sfide tecnologiche e ambientali di quella che viene definita la “Rivoluzione Industriale 4.0” (11).

Nel testo del Pnrr non si può peraltro fare a meno di registrare per l’Italia un basso livello di spesa in Ricerca&Svi-luppo, per effetto del quale il nostro Paese rimane ancora distante dalle performance di altri Paesi. Dal punto di vista numerico si registra infatti per l’Italia una intensità delle spese in R&S rispetto al Pil pari, per il 2018, all’1,4%, valore decisamente più basso della media Ocse (pari al 2,4%), tanto nel settore pubblico quanto nel privato (0,9% a fronte di una media Ocse dell’1,7%). In questa prospettiva, la ripresa e il sostegno agli investimenti pubblici e privati in Ri-cerca&Sviluppo rappresenta una condizione essenziale per recuperare il divario nei livelli di produttività dei fattori produttivi classici (capitale e lavoro).

A fronte di questa situazione, paradossalmente, si rimarca che circa il 33% delle imprese nazionali lamentano diffi-coltà di reclutamento di forza lavoro negli ambiti della tecnologia avanzata, mentre sono il 31% i giovani fino a 24 anni che non hanno un’occupazione ma la cercano. Allo stesso tempo, solo l’1,7% degli studenti “terziari” si iscrive a corsi di istruzione professionalizzante, che pure hanno prodotto negli anni recenti esiti occupazionali estremamente signifi-cativi (più di 80% di occupati a un anno dal diploma) (12).

Entrando più in dettaglio, la sezione inerente alla Riforma degli istituti tecnici e professionali recita:

“La riforma, implementata dal Ministero dell’istruzione, mira ad allineare i curricula degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produt-tivo del Paese. In particolar modo, orienta il modello di istruzione tecnica e professionale verso l’innovazione introdotta da Industria 4.0, incardinandolo altresì nel rinnovato contesto dell’innovazione digitale” (13).

La riforma, che coinvolge complessivamente più di 4.300 istituti tecnici e professionali, rafforza ed innova questi ultimi attraverso il potenziamento del modello organizzativo e didattico (integrazione offerta formativa, introduzione di premialità e ampliamento dei percorsi per lo sviluppo di competenze tecnologiche abilitanti – Impresa 4.0), e intende consolidare il ruolo degli Its (ovvero gli istituti tecnici superiori) (14) nel sistema ordinamentale dell’Istruzione terziaria professionalizzante, rafforzandone la presenza attiva nel tessuto imprenditoriale dei singoli territori. La riforma con-templa altresì un’integrazione dei percorsi Its con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti, e dal punto di vista logistico prevede percorsi biennali composti per metà di tirocinio nelle aziende e per metà di studio di taglio teorico.

In definitiva, nello spirito della riforma, gli Its dovranno rappresentare il segmento di formazione terziaria non universitaria di eccellenza, che intende rispondere fattivamente alla domanda, da parte delle nostre imprese, di risorse umane provviste di nuove ed elevate competenze scientifiche e tecnologiche. Rappresentano quindi un’opportunità di assoluto rilievo nel panorama formativo italiano in quanto espressione di una strategia nuova, fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali, con l’obiettivo di sostenere gli interventi

(10) Ibidem.

(11) L’economista Patrizio Bianchi, attuale Ministro dell’istruzione, ritiene che l’integrazione fra sistemi produttivi, educativi e scien-tifici sia l’unica credibile modalità per affrontare e gestire la complessità contemporanea. Sicché “Industria 4.0” non va considerata dal solo punto di vista tecnologico, ma anche dal punto di vista della capacità di coordinare scienza, tecnologia, istruzione, competenze e contesto sociale, P. Bianchi, 4.0. La nuova Rivoluzione industriale, Bologna, il Mulino, 2018, 58.

(12) Piano nazionale di ripresa e resilienza, Missione 4: Istruzione e Ricerca, Riforme e Investimenti, pp. 171-172.

(13) Ivi, pp. 180-181 (Riforma degli Istituti tecnici e professionali).

(14) Nell’alveo del sistema di istruzione tecnica e professionale, gli Its rappresentano la “punta di diamante”, nella misura in cui sono scuole ad alta specializzazione di durata biennale. Ciò che le rende appetibili è lo stretto legame con le imprese e i territori di riferimento. Tuttavia, nonostante i proficui risultati in termini di placement, ad oggi sono meno di 14 mila gli studenti iscritti a questi corsi.

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destinati alle esigenze di innovazione e di trasferimento tecnologico delle grandi, quanto delle piccole e medie imprese (15).

Gli Its avranno, inoltre, un impatto particolarmente rilevante sulle nuove generazioni, alla luce del fatto che queste misure, congiuntamente ad altre misure del Pnrr, sono rivolte a dare ai giovani gli strumenti necessari per una parteci-pazione attiva alla vita sociale ed economica del Paese fornendo loro quel bagaglio di competenze ed abilità indispen-sabili per affrontare i processi di trasformazione indotti dalla digitalizzazione e dalla transizione ecologica, secondo il modello di capabilities approach promosso a suo tempo da autori come Amartya Sen (16) e Martha Nussbaum (17).

Va da sé che nei prossimi mesi il Governo italiano dovrà lavorare molto per suddividere in cluster (sub-ambiti di intervento) questa “Missione 4”, ovvero individuare e delimitare chiaramente azioni/progetti “verticali” (riferiti ai sin-goli cluster) e azioni/progetti “orizzontali” e, non ultimo, per rafforzare la coerenza delle azioni/progetti con il quadro di policy europeo, che in materia di istruzione e formazione è stato ampiamente aggiornato e migliorato negli ultimi cinque anni, anche sulla scorta di importanti documenti di guida quali il contributo dell’Unesco (2016) che delinea le azioni da sviluppare per perseguire l’Obiettivo 4 dei Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 dell’Onu e il position paper dell’Ocse licenziato nel 2018 sull’educazione del futuro (Education 2030) (18).

3. Una storia che viene da lontano

Il problema del rapporto tra istruzione tecnico-professionale e crescita industriale non era sfuggito ai più acuti os-servatori della realtà socio-economica italiana ancor prima del completamento dell’unificazione, giacché era evidente che l’arretratezza del nostro sistema formativo provocava una situazione di forte ritardo per la nostra economia, ed in specie per l’imprenditoria più votata all’innovazione. In che misura il mancato aggiornamento del sistema scolastico abbia influito sulla crescita economica del nostro Paese è un problema ancor oggi dibattuto ed aperto a diverse inter-pretazioni. In tal senso la letteratura di diversa matrice scientifica sull’argomento dell’istruzione (facciamo riferimento, tra gli altri, ai lavori di Marzia Barbagli, Dina Bertoni Jovine, Giorgio Canestri, Gabriele Cappelli, Daniele Checchi, Carlo Cipolla, Gaetano Cives, Aldo Colussi, Giovanni Genovesi, Renato Giannetti, Maurizio Lupo, Giuseppe Ricupe-rati, Nicola Rossi, Michelangelo Vasta, Giovanni Vigo, Vera Zamagni, Ilaria Zilli) ha dimostrato, partendo da diverse angolature, come le carenze del nostro sistema formativo abbiano provocato un mancato aggiornamento dei metodi di produzione, una generale penuria di personale tecnico e direttivo e una diffusa imperizia delle classi lavoratrici, acuendo peraltro anche per questa via gli atavici divari territoriali (19).

A tal proposito sono illuminanti le parole espresse a suo tempo da uno storico di vaglia come Carlo Cipolla:

“La società industriale richiede un nuovo tipo di uomo. L’agricoltore poteva essere analfa-beta, ma non c’è posto per analfabeti nella società industriale. Per vivere e sopravvivere in tale società occorrono all’individuo numerosi anni di istruzione e la formazione di una men-talità nuova […]. L’uomo industriale è sottoposto a continuo sforzo di aggiornamento” (20).

Comprendere come realtà sociali diverse e realtà politiche distinte abbiano portato alla costituzione di sistemi sco-lastici non omogenei, in rapporto alla diversa domanda sociale di istruzione, e come la volontà degli Stati abbia teso a riformare e omologare tali complesse realtà, rappresentano temi sui quali la storiografia ha indagato con convinzione, come messo in luce da Giovanni Genovesi:

“Se non si capisce tutto questo – il peso e gli esiti della concezione liberale della scuola come strumento di egemonia politica – non è possibile scardinare quell’idea di scuola come struttura al servizio dello Stato (e delle classi sociali e dei gruppi politici di volta in volta egemoni) per affermare, al contrario, l’idea della scuola come struttura portante dello Stato, riconosciuta nella sua inalienabile autonomia” (21).

Il problema della scarsa attenzione rivolta ai profili tecnici e scientifici dell’istruzione rimonta perlomeno ai primi anni dell’Unità. I governi della Destra storica, infatti, come ha scritto Vera Zamagni, non avevano assegnato la dovuta centralità al fattore educativo, nonostante l’esperienza dei paesi economicamente più avanzati dimostrasse con ogni

(15) Le 6 aree tecnologiche promosse dalla Riforma sono: 1. Efficienza energetica; 2. Mobilità sostenibile; 3. Nuove tecnologie della vita;

4. Nuove tecnologie per il Made in Italy (Sistema agroalimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda, Servizi alle imprese); 5.

Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali –Turismo; 6. Tecnologie della informazione e della comunicazione.

(16) A. Sen, Development as freedom, Oxford, Oxford University Press, 2001.

(17) M. Nussbaum, Creating capabilities. The Human Development Approach, Cambridge, Harvard University Press, 2011.

(18) Facciamo riferimento ai seguenti documenti: Unesco (2016) Education 2030: Incheon Declaration and Framework for Action for the implementation of Sustainable Development Goal 4, Paris; Oecd (2018), The future of education and skills. Education 2030.

(19) A. Colussi, Il tasso di rendimento dell’istruzione in Italia, in N. Rossi (a cura di), op. cit., 255-276; D. Checchi, Istruzione e mercato.

Per una analisi economica della formazione scolastica, Bologna, il Mulino, 1999, 86-98.

(20) C.M. Cipolla, La rivoluzione industriale, in R.M. Hartwell (a cura di), La rivoluzione industriale, Torino, Utet, 1971, 75.

(21) G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1998, XI.

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evidenza che la disponibilità di un certo stock e composizione di “capitale umano” fosse la conditio sine qua non per

evidenza che la disponibilità di un certo stock e composizione di “capitale umano” fosse la conditio sine qua non per