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di Pierre de Gioia Carabellese (*) Abstract: Il contributo commenta una recente sentenza della Cassazione in merito al possibile danno erariale causato da una banca d’affari nella negoziazione e “attivazione” di un contratto derivato, per conto della p.a., l’attuale Mef, dalla cui attivazione emerse, anni addietro, l’esborso a carico delle casse dello Stato italiano di somme molto significative. Nell’esaminare il dictum, il contributo cerca di mettere in luce la linea di demarcazione fra consulente e soggetto incardinato nella p.a., al fine di definire i limiti oggettivi e soggettivi della “responsabilità erariale”.

The contribution comments on a recent court decision of the Italian Supreme Court relating to the potential “public accounting damages” caused by an investment bank (Morgan Stanley) in the negotiation and handling of a derivative contract, on behalf of the Italian Public sector, more specifically the Treasury or, nowadays, the Ministry of Economy and Finance (the “MEF”). A decade ago, the negotiation and activation of this contract caused the Italian State to pay an egregious amount of money. In examining and dissecting the decisum, the paper aims to clarify the current demarcation line between the adviser, on the one hand, and on the other hand the individuals, such as top officers, properly embedded in the Public Sector, both acting on behalf and/or to the benefit of the Public Sector. Entailed to this goal is to set out the objective and subjective boundaries of the “public accounting liability”, a peculiar concept of the Italian legal system, between liability of the proper employees, and the one of the mere adviser.

Sommario: 1. I fatti della sentenza. – 2. Il ruolo della banca nella consulenza al Mef ed il possibile danno erariale. – 3. Le statuizioni della sentenza della Cassazione. – 4. Conclusioni.

1. I fatti della sentenza

All’interno della copiosa giurisprudenza italiana attinente alla problematica dei derivati, si rinviene una recente pronuncia delle Sezioni unite della Suprema Corte, ossia la sentenza n. 2157 del 1° febbraio 2021 (1).

Il provvedimento, a prescindere dalla cogenza del suo dispositivo, diretto a dirimere questioni di diritto di una certa rilevanza, anche di tipo finanziario, fornisce importanti linee-guida al sistema bancario in merito alla giurisdizione del giudice contabile per quanto attiene agli enti creditizi che abbiano stipulato, nel negoziare con la pubblica amministra-zione, contratti di tipo speculativo (i derivati).

Il provvedimento dei giudici della Suprema Corte chiarisce quale deve essere il ruolo dei funzionari di una banca, nel caso di specie di una banca d’affari anglo americana, che stipula con la pubblica amministrazione contratti derivati, i quali, una volta attivati sulla scorta di chiare e perentorie clausole nonché di oggettivi presupposti contrattuali, hanno comportato un esborso non indifferente.

A tal fine la Corte pone la propria attenzione sul ruolo dei funzionari nell’operare a stretto contatto con la pubblica amministrazione; precisamente la disamina operata attiene alla verifica circa il ruolo effettivamente svolto da questi per determinare se il ruolo consulenziale abbia assunto una tale portata da farli considerare de facto funzionari dell’am-ministrazione, in vece/ovvero in luogo degli executives dell’istituto di credito.

La posizione assunta dalla Corte su questo punto risulta confermare la decisione dei precedenti due gradi di giudizio, malgrado l’azione della procura contabile nelle proprie requisitorie, come anche il ricorso proposto in Cassazione (2).

(*) P. de Gioia Carabellese è fellow of Advance HE (York, UK), Professor (full) of Business Law and Regulation (ECU, Perth, Aus-tralia) e Professor (full) of Law in England (Huddersfield, UK, 2017), Solicitor & Notary Public (Edimburgo, UK) e avvocato (Roma e Treviso)

(1) Se ne riporta la massima: “Non incorrono in responsabilità per danno erariale, né sussiste giurisdizione della Corte dei conti, l’ente privato, una banca, ed i funzionari di questa, i quali abbiano agito quali consulenti della pubblica amministrazione, nel caso di specie del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), nella stipula o rinegoziazione di contratti derivati. La responsabilità per danno erariale presuppone un rapporto organico fra il soggetto che agisce e la pubblica amministrazione, circostanza che non viene a sussistere quando la banca consulente sia, meramente, uno degli “specialist” del Mef nel mercato regolamentato di strumenti finanziari ai sensi del Tuf.

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti e si configura una responsabilità dei funzionari del Mef per il danno erariale derivante da un contratto di natura speculativa (ferma restando la insindacabilità delle scelte di gestione debito pubblico), allorquando lo stesso venga stipulato e/o rinegoziato, dolosamente o con colpa grave, oltre i parametri di legittimità, ferme restando le scelte di mera opportunità e convenienza dell’agere amministrativo riservato al Mef”.

(2) Sul tema della giurisdizione per danno erariale, da un punto di vista manualistico, cfr. A. Altieri, La responsabilità amministrativa per danno erariale, Milano, Giuffrè, 2012; V. Tenore (a cura di), La nuova Corte dei conti. Responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2018; F. Garri (a cura di), La Corte dei conti. Controllo e giurisdizione. Contabilità pubblica, Milano, Giuffrè, 2012. Più risalente nel tempo, M. Atelli et al., La responsabilità per danno erariale. Organi politici, personale dipendente ed in rapporto di servizio, Milano, Giuffrè, 2006.

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Si tratta di una sentenza meritevole di attenta disamina e studio in quanto stabilisce un chiaro e ragionevole discrimen fra il ruolo esterno della banca e, più in generale, del consulente della p.a., in questo caso il Ministero del Tesoro, ora il Ministero dell’economia e delle finanze (Mef), anche se il principio si potrebbe atteggiare in modo leggermente diverso a seconda della tipologia di ente, di per sé non strumentale all’instaurazione di un regime di responsabilità da danno erariale.

In relazione all’asserito danno erariale dei vertici del Mef la Corte accoglie solo parzialmente il ricorso del Procu-ratore generale rimandando la questione dinanzi alla Corte di conti, sulla base di un importante principio di diritto, ossia l’appartenenza alla giurisdizione contabile, in quanto attiene al vaglio dei parametri di legittimità e non di mera opportunità e convenienza dell’agere amministrativo, “l’azione di responsabilità per danno erariale con la quale si faccia valere, quale petitum sostanziale, la mala gestio alla quale i [top officers del Mef] avrebbero dato corso, in concreto, nell’adozione di determinate modalità operative, e nella pattuizione di specifiche condizioni negoziali relative a particolari contratti in tali strutture”.

In più, seppur nell’ambito di un obiter dictum, il provvedimento potrebbe fornire possibili prospettive in relazione alla sentenza delle stesse Sezioni unite della Corte di cassazione: il riferimento, precisamente, va a quella pronuncia che verteva su derivati stipulati fra il Comune di Cattolica ed una primaria banca d’affari internazionale (Cass., S.U., 12 maggio 2020, n. 8770 (3)). Tale sentenza, nel fissare il peculiare principio della causa ragionevole dei derivati, ha, per il momento, notoriamente dichiarato la nullità dei derivati stipulati dalla p.a., in questo caso un comune (quello romagnolo di Cattolica), sulla scorta di una mancata indicazione del mark-to-market, quale elemento essenziale del contrato speculativo. Per contro, la sentenza in epigrafe sembra lasciare la speranza (se la materia viene analizzata dal punto di vista del sistema bancario italiano) che, nella stipula di derivati con controparti istituzionali come banche (dunque investitori istituzionali), anche se la materia rimane oscura circa le controparti public sector, ossia operatori pubblici, un tale elemento non sia essenziale, atteso che la competenza specifica finanziaria dell’istituto stipulante dovrebbe tener luogo dei requisiti di informativa sui rischi che, per trasparenza, sono tenuti ad osservare le banche proponenti l’investimento in derivati.

Da questa rapida premessa appare chiaro che la sentenza della Suprema Corte è tutt’altro che banale e offre spunti di disamina, fattuali, di diritto e dottrinali, che vengono analizzati nel prosieguo.

La sentenza n. 2157 trae origine dalla stipulazione da parte della Repubblica Italiana di alcuni contratti derivati con una banca d’affari internazionale, la Morgan Stanley; detti contratti erano stati poi ristrutturati, con successiva risolu-zione anticipata della controparte bancaria. Da essa era successivamente disceso a carico dello Stato italiano l’obbligo di pagamento, debitamente e tempestivamente onorato, di un significativo ammontare (4). La condotta tenuta dai fun-zionari del “Tesoro” era stata conforme al modello contrattuale siglato; gli stessi, infatti, avevano adempiuto le clausole contrattuali che obbligavano la controparte pubblica italiana a pagare l’importo al verificarsi di alcuni specifici eventi, definiti in modo tassativo dal contratto trigger events, eventi di accelerazione, i quali erano connessi all’andamento di indici economici dell’economia del Paese stipulante, l’Italia (5).

Nonostante questo, l’operare dei funzionari del Mef aveva richiamato l’attenzione degli organi requirenti della Corte dei conti: dall’indagine condotta era emersa la richiesta da parte della procura contabile (6) di avviare un’azione nei confronti di coloro che, all’interno dello stesso ente, erano stati coinvolti in tale operazione (7). Nel 2017, poi, ad esito delle indagini, tali funzionari furono citati dinanzi alla Corte dei conti (Sezione giurisdizionale Lazio), per il ristoro dei danni erariali (8). A tal fine furono chiamati non solamente i funzionari coinvolti, ma anche la investment bank interes-sata alla stipula.

(3) Al riguardo, v. anche i primi commenti pubblicati in scia a tale sentenza: M. Danusso, Derivati: la Sentenza della Cassazione 8770 del 2020 e le lezioni americane di Calvino. Funzione nomofilattica, esattezza e coerenza, in <www.dirittobancario.it>, giugno 2020; R.

Ristuccia, A. Petrone, Riflessi di Cass. SS. UU. 87770/2020 su Derivati (e non solo) stipulati da soggetti privati. Dubbi sulla compatibilità della decisione con il diritto europeo, ibidem, settembre 2020; A. Ferraguto, Interest rate swap: importanti precisazioni in tema di oggetto e causa del contratto, in <www.quotidianogiuridico.it>, 5 ottobre 2020; F. Emanuele, R. Argeri, Sui derivati Cassazione e l’Europa par-lano due lingue diverse, in Il Sole 24 Ore, novembre 2020.

(4) Pari a svariati miliardi.

(5) Va ricordato che nel 2011 si era nel pieno della crisi dell’Eurozona, e l’Italia era sotto l’attacco degli operatori internazionali, che aveva fatto lievitare il così detto spread a livelli inusitati.

(6) Il riferimento è a quella regionale del Lazio, competente territorialmente, considerato il ruolo dell’ente centrale, attualmente svolto dal Mef.

(7) Sulle caratteristiche generali del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, in particolare con riferimento al profilo soggettivo della responsabilità, cfr. C. Pagliarin, Giudice contabile ed equità, 2019, in Scritti per Paolo Grossi offerti dall’Università di Padova, a cura di M. Bertolissi, Torino, Giappichelli, 2019, 327-344. Da un punto di vista soggettivo, la responsabilità erariale è stata recentemente incisa dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, il quale fondamentalmente riduce il perimetro della responsabilità erariale, eliminando quella per colpa grave, anche se per le sole responsabilità amministrative discendenti da condotte attive. In dottrina, cfr. C. Pagliarin, L’elemento soggettivo dell’illecito erariale nel “decreto semplificazioni”: ovvero la “diga mobile” della responsabilità, in <www.federalismi.it>, 7 aprile 2021. Sempre sull’elemento soggettivo della responsabilità da danno era-riale, cfr. C. Pagliarin, Colpa grave ed equità, Padova, Cedam, 2002.

(8) Più in particolare, dei quattro miliardi circa: a) gli esborsi diretti eseguiti dallo Stato alla banca d’affari, “in esecuzione degli accordi di ristrutturazione o chiusura delle operazioni nel dicembre 2011” (cfr. sentenza in epigrafe); b) il “costo dei finanziamenti accessi per far

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Quest’ultima, nonostante non possedesse un ruolo di “dipendenza” o “funzionariato” con il Mef, subiva un tentativo di vis attractiva della giurisdizione contabile, poiché la procura contabile aveva riscontrato un rapporto di servizio, precisamente quello di specialista in titoli di Stato, giusta apposito mandato del Mef (9), e di fiduciario del ministero.

In forza di tale mandato, ed in particolare alla luce del ruolo di consulente, la banca avrebbe svolto scelte consulenziali utili ad interferire nel processo decisionale del “Tesoro” stesso, quale sorta di dipendente de facto, da incardinarsi ai fini di responsabilità nell’organizzazione della pubblica amministrazione coinvolta, dunque il Mef.

La stessa banca d’affari anglo americana aveva contestato la giurisdizione contabile, alla quale l’esito positivo del giudizio aveva arriso non solo nel primo grado (10), ma anche nel secondo (11); oltre a ciò, si deve aggiungere che gli stessi dirigenti del ministero, chiamati in giudizio in quanto puramente “dipendenti”, per il medesimo danno erariale, erano rimasti indenni da ogni responsabilità risarcitoria, seppur attraverso un diverso ragionamento. Nonostante la chiara insindacabilità delle scelte discrezionali di merito che discendono dalla stipulazione di contratti derivati da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 1, c. 1, l. n. 20/1994, la Procura generale presso la Corte dei conti aveva subito proposto ricorso in Cassazione ai sensi dell’art. 207 c.g.c., parametro oggetto del decisum dei i giudici di legittimità.

L’attenzione verrà posta sul primo motivo del ricorso, ossia, il motivo più rilevante in quanto attinente all’asserita violazione delle regole sulla giurisdizione della Corte dei conti poiché «la sentenza impugnata non aveva colto, disat-tendendo il criterio del petitum sostanziale, la rilevanza pubblicistica dell’attività svolta dalla Banca, sia come “specia-lista del debito pubblico” nel collocamento dei titoli di Stato [...] e nell’indicazione delle più opportune modalità di gestione del debito pubblico, sia come consulente esperta e controparte diretta nelle operazioni in derivati». Meno rilevante al fine del presente lavoro è il secondo motivo del ricorso, con il quale si deduceva una possibile violazione della legge nonché un “eccesso di potere giurisdizionale per diniego della giurisdizione.”

La principale argomentazione utilizzata dai giudici della Cassazione per respingere il ricorso è che, nella sostanza, difetta, nella relazione fra banca d’affari e, ora, Mef (e, si aggiunge, più in generale nella relazione fra pubblica ammi-nistrazione e consulente-banca), quel rapporto di servizio il quale per contro sussiste solamente nei confronti dei “di-pendenti”, i “funzionari” dello Stato; di conseguenza viene confermato il difetto di giurisdizione del giudice contabile nei confronti della banca d’affari, mero consulente, già statuito in primo ed in secondo grado.

Effetto riflesso e contrario di questa statuizione di principio è che, in base ai principi generali, sussiste pur sempre una responsabilità contrattuale (ovvero extra-contrattuale) della banca d’affari per violazione delle regole del mandato alla stessa affidato: si tratta, ovviamente, di un percorso che deve essere intrapreso dalla p.a., che è quello, più arduo e meno pubblicistico, della chiamata in giudizio della controparte, con un’azione di responsabilità “ordinaria” (12).

Meritevoli di rilievo risultano essere anche le argomentazioni utilizzate dai giudici per giungere a tali conclusioni.

In primo luogo, il privato può essere assoggettato alla giurisdizione del giudice contabile a condizione che allo stesso sia attribuita effettivamente una sua attività o un suo servizio, nell’interesse e con risorse della pubblica amministra-zione, in luogo di questa. In queste ipotesi, tuttavia, la pubblica amministrazione dovrebbe essere totalmente estranea all’operare del privato, in quanto questo opera con spogliazione totale del ruolo della p.a., che dovrebbe divenire mero

fronte al fabbisogno finanziario così generatosi”; i “saldi negativi dei flussi finanziari prodotti dalle operazioni prima della loro chiusura nel dicembre 2011”.

(9) Alla luce degli artt. 33 d.p.r. n. 398/03, previgente, e 23 d.m. finanze n. 216/2009.

(10) Corte conti, Sez. giur. reg. Lazio, 15 giugno 2018, n. 346, in questa Rivista, 2018, n. 3-4, 251, aveva ritenuto, fondamentalmente la banca d’affari soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, essendo il proprio ruolo meramente privatistico di controparte contrat-tuale.

Dalla stessa ricostruzione della sentenza in epigrafe, per quanto concerne la banca, “faceva difetto l’investitura da parte dello Stato, anche solo in via di fatto, di un potere pubblico che le conferisse il ruolo di agente dell’amministrazione, con conseguente esclusione di un suo inserimento organico o funzionale nell’espletamento di potestà pubblica e nella formazione delle decisioni ministeriali in ordine alle scelte (di matrice politica) concernenti le modalità di determinazione e gestione del debito pubblico, in realtà sempre stabilite dal ministero all’esito di procedure deliberative rigorose e di autonomo vaglio tecnico, anche quanto a valutazione del rapporto costo/rischio”.

In secondo luogo, “il ruolo di specialista del debito pubblico [svolto da un funzionario della banca d’affari ed altri 19 operatori o dealers], con compiti di intermediazione in titoli di Stato e di market making (d.lgs. 415/96; dd.mm. 24.2.94; 15.10.97; 13.5.99; 216/09) non implicava l’assunzione della qualifica di esercente una pubblica funzione né, tantomeno, di cessionario di una potestà sovrana quale è quella relativa alla determinazione e gestione del debito pubblico, quanto la prestazione di un’attività di supporto nella contrattazione in prodotti derivati secondo quanto stabilito dalla normativa e dagli accordi-quadro in materia (ISDA-MA)”.

Da ultimo, osservava ancora la sentenza in epigrafe, nel richiamare il dictum di secondo grado, il ruolo consulenziale “escludeva anch’esso l’instaurazione di un rapporto di servizio con l’amministrazione, rispondendo piuttosto ad un compito informativo svolto nell’in-teresse del cliente nell’ambito di una contrattazione privatistica senza, per ciò solo, inserimento nell’apparato ministeriale; anche conside-rato che il Ministero operava non quale cliente retail (diversamente da quanto accadeva per determinati enti pubblici locali) ma quale controparte qualificata ed esperta (art. 6, co. 2 quater, TUF e 24 Dir. 2004/39/CE) che si avvaleva, nei direttori generali e dirigenti conve-nuti, di esperti con competenze di massimo livello e considerazione internazionale”.

(11) Corte conti, Sez. I centr. app., 1 marzo 2019, n. 50, in questa Rivista, 2019, n. 2 , 193 (m), confermava in sostanza la decisione di primo grado.

(12) È ovvio che, stante il modo in cui viene costruita la responsabilità per danno erariale, proprio per effetto della riforma del 2011, con un ruolo realmente requirente e “quasi criminal”, quasi penale, delle procure contabili, il percorso della normale azione civilistica appare molto arduo.

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principal, mandante, del privato, l’agent. Per contro, è chiaro che nell’operatività dei derivati stipulati fra la investment bank anglo-americana e il Mef, quest’ultimo aveva mantenuto un ruolo attivo, senza delega a terzi ad agire in sua vece.

Viene evidenziato che, al fine della attivazione della relativa responsabilità, il consulente dovrebbe agire quale vicario dell’ente, non avendo questi in tale diversa prospettiva un vero o, in realtà, alcun ruolo nell’attività delegata. Si può anche ritenere, volendo fornire un’interpretazione maggiormente originale, che il consulente, o più tecnicamente il delegato, dovrebbe agire, ad usare categorie contrattuali più recenti, quale service provider, dunque fornitore di un servizio a beneficio di un mandante, il principal, se riferito all’agent, il mandatario, ovvero l’outsourcer, se riferito al contratto di outsourcing esistente.

Alla luce di questa enunciazione rimane poco chiara l’area della responsabilità, e la sua eventuale sussistenza, della banca d’affari o più in generale del service provider, qualora il contratto di esternalizzazione risulti essere solamente parziale. In quest’ultima ipotesi è plausibile che il criterio da utilizzare sia quello “grano salis”, ossia la valutazione delle circostanze concrete che dovessero materializzarsi tempo per tempo.

Per quanto concerne la sussistenza del danno erariale, la sentenza non statuisce in modo chiaro se sia necessario un effettivo inserimento nell’apparato organizzativo della stessa pubblica amministrazione del soggetto, e, nel caso di specie, dei dipendenti della banca d’affari, circostanza che, peraltro, non si era verificata nella vicenda oggetto di ana-lisi. La Cassazione, infatti, statuisce che, in assenza di un formale titolo contrattuale, è l’effettiva idoneità della relazione instauratasi – anche in via di fatto – tra le parti a rendere il privato compartecipe dell’operato dell’amministrazione.

Questa è una statuizione che, per vaghezza, potrebbe lasciare incertezza in futuro sul come specifiche situazioni debbano essere gestite: paradossalmente il privato, qualora dovessero ricorrere dette circostanze, seppur estraneo alla p.a., potrebbe rispondere del danno erariale, essendo obbligato ad osservare particolari vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali della p.a. Nel concreto, tali circostanze non si sono verificate nella vicenda intercorsa fra la p.a. e la consulenza della banca d’affari.

2. Il ruolo della banca nella consulenza al Mef ed il possibile danno erariale

Sulla responsabilità da danno erariale dei funzionari dovuto alla stipula di derivati, la giurisprudenza copiosa for-matasi fino a questo momento concerneva, tradizionalmente, la sindacabilità delle scelte degli enti locali, piuttosto che di quelli centrali come nel caso in commento. La sentenza più recente, delle Sezioni unite della Corte di cassazione, ossia la n. 9680/2019, risultava essere conforme ad un orientamento giurisprudenziale ormai da ritenersi consolidato, secondo cui stanti i limiti di sindacabilità delle scelte degli enti locali, ai sensi della l. n. 448/2001, essendo a questi accordata la facoltà di ristrutturare il debito mediante contratti derivati, la possibilità che si possa configurare una re-sponsabilità del funzionario dello Stato non è così elevata, quanto meno da un punto di vista teorico.

Sulla responsabilità da danno erariale dei funzionari dovuto alla stipula di derivati, la giurisprudenza copiosa for-matasi fino a questo momento concerneva, tradizionalmente, la sindacabilità delle scelte degli enti locali, piuttosto che di quelli centrali come nel caso in commento. La sentenza più recente, delle Sezioni unite della Corte di cassazione, ossia la n. 9680/2019, risultava essere conforme ad un orientamento giurisprudenziale ormai da ritenersi consolidato, secondo cui stanti i limiti di sindacabilità delle scelte degli enti locali, ai sensi della l. n. 448/2001, essendo a questi accordata la facoltà di ristrutturare il debito mediante contratti derivati, la possibilità che si possa configurare una re-sponsabilità del funzionario dello Stato non è così elevata, quanto meno da un punto di vista teorico.