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L’idea di esprimere se stessi in musica giunge a piena consapevolezza solo verso la fine del diciottesimo secolo; nella fase successiva, la riflessione estetica si impegna a restituire alla musica una sua qualche dimensione obiettiva. Lo sforzo della musi-cologia e dell’estetica musicale di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento si muove nella direzione di rompere l’idea di mera accessibilit`a individuale della musica. Si trattava in qualche maniera di trarre in salvo la musica dal potere discrezionale del singolo individuo nonch´e dalla sua incondizionata espressione individuale (Eg-gebrecht, 1955). Occorreva in qualche modo preservare la musica per proteggerne la bellezza, la sostanza autonoma e la forma di obiettiva evidenza per ritornare a collocarla in un mondo di validit`a, in qualche modo oggettiva.

Passata la fase di psicologizzazione egocentrica della musica del periodo roman-tico, si trattava, attraverso un ritorno alla tradizione, di preservare l’essenza della musica occidentale fino a giungere al punto di vista radicale espresso da Igor Stra-vinskij – «la musica esprime s´e stessa» (Craft e StraStra-vinskij, 1977, p. 299) – che in qualche modo ribadisce l’impossibilit`a di ridurre la musica ad uno strumento lingui-stico di trasposizione o di espressione di alcunch´e che non sia gi`a in essa contenuto in modo del tutto autonomo. Stravinskij , rifuggendo qualsiasi concezione intuizioni-stica, espressivista e sentimentalistica di ascendenza tardo-romantica, sostiene la sua visione costruttivista ed artigianale del comporre e del fare artistico intendendolo come una lucida e ludica manipolazione di materiali sonori. Questa concezione sul significato della musica conduce a due interessanti conseguenze. La prima `e quella di avvicinare il fare artistico all’atto di produzione e non solo a quello di progettazione, ossia, nel caso della musica, alla pratica musicale strumentale o vocale e quindi, in qualche modo verso la direzione di un recupero dell’interazione creativa del corpo con lo strumento o con la voce. La seconda `e quella di portare la musica verso il mercato del consumo, in particolare verso le opportunit`a che le sempre pi`u potenti tecnologie consentiranno in seguito di ottenere.

Basti pensare a come oggi sia possibile, grazie alla mediazione di alcuni software disponibili in Rete o su un qualsiasi calcolatore dotato di una scheda audio, rappre-sentare immediatamente il frutto di questa manipolazione, anche senza possedere alcuna pratica vocale o strumentale.

Di assoluta rilevanza, dal punto di vista della prospettiva che in questa tesi si sta cercando di costruire, la riflessione offerta da Stravinskij in merito alla sua impostazione di tipo costruttivista:

«La parola “artista” che, nel senso pi`u comune, conferisce oggigior-no a colui che la porta un grande prestigio intellettuale, il privilegio di passare per puro spirito, questo termine altisonante `e totalmente

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patibile, secondo me, con la condizione di homo faber. `E il momento di ricordarci che, nei nostri limiti, se `e vero che siamo “intellettuali”, il nostro compito non `e quello di pensare ma di operare» (Stravinskij, 1987, pp. 37-38)

Stravinskij, inoltre, cita esplicitamente Jacques Maritain con il quale condivide la visione medioevalistica e teologizzante dell’artista inteso come artigiano alla cui individualit`a era precluso qualsiasi tipo di sviluppo anarchico, “limitato” da una sorta di disciplina sociale che gli impone dal di fuori determinate condizioni.

Stravinskij, inoltre, nell’opera Cronache della mia vita (Stravinskij, 1979), so-stiene come la musica sia l’unico dominio in cui l’uomo `e in grado di realizzare il presente: la musica riscatta l’uomo dalla sua condizione di spettatore passivo del passare del tempo, infatti nella musica e con la musica l’uomo pu`o costruire un ordine tra se stesso ed il tempo. In questa prospettiva, l’unica cosa necessaria `e una costruzione che permette di esaurire completamente il processo senza cercare altri significati. Questa costruzione genera nell’uomo un’emozione che, per`o, non ha nulla a che vedere con le sensazioni correnti e con le reazioni generate da impressio-ni proveimpressio-nienti dalla vita quotidiana. La musica che in qualche modo si congiunge con il tempo psicologico si dispone ad un’opera di traduzione gli impulsi emotivi dell’autore sotto il dominio della sua volont`a d’espressione (Brelet, 1951).

Pi`u in particolare Stravinskij sostiene come la musica sia un

«complesso innato di intuizioni e di possibilit`a fondato prima di tutto su un’esperienza propriamente musicale del tempo, ossia il chronos di cui l’opera musicale fornisce la sola realizzazione funzionale. [...] Qualsiasi musica per quanto sia legata al corso normale del tempo o per quanto ne sia distaccata, stabilisce una relazione particolare, una specie di contrap-punto fra lo scorrere del tempo, la propria durata e i mezzi materiali e tecnici attraverso i quali questa musica si manifesta» (Stravinskij, 1987, pp. 22-23).

Con questa osservazione sembra chiaro come la relazione con gli strumenti mu-sicali trovi una sua collocazione ben precisa: lo strumentista o l’esecutore in genere, attraverso l’interazione diretta con lo strumento musicale, usa il proprio corpo per entrare a far parte di questo contrappunto, ossia si serve del corpo per accendere uno strumento che ne proietta l’essenza nel tempo ed attraverso il tempo. E questa, a parere di chi scrive, sembra essere la peculiarit`a pi`u interessante che caratterizza in modo assolutamente originale la relazione tra corpo e strumento musicale quale declinazione particolare della relazione uomo-macchina.

Nella stessa direzione si pone il pensiero del musicologo russo, naturalizzato francese, Boris de Schloezer il quale nell’opera Introduction `a J. S. Bach. Essai de d’est´etique musicale afferma come

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«Nella musica il significato `e immanente al significante, il contenuto alla forma, a un punto tale che, rigorosamente parlando, la musica non ha un senso ma `e un senso» (de Schloezer, 1947; cit. in Guanti, 1999, p. 408).

Questa osservazione concorda con l’osservazione di Sini (Sini, 2009) relativamente al-la natura delal-la pratica strumentale, al-la quale recupererebbe al-la dimensione dell’“essere” corpo piuttosto che quella dell’“avere” corpo. In questa prospettiva l’osservazione offerta da de Schloezer acquista una particolare rilevanza in quanto offre la possi-bilit`a di produrre una certa omogeneit`a tra la pratica strumentale e la musica di per s´e, come atto prodotto e come espressione dell’“essere” corpo. La comprensione della musica, e quindi, come conseguenza, anche la sua riproduzione attraverso lo strumento, diventa per de Schloezer la capacit`a di comprendere la serie sonora nella sua unit`a.

L’opera musicale non `e il segno di qualche cosa ma significa solamente se stessa e ci`o che essa in qualche modo comunica `e letteralmente “incarnato” in se stessa piuttosto che significato. Per de Schloezer inoltre, l’oggetto musicale `e caratterizzato da una trascendente atemporalit`a ma non nel senso che Jean-Paul Sartre attribuisce a questo concetto: Sartre, infatti intende l’atemporalit`a della musica come manife-stazione del suo svolgersi in un tempo immaginario (Sartre, 1948), irreale, mentre de Schloezer intende l’atemporalit`a della musica come manifestazione del fatto che essa presuppone da parte del compositore, dell’ascoltatore e dell’esecutore un atto di organizzazione, di strutturazione organica del tempo ad opera dell’intelligenza:

«Il compositore produce nel tempo una cosa che, in quanto ha un senso, `e atemporale. Organizzare musicalmente il tempo significa tra-scenderlo» (de Schloezer, 1947; cit. in Guanti, 1999, p. 31).

Un’ulteriore radicalizzazione della tesi formalista di de Schloezer `e offerta da Claude Strauss il quale mette in evidenza la relazione tra la musica ed il tempo: L´evi-Strauss sostiene che tale relazione manifesta una natura del tutto singolare, infatti

«tutto avviene come se la musica [...] non avesse bisogno del tempo se non per infliggergli una smentita. [...] la musica opera su un terreno grezzo, che `e il tempo fisiologico dell’uditore [ed anche, quindi, dell’ese-cutore]; tempo irrimediabilmente diacronico in quanto irreversibile, e di cui la musica stessa tramuta per`o il segmento che fu dedicato ad ascoltar-la in una totalit`a sincronica ed in s´e conchiusa. L’audizione [e cos`ı pure l’esecuzione] dell’opera musicale, in forza dell’organizzazione interna di quest’ultima, ha quindi immobilizzato il tempo che passa; [...] Cosicch´e ascoltando la musica e mentre l’ascoltiamo, noi accediamo a una specie di immortalit`a» (L´evi-Strauss, 1974, p. 32-33)

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L’osservazione fondamentale di L´evi-Strauss riferita all’ascolto pu`o essere estesa an-che all’esperienza del musicista an-che produce la musica attraverso l’interazione con uno strumento, senza che ci`o possa costituire una forzatura del suo pensiero. Infatti, nella pratica musicale, l’atto di produzione attraverso lo strumento `e simultaneamen-te produzione ed ascolto, e quest’ultimo pu`o essere intrapreso come una meta-abilit`a dello strumentista o dell’interprete il quale agisce attraverso lo strumento negli in-terstizi comunicativi lasciati liberi dal tempo della musica per poter essere occupati dalle peculiarit`a dell’esecutore.

E proprio come il mito, la musica richiede una dimensione temporale per ma-nifestarsi, sebbene la sua relazione con il tempo storico-cronologico appaia come paradossale:

«L’atto magico del fermare il tempo, reificandolo o superandolo, pro-iettandolo dunque nello spazio, `e compiuto dalla musica: tutto avviene come se la musica e la mitologia non avessero bisogno del tempo se non per infliggergli una smentita. Esse sono entrambe macchine per sopprimere il tempo» (L´evi-Strauss, 1974, p. 32).

L’osservazione di L´evi-Strauss permette di caratterizzare in modo ancora pi`u sugge-stivo la relazione tra l’uomo e lo strumento musicale: attraverso l’azione del corpo l’esecutore manifesta e attiva la macchina capace di sopprimere il tempo e quindi, in un certo senso, tende ad eternarsi con essa, come una sua parte essenziale, come se si trattasse di un componente meccanico della macchina senza il quale la musica non pu`o operare questa smentita sul tempo.

Il corpo in “essere” opera interagendo con lo strumento musicale proiettando la propria esistenza in una dimensione atemporale di cui esso stesso in quanto “faber” `e artefice; `e dunque il corpo che compie ed esaurisce attraverso il gesto la negazione della propria transitoriet`a. Questo tipo di relazione sembra assumere una colloca-zione particolare e decisamente diversa rispetto ad altre forme di espressione: come L´evi-Strauss stesso sottolinea, la musica costituisce un sistema “chiuso”, a differenza del linguaggio verbale che invece `e aperto nel senso che attraverso la spiegazione e l’informazione rimanda a contenuto diversi dalla sua forma. La musica «si serve di un veicolo che le appartiene in proprio e che fuori di essa non `e suscettibile di alcun uso generale» (L´evi-Strauss, 1974, p. 36). Inoltre L´evi-Strauss avvicina la struttura del linguaggio musicale a quella del mito: entrambi si pongono come mediatori tra il mondo delle strutture logiche e quello dell’esperienza sensibile, tra il mondo della natura e quello della cultura, tra il mondo interno e quello esterno; come conseguen-za di ci`o esclude qualsiasi significato psicologico della musica, il suo divenire non pu`o che essere pura finzione. Questo perch´e la struttura `e e non pu`o in alcun modo pensarsi in fieri.

Di natura fondamentale rispetto al tema che qui si intende sviluppare appare l’osservazione di L´evi-Strauss rispetto al fatto se e come la musica possa ritenersi un

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linguaggio. Secondo L´evi-Strauss la musica opera una sorta di mediazione tra due trame, una naturale ed una pi`u specificatamente culturale, e questa mediazione ren-de la musica significativa; infatti, essa si sviluppa a partire da un “doppio continuo” costituito da una trama interna e da una esterna che vanno a costruire una sorta di trama fisiologica, e quindi assolutamente naturale, della musica. Il «continuo esterno» `e costituito dalla serie illimitata dei suoni fisicamente realizzabili, mentre il «continuo interno» `e costituito da un «tempo psicofisiologico» dell’esecutore e del-l’ascoltatore entro il quale concorrono fattori molto complessi quali, ad esempio, la periodicit`a delle onde cerebrali e dei ritmi organici, la capacit`a mnemonica e di attenzione. Tali fattori si innestano su un tempo pi`u basilare di carattere viscerale che `e collegato con il ritmo cardio-respiratorio, ma nello stesso tempo, la musica opera in direzione opposta, sviluppandosi secondo una trama culturale che conduce ad una scala e a rapporti intervallari che variano da civilt`a a civilt`a e che garanti-sce alla musica un primo livello di articolazione. Questo livello di articolazione si precisa non soltanto individuando la posizione di ogni singolo suono entro una sca-la, ma anche attraverso la precisazione dei rapporti gerarchici tra i vari gradi della scala: ad esempio, nel sistema tonale, i rapporti armonici tra tonica, dominante e sottodominante oppure i rapporti melodici tra sensibile e dominante.

Il compositore ha dunque il compito di rendere significativo questo tessuto a “doppia trama” assestando la “trama fisiologica” – la cui essenza «dipende dal fat-to che la musica sfrutta i ritmi organici, e rende cos`ı pertinenti certe discontinuit`a che altrimenti rimarrebbero allo stato latente e come sommerse nella natura» (L´evi-Strauss, 1974, p. 34) – sulla “trama culturale”. L´evi-Strauss parla ancora di una “doppia periodicit`a” cui l’esecutore o l’ascoltatore sono immersi, quella della gab-bia toracica che inerisce alla sua natura individuale e quella della scala che invece dipende dalla sua educazione.

In questa prospettiva, la fruizione e la produzione musicale non si limitano ad un godimento intellettuale dovuto alla contemplazione di determinate strutture for-mali ma `e dato da un rapporto non privo di un’intrinseca drammaticit`a tra l’opera musicale e le pi`u profonde ed inconsce strutture del singolo e collettive.

Nel processo di produzione e di fruizione della musica, come del resto in quello del mito, la dimensione inconscia ha un ruolo determinante sia a livello individuale sia a livello collettivo secondo L´evi-Strauss : attraverso l’opera musicale l’individuo ascolta innanzitutto se stesso; questo, tuttavia, non significa che la musica attivi stimoli ad associazioni personali e gratuite. La struttura stessa della musica, ca-ratterizzata dalla sua duplice articolazione, ossia agganciata alla nostra struttura fisiologica cos`ı come alla nostra struttura culturale, induce l’ascoltatore e l’esecutore o lo strumentista cos`ı come il cantante, a scoprire se stesso.

Questo accade in virt`u del fatto che, sottolinea L´evi-Strauss, in chi ascolta e in chi produce musica si attua una vera e propria inversione tra mittente e ricevente perch´e «in fin di conti `e il secondo che si scopre significato dal messaggio del primo:

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la musica vive se stessa in me, io mi ascolto attraverso di essa» (L´evi-Strauss, 1974, p. 35).

Ed `e proprio in questo delicato passaggio che `e possibile realizzare una delle peculiarit`a della relazione uomo-strumento musicale, ossia nella doppia identit`a del ricevente: esso pu`o essere sia ascoltatore, sia esecutore che coglie se stesso attraverso l’ascolto della propria produzione.

Con la riflessione musicologica degli inizi del Novecento si perviene alla struttu-razione forte dell’evento musicale in codice scritto con l’imperativo del ne varietur, la formazione di un vero e proprio canone di composizioni ispirate (ossia il “reperto-rio classico”), la trasformazione della notazione musicale da estemporaneo memen-tum in momenmemen-tum per i posteri, passibile non solo di mera esecuzione ma anche e soprattutto di una vera e propria interpretazione.

Quest’ultima trasformazione ha garantito il passaggio da una prassi esecutiva “umile” affidata ai mechanici ad una vera e propria ermeneutica: si potrebbe trat-tare del primissimo esempio di ci`o che Longo chiama una macchina del corpo-mente (Longo, 2001) incarnata nella figura dello strumento musicale. Questo passaggio segna inoltre la nascita di una “scienza nuova”, ossia l’Ermeneutica musicale che ga-rantisce una collocazione “alta” della musica e dei suoi testi, nonch´e degli esecutori-interpreti. Si potrebbe anche dire che attraverso l’interazione con lo strumento mu-sicale colui il quale lo pratica acquisisce una coscienza altra rispetto ad un semplice apprendimento di una tecnica o di una pratica: questa coscienza musicale abbraccia il corpo ed il suo gesto nell’atto di produrre e comprendere struttura e modelli di movimento sempre pi`u complessi.

2. Strumenti musicali

2.3. La relazione corpo-strumento nell’estetica musicale angloamericana

2.3 La relazione corpo-strumento nell’estetica

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