«Poteva ricostruire tutti i sogni delle sue notti, tutte le immagini dei suoi dormiveglia. Due o tre volte aveva ricostruito una gior-nata intera; non aveva mai esitato, ma ogni ricostruzione aveva richiesto un’intera giornata».
Jorge Luis Borges
Per poter intraprendere una qualsiasi riflessione introduttiva sul complesso rap-porto tra uomini e macchine ritengo sia opportuno analizzare la nascita e lo sviluppo del concetto di macchina, di strumento e prima ancora di automa, rintracciando nel-lo sviluppo storico e nelle peculiarit`a di questi concetti le origini di una problematica che oggi `e molto attuale in molti ambiti, da quello educativo a quello economico, politico e comunicativo, nonch´e nella prospettiva di intraprendere la Rete nei suoi aspetti materiali.
1.1. Macchine e macchinismo 1. Macchine e automi
1.1 Macchine e macchinismo
Cominciamo con il domandarci che cosa sia una macchina: lungi dall’intraprendere una noiosa classificazione in base alle funzioni che ogni macchina pu`o incorporare, si pu`o in prima battuta affermare che tutte le macchine servono in una certa misura a produrre qualcosa. In ogni macchina, inoltre, si manifesta la riduzione di un’opera complessa attraverso un modello della realt`a che, inevitabilmente, si traduce in una sequenza di operazioni semplici, controllabili e ripetibili. Come si vedr`a in seguito, per`o, una definizione di questo tipo, pur essendo correttamente centrata rispetto ad un livello di riferimento puramente materiale, presenta alcune difficolt`a qualora intrapresa in senso pi`u generale e collocata nella prospettiva pi`u ampia, offerta dalle trasformazioni prodotte sull’ambiente dal sapere scientifico e tecnico.
Questa codifica espressa da una macchina non pu`o che appoggiarsi a quegli aspetti dei fenomeni che possono essere quantificati, ossia che si prestano ad una opportuna valutazione di tipo quantitativo con una evidente “eliminazione” di molti aspetti qualitativi.
In tal senso le macchine, come oggi le concepiamo, si costituiscono come la mani-festazione concreta di una epistemologia (della scienza), ossia di una tecnologia, cos`ı come l’abbiamo ereditata da Galileo in poi: le macchine sono la rappresentazione di un modello scientifico e dunque, come afferma Koyr´e (Koyr´e, 1967), non possono esistere macchine senza strumenti (precisi) di misura e senza una nozione ben forma-ta e sforma-tabile di conoscenza scientifica. La ragione di una forma-tale affermazione pu`o essere cercata con successo nella semplice valutazione di alcuni dei principi fondativi delle scienze moderne ed, in particolare, nell’osservazione su come ed in base a quali atti fondativi la matematica e la fisica moderne si sono sviluppate da Galileo e Cartesio fino a Turing e G¨odel.
Si pu`o tuttavia mettere subito in evidenza un utile paradosso: l’aumento della velocit`a, ad esempio grazie ai mezzi di locomozione, corrisponde ad una estensione dello spazio da percorrere; chi impiegava un’ora per andare al lavoro a piedi, oggi impiega un’ora per andare al lavoro in automobile. Questo paradosso esprime per`o solo un aspetto legato allo sviluppo delle macchine, quello quantitativo, che, esami-nato singolarmente senza tener conto delle conseguenze che le estensioni prodotte dalle macchine apportano all’organizzazione e nella mentalit`a umane, conduce a con-clusioni favorevoli all’irreversibilit`a del progresso materiale che, per`o, sono molto di frequente contraddette dalla realt`a. Piuttosto che indice del benessere individuale o collettivo, si pu`o dire che le macchine rappresentano e partecipano a quel deside-rio dell’uomo di porre ordine e regolare una natura che appare spesso invincibile, incomprensibile, imprevedibile e per questo angosciante, attraverso il superamento di ci`o che `e avvertito come complesso ed il recupero di aspetti qualitativi mediante nuove risorse quali l’affidabilit`a, l’indipendenza da fattori esterni, la trasportabilit`a nello spazio e nel tempo, fino all’universalit`a, caratteristica tipica delle macchine
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attuali.
Come appena detto, nel macchinismo si attua una comprensione modellizzata della realt`a: queste macchine-modelli, a volte distinte, a volte collegate ad altre forme di conoscenza, incorporano aspetti analitici e di sintesi nonch´e un processo di scomposizione-ricomposizione dei fenomeni in termini controllabili dall’uomo, pro-cesso che scaturisce in buona misura dal fatto generale secondo il quale l’uomo, la scienza e la tecnologia (ma anche la letteratura, la poesia, l’arte) operano una con-tinua ricostruzione del mondo attraverso i loro prodotti (macchine, teorie e modelli) dando luogo ad un processo coevolutivo (Longo, 2001).
La trasformazione prodotta dalla tecnica sull’uomo `e un processo che si manife-sta in termini di autoreferenzialit`a nel senso che `e circolare: l’uomo `e immerso in un ambiente in trasformazione e a tale ambiente si adatta modificandolo a sua volta ed essendone modificato lui stesso e cos`ı via: la posizione dell’uomo in questo processo di trasformazione si presenta come problematica in quanto esso `e al contempo at-tore e spettaat-tore, combattuto tra la tentazione di considerare il fenomeno in modo oggettivo e la tensione nel non voler perdere tutti gli aspetti legati alla propria sog-gettivit`a, nel tentativo di vivere il processo con pienezza emotiva ed intellettuale. Questa ambiguit`a comporta una profonda lacerazione: di fronte a mutamenti troppo rapidi e laceranti come quelli in cui la tecnica e il suo sviluppo coinvolge l’uomo, si osserva alle volte una sorta di rigetto che assume la forma di una retroazione negativa (Longo, 2001), che spesso `e comunque troppo lenta se confrontata con la rapidit`a con la quale si sviluppa la tecnologia.
In particolare, relativamente al processo coevolutivo cui si `e accennato, potrebbe essere interessante mettere a confronto due posizioni, quella di Longo (Longo, 2001) e quella di Sini (Sini, 2009).
Longo introduce il concetto di simbionte tecnologico: il termine simbiosi viene dal greco, vita in comune, ed indica una associazione stabile ed integrata tra due organismi di cui uno `e ospite e costituisce l’habitat dell’altro in un’azione di reciproco vantaggio; l’insieme dei due organismi intrapresi in un’unica entit`a prende il nome di simbionte. Questo concetto scaturisce dall’idea che Longo ha sulle macchine e sul carattere essenziale della tecnologia la quale:
1. produce strumenti per la conoscenza e per l’azione; 2. esercita una retroazione sugli uomini e sulle societ`a.
Inoltre, i prodotti della tecnologia si riflettono indietro a forgiare l’umano, pro-cesso che Sini indica in termini di stacco e retroflessione e che manifesta una certa affinit`a rispetto all’idea di Longo . Ancora Longo afferma che evoluzione biologica ed evoluzione tecnologica sono profondamente ed intimamente intrecciate e danno luogo
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ad un’evoluzione biotecnologica soggetta a meccanismi sia darwiniani, sia lamarc-kiani. Questa evoluzione biotecnologica prevede l’avvicendarsi dei diversi simbionti, ossia di ibridi tecnologici caratterizzati da una quantit`a crescente di tecnologia.
In merito alla definizione di Longo, Sini si domanda da quale punto di vista Longo possa esprimere un tale concetto, collocato anch’esso in quale tratto della sequenza di simbionti che egli stesso invoca. Sottolinea il fatto che la questione `e squisitamente filosofica, ma spesso omessa da quella mentalit`a scientifica diffusa, sistematrice sul piano del senso e del “dire comuni” di quelli che ritiene essere “risul-tati oggettivi”. Sini critica appunto questa incoerenza nell’affermazione di Longo il quale, a suo giudizio, parla egli stesso immerso in quel processo che sta descrivendo. In qualche modo, quella che appare problematica `e, secondo Sini, questa definizione dall’“interno”.
Relativamente alla evoluzione biotecnologica Sini solleva la seguente questione: l’idea di “natura” e di “naturale”, sono a loro volta un tipico prodotto della tecno-logia, pertanto parlare di evoluzione biologica (della natura) per affiancarla a quella tecnologica (dell’uomo) tradisce un errore di impostazione generale che in qualche modo invalida la contrapposizione stessa. Sini osserva che quando parliamo di na-tura “sappiamo” tutti pi`u o meno che cosa intendiamo, ma `e proprio il “saperlo” che genera l’imbarazzo.
Si sta tuttavia assumendo che si `e in presenza di due nature, una pretecnologica e preverbale e l’altra tipicamente culturale, effetto di una concatenazione di saperi tipicamente tecnologici. Ma `e altrettanto evidente che `e la seconda natura a predi-care sull’altra e ci`o genera una sostanziale irriducibilit`a dell’una sull’altra, una sorta di problema di coerenza relativa ma non assoluta.
Longo sostiene inoltre che dalle pieghe dell’evoluzione sta uscendo un simbionte tecnologico, ossia l’uomo. Sini osserva allora che dalla affermazione di Longo sembra che non sia l’uomo a parlare o un uomo a parlare. Sembra dunque che Longo sia in grado di produrre un’affermazione del genere collocandosi al di fuori dl processo. Sini giudica affermazioni di senso comune di natura estremamente problematica l’osservazione secondo la quale non ci potrebbero essere macchine senza l’uomo e, viceversa, il fatto che la vita dell’uomo sembra ormai essere vincolata alle macchine in maniera irreversibile.
Quello che comunque emerge, dice Sini, `e il fatto che in questo ragionamento compaiono comunque due uomini: quelli che hanno le macchine e quelli che non le hanno i quali deriverebbero dai primi. L’uomo “naturale” produrrebbe le macchine, che per`o contemporaneamente produrrebbero l’uomo come simbionte; secondo Sini la cosa `e oscura ed effettivamente, per certi aspetti lo `e.
A parere di chi scrive si potrebbe pi`u propriamente parlare di una relazione di “doppia ricorsione” tra uomini e macchine, tra uomo “naturale” e tecnologia. L’idea di ricorsione potrebbe incorporare sia l’idea di immersione, sia quella di retroazione o retroflessione evadendo in qualche modo la questione del punto di vista.
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Alle volte poniamo tra noi e la tecnologia un’interfaccia (anch’essa oggetto tecno-logico) che ci mantiene alla debita distanza dallo sviluppo vertiginoso della tecnologia stessa. Anzi l’interfaccia consente di attenuare il divario e favorire l’adattamento. In particolare, le interfacce si collocano o vanno a costituire il “confine topologico” (Longo, 2001) del sistema; sono le porte attraverso le quali i segnali e le informazioni entrano ed escono dal sistema ed attraverso le quali ha luogo una trasformazione significativa delle informazioni nel loro passaggio dall’interno all’esterno e viceversa.
Quindi sono punti di codifica, ma non solo.
Esse sono anche filtri: esaltano in taluni casi certe componenti dei messaggi, mentre in altri eliminano addirittura delle componenti, quindi generano una vera e propria distorsione. Nelle interfacce artificiali la distorsione viene programmata oppure `e la conseguenza di mancanze relative alla tecnologia impiegata.
In realt`a, piuttosto che di veri e propri filtri, si potrebbe anche riferirsi alla capacit`a intrinsecamente interpretativa ed ermeneutica di qualsiasi tecnologia, ossia della sua azione prospettica.
Per lungo tempo le macchine sono state macchine del corpo, nel senso che si sono manifestate come prolungamenti aumentativi del corpo e delle sue facolt`a, ma oggi le macchine hanno acquistato una nuova e sorprendente dimensione, si tratta cio`e di macchine della mente: queste non trasformano materia ed energia, ma semplice-mente informazioni, non sono costruite per eseguire un unico compito, ma tendono ad essere macchine universali. Se in un primo tempo queste macchine hanno avvalo-rato l’ipotesi secondo la quale la mente `e superiore al corpo e il fatto che gli aspetti astratti e formali dell’intelligenza fossero superiori a quelli concreti, in un secondo momento ci si `e accorti delle limitazioni dell’intelligenza simbolica e disincarnata, al punto che oggi si stanno progettando delle macchine del corpo-mente che incor-porano entrambi questi aspetti dell’uomo e che reintegrano il tempo e l’evoluzione, temporaneamente estromessi dall’approccio fisico-matematico alla realt`a.
In questo scenario si potrebbe sostenere il crescente divario tra scienza e tecnica (Longo, 2001) se non addirittura un vero e proprio tramonto dell’episteme nelle societ`a ad elevata densit`a tecnologica (Severino, 1998): la cultura occidentale ha conosciuto come sua tipica caratteristica una netta propensione per la razionalit`a esplicita, la precisione teorica e l’intelligenza speculativa che costruisce i teoremi della matematica oppure gli edifici della filosofia teoretica, lasciando in secondo piano l’intelligenza pratica che consente all’uomo di gestire le difficolt`a, per cos`ı dire, quotidiane.
Oggi le teorie non riescono a tener testa all’incremento tumultuoso della tecnica la quale si serve di modelli semplificati costruiti attorno ad una semplice logica di efficacia e di funzionamento, senza troppe giustificazioni teoriche. La scienza non riesce cio`e a fornire quel quadro generale, quella cornice teorica necessaria ad attribuire coerenza generale alle applicazioni, nonch´e fornire direzioni etiche connesse con l’utilizzo di determinate tecnologie. Ed in questo senso, la Rete si pone come
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una delle massime manifestazioni di una “prassi senza teoria” (come si avr`a modo di approfondire in seguito) e configura il centro della questione in merito alla relazione tra individui e strumenti della tecnologia.
La tecnologia e la scienza manifestano dunque una profonda capacit`a destabi-lizzante: munito di uno strumento tra i pi`u complessi, il cervello, l’uomo persegue una continua opera di ricostruzione della realt`a attraverso l’attivit`a scientifica e tec-nica, artistica e poetica, come si `e detto; mentre la scienza ricostruisce la realt`a nella forma di modelli razionali, computabili, sperimentabili ed intercomunicabili, la tecnologia la ricostruisce sotto forma di manufatti, macchine e strumenti che via via danno luogo ad un ambiente artificiale che non `e meno reale di quello originario e primitivo soprattutto nei suoi effetti di interazione con gli altri esseri umani. Il mondo artificiale, il quale vuole essere efficiente ed economico, per questo motivo, `e assai fragile (Longo, 2001): la ricostruzione del mondo operata dalla tecnologia, da un lato produce un mondo la cui conoscenza, interpretazione e dominio `e decisa-mente pi`u semplice e dall’altro lato consente il risparmio; le sue dimensioni e le sue variabili devono essere necessariamente ridotte ed in genere vengono ricondotte ad un unico parametro che molto spesso `e quello economico, ossia il costo. Nei sistemi artificiali non pu`o presentarsi un armonico adattamento di tutte le variabili, ma necessariamente una di esse viene massimizzata; non si cerca il valore giusto di tutte le variabili interconnesse ma si persegue la massimizzazione della variabile ritenuta pi`u importante e di solito questa variabile, nonostante gli svariati tentativi di far credere il contrario, `e il denaro.
La negazione delle diversit`a, o quantomeno l’azione semplificante e riduttiva della ricostruzione scientifica e tecnica del mondo, comporta una perdita irreversibile di informazione ed `e motivata dall’esigenza di rendere pi`u economiche e comunicabili le descrizioni e le comunicazioni: un modello troppo ricco sarebbe ingombrante o, in termini tecnici, fisicamente non riproducibile e pertanto la riduzione si manifesta come una azione necessaria e funzionale all’operare scientifico.
E dunque i modelli fisici e matematici basati su un’operazione di riduzione qua-litativa della realt`a manifestano una certa fragilit`a. Inoltre, anche nell’ambito della tecnologia e per motivi economici, i costrutti artificiali sono scarni, schematici, sem-plici ed essenziali e quindi anch’essi caratterizzati da una significativa fragilit`a che tende ad aumentare nel momento in cui si realizza l’assenza di manufatti sostituti-vi, di alternative. Questa fragilit`a `e il prezzo che si paga per il risparmio ottenuto nella descrizione o nella costruzione: mentre il mondo reale `e pletorico, ridondante e robusto, quello artificiale `e schematico, essenziale e dunque fragile, oltre al fatto che nelle strutture artificiali la comunicazione avviene in modo gerarchico, dall’alto verso il basso. Molte delle nuove tecnologie della comunicazione, ad esempio quelle del Web 2.0 presentate come strumenti di comunicazione, interazione e condivisione “dal basso”, stanno comunque manifestando questa struttura gerarchica (Metitieri, 2009).
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Sembra dunque che la nostra capacit`a di agire con e nella tecnologia abbia net-tamente superato la nostra capacit`a di prevedere, ma ci si pu`o domandare se dietro questa sorta di rovesciamento non si celi la fonte della nostra immane stanchezza. Suppongo che il fare senza pensare a ci`o che potrebbe accadere, ossia abbandonare la matrice pi`u autentica ed originaria della conoscenza di tipo matematico, produce l’angoscia dell’imponderabile in misura amplificata e per certi aspetti si potrebbe trattare di una sorta di “esonero da noi stessi” in cui ci siamo rifugiati: ci accon-tentiamo di fare, ma siamo in qualche modo esonerati dal pensare alle conseguenze del nostro fare attratti dalla prassi senza teoria o dalla prassi con tracce di teoria semplificata che le macchine, prodotti della tecnica, offrono l’occasione di fare.
Questa tentazione esonerante assume la forma di un apprendimento per assue-fazione: siamo ormai talmente abituati a servirci delle macchine da aver imparato a trascurare lo sforzo di dover recuperare le nostre reali capacit`a di analisi e di sin-tesi. Inoltre, le macchine sono oggetto di apprendimento, abitudine o assuefazione, quindi si esprimono in un contesto, quello tecnologico, rigidamente programmato e pertanto destinato a salire di livello logico fino agli strati pi`u profondi della fisiolo-gia al fine di liberare quelle flessibilit`a utili per la comprensione delle nuove ed altre sollecitazioni.
Quando la tecnologia e le sue macchine sar`a scesa fino agli strati pi`u profondi, il suo uso acquister`a quella inconsapevole disinvoltura simile a quella con la quale noi utilizziamo la “tecnologia” del nostro corpo incidendo sulle categorie primarie e modificando il modo di conoscere e di fare esperienza (Galimberti, 1999), ossia la nostra epistemologia, nonch´e la nostra esistenza, ossia la nostra ontologia.
La rapidit`a vertiginosa con la quale l’apparato della tecnica esprime nuovi mezzi, strumenti e tecnologie diviene lo status esistenziale del genere umano. In questa dimensione, perfettamente integrata e programmata, la tecnologia “scompare” come fatto precipuo e specifico, esattamente come sono scomparsi l’elettricit`a, i telefoni cellulari, il calcolatore e gli elettrodomestici di ogni genere; e proprio nel momento in cui questi oggetti e queste pratiche spariscono i loro effetti si fanno pi`u importanti; l’invisibilit`a della tecnologia risiede quindi nella sua pervasivit`a, nella impossibilit`a di percerpirne la presenza in modo consapevole.
La questione, sottolinea Longo (Longo, 2001), citando un concetto di Bateson (Bateson, 1976), pu`o essere ricondotta a quello che lo studioso americano indica come un doppio vincolo: da un lato la tecnologia ormai “cablata” ed integrata ri-chiederebbe, per una sua parziale eliminazione, uno sforzo e condurrebbe a difficolt`a che sconvolgerebbero quella unit`a coevolutiva costituita dalla associazione di homo sapiens pi`u ambiente tecnologico, dall’altro lato il permanere della tecnologia in-vasiva e perin-vasiva produce degli effetti negativi che sono sotto gli occhi di tutti in termini di “scollamento” dalla realt`a attraverso l’articolazione della realt`a virtuale. Su questo tema si torner`a in seguito una volta introdotte le macchine calcolatrici ed i loro presupposti.
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Ritornando alla relazione teoria-prassi connessa con lo sviluppo delle macchine, `e particolarmente significativa la posizione di Cartesio che differisce da quella di Bacone. Questi sostiene come la scienza non debba essere che un riassunto del sapere acquisito (solo) nella pratica, tenendo cosi¸ alla debita distanza la speculazione teorica ritenuta sterile e quindi inutile ai fini del progresso. Cartesio sostiene invece: • la possibilit`a di far penetrare la teoria nell’azione, cio`e la possibilit`a di una
conversione dell’intelligenza teorica nella realt`a; • coesistenza di una tecnologia e di una fisica;
• l’idea secondo la quale il mondo stesso pu`o essere intrapreso come una macchi-na: attraverso la scomposizione e ricomposizione di una macchina (del mondo) si comprendono i meccanismi di concatenamento, la struttura ed il funziona-mento dei suoi ingranaggi, esattamente allo stesso modo con cui la nostra intelligenza opera sui termini di un’equazione algebrica.
Su questo aspetto molto delicato relativo all’identificazione uomo e macchina-mondo, potrebbe essere interessante osservare che con l’introduzione delle macchine calcolatrici odierne, il mondo non appare pi`u come un semplice aggregato meccanico di parti elementari retto da semplici concatenazioni lineari di causa ed effetto ma come un insieme di oggetti collegati da una variet`a molto dinamica di relazioni mul-tiple ed in continua evoluzione che si manifestano non in modo lineare ma circolare e situate a diversi livelli gerarchici entro cui si possono riconoscere diversi livelli di retroazione.
• attraverso la conversione o attuazione della teoria nella pratica si realizzano quei progressi che rendono l’uomo “maestro e padrone della natura” (grazie alle macchine).
Prima della totale comprensione del fenomeno che una macchina racchiude in s´e,